Oltre il genocidio: la storia del popolo armeno. Resegoneonline

Ecco un articolo scritto dagli studenti lecchesi a seguito di una visita alla Casa Armena di Milano

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo articolo inviatoci dagli studenti del liceo scientifico del Collegio Volta

Lunedì 26 Gennaio noi ragazzi di seconda scientifico del Collegio Volta ci siamo recati in visita a Hay Dun, la Casa Armena di Milano, in occasione del Giorno della Memoria, in cui si ricordano tutti i genocidi del XX secolo. Rispetto alla Shoah, il genocidio armeno è sottovalutato, principalmente per ragioni politiche, ed è proprio per questo che noi studenti, su proposta dell’insegnante di Lettere, abbiamo deciso di approfondire l’argomento.

Dopo aver conosciuto la presidentessa dell’associazione, la signora Marina Mavian – che ci ha raccontato la storia avventurosa e quasi incredibile della sua famiglia, miracolosamente scampata ai massacri – abbiamo incontrato il prof. Aldo Ferrari, armenista dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, esperto di Russia e Caucaso e ricercatore presso l’ISPI (Istituto di Politica Internazionale). Il professore ha esordito ricordando che quest’anno, 2015, ricorre il centenario del genocidio armeno e che, poiché il governo della Repubblica Turca continua a negare quello che è successo, parlarne non è solo un dovere storico, ma anche un atto politico.

Di Armeni si parla poco, anche sui libri di scuola, e di loro si sa qualcosa solo del genocidio, mentre niente si conosce della loro millenaria storia. Perciò il docente ha ritenuto opportuno colmare questa lacuna, offrendoci una panoramica sulla storia armena dall’antichità fino all’inizio del ‘900. Ecco il report della sua lezione. L’Armenia storica era un grande territorio, che si estendeva su zone ora appartenenti alla Turchia, alla regione del Caucaso e, in parte, all’Iran.

Collocato tra impero romano e persiano, per lungo tempo il regno di Armenia ha rivestito una importanza notevole, in particolare dal VI – V secolo a.C al IV secolo d.C. Una data fondamentale per la storia e l’identità armena è il 301 d.C., anno in cui il regno fu il primo Paese al mondo a diventare ufficialmente cristiano, addirittura prima del cosiddetto editto di Costantino, del 313. Dopo la conversione, il Cristianesimo diventò il fattore principale della identità culturale armena.

Il prof. Ferrari ha poi precisato alcune questioni legate alla Chiesa armena: essa appartiene, insieme alla Chiesa copta, siriaca ed etiope, alle Chiese orientali o non calcedonite, che cioè non hanno accettato il concilio di Calcedonia (attuale quartiere stambuliota di Kadıköy) del 451. Il nome ufficiale è Chiesa Apostolica Armena, o Gregoriana (da San Gregorio Illuminatore, colui che ha portato la fede cristiana presso gli Armeni); la loro guida è chiamato Catholicos. Oggi in Armenia gli apostolici sono il 92 % circa della popolazione; esistono anche minoranze cattoliche e protestanti, in particolare tra gli Armeni della diaspora. Anche a Milano c’è una chiesa apostolica armena, in via Jommelli, dove si riunisce in preghiera la parte non cattolica della comunità milanese.

Tornando alla storia, il docente ha evidenziato che, molto presto, gli Armeni sono stati minacciati dai Persiani antichi (di religione zoroastriana) che, nel 451, tentarono di convertirli con la violenza. Ci fu una guerra, la guerra dei Vardanank: gli Armeni persero, ma riuscirono a resistere dal punto di vista religioso. Una cronaca armena riporta il famoso discorso tenuto dal comandante Vartan il 2 giugno del 451, nell’imminenza di una battaglia in cui tutti gli Armeni avrebbero trovato la morte: “150 anni fa siamo stati battezzati con l’acqua, oggi ci battezzeremo col sangue e faremo vedere che la nostra fede poggia su una roccia forte; il Cristianesimo non è un abito che si può togliere”.

 

Il professor Ferrari, che ha tenuto la lezione

Successivamente, a partire dal VII secolo, arrivò l’Islam. Gli Armeni furono gli unici a non convertirsi e a restare incrollabilmente cristiani. Alcuni, però, cedettero e scelsero di diventare musulmani, ma in questo modo cessarono ipso facto di essere armeni, perché per loro la conversione fa uscire dalla comunità. Essere armeni, dunque, è una questione sia etnica che, soprattutto, di appartenenza religiosa. Pian piano, col passare del tempo, il regno armeno si è sgretolato sotto il peso delle invasioni finché, attorno al 1050, perse l’indipendenza e cadde sotto la dominazione musulmana. A questo punto, il prof. Ferrari ha affrontato il capitolo dei rapporti tra Cristianesimo e Islam, cruciale dal punto di vista storico e molto attuale, dopo i recenti fatti di Parigi.

