Non ci rassegniamo a perdere Artsakh. Da Pashinyan c’è solitudine, non tradimento, che è di chi in Occidente non riconosce i suoi fratelli (Korazym 27.05.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 27.05.2023 – Renato Farina] –  Gli alberi piantati e dedicati nel parco di Villa Borghese a Roma, il più bello di tutti i giardini, al capostipite degli Aliyev, nonché promotore di pogrom azeri contro gli Armeni [QUI], sono legni che ci battono sulla testa, qui sulla riva del lago di Sevan. Il Nagorno-Karabakh è vicino al villaggio di noi Molokani. Idea! Perché deputati e dignitari italiani partecipi di quell’evento non vengono a rimuovere il blocco che impedisce di portare pane e medicine ai 120mila Armeni presi per fame e malattia. Almeno guardare. Sarebbe formidabile, e almeno un pochino bypartisan.

Intanto, notizie dolci avvertono di negoziati ad alto livello e con mediatori di rango (Unione Europea, poi Russia) per dar corpo a una pace vera tra Armenia e Azerbajgian, e salvare il Nagorno-Karabakh (il nostro Artsakh) dal genocidio o dalla schiavitù. I governanti armeni registrano progressi. Si parla ufficialmente di progressi. Il Presidente Ilham Aliyev per Baku e Nikol Pashinian per Erevan hanno infatti accettato concordemente di riconoscere la superficie dei rispettivi Stati nella misura di 29.800 Kmq (Armenia) e di Kmq 86.600 (Azerbajgian). Alt! La dolce notizia contiene dentro di sé un nocciolo amaro, forse avvelenato. I numeri dicono che di fatto il governo armeno riconosce come parte dello Stato azero il Nagorno-Karabakh. È una deduzione elementare.

Che significa? Interpreto così. L’Azerbajgian è pronto a prendersi militarmente il territorio della Repubblica armena. Dopo l’occupazione del Nagorno-Karabakh nel settembre 2020 con l’aiuto della Turchia, con crimini di guerra documentati (e silenziati!), e dopo la tregua sottoscritta per imposizione di Mosca, Aliyev ha intrapreso la tattica delle continue aggressioni, invadendo piccole porzioni di territori armeni, nel contempo rivendicando pretese storico-culturali sull’intera Repubblica cristiana. La strategia è quella di far sparire questa nazione. Intanto costringendo gli Armeni dell’Artsakh alla scelta tra la schiavitù e l’emigrazione.

Ora i colloqui di “pace” danno per scontata la sovranità di Aliyev sul Nagorno-Karabakh in cambio del congelamento dei confini.
Realismo o tradimento da parte di Pashinyan? Non è tradimento ma solitudine. Il tradimento è di chi in Occidente non ha riconosciuto i suoi fratelli, e ha preferito rinunciare come Esaù perdere la dignità per un piatto di metano.

Non basterà questo sacrificio obbligato. I precedenti storici, la figura morale dei leader azero, il servilismo europeo nei confronti del progettato impero neo-ottomano, la situazione geopolitica: tutto parla di truffa, trappola, propaganda, per alleviare il peso sulla coscienza pelosa dei Paesi europei a riguardo degli accordi commerciali e addirittura militari con una dittatura corrotta e crudele.

Non facciamoci soffiare fumo negli occhi. Il negoziato è certo la sola alternativa alla guerra. Ma non quando è usato subdolamente a preparare meglio il decisivo colpo di maglio del lupo azero sulla testa di cappuccetto armeno, e consentire che il prepotente aggressore intanto accumuli armi e si ripulisca l’immagine. È bene che la trattativa non sia a due, tra l’Orco e Pollicino, ma preveda meccanismi internazionali vincolanti in caso di violazioni. Qui la NATO, l’Unione Europea, grazie a un’iniziativa italiana (la seconda capitale dell’Armenia è Venezia) potrebbero dare garanzie per impedire un nuovo genocidio. Ehilà, dalle parti di Meloni, qualcuno batta un colpo, vi prego.

Prima di trattarmi come un matto che rifiuta il dialogo, mi ribello, offrendovi un bicchiere di latte e menta. Ma quando mai? Noi Molokani d’Armenia non siamo estremisti, detestiamo la guerra. La prova? Beviamo latte, tutto lì. Siamo stati ritenuti eretici dai capi dell’ortodossia russa cinque secoli fa per questo. Secondo una dottrina che fa prevalere la legge sull’imitazione di Cristo, il latte non andrebbe consumato in quaresima e nei periodi di penitenza. Nella Sacra Famiglia il latte non era tabù mai. La Madonna non ha smesso di allattare il Bambin Gesù. Il sabato è per l’uomo, non il contrario. E così il latte.

Insomma, siamo gente raziocinante, amiamo il latte non il sangue. Dunque siamo felici che continuino i negoziati perché si raggiunga la pace tra Armenia e Azerbajgian, ma resta nel fondo della nostra coscienza il presentimento dell’inganno. Non ci riferiamo a Machiavelli ma alla Bibbia e alle trattative tra Mosè e il faraone Ramses. Visto che il capo dell’Egitto non cedeva e non lasciava partire gli Ebrei, Dio mandò le prime piaghe. Ramses resistette a cavallette e zanzare, ma quando ci fu l’invasione delle rane – la quinta piaga – cedette. Disse a Mosè: fa’ cessare questo flagello e il tuo popolo sarà liberato. Mosè accettò felice. Avrebbe dovuto chiedere di “vedere cammello”, come si dice da quelle parti. Avere un pegno solido, che renda non conveniente la rottura del patto.

Il faraone mentì, non mantenne la parola. Bloccò gli Israeliti ed anzi rese più dura la loro schiavitù suscitando le proteste dei medesimi contro Mosè. Il quale imparò la lezione, e alla decima piaga condusse prima il popolo fuori dalla prigionia e solo poi chiese a Dio di interrompere la moria di Egizi.

La storia dell’Esodo, e delle trattative per conseguirlo, credo siano una buona scuola. Negli ultimi giorni del mese di maggio ci sono stati ancora incontri.

“Ormai secche le rose e le violette armene… l’Armenia è diventata la casa del dolore” (Ghevond). Noi non ci rassegniamo a perdere l’Artsakh.

Il Molokano

Questo articolo è stato pubblicato oggi su Tempo.it [QUI].