NAGORNO-KARABAKH: Sargsyan e Aliyev si incontrano a Vienna, ma al fronte si continua a sparare (East Journal 23.05.16)

Lo scorso 16 maggio Serzh Sargsyan e Ilham Aliyev, presidenti di Armenia e Azerbaigian, si sono incontrati a Vienna per parlare della problematica situazione del Nagorno-Karabakh, regione contesa dai due paesi che negli ultimi mesi sta vivendo una situazione sempre più instabile. L’evento è avvenuto nell’ambito di una serie di incontri organizzati dal Gruppo di Minsk, struttura creata nel 1992 dall’OSCE (all’epoca CSCE) per crecare di mediare una soluzione pacifica al conflitto del Nagorno-Karabakh.

L’incontro tra Sargsyan e Aliyev è stato il primo dalla grave escalation di violenza verificatasi all’inizio di aprile nel Nagorno-Karabakh, la più violenta degli ultimi vent’anni, che in pochi giorni ha causato la morte di oltre un centinaio di persone e che ancora oggi non sembra essersi del tutto esaurita, come confermano le continue morti che si registrano lungo la linea di confine che separa l’autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh dall’Azerbaigian. L’ultima volta che Sargsyan e Aliyev si sono incontrati ufficialmente per discutere della situazione in Nagorno-Karabakh è stato lo scorso dicembre a Berna, in Svizzera, sempre durante un colloquio organizzato attraverso la mediazione del Gruppo di Minsk.

Oltre ai presidenti di Armenia e Azerbaigian e alle loro delegazioni, all’incontro di Vienna hanno preso parte tra gli altri anche John Kerry, segretario di stato degli Stati Uniti, Sergej Lavrov, ministro degli Esteri della Russia, e Jean-Marc Ayrault, ministro degli Esteri della Francia, in rappresentanza dei tre paesi che attualmente siedono alla presidenza del Gruppo di Minsk; mentre a rappresentare l’OSCE è stato Andrzej Kasprzyk, rappresentante personale del presidente in esercizio.

Durante l’incontro Sargsyan e Aliyev hanno convenuto sulla necessità di rispettare il cessate il fuoco (imposto nel 1994 in seguito all’Accordo di Bishkek ma da allora più volte violato), e sul voler risolvere la questione attraverso vie esclusivamente pacifiche. Riguardo agli incidenti lungo la frontiera armeno-azera, per far fronte alle continue violazioni del cessate il fuoco, i rappresentanti del Gruppo di Minsk hanno proposto di aumentare il monitoraggio in loco installando delle telecamere lungo la linea di confine per documentare eventuali future violazioni. Al termine del colloquio, entrambe le parti, che hanno mostrato una apparente sintonia, hanno espresso la volontà di incontrarsi nuovamente verso giugno per valutare la situazione, tenendo nel frattempo sotto controllo l’evolversi del contesto. Nella stessa giornata, Sargsyan e Aliyev hanno avuto anche due colloqui separati con Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, durante i quali si è ribadita la necessità di risolvere il conflitto del Karabakh attraverso vie diplomatiche.

Nonostante sia Sargsyan che Aliyev si siano dichiarati soddisfatti dell’esito dei colloqui di Vienna, sostenendo la necessità di trovare una soluzione pacifica al conflitto, la realtà dei fatti mostra però come al fronte l’atteggiamento dei due eserciti non rispecchi le buone intenzioni sostenute dai rispettivi leader durante i colloqui, come dimostrano i continui incidenti con tanto di nuove vittime registrati lungo la linea di confine; il tutto proprio poche ore dopo l’incontro dei due presidenti nella capitale austriaca e nonostante le molteplici promesse di pace fatte davanti ai rappresentanti del Gruppo di Minsk.

La verità è che le due parti sono attualmente molto distanti dal trovare un accordo, e al contrario i leader dei due paesi negli ultimi anni hanno più volte dichiarato di essere pronti all’uso della forza per difendere i propri interessi nella regione. Il presidente azero Aliyev ad esempio, nel caso la diplomazia internazionale non dovesse rivelarsi efficace, ha spesso affermato di essere disposto a ricorrere alla guerra per riprendersi il Karabakh; inoltre, come affermato recentemente da Elkhan Sahinoğlu, membro del think tank azero “Atlas“, nel caso l’incontro di Vienna non dovesse aiutare a migliorare concretamente la situazione nella regione, il rischio che in futuro si verifichi un’altra escalation di violenza come quella dello scorso aprile rimarrebbe alto.

Il conflitto tra armeni e azeri per il possesso del Nagorno-Karabakh è scoppiato nel 1988, con l’Unione Sovietica ormai in fase di collasso, mentre si è trasformato in guerra aperta nel 1992, in seguito al raggiungimento dell’indipendenza di Armenia e Azerbaigian. Dopo una dura guerra durata due anni, che è costata la vita a circa 30.000 persone e che ha visto gli armeni prendere il controllo dell’intera regione e di altri sette distretti situati in territorio azero, nel 1994 le due parti si sono accordate per un cessate il fuoco che ha congelato il conflitto. Attualmente la regione è amministrata dal governo della Repubblica de facto del Nagorno-Karabakh, la quale non è però riconosciuta da alcuno stato della comunità internazionale.

Proprio recentemente, come conseguenza dei violenti scontri di inizio aprile, il governo armeno ha approvato una proposta di legge sul riconoscimento del Nagorno-Karabakh, dopo che già più volte negli ultimi anni diversi parlamentari avevano provato a sostenere questa causa. Dopo avere ottenuto l’approvazione del governo di Yerevan, prima di entrare in vigore la proposta di legge dovrà però ricevere anche l’approvazione del parlamento, che per il momento non ha voluto prendere in esame la questione, temendo una reazione azera, preferendo aspettare l’evolversi del contesto.

A complicare ulteriormente la situazione vi è l’ambiguo ruolo della Russia, che da una parte manda Lavrov a Vienna a rappresentare Mosca in occasione dei colloqui di pace organizzati dal Gruppo di Minsk, del quale proprio la Russia è co-presidente, mentre dall’altra continua a vendere armi a entrambi gli schieramenti, contribuendo così alla frenetica corsa agli armamenti di Yerevan e Baku, che secondo una classifica elaborata dal BICC (Bonn International Center for Conversion) si posizionano rispettivamente al 3° e all’8° posto tra le nazioni più militarizzate al mondo.

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