L’Armenia cerca un Presidente, ma è ormai una Repubblica parlamentare (Ilcaffegeopolitico 20.02.18)

La riforma del 2015 ha trasformato  l’Armenia in una repubblica parlamentare: la transizione verso la nuova forma di Governo, in cui la direzione dell’ esecutivo sarà assunta dal Premier, si perfezionerà  all’esito delle imminenti presidenziali. Il prossimo 2 marzo, il nuovo Capo di Stato – che resterà in carica sette anni – non sarà  più eletto dai cittadini, bensì da almeno un quarto dei membri del Parlamento

UNA PAGINA BIANCA, TUTTA DA SCRIVERE

Poco più di due anni fa, il 6 dicembre 2015, i cittadini armeni  approvarono mediante referendum un pacchetto di riforme costituzionali che implicava il passaggio a una nuova forma di Governo, da portarsi a compimento entro il mese di aprile 2018, in concomitanza con l’insediamento del nuovo Presidente della Repubblica. L’abbandono di un regime a tendenza semi-presidenziale in favore di un sistema parlamentare ha stimolato un intenso dibattito scientifico  rispetto all’orizzonte politico che si aprirà al termine del mandato del Presidente in carica, Serzh Sargsyan.
Fortemente osteggiata dai partiti d’opposizione, la parziale ridefinizione di alcune funzioni statali è stata variamente interpretata come un escamotage del Partito Repubblicano d’Armenia (RPA) per permanere al potere anche nell’era post-Sargsyan o, altrimenti, come una scelta eccessivamente azzardata per un Paese che non ha ancora assimilato pienamente il rispetto del confronto democratico.
Scetticismo del resto controbilanciato dalla reclame della presidenza repubblicana, che ha presentato la nuova veste costituzionale del Paese al pari di un’enorme conquista di civiltà. Difatti, un Governo parlamentare implica anzitutto l’attribuzione all’Assemblea Nazionale (il Parlamento) – e non più ai cittadini – del potere di eleggere il Capo dello Stato. E, in secondo luogo, comporta una limitazione della carica di quest’ultimo a funzioni per lo più onorifiche, svuotandola dei contenuti sostanziali che segnano invece un’integrazione delle funzioni del Primo Ministro.
Come è noto, il 62enne Sargsyan, in carica dal 2008, concluderà il suo mandato il prossimo aprile. Nell’impossibilità di presentare una terza candidatura, ma riluttante ad abbandonare in toto la regia politica del Paese, il Presidente uscente potrà forse accontentarsi del ruolo di leader del Partito Repubblicano, o magari ambire alla carica di Premier, o comunque ispirare anche in altro modo le scelte del suo successore.
La scorsa primavera, i cittadini armeni sono stati chiamati ad eleggere i nuovi componenti dell’Assemblea Nazionale, in cui il RPA ha conquistato 58 seggi su 105. Il prossimo 2 marzo, i membri del Parlamento eleggeranno – per la prima volta – il Presidente della Repubblica, il quarto dell’Armenia indipendente.
L’Armenia è finalmente giunta al bivio e le prossime presidenziali possono rappresentare il segno inequivocabile di un’aria di cambiamento, una pietra miliare per il consolidamento di un sistema stabile. O, all’opposto, un punto critico che può pericolosamente offuscare il processo di sviluppo democratico in atto.

SCELTE COSTITUZIONALI E RIFLESSI POLITICI

Le analisi formulate da prestigiosi think tanks armeni ed internazionali e recentemente richiamate nelle pagine del quotidiano russo Nezavisimaya Gazeta,  descrivono il perfezionamento della transizione verso la nuova forma di Governo come una scelta principalmente ispirata  a pragmatismo. In altre parole, la piena operatività di un sistema parlamentare – non a caso il modello democratico più diffuso in Europa ed abbracciato anche da Georgia e Moldova – garantirebbe anzitutto una funzione stabilizzatrice degli equilibri di politica interna, oltre a produrre una vasta risonanza nel contesto regionale.
Presunti giochi di potere che tendono al consolidamento dei repubblicani ai vertici dell’esecutivo sembrano pertanto intrecciarsi all’esigenza primaria di prevenire potenziali ondate di instabilità, che negli passati hanno trovato ampio riscontro nella variegata realtà post-sovietica, ma rispecchierebbero altresì la volontà di contribuire alla normalizzazione delle relazioni regionali, su cui grava la spinosa questione del Nagorno-Karabakh.
Degne di nota appaiono, a tale proposito, le qualità che il successore di Sargsyan dovrà dimostrare di possedere. Durante un’intervista rilasciata alla stampa armena, l’attuale Presidente ha posto particolare enfasi su alcuni requisiti imprescindibili: buona reputazione, padronanza delle lingue e una vasta rete di conoscenze tra illustri funzionari pubblici e intellettuali stranieri e un network internazionale di uomini d’affari. Oltretutto  – ha aggiunto Sargsyan – è fondamentale che l’elezione del prossimo Capo di Stato rispetti  nella misura più ampia possibile la volontà parlamentare, rappresentativa delle varie forze politiche del Paese.
Proprio il 19 gennaio scorso, Sargsyan ha svelato il nome del candidato che il blocco repubblicano intende sostenere nella corsa alle presidenziali. La scelta è orami definitivamente ricaduta sul diplomatico Armen Sarkissianambasciatore armeno nel Regno Unito, astrofisico ed ex personaggio politico e già Premier nel biennio 1996-97, anno in cui rassegnò le dimissioni, motivate da problemi di salute, e attualmente non iscritto ad alcun partito politico. Pur non avendo confermato ufficialmente l’accettazione della candidatura, l’ambasciatore Sarkissian ha tuttavia accolto volentieri la proposta di tornare in patria ed intrattenere dei colloqui con deputati ed altri esponenti della realtà politica ed intellettuale armena.

