Nagorno-Karabakh, l’Occidente alla finestra: per quanto ancora? (Formiche.it

Si allarga a macchia d’olio la crisi alimentare: l’Occidente è chiamato ad intervenire con decisione per evitare che questa fase di sconvolgimento geopolitico porti conseguenze anche umanitarie in quell’area. Calovini (FdI): “Confidiamo nel trilaterale Aliyev-Michel-Pashinyan che riteniamo il formato migliore di mediazione ma chiamiamo Bruxelles al maggiore impegno possibile”

Non più solo conflitto militare e geopolitico, ma emergenza umanitaria a cui l’Occidente è chiamato ad intervenire. Nel Nagorno-Karabakh si acuiscono gli effetti di una contrapposizione su cui, evidentemente, spirano folate di venti “esterni” al fine di allontanare una possibile de-escalation accanto ad una normalizzazione sociale, prima che istituzionale.

Il corridoio Lachin nel Nagorno-Karabakh doveva essere trasferito all’Azerbaigian nell’agosto scorso, secondo i termini dell’accordo di cessate il fuoco mediato nel novembre 2020: stando ai termini dell’accordo il distretto di Lachin doveva essere reso all’Azerbaigian entro il 1 dicembre 2020. Al contempo, entro il prossimo dicembre dovrebbe essere progettato un piano per la costruzione di una nuova rotta per collegare il Nagorno-Karabakh e l’Armenia che eviterebbe il distretto azero di Lachin.

Pochi e piccoli passi

Al momento si registrano pochi (e piccoli) passi nella direzione di una de-escalation, anche per la concomitante intenzione dei super players di non perdere terreno. Ue, Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, Russia e Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva sono molto attivi in questo senso. L’ex ministro degli esteri turco Yasar Yakis ha recentemente osservato, non a caso, che se la pace prevarrà in Azerbaigian, gli armeni del Nagorno-Karabakh potrebbero contribuire all’economia dell’Azerbaigian, aprendo di fatto ad un ragionamento diverso rispetto a quelli svolti fino ad ora: il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev e il primo ministro armeno Nikol Pashinyan hanno dimostrato la volontà di proseguire nel dialogo, provando effettivamente a trarre benefici dalle immense entrate petrolifere dell’Azerbaigian. Ma a questo punto della partita occorre un punto di caduta effettivo, anche perché alcune uscite poco diplomatiche hanno provocato una serie di reazioni preoccupate sia in Ue che in Usa.

Crisi umanitaria

Lo scorso 28 maggio il presidente Ilham Aliyev ha dichiarato testualmente: “Ho sempre detto che la nostra integrità territoriale deve essere completamente ripristinata”. Per questa ragione Baku ha istituito un checkpoint sul corridoio Lachin che era stato utilizzato per trasportare merci da e per l’Armenia: un blocco che, di fatto, sta creando una crisi umanitaria, come osservato da un gruppo di osservatori delle Nazioni Unite che ha visitato l’area il 7 agosto. Nel successivo rapporto che hanno redatto, hanno spiegato che il blocco ha “lasciato la popolazione di fronte a una grave carenza di alimenti di base, farmaci e prodotti per l’igiene, ha avuto un impatto sul funzionamento delle istituzioni mediche ed educative e ha messo a dura prova la vita dei residenti, in particolare bambini, persone con disabilità, anziani persone, donne incinte e malati a rischio significativo”.

Qui Roma

“L’Italia sta osservando con attenzione gli sviluppi in Nagorno Karabakh – dice a Formiche.net Giangiacomo Calovini, parlamentare di FdI, membro della delegazione parlamentare italiana presso l’assemblea parlamentare della Nato – . Il rischio di un allargamento della crisi umanitaria a causa dell’insicurezza alimentare è concreto ed il governo sono certo si adopererà perché ciò non avvenga. Ciò detto ritengo che in alcun modo l’incombente crisi alimentare deve rallentare gli sforzi diplomatici che si stanno svolgendo in sede Ue. Il dialogo brussellese deve rimanere il principale strumento di risoluzione delle controversie tra Armenia e Azerbaijan. Come Italia confidiamo nel trilaterale Aliyev-Michel-Pashinyan che riteniamo il formato migliore di mediazione ma chiamiamo Bruxelles al maggiore impegno possibile per una soluzione che garantisca pace certamente ma anche sicurezza in senso lato, anche alimentare”.

Qui Ottawa

Riverberi per il conflitto in Nagorno-Karabakh ci sono anche in terra canadese: il governo ha annullato i permessi di esportazione militare verso la Turchia dopo aver ricevuto “prove credibili” che la Turchia aveva trasferito all’Azerbaigian la tecnologia di fabbricazione canadese che è stata poi utilizzata nella guerra. L’embargo adesso potrebbe essere revocato a causa del fatto che il Paese sta aumentando il proprio profilo diplomatico nel Caucaso. Lo dimostra il prossimo viaggio a Yerevan del ministro degli Esteri canadese, Mélanie Joly, in occasione dell’inaugurazione dell’ambasciata canadese, prevista a breve. Inoltre il Canada sta per assumere lo status di primo stato terzo ad aderire alla Missione Euma dell’Ue in Armenia: si tratta di un’iniziativa in cui alcuni osservatori disarmati provvedono a monitorare le condizioni lungo il lato armeno della frontiera con l’Azerbaigian.

Perché ha rilevanza geopolitica l’interesse del Canada per la sicurezza del Caucaso meridionale? Perché si inserisce all’interno del conflitto diplomatico in corso con la Turchia che, dopo il vertice della Nato in Lituania, sta assumendo contorni diversi rispetto alla contrapposizione passata. Appare evidente che il governo Trudeau non intende alimentare complicazioni in seno alla Nato mantenendo l’embargo.

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