L’Armenia guarda all’Europa. Una scelta naturale, solida, razionale (Haffingtonpost 04.06.19)

Quasi ventotto anni dopo l’uscita del celeberrimo Quarto potere” (1941), che affrontava il tema dell’identità e dell’autocoscienza americane, nell’Armenia sovietica fu miracolosamente autorizzata la produzione di un lungometraggio basato su un romanzo del giovane autore Hrant Matevosyan (1935-2002) altrettanto miracolosamente scampato alla censura.

Questo film, intitolato ”Noi e le nostre montagne” (1969) e divenuto in seguito un classico per chiunque parli armeno, raccontava la vita nell’Armenia sovietica e l’isolamento di un mondo che seguiva le proprie regole non scritte. Negli anni Sessanta, mentre tutto il mondo era travolto da rivoluzioni tecnologiche, culturali e politiche, due pastori nelle montagne d’Armenia discutevano pacatamente su quali fossero i Paesi più importanti al mondo, concludendo:

“Ci siamo noi, l’America e forse l’Austria”.

Oltre a essere un classico della cinematografia armena, ”Noi e le nostre montagne” simboleggia anche le principali paure degli armeni della nuova generazione: restare isolati sulle nostre montagne, avere una visione del mondo limitata e, come le generazioni che ci hanno preceduto, possedere soltanto un’immagine vaga di ciò che accade nel resto del mondo.

La nuova generazione armena vuole stare al passo coi tempi e prendere parte attiva nel mondo moderno. E a dettare il ritmo di questi nuovi tempi, tanto più rapidi quanto più ci si avvicini al meridiano di Greenwich, è l’Europa. Da questo dipende il genuino desiderio con cui l’Armenia e gli armeni guardano all’Europa: essa è una scelta naturale, ragionevole, solida, razionale.

L’Europa è per noi simbolo delle nostre ambizioni e una finestra di opportunità; una finestra apertasi dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica e che oggi ha portato a un Accordo di partenariato globale e rafforzato (Comprehensive and Enhanced Partnership Agreement, o CEPA), ora in corso di ratificazione con gli Stati membri dell’Ue, che riflette tutti questi desideri e aspirazioni comuni.

Tre sono oggi le priorità dell’Armenia: sicurezza, welfare e demografia, e la nostra agenda con l’Ue le affronta tutte. Le costanti riforme negli affari interni e il rafforzamento delle istituzioni democratiche sono prerequisiti per creare e applicare nuove e più salde misure a salvaguardia della sicurezza interna.

Favorire lo sviluppo di un ambiente economico competitivo in Armenia e facilitare l’accesso al fiorente mercato europeo rappresenta un’opportunità per i produttori locali perché l’agevolazione dei rapporti commerciali è fonte di ricchezza per i nostri cittadini.

Nonostante l’andamento altalenante delle nostre relazioni politiche con l’Ue, ora più fredde ora invece più cordiali, i cittadini armeni non intendono rinunciare alle loro aspettative, che in sintesi possono essere descritte come un’aspirazione a godere di “maggiore accessibilità”.

Maggiore accessibilità significa per esempio facilitare la partecipazione a programmi di scambio con l’Europa per i nostri studenti, snellire per i nostri cittadini le procedure per richiedere i visti necessari per viaggiare nei Paesi membri dell’Ue, quando non abolire completamente la necessità di avere un visto.

Maggiore accessibilità significa anche avere compagnie aeree che offrano voli economici a prezzi più abbordabili e con partenze in orari più comodi durante la giornata dalle nostre due principali città in direzione dei Paesi europei; consentire a un numero sempre maggiore di turisti armeni di visitare, esplorare, conoscere e scoprire l’Europa, vederla con i loro occhi e toccarla con le loro mani; permettere a imprenditori e imprenditrici di vendere i propri prodotti sul mercato europeo e fare in modo che scienziati e ricercatori possano collaborare con i colleghi europei. È qualcosa di molto semplice, molto ragionevole. Ed è qualcosa di assolutamente realizzabile.

