Tv e giornali e politici e Vaticano e umanitaristi: gli Armeni sono decapitati dai vostri nuovi “amici” (NL Giulio Meotti 06.04.22)

L’Italia a Baku per il gas. Al governo nessuno fiata sulla “Bucha armena”, civili e soldati Armeni fatti a pezzi dai soldati Azeri, tutto ripreso in video che nessuno ha avuto il coraggio di mostrare

“Sono lieto di annunciare che oggi gettiamo le basi per un ulteriore rafforzamento della cooperazione fra Italia e Azerbaijan, che auspico conduca a un ulteriore consolidamento del nostro partenariato economico e commerciale”. Lo ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio in visita a Baku (l’Azerbaijan ha anche annunciato l’apertura di “centri culturali azeri” in Italia). 10 miliardi: tanto vale l’interscambio fra Azerbaijan e Italia. Di Maio ha anche siglato la nascita di una università italo-azera a Baku. Poi il nostro capo della diplomazia è intervenuto su Bucha: “Crimini di guerra, la Corte penale internazionale li punirà”. In attesa che si faccia luce su quanto successo in questa piccola città dell’Ucraina, l’indignazione è d’obbligo. Ma gli Armeni decapitati non hanno meritato un secondo e una riga sulle nostre tv e giornali per aver subito lo stesso. Paolo Mieli sul Corriere della Sera di oggi critica il presidente ucraino Zelensky per aver evocato un “genocidio”. Non so se sia un termine adatto, ma so che c’è un popolo, quello Armeno, che un genocidio lo ha davvero subito, il primo del Novecento, e che continua a subire nell’indifferenza europea. Ma se ad esempio il presidente francese Emmanuel Macron il 9 marzo annunciava un “sostegno incrollabile all’Armenia”, nessuna alta carica italiana ha mai fatto menzione del piccolo stato cristiano nel Caucaso.

Anche senza evocare la sproporzione di perdite militari (1.300 soldati ucraini caduti su 40 milioni di abitanti contro 3.800 soldati armeni caduti su 2.9 milioni di abitanti), restiamo all’orrore per i civili. Mentre l’Italia negoziava a Baku, l’Armenia diffondeva un rapporto: “Ci sono ancora 187 soldati armeni e 21 civili armeni dispersi, mentre l’Azerbaigian tiene ancora 38 armeni prigionieri di guerra, tre dei quali civili”. Sappiamo anche che i soldati azeri hanno ucciso 19 soldati e civili armeni dopo la fine delle ostilità, quando erano loro prigionieri, protetti dalla Convenzione di Ginevra. Abbiamo anche i nomi dei morti ammazzati.

Eppure, tv e giornali potevano vedere tutti i video degli anziani armeni decapitati dalle forze azere nel Nagorno-Karabakh. Decapitati da uomini in uniforme delle forze azere, non bande o miliziani no, ma dall’esercito regolare. “È così che ci vendichiamo, tagliando le teste”, dice un soldato azero fuori campo. Genadi Petrosyan, 69 anni, non voleva lasciare il villaggio mentre le forze azere si avvicinavano. Come Yuri Asryan, 82enne che si era rifiutato di lasciare il villaggio. Nessuno conosce il nome di Victoria Gevorkyan, una bambina armena di 9 anni prima vittima della seconda guerra lanciata dall’Azerbaijan.

Abbiamo orrore dei mercenari usati da Vladimir Putin nella guerra in Ucraina, ma non dei mercenari di Recep Tayip Erdogan nella stessa guerra. Gli stessi mercenari che turchi e azeri avevano chiamato per uccidere gli armeni nel Karabakh, come ha appena raccontato Armenpress: “La Turchia ha inviato 2.000 militanti siriani rimasti nel Nagorno Karabakh dopo aver combattuto per l’Azerbaigian contro le forze armene in Ucraina per combattere contro la Russia”.

In una pagina sono raccolti video atroci realizzati dagli stessi soldati azeri contro gli armeni, civili e militari: un giovane armeno decapitato e i soldati azeri che ridono, esultano e celebrano mentre uno di loro usa un coltellaccio da cucina per tagliargli la gola; un anziano armeno che implora per la vita, mentre un soldato azero lo tiene e gli taglia la gola; soldati azeri che trascinano civili armeni fuori dalle case sul marciapiede e poi li uccidono; soldati azeri che mutilano i soldati armeni, tagliando loro parti del corpo; soldati azeri che bruciano il corpo di un armeno. E così via, di orrore in orrore.

Impossibile dimenticare che quando nel 1988 in Armenia un terremoto fece 25.000 morti, in Azerbaijan ci furono feste e danze di giubilo per ringraziare Allah di aver colpito i vicini “infedeli”.

