L’ultimo baluardo cristiano contro l’avanzata dell’islam (Il Giornale 06.09.16)

M ettere per la prima volta piede in Armenia, lo Stato cristiano per antonomasia, la terra che rivendica di essere la culla della chiesa che incarna l’apostolato di Gesù, la popolazione che ha subìto il più cospicuo genocidio di cristiani nella Storia, il governo che concepisce orgogliosamente il cristianesimo come la radice e il fulcro dell’identità nazionale, è un’emozione unica, che stringe il cuore, che allarga istintivamente l’abbraccio alla moltitudine di «fratelli» nella condivisione della civiltà cristiana, che sprona a offrire la propria solidarietà di fronte alle minacce che attentano al primordiale diritto alla vita e al legittimo diritto alla sicurezza. Minacce che si sostanziano in un nome: islam.

L’Armenia è lo Stato cristiano che più di altri al mondo è minacciato dall’islam per il solo fatto di essere integerrimamente e integralmente cristiano. È l’unico Stato al mondo dove l’islam è come se fosse di fatto fuorilegge, dove non ci sono cittadini musulmani, dove non ci sono moschee ad eccezione della Moschea Blu riservata all’islam minoritario sciita, costruita nel diciottesimo secolo, trasformata dal governo sovietico in un museo nel 1931, restaurata per volontà dello Scià di Persia ed attiva dal 1999 per i turisti iraniani. Sorprende, appena atterrati all’aeroporto di Erevan, la semplicità e genuinità di una popolazione legata alla tradizione, alla famiglia, agli affetti, che accoglie con mazzi di fiori e abbracci profondi i propri cari. In un contesto di estrema modestia, dove per le strade circolano ancora le vecchie automobili «Lada» sovietiche dalle sagome goffe, che vengono tenute in vita per la difficoltà di emanciparsi economicamente, per la pochezza delle risorse nazionali su cui pesa come un macigno la totale dipendenza energetica dalla Russia e dall’Iran. La corruzione dilaga incentivata dal bisogno di gran parte della popolazione. Tuttavia resta il paese più sicuro al mondo, senza criminalità organizzata, al suo interno prevale comunque un radicato e diffuso senso di responsabilità e di solidarietà nei confronti dei propri connazionali. L’Armenia è lo Stato al mondo che, al pari di Israele, identifica come un tutt’uno, come una realtà intrinsecamente indissolubile, l’identità religiosa e l’identità nazionale. Così come Israele, da sempre storicamente terra degli ebrei, fu riesumato dopo duemila anni come «patria degli ebrei», fondato nel 1948 sulla base della risoluzione 181 delle Nazioni Unite come «Stato ebraico», l’Armenia concepisce come indissolubile la sua identità nazionale armena con la sua identità religiosa cristiana. E, al pari d’Israele, l’Armenia tende ad abbracciare l’insieme delle comunità armene nel mondo, pari a circa 10 milioni di persone, di cui solo poco più di 3 milioni vivono nella madrepatria. Così come, al pari di Israele che è preposto a salvaguardare il popolo ebraico e la civiltà che affonda le sue radici nei Dieci Comandamenti, sussiste una apparente inadeguatezza tra la missione che la Storia ha affidato all’Armenia quale Stato depositario della nostra identità cristiana, e la sua esiguità in termini di territorio, di popolazione e di risorse, compensate però dalla straordinaria inventiva e intraprendenza della sua gente. Ma soprattutto, al pari di Israele che ha subìto il più cospicuo Olocausto nella Storia, circa 6 milioni di ebrei sterminati dalla Germania nazista tra il 1933 e il 1945, l’Armenia ha subìto il più cospicuo genocidio di cristiani nella Storia, circa 1 milione e mezzo di connazionali massacrati, tra il 1915 e il 1923 da parte dell’ultimo Califfato islamico turco-ottomano e del movimento nazionalista dei Giovani Turchi.

La visita al Museo del Genocidio Armeno è una lezione di Storia che ci fa toccare con mano la verità su uno dei più sanguinosi ed efferati crimini perpetrati nei confronti dei cristiani nel nome dell’islam. Nonostante sia vero il fatto, come attestano le immagini toccanti in bianco e nero, che gli armeni in Turchia furono presi di mira perché erano l’elite più emancipata sul piano delle attività produttive, della creatività culturale e dell’insegnamento scolastico, e nonostante l’insistenza con cui si vuole anche da parte armena enfatizzare l’identità nazionalista dei criminali «Giovani Turchi» che condivisero il genocidio degli armeni, è però indubbio che gli armeni furono massacrati perché cristiani. È il loro essere «diversi» in quanto cristiani in seno al Califfato islamico turco-ottomano, così come fu per il loro essere diversi in quanto ebrei nella Germania nazista, ed è per il fatto che l’islam concepisce cristiani e ebrei come «dhimmi», «protetti», «sottomessi», che gli armeni furono deliberatamente fisicamente annientati.

Visitando il Museo del Genocidio Armeno mi è tornato alla mente lo Yad Vashem, l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah a Gerusalemme, da cui se ne esce traumatizzati per l’inequivocabilità della più atroce strage perpetrata nei confronti di un singolo popolo per annientarlo definitamente. Ho preso atto che gli israeliani, a differenza degli armeni, hanno saputo produrre una mole di documenti e hanno saputo rappresentare la realtà storica in modo più convincente ed efficace. Non è un caso se oggi solo una quarantina di stati al mondo hanno riconosciuto la verità storica del genocidio degli armeni. La gran parte degli stati, a partire da quelli europei, si sono di fatto piegati all’arbitrio e sottomessi alle minacce della Turchia, che nega spudoratamente la propria responsabilità storica. Dobbiamo sostenere l’Armenia, vera roccaforte cristiana nell’Asia meridionale a ridosso dell’Europa, circondata da tre Stati islamici, con cui uno, l’Azerbaijan, è in stato di guerra, e il secondo, la Turchia, è in stato di allerta permanente. Se l’Armenia dovesse capitolare e perdesse la propria identità cristiana, sottomettendosi alle mire egemoniche dell’aspirante califfo neo-ottomano Erdogan, tutta l’Europa finirebbe per essere travolta dall’irrompere di una violenza nel nome dell’islam scatenata da est, da sud e dal suo stesso interno ormai pesantemente infiltrato dal radicalismo e dal terrorismo islamico autoctono.

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