Nagorno Karabach, migliaia di armeni vivono una grave crisi umanitaria per il blocco del corridoio di Lachin (Repubblica 24.01.23)

ROMA – Dal 12 dicembre i manifestanti azeri bloccano il corridoio di Lachin, una strada montuosa di 32 chilometri che collega l’Armenia con il Nagorno-Karabakh, una regione contesa tra l’Armenia e l’Azerbaigian, nel Caucaso meridionale. Secondo il governo di Baku, si tratta di ambientalisti che chiedono le autorizzazioni per ispezionare le numerose miniere armene, considerate illegali, nella zona. Con il blocco del passaggio, però, i manifestanti stanno impedendo anche l’ingresso delle forniture di cibo e medicinali, causando una grave crisi umanitaria per gli oltre 120 mila residenti nella zona.

La storia del conflitto. La minuscola enclave montuosa del Nagorno-Karabakh ha proclamato la propria indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1991. A livello internazionale è riconosciuta come parte dell’Azerbaigian, ma la sua popolazione è prevalentemente armena. Considerato fino a qualche anno fa come un “conflitto congelato”, oggi il processo di pace tra Azerbaigian e Armenia è sempre più complicato.

La posizione dei due paesi. Baku sostiene che il Nagorno è parte integrante dell’Azerbaigian e i diritti degli armeni che vivono in questa area sono garantiti in base a quanto stabilisce la Costituzione azera. Per l’Armenia il blocco del corridoio di Lachin costituisce una grave violazione dell’accordo raggiunto nel novembre 2020 con la mediazione della Russia, dopo un mese di combattimenti sanguinosi.

La guerra del 2020. Con il cessate il fuoco del novembre 2020 si stabilì che la zona del Nagorno dovesse essere controllata da duemila peacekeepers russi insieme al monitoraggio della Turchia, alleata storica dell’Azerbaigian. Baku è tenuta invece a consentire il passaggio di persone e merci in entrambe le direzioni. La guerra del 2020 ha causato la morte di oltre settemila persone e si è risolta con la ripresa, da parte di Baku, del controllo di gran parte della regione.

La crisi umanitaria. Da più di un mese i rifornimenti di cibo non riescono a entrare nel Nagorno-Karabakh. La connessione a Internet è sempre più lenta e l’elettricità va a singhiozzo, raccontano gli abitanti di Stepanakert al corrispondente di France24. Ruben Vardanyan, capo del governo di questa piccola enclave separatista, ha istituito una unità di crisi per fronteggiare la situazione. La corrente viene tagliata quotidianamente per almeno quattro ore, la maggior parte delle scuole ha chiuso e così molte imprese, perché non possono lavorare senza energia. Sono più di 700 le aziende che hanno dovuto sospendere le attività e più di 3400 le persone che hanno già perso il lavoro.

La questione del gas. L’accesso all’approvvigionamento del gas è diventato un percorso a ostacoli, in una regione dove le temperature scendono anche di dieci gradi sotto lo zero. Il gasdotto che fornisce il Nagorno è controllato da Baku e le autorità di Stepanakert hanno accusato l’Azerbaigian di avere interrotto le forniture il 13 dicembre. Forniture che però sono state ripristinate dopo tre giorni grazie alle pressioni internazionali.

La denuncia delle Organizzazioni per i diritti. Tra le organizzazioni internazionali solo la Croce Rossa è riuscita a entrare nel Nagorno-Karabakh per soccorrere una quarantina di cittadini che sono stati trasferiti negli ospedali di Erevan in gravi condizioni. In una nota scritta a dicembre Human Rights Watch avvisava che il blocco prolungato del corridoio di Lachin avrebbe potuto causare una crisi umanitaria disastrosa. Amnesty International invece chiede la piena libertà di movimento. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha lanciato un appello in cui chiede la riapertura del corridoio e così anche l’Istituto per la Prevenzione del Genocidio, che mette in guardia sul rischio di pulizia etnica nella regione.

Il mondo della Politica. Il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione in cui ha chiesto all’Azerbaigian di riaprire immediatamente il corridoio e di consentire l’ingresso nella zona sia alle organizzazioni umanitarie che a una missione conoscitiva delle Nazioni Unite e dell’OSCE. L’altra richiesta è che il corridoio venga controllato da forze di pace internazionali. L’intervento dell’UE è stato sollecitato dall’Armenia, ma non è andato giù al governo azero, per il quale un monitoraggio europeo sul lato armeno e senza il consenso di Baku non solo non migliorerà le condizioni di sicurezza ma complicherà ulteriormente il processo di pace.

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