L’Ambasciatrice Hambardzumyan: la memoria del genocidio per impedire altre tragedie (Assadakah 11.06.21)

“Arte per la prevenzione” è stato l’evento organizzato ieri, 10 giugno, nel Pontificio Istituto Orientale di Roma dall’Ambasciata della Repubblica d’Armenia in Italia per ricordare il genocidio armeno. All’interno dell’iniziativa anche la Mostra dell’opera “The Armenian Mother” del gruppo Madenotte e la presentazione del libro di Anny Romand “Mia nonna d’Armenia” con la prefazione della scrittrice Dacia Maraini.

Dopo le presentazioni di rito e i saluti alle varie personalità presenti ha preso la parola l’Ambasciatrice della Repubblica d’Armenia Tsovinar Hambardzumyan che ha affermato: “La memoria del genocidio armeno deve portare la comunità internazionale a lavorare per evitare che una tragedia simile possa ripetersi. Questo evento non deve essere un momento di tristezza, ma di ottimismo e speranza”. Ha anche ricordato l’importanza della prevenzione dei genocidi nel mondo contemporaneo e ha poi ringraziato l’Italia per il rispetto dei valori umani e gli amici dell’Armenia per essere stati a fianco del popolo armeno durante i momenti difficili. “Gli armeni – ha proseguito l’Ambasciatrice – si sono sempre ben integrati nel tessuto socio- economico dei Paesi che li hanno accolti e che sono diventati, per loro, una seconda patria. Ma gli armeni hanno anche saputo conservare la propria identità e coltivare la propria cultura. L’idea di questo incontro è nata fin dai primissimi giorni del mio arrivo a Roma, quando mi hanno invitata ad un evento nel quale si presentavano dei quadri che fanno oggi parte della mostra “The Armenian Mother” del collettivo di artisti italiani Madenotte. Sono poi stata felice quando ho saputo della traduzione in italiano del libro “Mia nonna d’Armenia” della scrittrice francese Anny Romand”.

Nel ringraziare gli amici dell’Armenia, S. E. Tsovinar Hambardzumyan ha fatto presente che è facile essere guidati dagli interessi politici ed economici. È difficile invece agire secondo la propria coscienza.

A prendere la parola in rappresentanza del gruppo Madenotte è stata Maddalena Gabriele, che ha sottolineato che questa opera è stata ispirata da una fotografia dell’epoca scattata nella zona di Aleppo al tempo della Prima guerra mondiale e del genocidio. L’immagine mostra una madre armena che, con accanto la figlia, piange la morte dell’altra figlia più piccola che giace al suolo. Una tenera immagine, conservata nella Biblioteca del Congresso statunitense, che è stata, non solo una delle foto-simbolo del terribile crimine compiuto dall’Impero Ottomano, ma anche l’ispirazione di molti artisti, nel corso degli anni.

Il professore Claudio Strinati ha messo in evidenza come “The Armenian Mother”, rappresenta la realtà più profonda dell’immagine, dandole carattere universale”. Si tratta di quattro dipinti con diversi stili e tecniche che finisce con l’essere una metafora della morte e della pietas, oltre che dell’orrore al quale sono collegate.

“Gli artisti – ha concluso Strinati – ci hanno donato un’immagine che è di aiuto per la nostra coscienza e sommamente apprezzabile sotto il profilo estetico”. Sul tema del genocidio armeno è intervenuto il professor Ugo Volli, che ha messo in evidenza “il problema della rappresentazione dell’orrore”, emerso dopo la Shoah ma che torna ogni volta che la cultura e l’arte si propongono di rappresentare i gesti criminali che riguardano soprattutto gli anni del Novecento. “La cultura deve affrontare questa sfida – ha dichiarato Volli – se non altro per cercare di prevenire. Tutto il mondo, l’Europa e anche l’Italia sono in debito con il popolo armeno, perché non è stato oggetto di un solo genocidio ma di un genocidio infinito, che prosegue ancora tutte le volte che provano a cancellare le loro tracce”. Il professor Marcello Flores, nel suo intervento, ha affrontato un tema di grande attualità. “L’arte e la comunicazione – secondo Flores – possono aiutare la prevenzione dei genocidi. La fotografia alla base dell’opera “The Armenian Mother” è un preciso simbolo della storia del genocidio perché la deportazione ne è uno dei due fondamentali aspetti, insieme alle fucilazioni immediate, che colpirono soprattutto i giovani uomini. La deportazione è la realtà del genocidio”.

A fare da moderatore è stato Emanuele Aliprandi, autore del libro “Pallottole e Petrolio”

Nel corso dell’evento è stato presentato anche il libro “Mia nonna d’Armenia” della scrittrice francese Anny Romand, con la prefazione di Dacia Maraini ed edito da La Lepre Edizioni.

Il libro è stato a seguito del casuale ritrovamento che la scrittrice fa, tra le cose di famiglia: un quaderno di settanta pagine che era stato il diario scritto da sua nonna nel 1915 in armeno, francese e greco e che racconta il viaggio di un gruppo di donne e bambini armeni sulle strade dell’Anatolia, verso il deserto e la morte. Nel libro vengono pubblicati alcuni estratti di quel quaderno che si alternano con le conversazioni che l’autrice ha avuto con la nonna, che l’ha cresciuta. Confrontando il ricordo di quelle conversazioni con le terribili descrizioni del quaderno, Romand rivive l’infinito dolore degli Armeni, filtrato attraverso gli occhi di una bambina.

È intervenuto anche Fabrizio Turriziani Colonna, giudice del Vicariato di Roma e Vicario giudiziale dell’ordinariato degli armeni cattolici nella sede di Yerevan e autore di diversi libri sui Cavalieri di Malta che ha parlato dei suoi molteplici viaggi in Armenia e dei suoi studi sul popolo armeno sottolineato la dignità, l’onestà e la fierezza che caratterizzano ogni armeno e ha concluso dichiarando che sarà la bellezza che salverà il mondo dalla deriva.

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