Le tensioni in Armenia preoccupano la Russia (Ibtimes 03.08.16)

Qualche giorno fa a Mosca, Dmitry Peskov, il portavoce del presidente russo Putin, aveva dichiarato che “le turbolenze ai confini della Russia suscitano preoccupazioni e che Mosca vorrebbe vedere i suoi vicini stabili, prosperi e prevedibili”. Peskov questa volta non si riferiva all’Ucraina, dove al contrario l’alta instabilità è l’obiettivo principe delle strategie a breve termine del Cremlino e il desiderio inconfessato a lungo termine. Questa volta il riferimento era all’Armenia.

Il 17 luglio ad Yerevan, capitale dell’Armenia, un gruppo armato ha fatto irruzione nella sede della polizia locale ingaggiando uno scontro a fuoco con la milizia e provocando la morte di un poliziotto. Gli assalitori, asserragliati all’interno del palazzo, hanno da subito indicato le condizioni per il rilascio degli ostaggi: le dimissioni del presidente Serzh Sarkisian e la liberazione di Zhirair Sefilyan, leader del New Armenia Public Salvation Front. Sefilyan, arrestato a giugno con l’accusa di voler organizzare azioni eversive, è sempre duro nei confronti di Sarkisian, soprattutto in merito alla gestione, considerata poco energica ed arrendevole, della crisi del Nagorno Karabakh.

Il primo agosto il gruppo si è arreso e consegnato alla polizia, ma nel corso delle due settimane sono stati duri e numerosi gli scontri tra i sostenitori di Sefilyan, scesi per strada e le forze di polizia ed un secondo poliziotto è stato ucciso nel corso dei tumulti.

Torna alla ribalta il Nagorno Karabakh, regione a maggioranza armena all’interno dell’Azerbaijan. Assegnata da Stalin negli anni ’20 a Baku, è stata da sempre reclamata dall’Armenia, che si è mossa, talvolta palesemente, altre volte meno evidentemente, per riappropriarsi della regione.

Subito dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica e la immediata dichiarazione di indipendenza del Nagorno Karabakh, la violenta reazione degli azeri diede avvio alla guerra che provocò la morte di più di 30.000 persone, centinaia di migliaia di sfollati ed operazioni con un forte tanfo di pulizia etnica da entrambe le parti. Il conflitto si concluse con un accordo nel 1994, firmato a Bishkek, con l’Armenia che aveva conquistato circa il 10% di territorio azero e con la Repubblica del Nagorno Karabakh indipendente, ma non riconosciuta da alcuno Stato.

Dal 1994 sono state moltissime le violazioni del cessate il fuoco, fino ai violenti scontri dell’aprile scorso che hanno provocato la morte ed il ferimento di decine di soldati in entrambi gli schieramenti. Diverse anche le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, tutte rimaste inascoltate, che indicavano come necessario “il ritiro dei soldati armeni dalle aree occupate appartenenti all’Azerbaijan”.

Nonostante la resa del gruppo armato, la situazione a Yerevan rimane complicata. L’Armenia ha avuto fino ad ora dalla sua parte la Russia, mentre la Turchia è sempre stata molto vicina all’Azerbaijan. Le tensioni tra Armenia e Turchia, a causa del genocidio perpetrato dagli ottomani nel 1915 e mai riconosciuto dai turchi, hanno reso la matassa ancora più ingarbugliata

Per Mosca l’Armenia è un tema caldo e lo ancora di più dopo le proteste a metà aprile all’Ambasciata russa di Yerevan, quando centinaia di persone manifestarono contro la visita del ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov e la decisione di Mosca di vendere armi all’Azerbaijan. Un anno prima, altre proteste, a causa di un omicidio di una famiglia armena a Gyumri, dove ha sede la base militare russa, probabilmente per mano di un soldato russo, resero la situazione incandescente.

L’Armenia è un Paese decisamente nella sfera di influenza di Mosca e la decisione di Sarkisian di raggiungere nel 2015 Bielorussia, Kazakistan e Russia nell’Unione economica eurasiatica (UEE), conferma la volontà del governo di consolidare le relazioni con Mosca.

L’appoggio russo all’Armenia è sempre stato importante per Yerevan, il mezzo passo del Cremlino verso l’Azerbaijan ed il nuovo corso delle relazioni tra la Russia e la Turchia impensieriscono adesso gli armeni. Yerevan comunque non è Kiev e la vicinanza al Cremlino, sia da parte del governo che della maggioranza degli armeni non è in dubbio, del resto 10.000 soldati russi, distaccati presso la base militare 102 di Gyumri e nella base aerea 3624 di Erebuni, sono un ottimo deterrente.