Siria, sacerdote armeno cattolico: le grandi potenze facciano pressione su Ankara (Vaticanews 14.10.19)

Intervista a monsignor Antranik Ayvazian, sacerdote armeno cattolico che opera tra Hassaké e Qamishli. Mentre prosegue l’operazione militare turca nel nord-est della Siria, chi scappa dalla zona dei combattimenti – spiega – ha bisogno di cibo, vestiti, materassi, coperte, perché è in arrivo la stagione fredda. Ad aggravare la situazione, la fuga di centinaia di jihadisti

Giada Aquilino – Città del Vaticano

L’Unione Europea “condanna l’azione militare della Turchia che mina seriamente la stabilità e la sicurezza di tutta la regione”. Queste le conclusioni del Consiglio degli Affari Esteri a Lussemburgo, in cui si sancisce anche “l’impegno degli Stati a posizioni nazionali forti rispetto alla politica di export delle armi” verso Ankara. Richiesto inoltre un “incontro ministeriale della coalizione internazionale contro Daesh”. Ciò che “possiamo fare è esercitare tutta la pressione possibile per porre fine all’azione” turca, aveva detto a inizio lavori il capo della diplomazia spagnola Josep Borrell, futuro Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue. Circa un embargo dei Paesi membri alle esportazioni di armi verso la Turchia, Borrell aveva spiegato come fosse “difficile raggiungere accordi unanimi”, perché prevalgono intese “Paese per Paese”.

Profughi e assistenza umanitaria

Sul terreno, i curdi siriani hanno annunciato un accordo con il regime di Bashar al-Assad per il dispiegamento dell’esercito nelle zone di combattimento, al fine di impedire l’avanzata turca.

La testimonianza

L’assistenza che è stata fornita finora “è abbastanza”, ma “nei giorni prossimi quando arriveranno altre persone non sappiamo se basterà, sicuramenti ci sarà bisogno di altri aiuti” spiega a Vatican News monsignor Antranik Ayvazian, sacerdote armeno cattolico del nord-est della Siria, responsabile della comunità armena cattolica locale, che opera tra Hassaké e Qamishli.

L’intervista a monsignor Antranik Ayvazian

R. – La gente del nord-est aveva saputo dell’invasione prima che questa iniziasse (mercoledì scorso, ndr) e aveva quindi lasciato le case, prendendo solo il necessario per sopravvivere. L’indomani, il giovedì, purtroppo i nostri figli curdi hanno sparato sul confine e c’è stata una risposta che ha colpito un quartiere cristiano: una famiglia cristiana, siriaca, la mamma e tre figli sono rimasti uccisi. Adesso c’è un’ondata di profughi diretta verso Hassaké e Qamishli.

Come sono accolti i profughi in arrivo in quelle zone?

R. – Sono accolti nelle scuole che appartengono allo Stato e anche noi, come Chiese cattoliche e ortodosse, abbiamo aperto i nostri istituti. Ieri dai nostri depositi, in collaborazione con l’Unicef e altre organizzazioni internazionali, abbiamo mandato biscotti ricchi di vitamine per i bambini e per le donne incinte. Abbiamo mandato tutto ciò che avevamo per dare aiuto a questa gente.

L’Onu ha lanciato un allarme per i prossimi giorni, per le persone che avranno bisogno di assistenza umanitaria…

R. – L’Onu era già presente lì, sul posto. Finora si era parlato di almeno 130 mila persone. Quello che hanno fatto è abbastanza per ora, ma nei giorni prossimi quando arriveranno altre persone non sappiamo se basterà, sicuramenti ci sarà bisogno di altri aiuti. Al momento, abbiamo accolto tutti nelle scuole, nelle chiese, attraverso un coordinamento tra le Nazioni Unite e gli organismi locali.

Cosa raccontano queste persone che arrivano?

R. – Raccontano la paura. C’è un clima di paura terribile anche nelle città. Ad esempio, a Qamishli, hanno chiesto se casomai si dovesse lasciare la città ed andare via perché siamo a poche centinaia di metri dal confine tra Siria e Turchia! Noi abbiamo incoraggiato la gente, abbiamo detto di non aver paura. Da ieri l’esercito siriano ha oltrepassato il fiume Eufrate: questa mattina era solo a 23 km dal confine.

Ci sono notizie di fuga di miliziani dell’Is, almeno 800. Sono notizie confermate?

R. – Gli americani hanno lasciato sette basi nella regione. In una di queste, c’era una prigione dove avevano messo centinaia per non dire migliaia di affiliati all’Is: circa 870 sono fuggiti. Poi, al confine con l’Iraq, dove i profughi che oltrepassano la frontiera sono almeno in 70 mila, anche lì la gente fugge, soprattutto donne jihadiste.

Si assiste ad un mosaico di forze diverse in campo…

R. – Ci sono anche francesi, britannici, polacchi, c’è di tutto! Questo Paese è stato configurato come senza sovranità.

Il Papa all’Angelus ha pregato per le popolazioni locali, tra cui molte famiglie cristiane. Ha invocato un dialogo sincero, onesto e trasparente per la Siria. È possibile?

R.- Sì, quando non c’è interferenza straniera. Ma se le grandi potenze prendessero una decisone molto diretta verso il potere ad Ankara affinché lasciasse il Paese, io dico che non ci sarebbero più problemi nella regione.

Proprio di fronte a questo flusso di persone che arriva verso Hassaké e Qamishli, di fronte alle vittime, qual è la cosa più urgente che serve alla popolazione locale?

R. – Per ora un alloggio e il necessario per vivere. Poi vedremo. Adesso cibo, vestiti, materassi, coperte, perché arriva l’inverno. Questo è ciò che è necessario e speriamo che tutto questo non duri a lungo.

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