L’ossessione azera di costruirsi un passato che non ha (Korazym 13.01.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 13.01.2023 – Vik van Brantegem] – Dopo alcuni brevi cenni storici sulle origini armene, condividiamo un commento sulle dichiarazioni del dittatore dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, in riferimento alla sue pretese sulla capitale della Repubblica di Armenia, Yerevan, e i suoi riferimenti a un’esistenza illusoria di un Azerbajgian occidentale, un’utopia che esiste solo nel suo sogno megalomane delirante, xenofobo e razzista di un Caucaso e di un Medio Oriente senza Armenia e senza Armeni.

Il commento a firma di Carlos Boyadjian è stato pubblicato sul Diario Armenia, un giornale fondato a pochi anni dal genocidio subito dal popolo armeno per mano dell’Impero Turco-Ottomano. In un contesto globale estremamente compromesso, un gruppo di profughi armeni, riuscì con grande sacrificio a fare un giornale che non servisse solo per diffondere informazioni ma anche per preservare la cultura e le tradizioni armene, oltre a svolgere un ruolo sociale estremamente importante. Il Diario Armenia vide la luce per la prima volta il 24 aprile 1931 e da allora non ha smesso di realizzare tutti e ciascuno degli obiettivi che i suoi fondatori gli hanno imposto.

La storia dell’Armenia, ovvero del territorio abitato dalle popolazioni armene, affonda le sue radici nell’epoca preistorica. Il nome originario armeno per questa regione era Hayq, divenuto più tardi Hayastan (Հայաստան in armeno), denominazione attuale del Paese, traducibile come “la terra di Haik”, termine composto dal nome “Haik” e dal suffisso sanscrito -stan (terra), che è tipico anche in persiano per indicare un territorio. Secondo la leggenda e la tradizione armena, Haik, progenitore di tutti gli Armeni, era un discendente di Noè (essendo figlio di Togarmah, che era nato da Gomer, a sua volta nato dal figlio di Noè, Yafet) e, in base alla tradizione cristiana, antenato di tutti gli Armeni. Haik si stabilì ai piedi del monte Ararat, cima centrale e più alta dell’Altopiano Armeno, sacra per gli Armeni in quanto considerata il luogo dove si posò l’arca di Noè dopo il diluvio universale. Successivamente Haik partì per assistere alla costruzione della Torre di Babele e, ritornato dalla Mesopotamia, sconfisse il Re assiro Nimrod presso il lago di Van, nell’Armenia occidentale, l’attuale Turchia. Il diffuso termine Armenia fu dato alla regione dai popoli confinanti per indicare la tribù più potente presente nel territorio (gli Armeni, appunto) e che dimorava in quelle terre. Il nome Armenia si dice derivi da Armenak o Aram (un discendente di Haik e, secondo la tradizione armena, un altro grande “padre della patria”, un grande condottiero del popolo armeno). Fonti precristiane riportano invece la derivazione dal termine Nairi (cioè “terra dei fiumi”) che è l’antico nome della regione montuosa del Paese e che è usato sia da alcuni storici greci sia dall’iscrizione di Behistun, ritrovata in Iran e risalente al 521 a.C. Gli archeologi si riferiscono alla cultura Shulaveri-Shomu del Transcaucaso centrale, comprendente la moderna Armenia, come una delle prime culture preistoriche conosciute nella regione, databile – grazie al C14 – intorno al 6000-4000 a.C. Tuttavia, una tomba scoperta recentemente è databile al 9000 a.C.

Nel I secolo a.C., durante il regno di Tigran II di Armenia detto il Grande (95-58/55 a.C.), l’Armenia costituiva un impero regionale che si estendeva dalle coste del mar Nero al mar Caspio e a quelle del Mediterraneo, ma nel 66 a.C. venne sconfitta dai Romani guidati da Pompeo. Da quella data fu per secoli una delle poste in gioco prima fra Romani e Parti e poi fra Bizantini e Sasanidi. Nel 301 l’Armenia fu il primo stato al mondo ad adottare il Cristianesimo come religione di Stato, precedendo così di alcuni decenni l’Impero romano, dove anzi missionari armeni si recarono a diffondere il cristianesimo: in particolare, ricerche del 2019 portano a ritenere San Mercuriale, primo vescovo di Forlì, proprio di origine armena. Con Gregorio Illuminatore fu istituita la Chiesa Apostolica Armena, che si separò dalle altre chiese cristiane dopo il Concilio di Calcedonia del 451. Con il succedersi delle dinastie e delle occupazioni di parti, romani, arabi (dal 645), mongoli e persiani, lo stato armeno fu notevolmente indebolito.

