L’Azerbaijan nel braccio di ferro Russia-Turchia? (L’Indro 29.06.16)

Papa Francesco aveva appena lasciato l’Armenia quando la tensione con l’Azerbaijan è tornata a salire. La ragione dello scontro è sempre il Nagorno-Karabakh, ma questo riaccedersi di provocazioni e tensioni potrebbe essere riconducibile anche allo scontro diplomatico tra Russia e Turchia e all’insofferenza della Turchia verso il Pontefice, il quale, lasciando l’Armenia ha confermato che in autunno sarà in Azerbaijan. Tutto ciò in un momento in cui la Turchia, che da sempre considera Azerbaijan giardino di casa, si sente minacciata dalla Russia, con la quale ha perso la guerra diplomatica iniziata lo scorso autunno.

Secondo quanto riferito dall’agenzia ‘Nova’ le Forze armate armene hanno violato 17 volte il regime di cessate il fuoco nelle ultime 24 ore: lo ha riferito ieri il Ministero della Difesa dell’Azerbaigian in una nota, secondo cui l’Esercito avrebbe subito attacchi da postazioni situate nei pressi di alcune località popolate nella regione contesa del Nagorno-Karabakh e nelle zone adiacenti controllate dalla parte armena. La situazione lungo la linea di impegno nella zona di conflitto del Nagorno-Karabakh è peggiorata drammaticamente durante la notte al 2 aprile, quando sono iniziati dei duri scontri. Le parti in conflitto hanno lanciato delle reciproche accuse di violazione della tregua. In particolare il Ministero della Difesa azero aveva denunciato dei bombardamenti attuati dalle Forze armate dell’Armenia, mentre il Ministero della Difesa di Erevan aveva riferito di ‘azioni offensive’ dal lato azero. L’aggravarsi della situazione ha subito una battuta d’arresto con il cessate il fuoco del 5 aprile. Tuttavia, periodicamente emergono reciproche accuse di attacchi. Il conflitto tra Armenia e Azerbaigian per l’area contesa è iniziato nel febbraio 1988, con il crollo dell’Unione Sovietica, Armenia e Azerbaijan hanno combattuto una guerra per la regione del Nagorno-Karabakh, conclusasi nel 1994. Da allora, la regione, che è ufficialmente parte dell’Azerbaijan, è stata sotto il controllo delle forze locali di etnia armena e dei militari armeni.  Le forze armene si sono impadronite anche di porzioni significative del territorio dell’Azerbaijan al di fuori della regione del Nagorno-Karabakh. Gli sforzi internazionali per la negoziazione di una composizione non hanno avuto successo, e la regione ha continuato a essere teatro di scontri sporadici -l’improvvisa esplosione di violenza dello scorso aprile è stata la peggiore dalla guerra del 1994, con almeno 75 soldati uccisi da entrambe le parti. L’Azerbaijan ha fatto affidamento sul sostegno della Turchia, la quale ha continuato a imporre un paralizzante blocco sull’Armenia fin dall’inizio del conflitto per il Nagorno-Karabakh, inasprendo le difficoltà economiche della Nazione. Dal 1992 proseguono i negoziati per la soluzione pacifica del conflitto all’interno del Gruppo di Minsk, formato che opera sotto l’egida dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce). L’Azerbaigian insiste sul mantenimento della sua integrità territoriale, mentre l’Armenia protegge gli interessi della Repubblica separatista, dal momento che la Repubblica del Nagorno-Karabakh, in quanto non riconosciuta come entità statale, non fa parte dei negoziati. Lo scorso 20 giugno la Russia ha tentato di assumere un ruolo di mediazione diretta nel conflitto fra Armenia e Azerbaigian relativo alla regione contesa del Nagorno-Karabakh: il Presidente Vladimir Putin ha accolto, infatti, a San Pietroburgo gli omologhi armeno e azero, Serzh Sargsjan e Ilham Alyev. In questa occasione, i tre capi di Stato hanno concordato sulla necessità di dare nuovo impeto al processo di pace nel Nagorno-Karabakh. I Presidenti dei tre paesi hanno concordato su una dichiarazione trilaterale che esprime l’impegno nel cercare progressi concreti per la pacificazione politica. L’iniziativa russa esula dal formato regolare dei negoziati, gestiti dal Gruppo di Minsk (composto da Stati Uniti, Russia e Francia), che si era riunito l’ultima volta lo scorso 16 maggio.