Come i suoi cittadini, anche l’Armenia ha aspirazioni ben precise. Come Paese stiamo naturalmente espandendo le nostre relazioni commerciali ed economiche con l’Ue grazie al Sistema di Preferenze Generalizzate Plus (SPG+). Cionondimeno, nella prospettiva di un’“Europa più vicina”, prevediamo la costituzione di attività produttive in Armenia da parte dei principali gruppi aziendali europei come l’italiana Fiat, la tedesca Siemens, altri colossi industriali francesi e diversi altri attori inevitabilmente attratti dal grande mercato dell’Unione Economica Eurasiatica.

Oltre a voler essere “più vicini” all’Europa, potremmo per esempio aspirare a dirigere e guidare l’UE nel progetto di costruzione di una linea ferroviaria ultramoderna ad alta velocità tra Erevan e Tbilisi, capace di trasformare Armenia e Georgia in un’area turistica integrata per gli europei, contribuendo a un rapido aumento del numero di visitatori. Anche in questo caso, si tratta di qualcosa di molto semplice e molto ragionevole. E di assolutamente realizzabile.

Ciononostante, abbiamo talvolta l’impressione che i rapporti fra l’Armenia e l’Ue finiscano per perdersi nei corridoi delle istituzioni ufficiali. Inoltre, gli esiti concreti di queste relazioni sono a volte così trascurabili e inconsistenti da vanificare il concetto stesso di cultura e valori europei, sconcertando e confondendo vari segmenti della società.

I risultati delle ultime elezioni europee dimostrano che le preferenze politiche delle società dei diversi Stati membri sono profondamente diverse. Per questo è tanto più necessario cooperare quotidianamente con tutte le rappresentanze politiche europee. Per coltivare una collaborazione attiva ed efficace con l’Ue si rende pertanto indispensabile un dialogo costante e mirato sia con tutti gli organi comunitari sia con ciascuno dei Paesi membri.

La partnership Ue-Armenia dovrebbe “tradurre” i nostri valori condivisi in risultati concreti capaci di soddisfare i bisogni quotidiani dei nostri cittadini. Questa è la formula per la nostra epoca: i valori devono trasformarsi in opportunità e risultati tangibili, concreti, apprezzabili.

D’altro canto, l’Europa non dovrebbe essere né qualcuno da cui aspettarci soltanto di ricevere qualcosa né il destinatario finale di uno scambio a senso unico. Anche l’Armenia può offrire qualcosa all’Europa: non solo la nostra identità cristiana o una meta turistica per un numero sempre crescente di visitatori europei, ma anche i nostri prodotti, le nostre risorse umane, la nostra creatività, la nostra capacità d’innovazione.

In questo senso, il nostro lungo dialogo politico dovrebbe pertanto finalmente superare la fase delle discussioni e degli incartamenti burocratici per giungere a decisioni e risultati tangibili. Se così non fosse, questa finestra europea finirebbe per tramutarsi in un sogno lontano e irraggiungibile.

Dobbiamo salvaguardare l’agenda europea per l’Armenia, perché essa non è un vuoto discorso politico o un progetto opportunistico ma qualcosa di concreto. È un’aspirazione autentica e genuina. Di conseguenza, una maggiore accessibilità all’Europa – risultato che può essere mutualmente vantaggioso – dipende da una nostra scelta consapevole. E anche in questo caso è qualcosa di assolutamente realizzabile.

Innanzitutto, l’Armenia e l’Europa sono unite dai nostri valori condivisi. L’Armenia, l’Artsakh e il popolo armeno nel mondo sono stati e sono tuttora parte inalienabile della cultura europea, e costituiscono il confine orientale del mondo cristiano.

Il nostro cammino è un cammino di civiltà, un cammino che include sia il Nord sia l’Occidente. Storicamente, in riferimento ai valori europei, abbiamo normalmente guardato sia a Nord sia a Occidente. È innegabile che molti elementi dei valori europei siano riemersi in Armenia passando da Nord. È per noi indispensabile che i transitori confini che ancora persistono fra Nord e Occidente scompaiano o che almeno siano ridotti al minimo.

Ciò che oggi cerchiamo non è un nuovo ruolo in Europa e nella vita europea. Dobbiamo rivalutare il nostro ruolo di una fra le colonne portanti della civiltà europea e del suo sistema di valori.

Ciò dovrà essere chiaro a noi come ai nostri partner: la nostra sicurezza non è negoziabile e i nostri valori dovranno restare, come sempre lo sono stati, l’elemento fondante del nostro lungo viaggio.

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