L’AMICO ARMENO Andreï Makine (Ilpassaparoladeilibri 25.11.23)

Consigliatomi dalla mia bibliotecaria preferita, mi sono messa a leggere questo piccolo libro che mi si è svelato invece di grande qualità e così ricco di significati da farmi veramente emozionare. Scritto da uno (almeno per me) sconosciuto autore russo, nato in Siberia e naturalizzato francese, il romanzo è ambientato, in un tardo periodo dell’epoca sovietica, a Irkutsk, sede di una prigione dove sostavano per qualche tempo detenuti politici, specie armeni, in attesa di giudizio, prima del loro trasferimento in qualche gulag siberiano; narra la storia di un’improbabile amicizia nata tra due ragazzi: l’io narrante, Andrei, che è un orfano duro e ribelle e un compagno di scuola, Vardan, coetaneo di origine armena, debole e malaticcio, quasi femmineo nei grandi occhi neri dalle lunghe ciglia, che vive assieme alla madre e ad una ragazza che forse è sua sorella, in una parte periferica della cittadina, denominata “Piccola Armenia” perché vi vivevano i familiari degli armeni imprigionati in attesa di giudizio.

E Andrei, che decide di difendere dai bulli della scuola quel debole compagno, rimane colpito invece dalla sua forza interiore e dalla sua capacità di vedere le cose del mondo in un modo del tutto particolare. E così scopre che si può toccare il cielo con un dito perché“ qui, alla nostra altezza, c’è la stessa aria che si trova in mezzo alle nuvole, non è vero? Dunque il cielo comincia da qui, e persino da più in basso, raso terra… anzi, sotto le nostre scarpe!” Ed ancora che è più importante sognare che possedere: “Prendi per esempio il Monte Ararat, la vetta sacra degli armeni. Si trova in Turchia adesso. Lo abbiamo perduto ma….. In realtà, non averlo ce lo rende ancora più caro. E’ questa la vera scelta : possedere o sognare. Io preferisco il sogno.” Andrei viene anche a conoscenza attraverso i racconti dell’amico della triste storia degli armeni, la loro lotta per l’indipendenza e il loro genocidio perpetrato senza pietà per nessuno; ed entrerà in rapporto con la madre e la sorella di Vartan, che lo colpiscono per la loro compostezza e bellezza, con il saggio Servan e la sua panchina che accoglie le anime sole, e con il loro insegnante di matematica Ronin, che instaurerà con gli armeni un intenso rapporto di amicizie e comprensione.

Insomma un romanzo carico di emozioni, in cui si coglie il dolore e la dignità di persone che hanno molto sofferto per difendere le proprie tradizioni e la propria identità; un libro che, seppure con parole scarne e soppesate sapientemente, mette a nudo una umanità sofferente, che tuttavia ci invita a guardare il mondo con occhi non offuscati da pregiudizi e rigidità ma pronti a svelare la bellezza di un altro modo di vedere e di vivere la vita. Assolutamente da leggere se non vi preoccupa troppo emozionarvi e, perché no, versare anche qualche lacrima.

Recensione di Ale Fortebraccio

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