MONSIGNOR CLAUDIO GUEGEROTTI: «SOGNO LA PACE PER I CRISTIANI D’ORIENTE» (Famiglia Cristiana 11.05.23)

È uno degli uomini di papa Francesco più impegnati in questi mesi nel lavoro riservato che il Vaticano sta conducendo per tentare una mediazione nella guerra portata dalla Russia in Ucraina. Del resto, il mondo del cristianesimo orientale e in particolare l’Ucraina monsignor Claudio Gugerotti li conosce bene. Fin da quando, giovane prete al servizio della Santa Sede, arrivava ogni giorno sul suo vecchio motorino negli uffici della Congregazione per le Chiese orientali, il “ministero” vaticano che oggi si chiama Dicastero per le Chiese orientali e nel quale è tornato da prefetto, il più alto grado, nel novembre 2022.

Nato 67 anni fa a Verona, studi in lingue e letterature orientali a Ca’ Foscari di Venezia, altri studi in scienze ecclesiastiche a Roma, esperto di Armenia, la vocazione sacerdotale di Claudio Gugerotti è nata dal desiderio di aiutare giovani e poveri. Un’attenzione che ha continuato a coltivare in tutti gli anni del suo ministero, anche quando dal 1985 ha iniziato a lavorare in Vaticano, dove è rimasto fino al 2001. Poi è stato nunzio apostolico in Armenia, Georgia e Azerbaijan, quindi in Bielorussia, in Ucraina e, infine, in Gran Bretagna. Da lì Francesco lo scorso autunno l’ha richiamato in Vaticano.

 

Circoli diplomatici americani affermano che il Papa l’ha voluta qui per aiutarlo a pacificare l’Ucraina. È vero?

«Il Papa non mi ha detto questo, se lo ha pensato non so. Mi ha detto che ho esperienza e per questo desidera che io vada. C’è un collegamento costante anche per cose non di competenza del mio dicastero, ma nel nostro mondo complicato è difficile limitarsi alle competenze. Ho subito ripreso contatti con i Paesi: la prima missione in Siria e Turchia, per portare aiuti dopo il terremoto. Soprattutto in Siria la situazione era drammatica perché c’erano paesi completamente impoveriti da un isolamento internazionale che aveva impedito le rimesse dei familiari all’estero ed è tuttora impossibile far giungere gli aiuti in danaro. La seconda missione sul campo l’ho fatta a Cipro, per l’incontro dei capi delle Chiese orientali del Medio oriente, dove ho avuto incontri sia personali che istituzionali molto forti. A Roma in questo periodo il lavoro non manca, sono preso dalle cose da fare, e onorato di farle. Per ravvivare la mia spiritualità in questi giorni sto leggendo alcuni libri di padre Innocenzo Gargano, monaco camaldolese».

 

Rispetto ai 16 anni che ha trascorso in questo Dicastero in passato, la situazione dei cristiani d’Oriente è peggiorata?

«È peggiorata dal punto di vista economico e sociale, quasi tutti i Paesi sono in guerra – Eritrea, Etiopia, Iraq… –, c’è precarietà ovunque, il numero dei cristiani orientali si assottiglia. C’è una loro specificità che, se andasse perduta, sarebbe una perdita irrecuperabile. Oggi ci chiediamo come non far sparire questa ricchezza, e ce lo chiediamo a 360 gradi, non facciamo solo decreti sui rapporti tra le Chiese orientali e il Papa. La ricchezza delle Chiese orientali aiuta anche la Chiesa latina a recuperare cose che spesso ha dato per scontate, come la spiritualità, la preghiera come atteggiamento di vita. Qui al Dicastero ho ritrovato alcuni dei collaboratori di allora, sono cambiati solo i preti; poco dopo l’ordinazione mi ero ritrovato in un ufficio e vivevo una frattura con poveri e giovani, cui volevo consacrare la mia vita. Ho vissuto un paio d’anni nella comunità universitaria di Villa Nazareth, allora guidata dal cardinale Achille Silvestrini, poi nel monastero di Sant’Ambrogio al Ghetto, intanto ho costituito una comunità universitaria in cui facevo servizio pastorale. Nei primi anni a Roma, soprattutto dopo la caduta del Muro di Berlino, abbiamo lavorato tanto a ripristinare le strutture delle Chiese orientali nei Paesi ex sovietici, dovevamo cercare posto per i tanti che venivano a studiare nei collegi pontifici, predisporre accoglienza e percorsi di studio. Applicando le conoscenze delle Chiese orientali che avevo e lavorando a questa ricostruzione la frattura si è in parte sanata. Sì, è vero che arrivavo in ufficio in motorino, oggi però devo solo attraversare il cortile; vivo con alcuni nunzi in pensione, ma la vita di comunità è limitata: spesso riusciamo a vederci solo a cena. Ho poco tempo per il servizio ai poveri, ma provo a non abbandonarlo, mantengo i contatti con i seminaristi e all’estero con parrocchie e comunità. In questo dicastero si respira l’universalità della Chiesa».

