Turchia, il caso Yücel non è un problema solo tedesco (Cds 01.07.21)

Con un po’ di ironia, che non manca mai negli uomini intelligenti, Deniz Yücel ha detto di non aver scelto la «popolarità» che ha conquistato. La vera scelta — una scelta offensiva per tutti gli amanti della libertà — è stata compiuta dalla Turchia perseguitando un giornalista che non ha mai fatto altro che il proprio lavoro. Rifugiarsi in Germania e lasciare il suo Paese, dove è stato rinchiuso per oltre un anno nel carcere di massima di sicurezza di Silivri, non è servito a proteggersi dalla vendetta di Recep Tayyip Erdogan che lo aveva definito «una spia», utilizzando accuse fabbricate a tavolino come avviene spesso nei regimi autoritari.

La Turchia non molla la presa, insomma, e ora vuole condannare il giornalista per aver parlato di «genocidio armeno» in un articolo pubblicato nel 2016 su Die Welt. Il processo non è iniziato ieri a Istanbul solo a causa dell’indisponibilità di un giudice. Come se non bastasse, Yücel deve rispondere anche di un titolo della Welt Am Sonntag in cui Erdogan veniva definito «il golpista». Sembra uno scherzo, ma si tratta della realtà. A proposito di titoli, all’apparato repressivo turco è fortunatamente sfuggito il libro del reporter pubblicato in Italia da Rosemberg & Sellier, Ogni luogo è Taksim. Da Gezi Park al controgolpe di Erdogan.

È chiaro che la Germania (dove il giornalista si è ormai stabilito definitivamente), è chiamata a fare sentire la sua voce. Lo ha già fatto in passato, peraltro, grazie soprattutto all’impulso di Cem Özdemir, uno dei leader storici del Verdi, che è intenzionato a combattere anche questa nuova battaglia. Come la liberale Gyde Jensen, presidente della commissione diritti umani del Bundestag. Ma il caso Yücel non è un problema solo tedesco. Deve essere un problema dell’intera Europa, troppo cauta nel condizionare i rapporti con Ankara al rispetto di valori che non possono essere calpestati impunemente.

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