STRATEGIE DI VISIBILITA’

Sebbene non esista ancora certezza sui nomi degli altri candidati, a correre con Sarkissian potrebbero essere alcuni personaggi che – avvisano gli analisti locali – sono tutti accomunati da un discreto coinvolgimento politico e probabilmente anche dalla disponibilità ad assumere mere funzioni di rappresentanza, con l’eccezione di alcuni poteri ancora sostanzialmente presidenziali. Ad ogni buon conto, la quasi certa candidatura di Armen Sarkissian appare specificamente in linea con la visione del Partito Repubblicano, che intende mantenere inalterato il suo ruolo di spicco nella compagine governativa facendo leva su un candidato forte, capace di stimolare l’esposizione internazionale del Paese con generose iniezioni di visibilità.
Fondatore e Presidente della società di consulenza Eurasia House International, con sede a Londra, l’ambasciatore si è anche distinto per molteplici incarichi assunti all’interno di multinazionali del calibro di British Petroleum e Alcatel, solo per citarne alcune. E’ inoltre fondatore del Knightsbridge Group, gigante della consulenza internazionale attivo specialmente in Asia Centrale; detiene alcune quote della società impegnata nello sviluppo del giacimento d’oro di Amulsar in Armenia e, ancora, è membro della Global Leadership Foundation, ONG impegnata nella promozione del buongoverno e dello Stato di diritto. E’ chiaro che l’individuazione di Sarkissian quale candidato ideale non è minimamente affidata al caso, ma sembra piuttosto svelare la determinazione del Partito Repubblicano a riorientare geopoliticamente l’Armenia secondo un programma che pare costruito esattamente a misura di un candidato ben inserito nel panorama politico e scientifico internazionale e forte di rilevanti connessioni con il mondo del business che si estende ben oltre il Caucaso.

ARMENIA 2018: ALCUNI POSSIBILI CAMBIAMENTI

Come accennato inizialmente, la rassicurante retorica del Presidente Sargsyan non pare aver sanato ogni dubbio in merito alla genuinità della riforma costituzionale. Alla vigilia del voto presidenziale, perdurano infatti perplessità di varia natura circa l’efficienza complessiva della nuova forma di Governo in una repubblica post-sovietica che ha conosciuto solo tre Presidenti e dove i tempi per un processo di rinnovamento  potrebbero non essere ancora maturi.
Tuttavia, è opportuno fornire anche una lettura positiva della transizione. Difatti, l’abbandono del presidenzialismo potrebbe fornire all’Armenia gli strumenti necessari per compiere alcuni passi decisivi in direzione democratica e pluralista. E, di conseguenza, risulterebbe del tutto improbabile l’affermazione sulla scena politica di un uomo forte, in grado di traghettare il Paese verso derive autoritarie. Tutto ciò a patto di proteggere, ovviamente, lo spirito e l’integrità della riforma.
Il contesto domestico in cui le elezioni si svolgeranno è però solcato dal timore che Yerevan non sia mossa dalla reale volontà di riformarsi. In particolare, se il Presidente Sargsyan portasse a temine il suo mandato per assumere immediatamente dopo le redini del Governo, ciò non solo minerebbe alla radice lo smalto democratico della riorganizzazione istituzionale, ma infliggerebbe un grave colpo alla fiducia dell’opinione pubblica, amplificando l’eco del malcontento alimentato dalla crisi socio-economica e dalla diffusa corruzione nel settore pubblico.
Se tali riflessioni restano valide a livello interno, si considerino adesso – a titolo conclusivo – alcuneimplicazioni sul piano internazionale. Ad esempio, non deve passare in secondo piano il fatto che l’erede di Sargsyan non potrà esercitare alcuna influenza determinante sulla politica di difesa e sulla politica estera del Paese, dal momento che sarà il Ministro della Difesa ad assumere la direzione dell’esercito, mentre spetterà al Premier il titolo di comandante supremo delle forze armate. Trattasi, infatti, di una scelta di politica legislativa che, nel lungo termine, potrebbe lenire l’attitudine difensiva di Yerevan in maniera tale da favorire la normalizzazione delle relazioni che il Paese intrattiene con i suoi vicini.
In secondo luogo, se gli Stati europei hanno salutato di buon grado le intenzioni democratiche della transizione, non altrettanto entusiasmo potrebbe forse manifestare Mosca. Come si è visto, non solo l’Armenia rincorre il sogno di una maggiore esposizione internazionale, ma potrebbe anche elaborare un nuovo ordine di priorità all’interno del suo programma di sviluppo. E, se così fosse, non potrebbe escludersi una graduale ridefinizione dei settori in cui si esprime la consolidata partnership bilaterale con la Russia.
Proiezioni che ovviamente dovranno porsi in relazione all’impronta politica che il futuro Premier imprimerà al Paese, tutt’oggi ancorato ad una posizione filo-russa quanto meno in campo economico, militare ed energetico.

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