Posta la premessa che un conto è una religione, un conto le azioni commesse da chi la professa, quando si parla di Islam ci sono due estremi, entrambi da evitare: una visione “nera” (che dipinge l’Islam come violento, aggressivo, arretrato) e una visione “rosa” (secondo cui l’Islam è tollerante, aperto, colto). Cosa può dire uno storico? Di certo l’Islam prevede che le religioni monoteistiche abbiano diritto all’esistenza: aspetto molto importante, soprattutto se pensiamo che spesso, nella storia, i Cristiani non si sono dimostrati altrettanto tolleranti.

Va però sottolineato che la tolleranza islamica aveva dei limiti: Ebrei e Cristiani potevano sì mantenere la loro fede, ma in una condizione di discriminazione. A livello giuridico, la parola di un musulmano contava due volte rispetto a quella di un ebreo o di un cristiano. Inoltre, non potevano occupare posti di rilievo a livello politico e militare e dovevano essere disarmati. Dovevano anche pagare una tassa molto consistente per la protezione che lo stato concedeva loro. Perciò convertirsi era conveniente da tutti i punti di vista.

Il professore ha poi amaramente constatato che, come la storia ci insegna, alla discriminazione ci si abitua, volenti o nolenti, ma non ci si può abituare alla insicurezza quotidiana. E’ proprio questo fattore, la totale mancanza di sicurezza, che ha spinto molti Armeni ad emigrare, intorno all’XI sec., sia in Oriente (Alessandria, Smirne), sia in Europa. Tra un quinto e un decimo degli Armeni ha abbandonato la sua terra. È minore di quella ebraica, ma si tratta pur sempre una diaspora. Gli Armeni sono quindi diventati commercianti, imprenditori, artigiani, con un livello culturale alto, proprio come gli Ebrei. E come gli Ebrei sono stati per secoli oggetto di invidie, maldicenze, astio, che alla fine sono sfociati in qualcosa di tremendo, in un Male Assoluto.

Ma torniamo alla storia. Nel XIX secolo la maggioranza degli Armeni si trovava nell’impero ottomano, di gran lunga lo stato più forte dell’epoca. Senza dubbio il loro problema principale era l’insicurezza, come mostrato da un episodio avvenuto a Mush nel 1889, in cui un tribunale turco, in nome della condivisione della fede musulmana, ha assolto un bandito curdo autore di vari crimini contro i contadini armeni. Non tutti erano però esposti a soprusi e violenze: chi era emigrato nelle città (Costantinopoli, Aleppo, Smirne, Damasco) costituiva comunità borghesi ricche e colte.

A differenza dei musulmani, che facevano (e fanno ancora oggi) fatica ad accettare elementi di modernità, in ragione del loro “complesso di superiorità religiosa”, a dire il vero corroborato da quasi mille anni (dall’egira al fallito assedio di Vienna del 1683) di vittorie militari, gli Armeni erano felicissimi di prendere parte alla modernità europea, fin dal Settecento. Molti erano medici, avvocati, professionisti, sia nelle grandi città ottomane che in occidente, ad esempio a Venezia.

Nell’Ottocento anche gli Armeni iniziarono a sognare l’indipendenza, sulla scia di quello che stava avvenendo in Italia, nei Balcani, in Grecia. Ma gli Armeni erano al centro dell’impero, a differenza dei greci, e il sultano non poteva permettere che si staccassero: l’impero sarebbe collassato. Dobbiamo comunque ricordare che, in questo periodo, l’Impero ottomano era debolissimo, tanto da essere chiamato “il grande malato d’Europa”. Gli Armeni pertanto iniziarono a organizzarsi e molti di loro confidavano nell’aiuto dell’impero zarista russo, a cui erano legati già da tempo.

I primi gravi episodi ai danni degli Armeni avvennero nel biennio 1894-6: sono i cosiddetti massacri Hamidiani, dal nome del sultano Abdul Hamid II, che causarono 200.000 morti, vale a dire un decimo della popolazione armena. Questi massacri, per quanto terribili ed efferati, non possono essere chiamati “genocidio”, in assenza del decisivo elemento della pianificazione. Il genocidio, il Metz Yeghern – il Grande Male, come lo chiamano gli Armeni – avvenne nel 1915. I Giovani Turchi, al potere dal 1908, avevano notato che Francia e Germania erano Paesi forti e abitati da popolazioni etnicamente omogenee, mentre l’impero era un vero e proprio mosaico di popoli.