Una delle vittime armene dei soldati azeri si chiamava Alvard Tovmasyan, disabile che soffriva di malattie mentali. I parenti hanno identificato il suo corpo nel cortile della sua casa a Karin Tak, un villaggio dell’Artsakh. Suo fratello Samvel l’ha riconosciuta dai vestiti. Piedi, mani e orecchie di Tomasyan erano stati tagliati.

Il presidente azero decora Ramil Safarov, l’ufficiale azero che a Budapest a un corso di inglese della Nato ha decapitato Gurgen Margaryan, un altro partecipante, mentre dormiva. Il movente? “Margaryan era armeno”.

Le Monde rivela di un’altra dozzina di video che mostrano scene che vanno da calci in faccia a civili armeni coscienti ad accoltellamenti in faccia a cadaveri con l’uniforme armena. La BBC ha il video di altri due civili armeni uccisi a sangue freddo. Come Valera Khalapyan e sua moglie Razmela, assassinati nella loro casa dai soldati azeri, che poi hanno tagliato loro le orecchie. Uccisi come “cani” (il dittatore azero Alyev così chiama gli armeni) dai soldati azeri non in tempo di guerra, ma di “pace”.

Eppure, il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, Cardinale Gianfranco Ravasi, ha stretto un accordo con la Fondazione Aliev. Il Segretario di Stato della Santa Sede, Cardinale Pietro Parolin, aveva già consegnato al primo Vicepresidente della Repubblica dell’Azerbaigian, Mehriban Alieva, che è anche la moglie del dittatore azero, il nastro con la Gran Croce dell’Ordine di Pio IX, la più alta onorificenza ecclesiastica a un non cattolico. Nel 2013, Ravasi era andato a Baku per organizzare una mostra di arte aver nei Musei Vaticani.

Ieri il ministro degli Esteri dell’Ucraina ha chiesto all’Unesco di espellere la Russia perché in questa guerra una ventina di chiese sono state colpite e danneggiate. Richiesta che è molto facile che venga accolta. Peccato, ancora una volta, per il doppio standard. “Conoscete la chiesa di Santa Maria a Jibrail? È improbabile che l’abbiate visitata in passato, ma non potrete più farlo: è stata completamente rasa al suolo dagli azeri”, scrive su La Croix Nathalie Loiseau, ex ministro degli Affari europei francese. “Siete mai stati a Shushi? Se i vostri passi vi portano lì, non troverete più la Chiesa Verde, profanata e distrutta, come la Cattedrale di San Salvatore che è stata bombardata. A Mataghis, la chiesa di San Yeghishe è stata vandalizzata. Ogni giorno, lapidi, statue e cimiteri armeni vengono demoliti”. Loiseau ha lanciato un appello: “Faccio appello ai presidenti del ‘gruppo di Minsk’, Francia, Stati Uniti e Russia, affinché intervengano con l’Azerbaigian. Faccio appello all’Unione europea affinché ottenga da Baku chiare assicurazioni che il patrimonio culturale armeno sarà preservato. Faccio appello all’Unesco…Non lasciamo che le chiese armene siano distrutte”. Se non fosse che l’Azerbaigian ha ipotecato l’Unesco. Nel 2004 alla vicepresidente dell’Azerbaigian Mehriban Aliyeva (e moglie del presidente Ilham Aliyev) è stato dato il titolo di Ambasciatore di buona volontà dell’Unesco, una posizione che organizzazioni come il Centro europeo per la libertà di stampa e dei media hanno chiesto l’Unesco di ritirare. L’Unesco, a corto di denaro, quando ha perso il 22 per cento del suo budget l’Azerbaigian gli ha dato un contributo di 5 milioni di dollari. Nessun paese europeo, mentre gli Azeri distruggevano le chiese armene, si sono mai sognati di chiedere di cacciarli dall’Unesco.

E la pulizia etnica degli Armeni, la distruzione delle loro chiese e cimiteri quindi della loro memoria, le stragi di civili inermi, hanno avuto il risultato sperato: l’Armenia potrebbe essere sul punto di cedere quel che resta del Karabakh, incapace di difenderlo dall’Azerbaijan.

Non una sola trasmissione televisiva in 44 giorni di guerra contro gli armeni. Non un solo fotogramma apparso sui grandi quotidiani. Non un solo appello della società civile, degli scrittori, dei politici, degli intellettuali, di tutti quelli che si abbeverano ai report di Amnesty International. Eppure ce ne erano. “Ci sono voluti quattro giorni per bandire la Russia dalle principali competizioni sportive, mentre i leader occidentali hanno assistito con gioia al campionato europeo a Baku, quando centinaia di prigionieri di guerra armeni erano ancora detenuti illegalmente e spesso torturati”, scrive questa settimana l’Armenian Spectator. Un doppio standard che si spiega forse con il fatto che “l’Armenia è un paese di 3 milioni di abitanti e ha un Pil simile al Madagascar, di contro l’Azerbaijan è uno dei principali fornitori di idrocarburi in Europa”.

