Te Deum laudamus per il mio popolo mite e fantasticante (Tempi, 03.01.2016)

Antonia Arslan immagina la notte dell’inverno del 1915 in cui l’illusoria quotidianità degli armeni di Turchia maturò all’improvviso nella cosciente rassegnazione dei martiri. Un secolo fa nella cattedrale di Costantinopoli

Scenario: una notte dell’inverno 1915, a Costantinopoli, la capitale dell’impero ottomano, ma scossa dalla pesante sconfitta che l’onnipotente ministro della Guerra, Enver Pasha, aveva subìto intorno a Natale a Sarikamish, in mezzo alle nevi del Caucaso.

Le truppe russe avevano avuto facilmente ragione della terza armata turca, male armata e male equipaggiata, e dei visionari e fragili sogni di vittoria di quel presuntuoso incapace del ministro, ansioso di emulare le gesta di Alessandro Magno e di Cesare, di cui teneva i busti nel suo studio. Confidando nel suo genio militare, si era gettato a corpo morto nella folle impresa di conquistare il Caucaso d’inverno, sfidando l’esercito russo, ben più assuefatto a quei luoghi e a quei climi. Ormai accerchiato dai cavalieri cosacchi, Enver si era visto perduto, ma era stato salvato all’ultimo istante da un manipolo di soldati armeni che lo avevano circondato e tratto in salvo.

Di ritorno a Costantinopoli, il patriarca della Chiesa armena fece celebrare in suo onore un solenne Te Deum nella cattedrale. Non solo Enver partecipò al rito, ma elogiò pubblicamente il valore dei soldati che lo avevano salvato: eppure in quegli stessi giorni, con gli altri due triumviri che governavano il paese, Talaat Pasha e Djemal Pasha, stava progettando la “soluzione finale” per tutto il popolo armeno, che sarebbe iniziata nel successivo gennaio 1915, proprio con il disarmo, la destinazione a campi di lavoro forzato e il successivo annientamento dei soldati e ufficiali di etnia armena arruolati nell’esercito ottomano.

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