La variabile armena: gas e petrolio al centro delle tensioni (mondiali) sul Nagorno-Karabakh (lantidiplomatico 10.09.23)

di Fabrizio Poggi per l’AntiDiplomatico

Quando sono al via le manovre militari armeno-americane che si protrarranno fino al 20 settembre, si stanno ulteriormente deteriorando i rapporti tra Armenia e Russia. Il primo ministro Nikol Pašinjan sta orientando sempre più verso ovest le proprie scelte, in cerca di sostegno, mentre l’Azerbajdžan continua da giorni a concentrare truppe alla frontiera armena e lungo la linea di divisione del Nagorno-Karabakh, aggravando il blocco della Repubblica e rendendo disperata la situazione alimentare degli armeni del Artsakh. In realtà, Erevan, in barba agli accordi tripartiti Mosca-Erevan-Baku del novembre 2020 sul cessate il fuoco, aveva continuato a inviare in Artsakh merci non contemplate dagli accordi, attraverso il “corridoio umanitario di Lacin”, così che Baku aveva chiuso l’arteria, salvo ora consentire (ma la cosa non è chiara) il transito di alcuni prodotti di prima necessità.

Così, in cerca di sostegno, in questi giorni, e tutto nel giro di 24 ore, Pašinjan, per annunciare l’intenzione di avviare colloqui urgenti col presidente azero Il’kham Aliev, aveva fatto squillare i telefoni di Antony Blinken, Emmanuel Macron, Olaf Scholz, del presidente iraniano Ebrahim Raisi e del premier georgiano Irakli Garibašvili; ma non quello di Vladimir Putin. D’altra parte, nota l’agenzia REX, ai primi cinque leader, il premier armeno ha ribadito il rispetto degli accordi dell’ottobre 2022 a Praga e del maggio 2023 a Bruxelles, tacendo accuratamente l’accordo di pace del novembre 2020 che, con l’intermediazione di Mosca, aveva posto fine al secondo conflitto in Karabakh.

Insomma, negli ultimissimi tempi, le relazioni tra Erevan e Mosca hanno fatto davvero passi da gigante: ma in direzione negativa.

Due giorni dopo la squallida intervista di Pašinjan a La Repubblica del 3 settembre, Erevan ritira il proprio rappresentante dal ODKB; in risposta alla proposta russa di dislocare in Armenia una missione del ODKB, Pašinjan opta per una missione UE, dopo aver dichiarato a La Repubblica che il contingente di pace russo non garantirebbe la sicurezza degli armeni e addirittura che Mosca si appresterebbe a ritirarsi dal Caucaso meridionale. Quindi, il 6 settembre, Erevan conferma le manovre congiunte “Eagle Partner 2023” con gli yankee sul territorio armeno, dopo aver rifiutato di ospitare esercitazioni del ODKB. Nello stesso giorno, la consorte del premier porta a Kiev “aiuti umanitari” sotto forma di apparecchiature elettroniche “neutrali” – mica tanto: cellulari e tablet!

Di fatto, Mosca non ha alcuna intenzione di abbandonare un’area vitale come il Caucaso meridionale; è piuttosto l’Occidente che, attraverso le manovre “diplomatiche” armene, cerca di sloggiare la Russia dal Caucaso. Ora, avvertendo l’addensarsi di nuove nubi tra Erevan e Baku, e accusando Mosca di “inazione”, Pašinjan intenderebbe scaricare sulla Russia una verosimile debacle armena e, al tempo stesso, disfarsi del presidio russo in Armenia e del contingente di pace russo in Artsakh, dove tra l’altro, dopo le dimissioni di Arajk Arutjunjan, il 9 settembre è stato proclamato presidente Samvel Šakhramanjan, non esattamente ligio a Erevan.

Il politologo Jurij Svetov ricorda come nel 2020 fosse stata la stessa Armenia a riconoscere le frontiere del 1991 e da allora, in più occasioni, Pašinjan (arrivato al potere, è il caso di ricordarlo, sull’onda dell’ennesima “rivoluzione colorata”) ha dichiarato che il Nagorno-Karabakh è territorio dell’Azerbajdžan. A gennaio e a novembre 2021, ancora Putin, Pašinjan e Aliev avevano concordato di dar vita a una commissione per la demilitarizzazione della frontiera aermeno-azera e il ripristino dei collegamenti commerciali. A ottobre 2022, i tre leader, valutando lo stato delle dichiarazioni adottate a novembre 2020 e a gennaio e novembre 2021, avevano ribadito l’impegno a una linea pacifica nei rapporti Erevan-Baku. E un ulteriore incontro a tre si era svolto a maggio di quest’anno, con Putin e Pašinjan che erano tornati a incontrarsi anche a giugno.

È in questa situazione, che da qualche mese Parigi manifesta interesse alla regione: mentre si propone, senza troppo clamore, quale intermediaria tra Erevan e Baku – è dello scorso giugno la visita a Parigi del Ministro della difesa armeno Suren Papikjan – continua a condurre i propri affari principalmente con la seconda: TotalEnergie e SOCAR estraggono gas dal sito “Apšeron”, nel settore azero del mar Caspio.

