L’Italia a braccetto con l’Azerbaigian (Difesaonline 26.02.21)

(di Andrea Gaspardo)
26/02/21

Nel corso della recente Seconda Guerra del Nagorno-Karabakh, durata dal 27 di settembre al 10 di novembre 2020, le forze armate della Repubblica dell’Azerbaigian hanno fatto ampio utilizzo di un’impressionante gamma di armamenti che, assieme ad altre circostanze, hanno permesso agli azeri di prevalere sul campo di battaglia contro i loro nemici armeni. Sebbene non siano molti coloro che seguono abitualmente le vicende caucasiche, a partire dal 1994, anno della conclusione della catastrofica Prima Guerra del Nagorno-Karabakh, lo stato del Caspio ha destinato cifre sempre più importanti al proprio bilancio alla Difesa, precisamente per raggiungere quella superiorità che, nei piani dei decisori politici e militari azeri, avrebbe dovuto tradursi sul campo di battaglia in una “rivincita”.

A titolo esemplificativo, basterà ricordare che, nonostante sia stato flagellato pesantemente dall’epidemia del Covid-19, in tutto il 2020 l’Azerbaigian abbia speso per le proprie forze armate la bellezza di 2 miliardi e 267 milioni di dollari, pari al 5% del PIL del paese per quell’anno. La cosa però non dovrebbe sorprendere dato che, nel corso dei primi anni Duemila, quando l’economia azera stava vivendo una fase di notevole espansione grazie al boom dei prezzi del petrolio, l’Azerbaigian destinava alla Difesa cifre equivalenti all’intero PIL della rivale Armenia.

Sebbene, all’indomani dell’indipendenza del paese, le forze armate di Baku fossero equipaggiate con una panoplia di armamenti di origine sovietica, il regime di Heydar Alirza oğlu Aliyev prima e quello di suo figlio Ilham Heydar oğlu Aliyev dopo, si sono dimostrati assai spigliati nel cogliere le occasioni che le ricchezze petrolifere del loro potentato gli hanno presentato, tanto che, al giorno d’oggi, l’Azerbaigian può vantarsi di ricevere forniture militari di diversa entità e valore da almeno ventidue paesi diversi. Nonostante quando si parli più specificatamente degli “armatori” di Baku venga in mente in primis il “quintetto d’oro” formato da Russia, Bielorussia, Ucraina, Turchia ed Israele, negli anni recenti anche l’Italia si è guadagnata l’attenzione dei “satrapi” della costa del Mar Caspio.

Prima di procedere oltre è ora necessario fare un piccolo excursus sui rapporti esistenti tra la Repubblica Italiana da un lato, e la Repubblica dell’Azerbaigian dall’altro dato che i recenti annunci relativi all’acquisto di armi italiane da parte dell’Azerbaigian sono solamente la punta dell’iceberg di una “relazione” assai più vasta.

Anche se i rapporti tra lo “Stivale” e la “Terra del Fuoco” sono di ben antica data (basti pensare al ritrovamento, nel parco nazionale di Gobustan, situato 69 chilometri a sud di Baku, di un’iscrizione risalente al periodo del regno dell’imperatore Tito Flavio Domiziano ivi lasciata dalla XII Legione Fulminata), essi hanno cominciato ad avere una certa importanza solamente a partire dagli anni ’90 del XX secolo.

La Repubblica dell’Azerbaigian dichiarò la propria indipendenza dall’Unione Sovietica il 30 di agosto del 1991 nel corso del marasma politico seguito al colpo di stato contro l’allora leader sovietico Mikhail Sergeyevich Gorbachev. Nonostante entro il 18 ottobre dello stesso anno il processo sostanziale di conseguimento dell’indipendenza fosse ormai concluso, fu solo il 25 dicembre che, con lo scioglimento formale dell’URSS, l’Azerbaigian divenne a tutti gli effetti un membro del consesso internazionale.

La Repubblica Italiana riconobbe l’Azerbaigian il 1 di gennaio del 1992 e l’8 di maggio dello stesso anno i due paesi avevano stabilito piene relazioni diplomatiche, anche se l’ambasciata italiana in Azerbaigian e l’ambasciata azera in Italia vennero aperte rispettivamente nel 1997 e nel 2003.

