Minassian, dal Libano la grande testimonianza di unità tra i cristiani (Vaticannews.va 19.01.22)

I cristiani sono “dispersi sulla terra e caduti nel tumulto dell’egoismo individuale e collettivo”, dimenticando il loro Signore. Sono state parole ferme quelle pronunciate dal patriarca armeno-cattolico Raphaël Bedros XXI Minassian nell’aprire, domenica scorsa, nella cattedrale dei Santi Elia e Gregorio a Beirut, la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.

Profonde ferite impediscono l’unità

Il patriarca ha sottolineato la sofferenza che ancora oggi le Chiese cristiane vivono per “ferite profonde e dolori strazianti, causati dai secoli”, ha invocato l’unità voluta da Dio Creatore e sollecitato il ritorno alla preghiera. Ad ascoltarlo, per la prima volta uniti per tale occasione, patriarchi, vescovi, sacerdoti, rappresentanti delle Chiese cristiane del Paese, tra loro il patriarca dei maroniti, il cardinale Béchara Boutros Pierre Rai, il patriarca dei melchiti, arcivescovo Youssef Absi, il patriarca siro-cattolico di Antiochia Youssef Younan, il nunzio apostolico in Libano, monsignor Joseph Spiteri.

Le meditazioni proposte per la Settimana

Quest’anno le meditazioni prendono spunto dal tema scelto dal Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, con sede proprio a Beirut, e tratto dal Vangelo di Matteo: “In Oriente abbiamo visto apparire la sua stella e siamo venuti qui per onorarlo”:

Ascolta l’intervista con Sua Beatitudine Raphaël Bedros XXI Minassian

Sua Beatitudine, “il Cristo cattolico non è diverso dal Cristo ortodosso”: questo è stato un significativo passaggio della sua riflessione per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, in cui lei ha sottolineato come, contro le divisioni, sia necessario tornare all’arma della preghiera. È ciò che serve per trovare l’unità?

Prima di tutto vorrei dire che questa frase, il Cristo cattolico è lo stesso del Cristo ortodosso, l’ho sentita dalla mia mamma, un’orfana del genocidio armeno. Era il 1956, nel villaggio c’erano solo due chiese, per caso lei assistette alla Messa in una chiesa siro-ortodossa e per questo venne criticata: “Come mai sei sposata ad un cattolico e vai in una chiesa ortodossa?” La sua risposta fu: “Che differenza c’è? Cristo non è lo stesso di quello ortodosso?”. Se riflettiamo profondamente sull’unità della Chiesa, troviamo che Cristo è il centro della nostra vita, sia nella Chiesa ortodossa, sia nella Chiesa cattolica. Non dobbiamo punire Cristo! Questo è il punto che mi tortura. È vero che noi uomini non siamo d’accordo fra di noi, ma così puniamo nostro Signore che è il nostro Salvatore, che ci ha salvati tutti, quindi, praticamente, è questo il primo senso dell’unità: che Cristo è qui e là, e questo come primo punto. Secondo: l’unica cosa che ci avvicina l’uno all’altro è la preghiera, perché che cosa è la preghiera se non un dialogo con il mio Salvatore, con Dio? E allora quando gli chiederò o racconterò una cosa, lui mi guarderà bene negli occhi e dirà: a te io ho consegnato la mia Chiesa, cosa stai facendo? Perché questa divisione? E quale sarà la mia risposta, se non chiedere perdono e invitare mio fratello che è separato? O anche viceversa, che sia lui a chiamarmi ad andare insieme nella preghiera, per mostrare a Dio che ci siamo assunti questa responsabilità di salvaguardare la sua istituzione divina che è la Chiesa universale.

Il tema di quest’anno della Settimana fa riferimento ai Magi, rievoca la loro esperienza nel seguire la stella per trovare e onorare il Bambino. Perché si parte da questa riflessione scelta dalle Chiese del Medio Oriente?

Io penso che il tema scelto sia veramente reale, perché oggi i Magi siamo noi, siamo alla ricerca vera di Cristo, di Gesù Bambino, del nostro Creatore, che ha tralasciato la sua dignità divina per scendere e incarnarsi, che ha vissuto con noi e per noi, per salvarci e per riconciliarci con il Padre. Quindi, praticamente, siamo i Magi sotto la luce di questa stella, luce che è data dal Creatore per illuminare la nostra strada, per arrivare alla meta che è Cristo, suo Figlio unigenito. Siamo noi quei Magi che, alla ricerca di questa via, di questa verità e di questa vita, camminano sotto la luce che ci ha dato il Signore tramite la Chiesa.

Papa Francesco, all’Angelus di domenica scorsa, ha ricordato come i cristiani siano pellegrini in cammino verso la piena unità. Li ha invitati ad offrire le fatiche e le sofferenze e li ha sollecitati a tenere lo sguardo fisso su Gesù per avvicinarsi sempre più alla meta. Cosa ha impedito finora ai cristiani di arrivare a questa unità? È un ostacolo che ancora è presente?  

Direi di sì, perché il nostro peccato è sempre davanti a noi, davanti ai nostri occhi: il nostro egoismo. Noi possiamo parlare, dire e presentare tante belle intenzioni per qualsiasi iniziativa, ma in realtà siamo lontani l’uno dall’altro, perciò tutti questi sacrifici, questi mali, che noi sopportiamo e offriamo al nostro Signore, come dice il Papa, sono mezzi, così come il sacrificio che veniva presentato a Dio nell’Antico Testamento. Tutti i nostri dolori, tutte le nostre sofferenze, sarebbero un dono per ricevere una grazia, perché noi siamo consapevoli della nostra debolezza umana, perciò chiediamo al Signore di aiutarci ad avere il coraggio di dimenticare noi stessi e vivere per l’altro. Quindi, c’è questo sacrificio di cui parla il Santo Padre, a cui va aggiunta la preghiera. Dobbiamo chiedere al Signore e chiarire davanti a lui, umilmente: io sono peccatore, io sono debole, chiedo l’aiuto per aprirmi a mio fratello e accettarlo, così come prego anche per lui, che abbia questo coraggio di guardarmi, e così, guardandoci l’un l’altro, ci avvicineremo per amore del terzo che è l’essenziale, il punto centrale della nostra vita, la nostra meta, e il futuro, che è Cristo.

Come è stata vissuta in Libano, domenica scorsa, l’apertura della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani?

Durante la mia riflessione, alla presenza di tutti i patriarchi, vescovi, sacerdoti, rappresentanti di tutte le Chiese, il punto al quale volevo arrivare era fare chiarezza sul fatto che noi, in questo secolo, non arriviamo ancora a metterci accanto l’uno all’altro. In Libano, invece, questa volta, e penso che sia stata la grazia del Signore, c’è stata una risonanza molto ampia, in tutte le comunità e molto positiva nel Paese, e ringrazio Dio per questa luce e per questa unità. L’invito era a tutti quanti e il fatto che siano venuti è di per sé già una grazia, per molti motivi, come quelli che impediscono il movimento in questo Paese. Noi non abbiamo invitato la gente, ma i fedeli c’erano, noi avevamo invitato soltanto il clero e i rappresentanti di tutte le Chiese presenti nel Libano ma, a parte loro, sono venuti anche altri. Tutti voi conoscete la situazione in Libano e la sofferenza ingiusta che vivono i libanesi, per questo io considero un miracolo l’essere venuti tutti, una presenza del Signore nella nostra vita e, forse, una testimonianza per gli altri.