Trent’anni fa i massacri degli armeni a Sumgait. Ma chi se ne ricorda? (Impaginato 01.03.21)

Era il 1988, e uno di quei massacri più cruenti e abominevoli della post modernità, quella per intenderci che si sta snodando all’indomani del secolo breve, trovò attuazione anche grazie ad un clima torbido a quelle latitudini.

In risposta alle manifestazioni pacifiche della popolazione armena del Nagorno-Karabakh, che chiedeva l’indipendenza dall’Azerbaijan, le autorità azere reagirono organizzando, nelle città densamente abitate dagli armeni, violenze gratuite contro l’inerme popolazione armena.

Non solo violenza da condannare in quanto tale, ma scarsa attenzione della politica nonostante l’età tecnologica sia decisamente differente rispetto a fatti di sangue che si sono compiuti un secolo fa, come le foibe su cui solo dopo moltissimi anni di silenzio si è fatta luce.

Fu quella la miccia che contribuì a tanto sangue versato per strade e case, terreni e confini, anime di uomini e donne innocenti che chiedevano solo di inseguire il proprio sogno di libertà. Non c’erano telecamere a immortalare quelle armi che menavano fendenti, solo occhi e braccia terrorizzate per gli eventi che ne scaturirono.

Scenario del massacro durato 48 ore fu la cittadina di Sumgait con centinaia di cittadini e cittadine massacrate con il sostegno esplicito e la connivenza delle autorità azere, da bande anti-armene che trucidarono brutalmente donne, uomini, bambini e anziani nelle loro case.

Anche se ufficialmente nessuno parla di pulizia etnica, non è necessario attendere che la politica inizia a farlo. Quando a morire è un essere umano con la motivazione della sua appartenenza etnica, logica vuole che le parole lascino il posto allo sdegno così come è accaduto con gli armeni.

In quell’anno il Premio Nobel Andrei Sakharov, attivista per i diritti umani ed eminente scienziato, in una lettera indirizzata al leader sovietico Mikhail Gorbaciov sui pogrom di Sumgait scriveva: “Se prima degli eventi di Sumgait qualcuno poteva avere ancora dei dubbi, dopo questa tragedia non resta nessuna possibilità morale di insistere sul mantenimento dell’appartenenza territoriale del Nagorno-Karabakh all’Azerbaijan. Le liste delle vittime di Sumgait non sono state pubblicate, cosa che mette in dubbio l’esattezza dei dati ufficiali relativi al numero delle vittime. Non ci sono informazioni sulle indagini. Un crimine del genere non può non avere degli organizzatori. Chi sono questi?”.

Giorni dopo, intervistato dal New York Times, disse senza timore di essere smentito che i massacri degli armeni rappresentavano una vera minaccia per lo sterminio della minoranza armena dell’Azerbaijan e della popolazione del Nagorno-Karabakh. Inutile chiedersi se fu aperta un’inchiesta ufficiale e come fu condotta. Restano di quelle due giornate di morte le testimonianze dirette di giovani studenti che assieme alle fasce più giovani della popolazione non vennero risparmiati: “puntati” senza un perché contro gli armeni, grazie ad un odio manipolabile proprio per via della giovane età.

Da quel giorno Sumgait divenne simbolo della crociata moderna contro gli armeni, accanto ad una stagione di distruzione dolosa del patrimonio storico e culturale del popolo armeno presente in Azerbaijan, come fatto dai Turchi a Cipro in occasione dell’invasione del 1974 con cimiteri distrutti, chiese e monasteri trasformati in stalle e bordelli da chi oggi rivendica per giunta una legittimazione che per fortuna l’Onu ancora non concede.

E la politica che dice? Il Parlamento Europeo reagì al massacro di Sumgait con l’adozione, il 7 luglio 1988, di una risoluzione che definisce i massacri contro gli armeni come una minaccia per la sicurezza degli armeni residenti in Azerbaijan.

Nel luglio del 1988 il Senato degli Stati Uniti approvò all’unanimità l’emendamento alla legge sulle compensazioni finanziarie per l’azione estera per l’anno1989 che riguardava il Nagorno-Karabakh, in cui si chiedeva alle autorità sovietiche di rispettare le legittime aspirazioni del popolo armeno. A marzo il Washington Post scrisse che erano stati commessi crimini terrificanti contro gli armeni nella città azera di Sumgait.

Il 27 settembre 1990, 130 esponenti del mondo accademico e difensori dei diritti umani, provenienti da Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Canada e da altri paesi, pubblicarono sul New York Times una lettera aperta per denunciare i massacri. Ma le autorità dell’Azerbaijan e dell’Unione Sovietica fecero di tutto per nascondere la verità su Sumgait.

E oggi vista l’assenza di una pronuncia ufficiale, ecco che la comunità internazionale, tramite i copresidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE, non sembra particolarmente sensibile a quei fatti storici.

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