 

Da cosa nasce la sua passione per le Chiese orientali?

«Appresi dalla radio l’esistenza di una Facoltà di studi orientali a Venezia.  Tutto è nato studiando i greci e i latini che citavano i padri orientali. Qui in Occidente non conosciamo i padri soprattutto siriaci: forse un po’ Efrem il Siro, figlio di una Chiesa missionaria perseguitata che ha portato i suoi riti fino in Cina. Le liturgie dell’Oriente hanno un linguaggio ricco di immagini poetiche e concrete, un approccio mistico e anche emotivo che aiuta l’incontro e favorisce il dialogo con Dio».

 

Che impatto hanno avuto sulla sua spiritualità le persone incontrate negli anni da nunzio in Oriente?

«Ho avuto un arricchimento spirituale, ho capito di essere stato fortunato a crescere in una società libera e ho potuto aiutare a non idealizzare questa società. Erano gli anni immediatamente successivi all’implosione del sistema sovietico, lavoravo a tentativi di dialogo con i non cattolici e alla ripresa della vita ecclesiale, la situazione delle popolazioni era difficilissima: gli oligarchi si erano impadroniti delle proprietà che in precedenza erano statali e i poveri, privi del sostegno sociale che il comunismo aveva generato, pativano letteralmente la fame: senza lavoro, senza cure mediche, in fila alle tre del mattino per il pane per i figli. L’Europa ha ignorato questi drammi, le diversità etniche sopite dall’ideale dell’internazionale socialista sono tornate fuori, e così sono nati i conflitti. Per tanti – cattolici di tutti i riti e ortodossi – alcuni temi erano tabù: in Ucraina la situazione delle donne che affittavano l’utero a ricche coppie occidentali è tremenda, di schiavitù. Lì queste pratiche sono legali e pubblicizzate sui tram, ma ci sono stati anche casi aberranti, come i pedofili che si fanno “fabbricare” bambini per poi abusarne. Manca assolutamente ogni controllo. L’Occidente ha imposto una sua visione dei diritti, ma il diritto è una ricerca continua e la democrazia non è solo andare a votare. Oggi in Oriente c’è anche una reazione di rabbia e disgusto verso l’Occidente. Mi è anche capitato che alcuni diplomatici mi abbiano cercato come prete per bisogni spirituali, e questo ha fatto bene anche alla mia fede».

 

Se il Papa le chiedesse aiuto per portare la pace in Ucraina?

«È impossibile non chiedere aiuto e non c’è aspetto della vita della Curia vaticana che non sia coinvolto da questa guerra. Se non convinciamo gli attori terzi (principalmente Stati Uniti e Cina, ndr), che poi sono i primi, non si fa la pace. Con il Papa ho un rapporto quasi filiale, molto franco, lui mi telefona qualche volta. Francesco ha molta fantasia, non riesci a inscatolarlo, manca lo scotch per chiudere la scatola».

 

LE COMUNITÀ CATTOLICHE DI RITO ORIENTALE

Mnsignor Claudio Gugerotti è il prefetto del Dicastero per le Chiese orientali, l’organismo della Santa Sede che si occupa dei cattolici che appartengono a Chiese sui iuris. Si tratta di comunità di cristiani di riti diversi da quello latino e con proprie norme (per esempio in molte di queste i preti possono essere sposati) ma in piena comunione con il Papa. Il Dicastero ha competenza territoriale, includendo anche i fedeli latini, sui Paesi evidenziati nella cartina qui sopra: Egitto, Eritrea, Etiopia, Bulgaria, Cipro, Grecia, Iran, Iraq, Libano, Israele e Territori palestinesi, Siria, Giordania, Turchia, Georgia e Armenia. Inoltre si occupa delle comunità orientali (armeno-cattolici, maroniti, copto-cattolici, caldei, greco-cattolici e siro-cattolici) ovunque si trovino.

di Giovanna Chirri