La loro idea era omogeneizzare lo stato, un progetto politico inevitabilmente e intrinsecamente criminale. L’occasione fu loro offerta dallo scoppio della prima guerra mondiale, che ha provocato la fine dei grandi imperi: russo, asburgico, ottomano. In questo contesto storico il timore dei Giovani Turchi – va ammesso – era legittimo e plausibile: perdere i territori orientali della Anatolia, che sarebbero passati o alla Russia o a un neonato stato indipendente armeno, e che in effetti oggi, dopo il genocidio, sono territori turchi.

Il professore non ha indugiato sui particolari macabri del genocidio, organizzato dal Triumvirato (Djemal, Talaat, Enver), la cui violenza è indicibile. Si è limitato a sottolineare la data di inizio, il 24 aprile, quando vennero arrestati 3-400 notabili armeni di Costantinopoli (che si chiamerà İstanbul solo dopo la nascita della Repubblica Turca), tra scrittori, giornalisti e politici, poi tutti uccisi. È come se, quel giorno, la letteratura armena fosse improvvisamente finita. Ancora oggi gli Armeni ricordano il genocidio il 24 aprile. A Costantinopoli vivevano 200 mila armeni, su una popolazione di 1,5 milioni, ma fu uccisa solo l’élite. La ragione – agghiacciante – fu che lì si trovavano tutte le ambasciate straniere, per cui non si poteva fare uno sterminio eccessivo; inoltre, visti gli incarichi di rilievo ricoperti dagli Armeni, si sarebbe fermata l’intera economia della città.

Per primi furono eliminati gli uomini adulti arruolati, tutti uccisi in qualche mese, fucilati o fatti morire di fatica. È terribile a dirsi, ma furono quelli a cui andò meglio. In Anatolia e sulla costa l’esercito turco separava gli adulti che, per varie ragioni, non erano stati arruolati, i quali venivano subito fucilati. Donne, vecchi, bambini, invece, vennero deportati, destinazione il deserto siriano, nei pressi di Der-Es-zor. I Turchi dicono che l’hanno fatto perché gli Armeni avrebbero potuto appoggiare i Russi: per loro non fu un genocidio, fu una deportazione.

“Ma è falso!” – ha esclamato il professore – “Che rischio era rappresentato dalla componente femminile e anziana?”. Inoltre, la destinazione era il nulla. Lo scopo era quindi il totale annientamento della popolazione. Infatti a destinazione non è arrivato quasi nessuno. Per quanto concerne lo scarno dato numerico, è impossibile una valutazione certa. Possiamo solo dire che, nel 1914, gli Armeni erano 2 milioni, mentre nel 1924 erano 70.000, tutti a Costantinopoli.

Dei 2 milioni, sottratti quelli che si sono salvati seguendo i Russi, in quella che oggi è l’Armenia, quelli che sono andati in Libano, Siria, Egitto, Iran, i bambini che sono stati salvati dalle associazioni internazionali per orfani e portati soprattutto in Grecia, Francia, USA, tolti i 70.000 di Costantinopoli, restano circa 1,3 milioni. Anche altri si sono salvati, soprattutto bambine, che sono state sottratte alle loro famiglie e turchizzate o curdizzate (i cosiddetti “resti della spada”). Ma quello che conta è che una intera popolazione fu spazzata via. Gli Armeni della regione che dagli stessi Turchi era chiamata Ermenistan sono stati totalmente cancellati.

Oggi gli Armeni in Turchia sono 40.000, tutti a Istanbul. Nella vecchia Armenia non ce n’è neppure uno. Il Genocidio fu criminale, feroce, spietato, ma razionale, a differenza della Shoah, che ha avuto elementi di follia tipicamente nazisti. Il trattato di Sèvres, del 1920, ha riconosciuto i territori alla Repubblica Armena, ma il trattato di Losanna, del 1923, li ha concessi alla Turchia, semplicemente perché non c’erano più Armeni.

Se aggiungiamo anche il massacro dei Greci del Ponto (Mar Nero) e dei Siriaci, deduciamo che la presenza cristiana è stata praticamente spazzata via. I Giovani Turchi, che pure non erano ferventi musulmani, anzi, giudicavano l’Islam una fede retrograda e oscurantista, sapevano bene che era impossibile turchizzare quei popoli, per cui decisero di eliminarli in quanto non assimilabili. I Cristiani, alla nascita della Repubblica Turca, erano ridotti allo 0,5 %, circa come oggi.

Al termine di questa splendida lezione, siamo tornati a casa con una domanda: che cosa spinge l’uomo a commettere azioni così atroci e letteralmente “disumane”? Noi possiamo solo continuare a studiare il passato, a ricordarlo, a sforzarci di non dimenticare, e lavorare quotidianamente per costruire un mondo migliore, in cui a tutti – indipendentemente da etnia, religione, condizione sociale – sia riconosciuta la piena dignità di esseri umani.