Tra negazionismo e libertà d’espressione. I giudici di Straburgo e il genocidio armeno (Eastjournal 30.10.15)

di Davide Denti e Simone Zoppellaro

Per la Corte europea dei diritti dell’uomo negare pubblicamente l’esistenza del genocidio armeno non costituisce reato. Cancellata la condanna inflitta in Svizzera nel 2007 al politico turco ultranazionalista Doğu Perinçek, che aveva definito gli eventi del 1915 “una menzogna internazionale”. Infatti – secondo quanto deliberato a Strasburgo il 15 ottobre – ciò costituirebbe un’indebita “interferenza con l’esercizio del suo diritto alla libertà di espressione”.

Il caso Perinçek contro Svizzera

Perinçek, era stato incriminato in seguito alla partecipazione a una serie di conferenze in Svizzera nel 2005, durante le quali aveva pubblicamente negato che l’impero ottomano avesse perpetrato il crimine di genocidio contro gli armeni nel 1915. Durante un discorso pubblico nella città di Losanna, Perinçek aveva definito il genocidio una “menzogna internazionale”, accusando gli armeni di cospirare contro lo stato turco.

In risposta a una denuncia penale presentata dall’Associazione Svizzera-Armenia, il politico turco era stato processato e multato dalla Corte di Losanna nel marzo 2007. Il tribunale lo aveva condannato ad una pena di 90 giorni di carcere con la condizionale, a una multa e a un risarcimento simbolico all’Associazione Svizzera-Armenia per danni morali. Condanne confermate in appello e dal tribunale federale di cassazione, con riferimento all’articolo 261 bis del Codice penale svizzero, che punisce la discriminazione razziale, e all’articolo 264, dal titolo “genocidio”.

Negazionismo o libertà d’espressione?

Ma la condanna svizzera è stata ribaltata a Strasburgo. Le sentenze dei tribunali svizzeri, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, rappresentano una violazione dell’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che garantisce il diritto alla libertà di espressione e di informazione. Questo articolo tutela la possibilità di esprimere liberamente idee offensive o sgradite alla maggior parte del pubblico, come nel caso di Perinçek. A nulla è servito l’intervento di Amal Clooney, moglie della star hollywoodiana, che a partire da gennaio aveva rappresentato gli interessi dell’Armenia, costituitasi parte civile nel processo.

I giudici della corte del Consiglio d’Europa, pur dichiarandosi consapevoli della grande importanza attribuita dalla comunità armena alla questione del genocidio, hanno ritenuto che la loro dignità fosse già protetta dall’articolo 8 della Convenzione (diritto al rispetto della vita privata), da bilanciare tuttavia con il diritto alla libertà d’espressione protetto dall’articolo 10. E in questo caso, in base alle specifiche circostanze e al principio di proporzionalità, hanno ritenuto che in una società democratica non fosse necessario sottoporre Perinçek ad un processo penale. Come elementi attenuanti, i giudici hanno preso in considerazione che le dichiarazioni di Perinçek concernevano un fatto di pubblico interesse e non si configuravano come un discorso d’odio o d’intolleranza; che il contesto in cui erano state pronunciate era quello di un dibattito acceso in Svizzera sui fatti del 1915; e che le corti svizzere – senza esservi costretta da obbligazioni internazionali – avevano deciso di censurare Perinçek solo per aver espresso un’opinione diversa da quelle prevalenti, con un’interferenza tanto grave da prendere la forma della condanna penale…. Continua