Da qui la totale impunità denunciata da Simon Maghakyan su Time Magazine sempre di questa settimana: “Aliyev ha completato la cancellazione di 28.000 monumenti armeni medievali a Nakhichevan, che avrebbero dovuto essere protetti dall’Unesco ma che secondo Aliyev non sono mai esistiti. Ha promosso un ufficiale azero che aveva ucciso il suo compagno di classe armeno addormentato durante un addestramento della Nato in Ungheria. Akram Aylisli, un tempo l’autore più venerato dell’Azerbaigian, ora vive agli arresti domiciliari per aver scritto un romanzo che commemora l’antichità armena del suo luogo di nascita. I cimiteri armeni recentemente occupati dall’Azerbaigian sono demoliti. Lo scorso marzo, quando il giornalista italiano Claudio Locatelli ha intervistato un soldato azero volontario in Ucraina, quello che Aliyev chiama ‘il modello azero di multiculturalismo’ è stato in piena mostra. ‘Siamo tutti fratelli: musulmani, ebrei, cristiani’, si vantava il soldato. Ma quando gli è stato chiesto degli armeni, ha detto ‘sono peggio degli animali’. Ma tale politica richiede una tacita approvazione internazionale sotto forma di un silenzio quasi universale”.

E quel silenzio glielo abbiamo garantito a dovere. Io invece non sono disposto, in nome della guerra politica, morale ed economica alla Russia, a lasciare che il nostro silenzio, le nostre complicità e le nostre collusioni morali ed economiche ci facciano accettare la guerra di annientamento e di logoramento di 100 milioni di turchi e azeri con cui stanno cancellando uno dei due piccoli paesi che mi stanno a cuore (oltre a Israele): la piccola Armenia. Un paese, come l’Ucraina, che è stato terra di confine tra civiltà diverse, fra alterne vicende e aspri conflitti e che dovettero spesso protettorati, invasioni e devastazioni.

I “massacri hamidiani” di Armeni

I “massacri hamidiani” contro gli armeni iniziarono alla fine del 1894 e si protrassero fino all’estate del 1896. Il sultano Abdul Hamid decise di dare al problema armeno una “soluzione finale”. Un testimone oculare, l’ambasciatore Alberto Pansa, ci ha lasciato una descrizione terrificante: “Gli armeni non si difendono: per le strade quando si trovano davanti al turco si buttano in ginocchio: queste bande armate di un grosso bastone con una punta ferrata con la quale colpiscono alla testa l’armeno che cade insanguinato, passano delle carrette che raccolgono cadaveri, li buttano accatastati su tali carri, il sangue cola ed i cani seguono questo lugubre carro leccando il sangue. Arrivano al Bosforo e ve li buttano. Questo barbaro massacro continua per tre giorni per ordine del sultano che vuol sterminare gli armeni”. Solo in quell’occasione furono trucidati a Costantinopoli migliaia di armeni. Grande fu il lavoro della Conferenza degli ambasciatori per cercare, inutilmente, di far cessare i massacri. L’Italia vi era rappresentata da Pansa, piemontese. Ospitò nell’ambasciata e nei consolati moltissimi armeni, si aggirò per le strade allo scopo di salvarne altri, tanto che per il suo coraggio venne decorato al valor civile. Saverio Fera, presidente del Comitato “Pro Armenia”, disse che occorreva cacciare il “turco dall’Europa” e sostituire l’impero ottomano con una confederazione di popoli liberi. Al tempo l’Italia aveva ancora coraggio. Il presidente del Consiglio Crispi spedì ai Dardanelli due corazzate, la “Umberto I” e la “Andrea Doria”. Crispi ordinò di mettersi a disposizione del comandante inglese, che venne informato che l’Italia aveva pronto un corpo di 50.000 soldati per l’attacco ai Turchi. Ma gli Armeni alla fine vennero abbandonati a se stessi.

Oggi non saremmo neanche più in grado di pronunciare le parole di Francesco Crispi alla notizia dei primi massacri di armeni: “L’Italia ha dei doveri speciali verso gli armeni, la cui cultura intellettuale e religiosa ha in Italia radici più estese e più profonde che in qualsiasi altro Paese d’Europa”.

Oggi la nostra pusillanimità non è neanche più celata.

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