Armenia circa 50 d.C.
Armenia circa 300 d.C.
Caucaso circa 1060 d.C.

L’ossessione azera di costruirsi un passato che non ha
di Carlos Boyadjian

Diario Armenia, 11 gennaio 2023
(Nostra traduzione italiana dallo spagnolo)

Il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, è un degno discepolo del leader nazista Joseph Goebbels, cultore della menzogna a fini politici. Validità della falsità storica come politica dello Stato nel regime di Baku.

Se Lionel Messi fosse armeno, sicuramente farebbe a Ilham Aliyev, l’autocratico Presidente dell’Azerbajgian, l’inconfondibile gesto con le dita della mano, indicando letteralmente di stare zitto o meglio qualcos’altro, come direbbero nel quartiere. Lo stesso gesto che ha dovuto subire il tecnico neerlandese Louis Van Gaal, dopo i rigori che hanno regalato all’Argentina il passaggio per le semifinali del Mondiale di Qatar 2022.

La risposta al dittatore azero sarebbe giustificata dalle sue dichiarazioni sulla capitale armena Yerevan e dai suoi riferimenti a un’esistenza illusoria di un Azerbajgian occidentale, un’utopia che esiste solo nel sogno megalomane delirante, xenofobo e razzista di un Caucaso e di un Medio Oriente senza Armenia e senza Armeni.

Ma andiamo per ordine. Per quasi dieci anni, ma molto di più da quando la coalizione terroristica turco-azerbajgiana ha lanciato un attacco armato su larga scala contro l’Artsakh nel settembre 2020, che si è concluso con una guerra di 44 giorni, più di 5.000 Armeni uccisi e l’occupazione da parte delle forze armate azerbajgiane di 70 % del territorio dell’Artsakh.

Aliyev insiste che “Erivan” – come chiama la capitale dell’Armenia – e le regioni di Syunik e Gegharkunik sono “territori ancestrali dell’Azerbajgian” e che li recupererà.

Nel suo delirio incontrollabile, Aliyev costruisce un racconto fantasioso, a cui in seguito crederà lui stesso. In verità, gran parte della retorica bellicosa di Baku risponde a una politica statale in Turchia e Azerbajgian, in cui è comune rinominare città e regioni con nomi simili a quelli degli armeni ma con un certo sapore “turco”.

Credendo che chiamare Yerevan Erivan, Nakhchivan Nakhichevan, Shushi Shusha e tutta l’Armenia Zangezur occidentale o Azerbajgian occidentale trasformi semplicemente questi siti in “territori ancestrali azeri”, Aliyev mostra solo accenni della sua matrice di pensiero delirante.

Questa politica non è qualcosa di nuovo nella regione. Già la Repubblica di Turchia e Mustafa Kemal Atatürk faceva appello alla manovra di rinominare le città per far “scomparire” dalle mappe le vestigia dell’esistenza armena in tutta l’Armenia storica dopo il genocidio del 1915-23. Per questo furono assassinati e deportati nei deserti del sud-est del Paese 1,5 milioni di Armeni che, a più di un secolo di distanza, attendono ancora giustizia e gravano sulle coscienze di intere generazioni di Turchi.

Nel caso dell’Azerbajgian e della retorica guerrafondaia e antidemocratica di Aliyev, è anche peggio. Un Paese e uno Stato apparso sulla faccia della Terra nel 1918, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, vuole “appropriarsi” dell’antica cultura armena, presente in quei territori da più di 4.500 anni. Matematica pura, un secolo contro 45 secoli. Chi è ancestrale e chi è l’invasore?

Pertanto, gli Azeri cercano di collegare il loro passato con quello dell’Albania caucasica. Ma niente di tutto ciò regge, se non nella mente malata di Aliyev e nell’apparato di propaganda di Baku.

Gli Aghvan o Albanesi caucasici (per differenziarli dagli Albanesi balcanici) regnarono tra il IV e il III secolo a.C. nel Daghestan meridionale e nell’Armenia orientale, nell’attuale Artsakh e parte dell’Azerbajgian.

Nel II secolo a.C. furono conquistate da Tigran il Grande (anno 66 a.C.), compresa la regione di Utik , situata sulle rive dei fiumi Kura e Artsaj, che era la decima provincia del regno armeno. Fino ad ora, gli antenati degli Azeri hanno abitato le steppe dell’Asia centrale a migliaia di chilometri di distanza, formando le orde dei popoli turchi di quella regione.

Con la sconfitta di Tigran il Grande per mano dei Romani, l’Armenia perse molti di questi territori, di cui gli Albanesi approfittarono per riprendersi. Nel IV secolo d.C. gli Albanesi furono cristianizzati e gran parte della popolazione assimilata dagli Armeni, potenza regionale.

