Oggi, nel 1880, nasceva Hrand Nazariants: intorno a lui, a Bari, “I poeti della via” (Molalibaera 08.01.20)

Affamati di spiritualità, di trascendenza, figli di un ideale vigoroso e di nobili valori “I poeti della via” (Angeloro, Sinisi, Montella, Pellecchia, Mastrini, Potito, Santoro e Sorrenti), così come si definirono, potrebbero essere considerati gli ultimi tizzoni di una rinascenza culturale che fiorì a Bari nei primi anni del novecento attorno (e anche) alla figura dell’intellettuale armeno Hrand Nazariantz (08 gennaio1880 – 25 gennaio 1962).

I SOGNATORI DIMENTICATI

“I poeti della via” si muovevano declamando i loro versi tra Bari e paesi limitrofi tra il 1950 e il 1968.

Un’opera di Hrand Nazariantz pubblicata dalla casa editrice Humanitas di Piero Delfino Pesce

Portavano in seno un progetto di ricostruzione, la pianticella tenera, seminata in anni di incertezza e inquietudine, quelli cioè del primo ‘900.

Giulio Gigante li chiamava per eventi organizzati dall’università popolare di Conversano, perché sapevano essere protagonisti di atmosfere magiche e intense. Erano serate pensate come occasione per accordar l’orecchio e allenare l’occhio alla bellezza che, attraverso l’arte si svela, esalta e tutti eleva!

In Giulio la cultura era come fontanella d’acqua dolce per il bene comune ed essi erano un riferimento importante, perché sapevano rapportarsi con immediatezza senza essere banali.

La semplicità e la concretezza era il costume de “I Poeti della Via”.

La ricerca di forme migliori per emozionare non era mero esibizionismo, né progetto d’evasione, tanto meno intrattenimento o distrazione dalla vita grama, ma e, soprattutto, convinzione che l’Arte fosse forza propedeutica per alimentare, nei concittadini, la visione di paese capace di valorizzarsi.

Caricatura di Nazariantz di anonimo

Giulio Gigante riconosceva in questi uomini la risorsa umana, l’energia salutare che unisce il senso pratico a quello ideale, frutto della contemplazione, intesa come spirito della ricerca dell’essenza di bellezza e serenità, insomma ogni incontro organizzato dell’università popolare Conversanese aveva una funzione sociale.

La loro “rappresentazione mentale di paese”, vedeva nello studio non il passaporto per fughe all’estero, quanto il mezzo per uscire dai margini della vita con un’offerta di prodotti qualificati e non omologati a dei canoni decisi da pochi.

La cultura come mezzo per costruire ponti, favorire scambi per avere una visione veramente globale del pianeta. Per offrire una vivacità di colori e sapori che fossero espressione peculiare del luogo, paesaggio delle meraviglie.

“I poeti della Via” per molti erano tollerati come ingenui, privi del senso concreto della realtà e per questo, spesso messi alla berlina. Era come se non riflettessero l’immagine comune del commerciante che punta subito al sodo.

Una delle maggiori opere di Hrand Nazariantz

Per tanti la Cultura non era strumento di identificazione e mezzo per cogliere le potenzialità di un territorio, quanto un abito per opulenti e per fannulloni. I caffè o i cenacoli erano salotti per ricchi non certo luoghi di aggregazione o confronto.

Cosa rappresentarono il Caffè Sottano del buon Don Armando Scaturchio? Cosa era lo storico Caffè Stoppani, ritrovo degli intellettuali baresi? Cosa è rimasto nell’immaginario collettivo della città schiusa a oriente, attenta ai venti e alle onde di mare che, come bastimenti, approdano e ripartono?

I luoghi dell’incontro, la vetrina sociale erano le piazze e i corsi per le passeggiate nei giorni di festa! I sognatori o gli artigiani del pensiero erano un ingombro per quanti ignorano che l’Arte vera è espressione di bagliori interiori. La sintesi di percorsi che interpretano l’animo in relazione coll’immensità cosmica, ma soprattutto sono il manifesto di dimensioni invisibili ma reali dei quali l’artista è testimone e interprete.

Un’altra opera di Hrand Nazariantz pubblicata dalla casa editrice Humanitas di Piero Delfino Pesce

Eredi di un ideale, quale il “Manifesto Graalico che ha per confini solo Amore e Luce” (1951), per il quale “In quest’ora di fatale oscillazione che distoglie l’umanità dai suoi fini veri… di generale disfacimento morale”, si fecero latori della Poesia come seme di ricchezza d’animo.

L’Arte intesa non come semplice forma estetica per nascondere la miseria del cuore, quanto folgore che disperde la tenebra e mostra il vero, il bello e il buono di ogni essere.

Animati dall’Aurea di Calliope, vivevano ogni spettacolo o opera d’arte come missione redentrice che li tributava aedi e sacerdoti della Poesia, pronti a sacrificare se stessi sull’altare della creatività e “…rendere la propria vita migliore dei propri versi…”, finirono coll’essere isolati, ma fecero della loro emarginazione un crogiolo fecondo tutto da scoprire in un contraddittorio di bisogno di stabilità e innovazione.

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