Papa Francesco ha scelto l’Armenia, la prima Nazione ad adottare il Cristianesimo come religione ufficiale di Stato nel 301, come meta del suo primo viaggio nell’ex Unione Sovietica.
Sebbene i cattolici siano una ristretta minoranza in Armenia, dal momento che la maggior parte dei suoi 3 milioni di abitanti segue il rito orientale ortodosso, il Vaticano ha definito questa piccola Nazione nel Caucaso meridionale il baluardo della cristianità nella regione.

Già prima della sua visita, Francesco è diventato un eroe per gli armeni quando ha denunciato come genocidio il massacro di 1,5 milioni di armeni ad opera dei turchi ottomani nel 1915.
Anche Papa Giovanni Paolo, durante un viaggio in Armenia 15 anni fa, utilizzò la parola ‘genocidio’ per descrivere tale strage.
La Turchia nega che l’uccisione degli armeni durante la prima guerra mondiale sia stata un genocidio: sostiene, infatti, che sia stata parte di ostilità più ampie e ne contesta il bilancio dei morti. Furiosa è stata la reazione della Turchia al voto del Parlamento tedesco, il quale, all’inizio del mese, si è espresso a favore del riconoscimento del massacro degli armeni come genocidio.
Durante una messa nell’aprile del 2015, Francesco aveva ricordato il centenario del massacro degli armeni per mano dei turchi ottomani descrivendolo come ‘il primo genocidio del XX secolo’, e già allora la Turchia l’aveva presa malissimo. Francesco aveva anche fatto appello alla comunità internazionale affinché lo descriva apertamente come tale. La Turchia aveva risposto richiamando il suo Ambasciatore dal Vaticano. Non vi erano dubbi, quindi, che sarebbe stata infastidita dal discorso di Francesco a Yerevan.
Prima di venerdì scorso, giorno dell’arrivo del Papa in Armenia, il Vaticano aveva mantenuto il riserbo sulla possibilità che Francesco ripetesse la parolagenocidio‘ durante la sua visita di tre giorni. Nel suo discorso presso il Palazzo presidenziale armeno poco dopo il suo arrivo, Francesco ha affermato che il genocidio degli armeni è stata la prima di una serie di catastrofi nel XX secolo. I leader politici e religiosi armeni che hanno presenziato alla cerimonia hanno accolto le sue parole con una standing ovation. Il Presidente armeno Serzh Sargsyan ha poi acclamato Francesco per aver portato al mondo ‘il messaggio della giustizia’.
La reazione della Turchia non si è fatta attendere ed è stata durissima: in un comunicato diffuso dal Ministero degli Esteri turco, si afferma «Il fatto che Papa Francesco sia andato al ‘monumento del genocidio’ durante la sua visita in Armenia tra il 24 e il 26 giugno facendo dichiarazioni infelici sui fatti del 1915, facendo riferimenti inaccettabili ai fatti del 1915 in una dichiarazione congiunta con il Chatolicos degli armeni e dicendo menzogne ​​e calunnie mentre tornava, ha dimostrato che Papa Francesco si attiene in modo incondizionato alla narrazione armena. Ciò non è conforme ai fatti storici o alla legge sui fatti del 1915».

In quella che era stata concepita come una missione per la costruzione della pace, inizialmente Papa Francesco aveva pianificato di visitare anche il vicino musulmano dell’Armenia, l’Azerbaijan, in occasione dello stesso viaggio. Le tensioni delle ultime settimane hanno consigliato il Vaticano di modificare il programma della visita. Si è deciso che Francesco avrebbe visitato solo l’Armenia per poi tornare nella regione due mesi dopo, dal 30 settembre al 2 ottobre, a visitare Azerbaijan e Georgia

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