«Rerooted», voci della diaspora armena (Il Manifesto 03.05.25)

È dedicata alla documentazione delle storie degli armeni sfollati a causa dei conflitti l’associazione «Rerooted», fondata otto anni fa dalle due studiose armene Anoush Baghdassarian e Ani Schug. Tra le sue finalità vi sono la conservazione della memoria e la giustizia per gli armeni e a tutt’oggi sono ben 250 le testimonianze di siro-armeni raccolte in dieci Paesi di reinsediamento, oltre ai racconti di armeni dell’Argentina, dell’Azerbaigian e, più recentemente, del Nagorno-Karabakh.

In base a un memorandum d’intesa che Rerooted ha firmato nel 2019 con l’IIIM (Meccanismo Internazionale, Imparziale e Indipendente delle Nazioni Unite per la Siria) alcune di esse sono utilizzate per documentare le violazioni dei diritti umani in Siria.

L’archivio fornisce inoltre testimonianze orali e prove al Centro per la Giustizia e la Responsabilità Siriana (SJAC) e ai tribunali europei che hanno cercato di perseguire il regime di Assad.

Un progetto importante di cui parliamo con la cofondatrice Ani Schug, laureata in Politica e Studi Mediorientali al Pomona College. Attualmente Ani lavora presso un’organizzazione no-profit per immigrati e rifugiati a Filadelfia come rappresentante accreditata del Dipartimento di Giustizia.

Era il 2017, quando in un incontro casuale Anoush e Annie, entrambe studentesse senior di college di origine armena, hanno dato vita a questo progetto destinato a cambiare il modo in cui il mondo vede la diaspora armena. «Indossavo una maglietta con su scritto ‘Armenia’ e Annie mi ha subito fermato -racconta Ani- È stato un momento tipico della diaspora armena, quando due anime si incontrano e scoprono un legame profondo».

Una particolare attenzione Rerooted la riserva alla comunità armeno-siriana, una minoranza etnica e religiosa in un Paese a maggioranza musulmana. Da cosa nasce questo interesse della vostra ricerca? «L’idea di questo progetto è nata dall’osservazione che, nonostante le molteplici rotte seguite nel corso del tempo, gli armeni mantengono sempre la capacità di ricostituirsi. In una testimonianza che abbiamo raccolto Sevan Torosian dice che l’Armenia è come tuo padre, che ti ha dato il nome. E la Siria è come tua madre, che si è presa cura di te per anni».

Ispirate dalla resilienza della comunità armeno-siriana, dunque, vi proponete di preservare e rafforzare l’identità armena attraverso le esperienze di rinascita dopo le tragedie del passato.

Ani spiega: «Abbiamo trascorso lunghe giornate a intervistare i rifugiati, a fare ricerche e a raccogliere storie. Il nostro obiettivo iniziale era ottenere tra le 40 e le 80 testimonianze, alla fine ne abbiamo raccolte 81 in cinque settimane e mezzo».

Sono un centinaio circa le persone coinvolte con Rerooted nella raccolta di interviste e nel supporto al progetto. Il team dell’associazione include studenti di giurisprudenza, avvocati armeni e volontari che aiutano con trascrizioni e traduzioni, specialmente per le interviste agli armeni-siriani e ai rifugiati dell’Artsakh.

L’archivio pubblica le testimonianze in formato video, audio e testo, oltre ad aggiungere le fotografie personali e storiche, documenti e altro materiale. «Vogliamo umanizzare i rifugiati come individui, piuttosto che come soggetti anonimi di servizi giornalistici» sottolinea Anoush in un’intervista per il Claremont McKenna College. Gli armeni intervistati spesso contribuiscono con le loro foto personali, la musica composta e altri ricordi.

Tra le testimonianze è particolarmente emozionante quella di Sosi Ohan che riflette sul profondo legame con la propria terra «Amavamo così tanto essere armeni, profondamente legati alla nostra identità di discendenti e di sopravvissuti al genocidio armeno. Quei sopravvissuti erano soliti dire: ‘Se solo avessimo della terra armena da mettere sulle nostre tombe.’ Questa frase riecheggia nella mia mente ancora oggi. Ogni volta che compro della verdura e trovo della terra nel sacchetto, non riesco a buttarla via, ma la restituisco alla terra, onorando il desiderio di quei sopravvissuti e preservando la sacralità del nostro suolo». La cofondatrice dell’Associazione Anoush riprende il concetto di «Ethical loneliness» di Jill Stauffer per descrivere l’esperienza del suo popolo che ha subito l’abbandono da parte dell’umanità «sia per i gravi crimini non fermati in tempo, sia per l’ulteriore ingiustizia di non essere ascoltati e riconosciuti»

Una sensazione di «solitudine etica» profondamente radicata in molte storie di sopravvivenza e perdita, come quella di Dzonivar Yeretsian: «Mio nonno non rideva né sorrideva mai. Diceva: ‘Come potrei ridere? Quando avevo 7 anni, ho perso 7 fratelli e ho visto mia madre abbandonare il mio fratellino nel deserto.’ Raccontare queste storie è importante affinché noi armeni non le dimentichiamo o le perdiamo».

Ani sottolinea l’importanza del riconoscimento delle sofferenze del popolo armeno, anche in assenza di un risarcimento finale o una sentenza esecutiva: «Il riconoscimento dei danni e del dolore che il nostro popolo ha dovuto subire è qualcosa di estremamente importante.» Un passo significativo in questa direzione è stato fatto nel 2019, quando il Congresso degli Stati Uniti ha votato per il riconoscimento del genocidio armeno, seguito nel 2021 dalla dichiarazione ufficiale di riconoscimento da parte del Presidente USA Biden. Riconoscimento al quale la Turchia ha reagito definendo la dichiarazione del presidente USA «infondata dal punto di vista legale e accademico».

Rerooted è impegnato infine sul fronte della lotta per la giustizia internazionale e la conservazione del patrimonio culturale armeno.

«Le nostre testimonianze non sono solo racconti del passato -conclude Ani- sono anche strumenti per la giustizia. Utilizziamo queste storie per fare pressione sui governi e sulle organizzazioni internazionali affinché riconoscano e affrontino le ingiustizie subite dalla diaspora armena».

Di recente l’organizzazione ha presentato un rapporto al Comitato contro la tortura (CAT) e ne sta preparando un secondo da portare alla Corte penale internazionale per discutere le ingiustizie subite dagli armeni durante l’ultimo conflitto in Nagorno-Karabakh.

Otto anni dopo la sua fondazione, dunque, Rerooted si sta espandendo per includere altre comunità della diaspora. «Mentre guardiamo al futuro, vediamo un mondo in cui le voci degli armeni sono ascoltate e rispettate, conclude Ani. Continueremo a lottare per la giustizia, a preservare il nostro patrimonio culturale e a creare un futuro migliore per tutti gli armeni.

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