L’Armenia è in trappola? (Iari 21.04.25

L’Armenia si trova in una posizione geopolitica critica, stretta tra le pressioni crescenti di Azerbaijan e Turchia e un progressivo disallineamento con il suo storico alleato russo.

L’analisi esamina le dinamiche regionali che minacciano la stabilità del Caucaso meridionale, dove interessi strategici legati al controllo delle rotte energetiche e alla posizione geoeconomica dell’area alimentano la competizione tra gli attori coinvolti.

Introduzione

Tra il IV ed il XIX secolo l’Armenia venne conquistata e governata da molti popoli, in ultimo gli Ottomani che rimasero padroni della regione per centinaia di anni, fino all’ottenimento dell’indipendenza del 1918. All’indomani della guerra russo-persiana del 1826-1828, le parti della Armenia storica (nota anche come Armenia orientale) sotto il controllo persiano, incentrato a Yerevan, furono incorporate alla Russia imperiale.

Nel periodo antecedente alla Prima guerra mondiale, nell’impero ottomano si era affermato il governo dei «Giovani Turchi». Essi temevano che gli armeni potessero allearsi con i russi, di cui erano nemici, così a partire dal 1915, in seguito alla “legge Tehcir”, venne autorizzata la deportazione della popolazione armena dell’impero Ottomano. Arresti e deportazioni furono compiuti in massima parte dai «Giovani Turchi». Nelle marce della morte, che coinvolsero 1 200 000 persone, centinaia di migliaia morirono per fame, malattia o sfinimento; questo evento verrà poi riconosciuto da molti paesi come genocidio. Questo evento ha contribuito molto alla memoria storica e quindi all’unità nazionale dell’armenia.

L’Armenia fu incorporata nell’unione Sovietica il 4 marzo 1922 e dagli inizi degli anni 80’ con il progressivo indebolimento del sistema politico sovietico, si manifestarono tensioni sia all’interno della repubblica che con la vicina repubblica Socialista Sovietica Azera con la quale era da decenni aperto il contenzioso sulla regione del Nagorno Karabakh, un ex-clave armena assegnata dall’urss all’azerbaijan nel 1923. Con la dissoluzione dell’unione Sovietica la questione del Nagorno Karabakh riemerse. Lamentando l’azerificazione forzata della regione operata da Baku, la locale popolazione armena, con il supporto ideologico e materiale dell’armenia stessa, cominciò a mobilitarsi per riunire la regione alla madrepatria.

Conflitto nel Nagorno-Karabakh e ruolo delle alleanze regionali

Nel Settembre 2020 l’Azerbaijan ha sferrato un attacco al Nagorno-Karabakh annettendone tutta la parte meridionale. Dopo vari appelli dell’onu e con la mediazione della Russia, nel novembre 2020 è stata proclamata una tregua tra i due Stati, con la creazione di una zona di pace al confine, presieduta dalla Russia come garante. Tuttavia, il 19 Settembre 2023 l’Azerbaigian ha nuovamente attaccato militarmente la regione a maggioranza armena e, dopo la vittoria, ha ottenuto la resa della Repubblica di Artsakh (Nagorno-Karabakh), provocando l’esodo di migliaia di armeni (più di 100.000 persone). Il risultato dell’offensiva da parte dell’azerbaigian, comunque, è stata la dissoluzione della Regione dal 1° gennaio 2024.

In questo scenario sono protagonisti due imperi ostili l’un altro: la Turchia e la Russia

Il legame politico, sociale, economico e militare tra Turchia e Azerbaigian ha visto una crescita costante a partire dal riconoscimento ufficiale della repubblica caucasica nel 1992 da parte di Ankara, e i due Paesi hanno investito considerevolmente a livello sia diplomatico sia strategico, nella partnership nell’ultimo decennio. Non a caso, la Turchia e l’Azerbaigian, infatti, hanno un’identità simile, ovvero quella di essere Paesi con una concezione laica ma a maggioranza musulmana, di etnia turca e sul substrato culturale condiviso hanno costruito la reciproca vicinanza.

Nel contempo, l’Armenia poteva contare su un unico storico alleato, la Russia, facendo parte dell’organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettivo, un’alleanza militare guidata da Mosca. Quest’ultima aveva centinaia di soldati stanziati in Nagorno Karabakh, con una missione ufficialmente di peacekeeping (per sostenere le autorità locali nel “mantenimento della pace”).  È inoltre la potenza economica e militare principale della regione, e ha rapporti molto stretti sia con l’Armenia sia con l’Azerbaijan: per decenni il suo potere militare e la sua influenza hanno contribuito a mantenere la pace nell’area.

Tuttavia, quando l’Azerbaijan ha attaccato i territori armeni del Nagorno Karabakh, la Russia non ha mosso un dito,fino al completo disimpegno militare del 5 ottobre 2023. Il presidente Vladimir Putin non ha fatto nessuna dichiarazione a sostegno dell’armenia, non ha convocato a Mosca i capi di stato dei paesi coinvolti, ma successivamente ha addirittura dichiarato:” Per 15 anni abbiamo proposto all’armenia di scendere a compromessi e di restituire all’azerbaigian 5 distretti del Nagorno-Karabakh e di tenerne due, ma Yerevan ha sempre rifiutato”, evidenziando un’evidente rottura dello storico legame con il partner armeno.