Nel VII secolo l’espansione degli Arabi trasformò la regione in un califfato, e successivamente i Selgiuchidi e altri popoli turchi arrivarono nell’XI secolo per imporsi sulle civiltà esistenti ed estendere il loro dominio.

Un fatto interessante è che, secondo gli storici armeni Movsés Jorenatsi e Koryun , discepolo di Mesrob Mashtóts, fu proprio questo monaco armeno a inventare l’alfabeto degli Aghvan o Albanesi caucasici. L’obiettivo della sua creazione era che questa Chiesa cristiana avesse la scrittura, ma né la Chiesa albanese né la lingua sopravvissero all’arrivo dell’Islam nella regione.

Ogni tentativo di trovare un collegamento diretto tra gli Albanesi caucasici e gli attuali Azeri è solo un tentativo di appropriazione di un passato in cui non ci sono vasi comunicanti.

Ma la verità è che fin dalla creazione del primo stato azero nel maggio 1918 – prima di allora non c’era mai stato uno stato di Azerbajgian – le risorse umane e materiali dello Stato hanno finanziato il lavoro di storici e politici per “costruire” un passato che avrebbe permettere di dire loro, che quelli sono i loro territori ancestrali.

Parallelamente, la città di Yerevan fu fondata come Erepuni dal Re di Urartu Arkishtí I nell’anno 782 a.C. per avere una fortezza e una cittadella contro gli attacchi dal Caucaso settentrionale. Infatti, fino ad oggi è possibile visitare le rovine di Erepuni alla periferia di Yerevan.

La retorica azera sostiene che non c’è alcuna relazione tra Erepuni e Yerevan, in un rozzo tentativo di dire che “Erivan” è una città azera ancestrale, solo perché la chiamano così.

È come se gli Armeni affermassero che “Hunastan” è territorio armeno solo perché è il nome armeno della Grecia, o che i Giorgiani “cercano di appropriarsi del nostro Vrazdan”. Che Yerevan sia una città ancestrale dell’Azerbajgian esiste solo nella mente malata del Presidente Aliyev e in coloro che credono nella menzogna ufficiale. “Mentite, mentite, qualcosa resterà”, resa celebre dal Ministro della Propaganda nazista, Joseph Goebbels, fa effetto [frase falsamente attribuita a Goebbels, in realtà è una variante di una frase di Voltaire, nella Lettera a Thiriot del 21 ottobre 1736: “Mentite, amici miei, mentite. Qualcosa resterà sempre”. V.v.B.].

Per questo motivo, è necessario che sia il governo armeno che tutte le comunità della diaspora si facciano avanti per rispondere a ogni falsità storica del regime di Baku, in modo che la fallacia venga smascherata.

Il nome Yerevan è stato utilizzato dal VII secolo a.C. sotto la dominazione persiana, già nell’antichità fu contesa da Romani, persiani e parti (non dagli Azeri), passando tra il 1513 e il 1737 per successive dominazioni musulmane e persiane.

Nel 1604 sotto il potere di Shah Abbas (Abbas il Grande) gran parte della popolazione armena fu deportata in Persia, momento in cui la popolazione di Yerevan divenne per l’80% musulmana e per il 20% armena. Successivamente Yerevan fu la capitale del Khanato di Yerevan, durante l’impero persiano.

Con il consolidamento dell’Impero russo e il trionfo sui Persiani nel 1827, ebbe luogo una divisione dell’impero zarista in governatorati. Il discorso azero sostiene che l’Artsakh faceva parte del Governatorato di Elizavetpol ed è quindi un “territorio ancestrale azero”. Niente è più lontano dalla realtà.

Come abbiamo visto, la storia dell’Artsakh risale al II secolo. Il Khanato di Karabakh entrò a far parte del Governatorato di Elizavetpol nel 1868, ma sotto il dominio imperiale russo, non dell’Azerbajgian, che, come già affermato, non esisteva come stato indipendente fino al XX secolo inoltrato, nel maggio 1918.

Nella loro urgenza di inventare un passato – che l’Azerbajgian e il suo Presidente Ilham Aliyev non hanno – dispongono di una creatività a prova di proiettile, ma puntano sempre sull’Armenia e sugli Armeni.

A questo punto il dittatore azero farebbe bene a incanalare il suo complesso di inferiorità verso gli Armeni, ricordando che si può fregare una parte del popolo per un po’, ma non si può fregare tutti per sempre. In conclusione: “Studente Aliyev, nella storia hai un 1. Studia meglio e torna a marzo”.

Foto di copertina: il Regno di Armenia nel suo massimo splendore, tra il 95 ed il 66 a.C., al tempo della Dinastia Artasside.

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