Melograno carmosino di Bianco (Lariviera on line 07.01.19)

I melograni erano molto diffusi nel territorio della Locride in diverse varietà, frutto del passaggio sul territorio di numerosissime dominazioni e popoli venuti da mondi lontani, in seguito anche a fughe di fronte a invasioni. Infatti non sarebbero spiegabili altrimenti le diversità presenti di tale specie botanica.
Da Bivongi a Palizzi i frutti sono solo apparentemente uguali, ma analizzandoli attentamente ci si accorge della diversità dalla colorazione esterna, dal periodo della maturazione e dalla diversità dei grani all’interno, differenti sia in forma e grandezza, sia nella loro colorazione, che va dal nero al bianco passando dal rosa e dal rosso rubino.
La differenza si riscontra anche nella partizione interna che è delimitata da una membrana biancastra e amara che a volte è molto contorta e altre molto regolare, come può capitare nell’area che va da Bivongi a Bianco. Come sappiamo, il melograno è originario della Fenicia, tant’è che viene denominato in termini scientifici Punica Granatum, ma secondo i Cazachi e gli Armeni esso è originario delle loro aree. In Armenia, addirittura, esistono delle piante che producono dei frutti che contengono, a detta loro, 365 arilli o grani, uno per ciascun giorno dell’anno. Addirittura vi si produce un vino dalle melagrane premure che è piacevole, non molto alcolico e dal colore rosso rubino.
Naturalmente l’Armenia e la Georgia, stati della Regione del Caucaso, assieme all’alta valle del Khabur nella Mesopotamia settentrionale e all’area dei monti Zagros, nell’Iran sud-occidentale, rappresentano le zone dove avvenne il primo addomesticamento della vite più di seimila anni addietro, per cui vi si produce vino da vitigni primordiali, che probabilmente esistono ancora sporadicamente nelle nostre parti, portati da coloni Armeni già al tempo di Eraclio l’Armeno, imperatore di Costantinopoli, o di Niceforo Foca nel IX secolo d.C.
Nei nostri territori esistono stratificazioni di civiltà leggibili attraverso la presenza dei melograni portati dai popoli che vi passarono, tra i quali portiamo come esempio il melograno nero di Palizzi, conservato e salvato da Francesco Campolo di Pietrapennata ma residente a Palizzi Marina. Esso produce frutti che maturano tra dicembre e gennaio, dai grani rosso scuro, quasi nero, leggermente aciduli.
Anni addietro, lo scultore armeno Avetis, ospite a Brancaleone di Francesco Amodei, direttore dell’Istituto Internazionale di Restauro sito in Palazzo Spinelli, a Firenze, affermò che il melograno nero di Palizzi è originario dell’Armenia.
Un’altra particolarità dei melograni della Locride, da Bivongi fino a Bianco, è quella di presentare una partizione interna dei grani simile agli spicchi delle arance, con numerose gradazioni di colore degli arilli che vanno dal rosso intenso al rosa o addirittura al bianco trasparente.
Comunque sia, la pianta simbolo del benessere e della fertilità è presente nella Locride sin dai tempi della Magna Grecia e addirittura la melagrana è rappresentata nei pinakes locresi, evenienza eccezionale tanto più che nell’antichità classica non erano così diffuse le piante che davano frutti.
Erano infatti più facilmente reperibili le pere, le mele, le noci, le mandorle e pochi altri frutti oltre ai fichi, che venivano essiccati e che per il loro alto apporto calorico costituivano, assieme al miele, la base dell’alimentazione degli atleti che si recavano a gareggiare a Olimpia.
A Bianco sono presenti i melograni Dente di Cavallo e i melograni della varietà Carmosina, che varia, fra l’altro, da paese a paese ed è diffuso da Locri fino all’entroterra di Bovalino.
La Carmosina di Bianco, individuata in un campo della famiglia Spanò nei pressi del villaggio turistico La verde, abbandonato da decenni, è diversa da quella di Benestare, ad esempio, che è più piccola e dai grani più neri, può raggiungere una dimensione ragguardevole che supera i 600-700 grammi di peso e presenta una divisione interna molto regolare, tanto da rendere estremamente semplice staccare i grani che risulteranno molto dolci al gusto e dai semi poco legnosi, quasi inconsistenti.

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