È importante sottolineare come uno degli elementi chiave della crescente vulnerabilità armena risiede nella sua limitata autonomia economica. Dal collasso dell’unione Sovietica l’Armenia dipende in modo strutturale dalla Russia per energia, rimesse dei lavoratori migranti, scambi commerciali e supporto infrastrutturale. Secondo i dati del FMI, oltre il 30% del PIL armeno nel 2022 era influenzato da rimesse, in larga parte provenienti dalla diaspora in Russia. Tale dipendenza vincola la libertà d’azione dell’armenia, rendendo difficile una strategia estera autonoma.

Dietro le mosse: strategie e obbiettivi nel Caucaso

Alla luce di questo nuovo scenario di debolezza, Yerevan si vede costretta a scendere a patti con il vicino azero. Nella giornata del 13 Marzo 2025, I ministri degli Esteri di Yerevan e Baku hanno dichiarato di aver raggiunto un accordo di principio sui termini sostanziali di un trattato di pace, col quale i due Paesi caucasici potrebbero voltare pagina su un aspro conflitto che va avanti da 37 anni.

Ad ogni modo, una pacificazione duratura fra i due vicini rimane lontana, il Presidente azero Aliyev, da quando è salito in carica nel 2003, ha imposto un’identità nazionale azera basata sull’immagine negativa dell’altro: il nemico armeno. Neanche dopo i conflitti recenti e la vittoria militare dell’azerbaigian, Aliyev è disposto a smorzare la retorica antagonista e dedicarsi alla costruzione di un rapporto basato sulla fiducia e alla cooperazione regionale nel Caucaso meridionale. L’Azerbaigian sostiene che l’intera Repubblica di Armenia costituisce l’”Azerbaigian occidentale” e Aliyev ha dichiarato ufficialmente che Yerevan è “storicamente” terra azera, preparando così il terreno per un futuro antagonismo.

In questo senso, Baku può fortemente affidarsi alla Turchia, l’allineamento tra i due Paesi non è da leggere solo nei termini delle politiche del “pan-turchismo”, la dipendenza della Turchia da fonti di energia esterne contribuisce non solo al deficit di bilancio di Ankara, ma ha portato alla necessità di sviluppare una politica di diversificazione energetica; perciò, ha consolidato i rapporti con Baku, grande esportatore di gas e petrolio a livello mondiale. Da questa alleanza, l’Armenia ne risulta danneggiata non solo territorialmente, ma teme anche il potenziamento dei corridoi di trasporto commerciale ed energetico tra Azerbaigian e Turchia: il progetto del corridoio Zangezur, che passa da un tratto di territorio armeno, infatti, faciliterebbe il commercio tra i due partner economici e difensivi tramite un’exclave azera situata a sud-ovest dell’armenia. La realizzazione del progetto consentirebbe di stabilire legami commerciali ed energetici diretti attraverso il Nakhchivan, exclave dell’azerbaijan avverando la visione del presidente turco Recep Tayyip Erdogan di unire il mondo turco.

Fonte Immagine: https://scenarieconomici.it/corridoio-di-zangezur-la-pace-fra-armenia-e-azerbaigian-si-allontana/

Parallelamente all’allontanamento della Russia all’armenia, Mosca si è di fatto avvicinata al paese azero. Il motivo principale risiede nel nuovo assetto geoeconomico che la Russia ha dovuto cercare dopo le sanzioni occidentali per la guerra in Ucraina. Il positivo sviluppo dei rapporti tra Russia e Azerbaigian si può dunque spiegare principalmente con ragioni economiche e geopolitiche. Il paese caucasico è strategicamente importante per Mosca per almeno tre questioni. Innanzitutto, rappresenta per la Russia la possibilità di rilocalizzare le proprie imprese e attività finite nel mirino delle restrizioni occidentali. In secondo luogo, l’esportazione di petrolio russo in Azerbaigian, che utilizza per i propri consumi interni oltre che rivenderlo sui mercati UE, permette a Mosca di mitigare gli effetti delle sanzioni e talvolta di raggirarle. Infine, Baku è un partner strategico per il trasporto di beni da e verso l’Iran e il Golfo Persico.

Sulla base di questo nuovo paradigma geopolitico, Yerevan ha cominciato a guardare ad Occidente, trovando una sponda nell’unione Europea. Quest’ultima ha deciso di staccare un assegno da 10 milioni di euro a sostegno delle forze armate armene attraverso lo “strumento per la pace”, nell’intento di attrarre verso di sé un Paese all’interno di un’area di interesse economico e strategico per la Russia, e che porterebbe l’Europa in Asia occidentale, nel Caucaso. Non a caso, il Governo armeno ha recentemente presentato un disegno di legge sull’adesione all’ue al Parlamento nazionale, nonostante le questioni geopolitiche e di sicurezza da affrontare affinché ciò accada.