Ma non c’è solo il gas nell’area. L’Armenia non è ricca di petrolio, a differenza invece del Nagorno-Karabakh. Dunque, ci si chiede se l’orientamento pro-occidentale di Pašinjan, con l’addossare a Mosca una fantomatica “inazione” del contingente di pace russo a difesa degli armeni del Artsakh, e gli “appelli” all’occidente, non costituiscano il prezzo di scambio per consegnare ai capitali occidentali il Karabakh e il suo petrolio. Così, insieme alla ratifica del protocollo di Roma (il mandato d’arresto emesso dal cosiddetto “Tribunale penale internazionale” nei confronti di Vladimir Putin) da parte del parlamento di Erevan, i media ufficiali armeni hanno cominciato a spandere voci su una fantomatica presenza di 12.000 “wagneriani” che, su ordine di Mosca, tenterebbero di rovesciare Pašinjan. Difficile intuire l’origine di tali voci ma, nota Aleksandr Chausov su Novorosinform, a pensarci bene esse costituirebbero un valido alibi per chiedere che, a conclusione delle manovre di settembre, qualche decina di migliaia di soldati NATO stazionino in Armenia.

Perché, a ben vedere, se Mosca non ha interesse a deteriorare i rapporti con Tbilisi o Baku (e, di conseguenza, con Ankara, la cui dottrina nei confronti dell’Azerbajdžan è oltremodo esplicita: “Due paesi, una nazione”), impegnandosi in un conflitto nella regione, che renderebbe complesse anche le amichevoli relazioni con Teheran, ecco che in Occidente non si vedrebbe male l’apertura di un secondo fronte a sud della Russia.

Parigi, ad esempio, colpita dalla serie di rivolgimenti in paesi africani ricchi di risorse essenziali per l’industria francese, potrebbe agognare al petrolio del Artsakh, cui si mira da più parti almeno dal 1987: cioè il periodo in cui l’azera “AzGeologija” aveva concluso le prime riuscite prospezioni e che, guarda caso, coincise coi primi scoppi della crisi militare nel Nagorno-Karabakh. Ora, quel petrolio, fa gola sì a Baku, che potrebbe trasferirlo in Occidente attraverso la Turchia, ma soprattutto all’Occidente stesso in prima persona, attraverso l’Armenia. E, nota ancora Chausov, era stata per l’appunto la Francia a bloccare già una ventina d’anni fa l’ingresso della Turchia nella UE, riconoscendo il genocidio armeno e proclamando ufficialmente che Ankara era indegna dell’adesione per, ca va sans dire, “regressione in materia di democrazia e diritti fondamentali”. Cioè, in tutta la faccenda, fanno capolino non solo interessi francesi “anti-russi”, ma soprattutto “anti-turchi”: o meglio, “pro-petroliferi”.

Così che, difficile escludere qualche piano di Nikol Pašinjan per mettere in mano a Parigi e all’Occidente le risorse naturali del Artsakh. Non a caso, dice ancora Chausov, già nel 2020 il defunto Evgenij Prigožin aveva messo in guardia Erevan dal non ammettere gli USA nelle proprie questioni e, fatto quantomeno intrigante, ci si chiede come mai, nelle stesse ore in cui precipitava l’aereo del “direttore d’orchestra”, un altro jet privato della “Wagner” volasse da Mosca a Baku, dopo di che a Erevan cominciavano le fibrillazioni anti-russe.

Dunque, il gas azero, si diceva. Stando ai dati Eurostat, la percentuale di petrolio che la UE riceve dalla Russia è precipitata nel giro di pochissimo tempo dal 29 al 2% e quella di gas dal 38 al 13%, mentre sono aumentate le forniture da Algeria, Gran Bretagna e Norvegia e, conseguentemente, anche dall’Azerbajdžan, lungo il Corridoio gasiero meridionale.

Sulle Izvestija, Ksenija Loginova si chiede quindi se Baku riuscirà a sottrarre a Mosca consistenti quote di mercati europei del gas. Intanto sono già aumentate le forniture azere all’Ungheria e per il quarto trimestre del 2023 Budapest riceverà 100 milioni di mc di gas, oltre a 50 milioni che intende acquistare per i propri depositi. Dall’Ungheria, il gas azero già transita alla volta di Bulgaria, Grecia, Romania e Italia. Lo scorso aprile, Azerbajdžan, Bulgaria, Ungheria, Slovacchia e Romania avevano sottoscritto il cosiddetto “Anello della solidarietà” (cui si uniscono anche Serbia e Bosnia-Erzegovina), per l’utilizzo di ramificazioni interne nell’accrescimento dei volumi di gas attraverso il Corridoio meridionale. La UE in prima persona dichiara ufficialmente, e non da ora, il proprio interesse ad ampliare le forniture azere, e se ancora nel 2021 aveva ricevuto 8 miliardi di mc di gas, la prospettiva è quella di raggiungere i 20 miliardi per il 2027.

Ma, nel frattempo, si infittiscono le notizie su concentramenti di truppe azere, armene e iraniane ai relativi confini tra i tre stati e diversi osservatori temono il coinvolgimento di attori pericolosi quali UE e anche Parigi in modo diretto. In effetti, le manovre di Nikol Pašinjan contro le forze di intermediazione russe fanno sempre più il gioco degli attori occidentali.

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