Il fatto che l’Azerbaigian fosse stato il primo tra gli stati del Caucaso meridionale a creare un rapporto privilegiato con l’Italia, ha giovato grandemente a Baku nel lungo periodo. Nei primi anni ’90 infatti la situazione economica della “Terra del Fuoco” era a dir poco disastrosa. La caduta del Muro di Berlino, la fine del Comunismo, lo scioglimento del Patto di Varsavia ed il crollo della stessa Unione Sovietica fecero cessare anche il mercato unico nel quale l’Azerbaigian Sovietico era stato integrato per settant’anni. Il calo dei prezzi del petrolio a seguito della conclusione della Guerra del Golfo, l’espulsione della nutrita comunità armena (che aveva sempre rappresentato storicamente il segmento più attivo sia economicamente che culturalmente della società) e la fuga di gran parte dei membri delle altre comunità minoritarie allogene (come per esempio i russi), il disastro della Prima Guerra del Nagorno-Karabakh e l’instabilità politica interna ad essa correlata (nei primi 2 anni di vita indipendente l’Azerbaigian cambiò ben 5 presidenti!) ebbero l’effetto di mettere quasi completamente al tappeto l’economia e la società.

Nel 1996, quando il processo di declino economico venne finalmente fermato, il valore complessivo del PIL di Baku si aggirava sui 19,95 miliardi di dollari a parità di potere d’acquisto, più o meno equivalenti al 42,7% del valore del PIL dell’Azerbaigian Sovietico nel 1991, ultimo anno di appartenenza del paese all’URSS (ricordiamo però che, nel 1991, anno della disgregazione dell’URSS, l’economia sovietica era già sprofondata in una gravissima crisi economica che durava da almeno 3 anni, quindi non bisogna affatto pensare che i dati relativi alle prestazioni economiche per quell’anno rappresentassero il massimo della potenza economica dell’URSS e delle sue repubbliche costituenti).

Le sorti del paese cominciarono a cambiare dopo il ritorno al potere, in veste di presidente dell’Azerbaigian indipendente, del vecchio “deus ex-machina” della politica interna azera nel periodo sovietico, Heydar Aliyev il quale, una volta conclusa la Prima Guerra del Nagorno-Karabakh, non perse tempo a ricostruire il potere politico ed economico di Baku a partire dalla più importante risorsa a disposizione dello stato caspico: il petrolio. Furono questi gli anni che videro una crescita esponenziale delle attività della SOCAR (Compagnia Statale del Petrolio della Repubblica dell’Azerbaigian – Azərbaycan Respublikası Dövlət Neft Şirkəti), la creazione del SOFAZ (Fondo Statale del Petrolio della Repubblica dell’Azerbaigian) e, soprattutto, la costruzione dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan (BTC), il primo oleodotto in assoluto che avrebbe dovuto esportare ingenti quantitativi di petrolio verso i mercati occidentali utilizzando un’infrastruttura non appartenente al preesistente sistema di condotte energetiche ereditato dalla vecchia Unione Sovietica ed utilizzato dalla Russia come strumento per esercitare importanti leve di potere nei confronti delle altre repubbliche ex-sovietiche.

Quando l’oleodotto BTC venne infine inaugurato, nel 2006, Heyday Aliyev era morto da 3 anni, ma suo figlio Ilham ereditò oltre alla poltrona della presidenza della repubblica anche quello che era già stato ribattezzato “l’oleodotto più strategico a livello mondiale”. Mai tale definizione risultò più azzeccata di questa dato che, da quel momento in poi, l’oleodotto BTC ha ricoperto un ruolo centrale in gran parte delle trame geopolitiche non solo del Caucaso ma anche più in generale nell’area ex-sovietica e nel “Grande Medio Oriente Allargato”. E proprio in questo gioco si è gettata a capofitto l’Italia perché, tra le 12 grandi compagnie partner del progetto BTC, c’è proprio la nostra Eni S.p.A., assieme alla già citata SOCAR, ma anche alla British Petroleum, alla Chevron Corporation, alla Equinor ASA (ex-Statoil), alla GIOC, alla Türkiye Petrolleri Anonim Ortaklığı, alla Total SE, alla Itochu Corporation, alla INPEX Corporation, alla ConocoPhillips ed alla Hess Corporation. È stato infatti il petrolio il principale motore delle relazioni italo-azere e tale resterà anche per il prevedibile futuro.

Nonostante almeno negli ultimi vent’anni le autorità di Baku si siano letteralmente sbracciate nel tentativo di promuovere le relazioni politiche, sociali, economiche e culturali tra i due paesi, la realtà dei fatti è assai più caustica. Dal punto di vista statistico, l’Italia rappresenta il singolo principale partner commerciale dell’Azerbaigian, assorbendo ben il 30,1% dell’export di Baku. Tuttavia, dal punto di vista qualitativo, la realtà più prosaica è che tale export è costituito quasi solamente da idrocarburi, che rappresentano circa il 10,6% del fabbisogno italiano su base annuale; una cifra non disprezzabile, ma assolutamente sostituibile e per nulla “vitale”, come si sforza di sottolineare una certa stampa in odore di interessi opachi. Quegli stessi che ruotano attorno all’efficacissima lobby che Mammad Ahmadzada, ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian in Italia dal 2016 ha pazientemente organizzato nel corso degli anni, per altro costruendo sul successo, dato che Baku è sempre stata molto attenta ad inviare a Roma alcuni dei suoi uomini migliori. Infatti il predecessore di Ahmadzada, Vaqif Sadiqov, ambasciatore in Italia tra il 2010 ed il 2015, è oggi il rappresentante dell’Azerbaigian presso gli uffici delle Nazioni Unite a Ginevra.