Nonostante questo avvicinamento, è cruciale sottolineare che l’Europa importa molto del gas e petrolio azero, nel 2023 le esportazioni di gas dell’azerbaigian verso l’Europa attraverso i tre gasdotti che compongono il Corridoio Meridionale del gas hanno totalizzato 11,8 miliardi di metri cubi. In particolare, l’Azerbaijan esporta circa il 57% del suo petrolio e il 20% del gas all’italia, mettendo il paese e l’Europa in una posizione scomoda per posizionarsi troppo a favore di Yerevan, dopo lo stop all’approvvigionamento di gas e petrolio russo.

Nello scacchiere regionale, vi è un’altra potenza capace di influenzare il corso degli eventi: l’Iran. La Repubblica Islamica, è storicamente interessata a preservare il confine con l’Armenia ed è uno strenuo difensore dell’integrità territoriale armena, il paese, sin dal conflitto del 2020, ha chiarito all’azerbaijan che non avrebbe tollerato alcuno spostamento di confine. Alla base di queste posizioni vi è il fatto che l’Iran e l’Azerbaigian sono due Paesi storicamente in conflitto tra di loro, per reciproche pretese di supremazia territoriale ed etnica, dato che la maggior parte degli azeri sono di religione musulmano-sciita, proprio come l’Iran, nonostante ciò sia da considerarsi come un Paese amico di Israele, nemico acerrimo della Repubblica Islamica.

Ciò nonostante, i cambiamenti geopolitici in corso stanno riavvicinando l’Iran con il vicino azero per il legame sempre più stretto di Teheran con Mosca, che passa inevitabilmente da Baku. Le sanzioni internazionali, di cui Russia e Iran sono primatisti a livello mondiale, provoca una dipendenza delle loro economie dalle rotte di esportazione dei materiali energetici, dovendo sostenersi nella contrapposizione all’occidente e l’Azerbaigian cerca di sfruttare la sua posizione mediana non solo a livello geografico, ma anche nelle relazioni politiche con i due vicini e i tanti partner occidentali, un esempio è l’accordo firmato tra Mosca e Teheran nel 2023 per la costruzione comune della tratta ferroviaria di 162 chilometri Rešt-Astara, tra i confini azero-iraniani, che si collega alla città russa di Derbent sul confine settentrionale dell’azerbaigian.

Fonte Immagine: https://pagineesteri.it/2023/05/18/asia/corridoio-ferroviario-russia-iran/

Alla luce del progressivo allontanamento della Russia e della crescente pressione turco-azera, l’Armenia riuscirà a sopravvivere come attore sovrano nel Caucaso meridionale o sarà assorbita nello spazio d’influenza dei suoi vicini?

Scenari futuri

Nel migliore degli scenari, l’Armenia riesce a uscire dalla sua attuale vulnerabilità grazie a un maggiore impegno dell’unione Europea, che intensifica il sostegno politico, infrastrutturale e militare. L’Azerbaijan, spinto da pressioni internazionali e da un nuovo equilibrio regionale, accetta un trattato di pace vincolante, riconoscendo i confini armeni. Anche l’Iran adotta un atteggiamento più favorevole, sostenendo l’integrità territoriale armena per bilanciare l’asse turco-azero. Ne consegue un rafforzamento dello Stato armeno, con attrazione di investimenti esteri e un ruolo più stabile nel Caucaso. L’Armenia accelera il percorso verso l’ue e rafforza meccanismi difensivi con partner selezionati, come la Francia paese finora più incline a garantire la sicurezza armena, garantendo la propria sopravvivenza strategica.

In uno scenario intermedio, l’Azerbaijan evita nuove aggressioni ma mantiene alta la pressione sull’armenia. L’Unione Europea offre assistenza economica ma senza impegno militare, mentre Russia e Iran restano ambigue. L’Armenia, isolata, adotta una posizione di neutralità forzata, senza garanzie di sicurezza reali. La crescita resta debole e il peso internazionale minimo. Per reagire, cerca nuovi partner, come gli Stati Uniti, i quali potrebbero impegnarsi a frenare l’influenza della Turchia nella regione, oltre a diversificare i propri partner commerciali in favore di India e Iran, ma senza superare lo stallo.

Nel peggior scenario possibile, l’Azerbaijan lancia un’invasione di porzioni del territorio armeno, approfittando del disimpegno russo e dell’inerzia diplomatica occidentale. L’Iran, in difficoltà e legato a Baku, resta neutrale. L’Unione Europea, legata agli interessi energetici con l’Azerbaijan, evita di intervenire. Di fronte all’aggressione, l’Armenia subisce gravi perdite territoriali e un esodo di civili, mentre l’adesione all’ue diventa irrealistica. Lo Stato armeno si ritrova isolato e geopoliticamente irrilevante. Le strategie difensive adottate, tra cui la richiesta di supporto ONU e l’appello alla Corte Internazionale, si rivelano insufficienti a fermare la disintegrazione.

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L’Armenia gioca contro il tempo