Emil Karimov, che fu ambasciatore a Roma tra il 2005 ed il 2010, è diventato poi il rappresentante diplomatico azero in Bulgaria, altro paese europeo nel quale gli interessi azeri (e turchi) sono cresciuti sensibilmente nell’ultimo decennio. Infine, colui che fu in assoluto il primo ambasciatore di Baku acquartierato nello “Stivale” tra il 2003 ed il 2004, Elmar Mammadyarov (foto), divenne poi tra il 2004 ed il 2020 il potentissimo Ministro degli Affari Esteri dello stato caspico, prima di venire politicamente liquidato senza pietà da Ilham Aliyev in situazioni mai del tutto chiarite nel luglio del 2020, proprio mentre l’Azerbaigian si preparava, con l’aiuto della Turchia e del Pakistan, a riaccendere in grande stile la guerra per il Nagorno-Karabakh.

Avendo quindi compreso l’importanza strategica che le relazioni italo-azere hanno per Baku, bisogna adesso chiedersi se ciò trova un contraltare anche a Roma. In tale caso, la risposta deve essere tranciante: no.

Per cominciare, nonostante come già detto, Baku fornisca il 10,6% del fabbisogno energetico annuale dell’Italia, e ciò corrisponda a ben il 30,1% dell’export azero, l’Azerbaigian non compare assolutamente tra i primi partner commerciali dell’Italia né dal lato dell’export né da quello dell’import, laddove i paesi che sono veramente importanti per la tenuta commerciale del nostro stato sono la Germania, la Francia, gli Stati Uniti, la Cina, i Paesi Bassi, la Spagna, il Regno Unito, la Svizzera ed il Belgio.

Nonostante la sua “potenza energetica”, Baku non figura tra tra i 10 principali partner economici dello “Stivale”. Non solo; le forniture di idrocarburi azeri sono più che controbilanciate nel paniere delle disponibilità energetiche amministrate dall’Eni grazie ai rapporti che negli anni il colosso di stato è riuscito a tessere con altri importanti attori del mercato dei combustibili fossili quali: la Russia, l’Iraq, la Libia, l’Algeria e molti altri ancora. Elemento da non sottovalutare poi è il fatto che il petrolio azero arrivi in Italia attraverso le “infrastrutture logistiche” della Turchia, paese che rappresenta indiscutibilmente il principale partner strategico dei satrapi del Caspio e che possiede quindi più di una spettacolare leva di ricatto geopolitico nei confronti dell’Italia. Veramente un’ironia della Storia, se pensiamo che la principale ragione che portò l’Italia ad impelagarsi nel Caucaso fu proprio il miraggio di diversificare le proprie forniture petrolifere, a quel tempo troppo sbilanciate a favore della Russia (l’eterna nemica della NATO, secondo gli Stati Uniti d’America, e quindi da ridimensionare a tutti i costi), con il risultato di trasferire le leve del potere energetico da Mosca ad Ankara, proprio nel momento nel quale la Turchia ha intrapreso la strada che la porterà inevitabilmente allo scontro finale con l’Occidente, e con l’Italia in particolare.

Vi sono infine alcune forniture militari. Alle prese con l’impellente necessità di rinnovare e potenziale le proprie forze aeree ed in particolare di sbarazzarsi definitivamente dei suoi Aero L-39 Albatross ed Aero L-29 Delfin (questi ultimi pare già da diversi anni a terra – foto) di produzione cecoslovacca ereditati dal periodo sovietico, l’Azerbaigian ha firmato, nel febbraio 2020, una lettera di intenti per la fornitura velivoli Alenia Aermacchi M-346 Master da addestramento (media azeri parlano di 12 velivoli con opzione per ulteriori 12 appartenenti nella versione FA da attacco al suolo).

Tale operazione potrebbe essere un successo per la nostra industria aeronautica, rafforzato dal fatto che, successivamente, anche il vicino Turkmenistan avrebbe deciso di ordinare 6 esemplari del Master.

Considerando inevitabile la riesplosione del conflitto in un arco temporale di 5 anni, una volta che la missione di peacekeeping russa sarà conclusa, un paese come l’Italia potrebbe coltivare da oggi questi ultimi risultati per un “soft power positivo” (tanto millantato quanto inutile e tardivo in altre aree di crisi)?

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