Un genocidio non capita per caso. La tragica lezione dello sterminio degli armeni (Tempi.it 23.04.16)

Una riflessione attuale sul Genocidio armeno ancora drammaticamente manca a molta cultura occidentale. E ogni giorno che passa, almeno ad avviso di chi scrive, se ne avverte sempre più la necessità e l’impellenza. Non che manchino i libri. Al riguardo, infatti, è doveroso almeno ricordare l’importante libro di Marcello Flores. L’editore Guerini, poi, eroico e benemerito, ha voluto pubblicare uno dei testi più esaustivi e autorevoli in materia, ossia la Storia del Genocidio Armeno del grande Vahakn Dadrian. Ancor più importante, vi è la commovente e puntuale opera di informazione e sensibilizzazione portata avanti con fiera determinazione dagli amici armeni italiani. Infine, vi sono alcuni grandi interpreti, capaci di offrire spiegazioni, di disserrare la maglie della storia, di indagare recessi dell’orrore poco frequentati, di fare difficili, eppur inevitabili, confronti e rimandi. Alcuni tra costoro hanno il dono raro della comunicazione e dell’empatia. Tributo qui il mio affetto e la mia gratitudine ad Antonia Arslan.

È stato – e tuttora è difficile – far capire che la Shoah non fu un “fungo”, velenosissimo e letale, apparso una mattina nell’ombratile bosco della Storia. Per arrivare alla Shoah è stato necessario un percorso per certi versi perdurato numerosi secoli. Ed è esattamente questo “dettaglio” che spesso viene facilmente occultato o trascurato; ed è questa fondamentale comprensione che sovente sfugge. Parimenti vi è il rischio che, pur più edotti rispetto al recente passato circa il Genocidio armeno, molti pensino essersi trattato, anche in questo caso, del solito micidiale “fungo”. Il Genocidio armeno ha anch’esso richiesto una storia lunga, secolare, spesso misconosciuta – o comunque generalmente poco studiata – dal mondo occidentale.

La questione armena, che attraversò abbondantemente il secolo XIX, è legata – e parallela – alla questione d’Oriente, che iniziò a cristallizzarsi attraverso le tendenze opposte di imperialismo, nazionalismo, interventismo delle grandi potenze. Entrambe le questioni, come ricorda Dadrian, hanno prodotto due drammatiche conflagrazioni, dovute alla scontro tra sistemi incompatibili, in cui un elemento fondamentale fu giocato dall’islam. Il Sultano ottomano, infatti, fino al collasso del suo Impero, fu il legittimo Califfo dei musulmani. Tra i musulmani che ritenevano all’epoca non legittimo il Califfato ottomano, vi erano i cosiddetti “movimenti riformatori”, ossia, ad esempio, i Wahabiti.

La normativa sui dhimmi
Se nel 1848 il Sultano Abdul Mejid riconobbe uno status ufficiale ai sudditi ebrei e cristiani, tuttavia le tensioni religiose ingenerate da questo provvedimento iniziarono a divenire mortifere “in grande stile” in particolare nel 1860, quando, da parte drusa, si iniziarono a massacrare i cristiani maroniti in Siria e Libano. I morti furono circa 40.000 tra i maroniti cattolici, con la distruzione di circa 500 chiese e 40 monasteri: un’esplosione di violenza legata alla crescita di animosità religiosa ed etnica accumulatasi tra drusi, musulmani e cristiani. Motivo dell’esasperazione musulmana incontrollata fu peraltro la precedente promulgazione della Carta delle Riforme del 1856 che prevedeva l’uguaglianza tra i musulmani e i sudditi non musulmani dell’Impero ottomano, all’epoca dominante quasi tutto il mondo arabo. Chiaramente vi furono misure repressive da parte dell’Impero ottomano nei confronti di chi perpetrò il massacro, come pure pressioni da parte delle potenze occidentali. Tuttavia ciò accadde e fu destinato a ripetersi.

Le pressioni europee in favore delle riforme giuridiche, come pure le resistenze turche in particolare – e islamiche in generale – a ogni forma di cambiamento, aiutano a inquadrare la problematica in relazione agli armeni. Va premesso che gli armeni, in seno all’Impero ottomano, costituivano la più nutrita e diffusa minoranza etnico-linguistico-religiosa, seguiti dai cristiani greci e dagli ebrei. Prendendo sul serio le riforme formalmente introdotte dal Sultano circa lo status dei non-musulmani (a differenza degli ebrei che, in genere, furono molto più diffidenti e guardinghi), gli armeni ne chiesero un’attuazione reale ed efficace, considerando che si trattava di una questione di diritto (e di diritti). I turchi, da parte loro, si rimettevano alle esigenze religiose islamiche, che, pur formalmente tollerando in territorio islamico (o islamizzato) il non-musulmano, prevedevano inevitabili e necessarie relazioni di dominazione e di sottomissione tra islamici e non-musulmani.

Nel 1865 il Sultano Abdul Aziz allentò ulteriormente, non senza critiche da parte religiosa, la rigida normativa sui dhimmi (fondamentalmente ebrei e cristiani) prevista dal Patto di ‘Umàr. Tuttavia l’infamia e la crudeltà della dhimmitudine poco dopo mieterono ancora decine di migliaia di vittime innocenti attraverso l’ideologia panislamica avallata dal sultano Abdul Hamid II. Nel 1894-1896 furono infatti perseguitati e massacrati un numero di armeni che oscilla tra le 100.000 e le 300.000 persone, con un totale complessivo di bambini orfani stimato attorno ai 50.000, molti dei quali convertiti a forza all’islam. In quel frangente, inoltre, vennero uccisi circa 25.000 cristiani assiri.

I complici del massacro
Nel 1909, poi, in Cilicia vennero sterminate altre 30.000 persone. Nel corso del disastro finale, ossia il Genocidio armeno messo in atto dai Giovani Turchi e dagli assassini loro sodali nel 1915-’16, questa storia pregressa con le sue drammatiche problematiche religiose si ripropose, declinandosi, con uno iato rispetto al passato, come questione nazionalistica.

Un genocidio non lo si improvvisa, ma necessita “pratica”; inoltre servono complici, anch’essi abituati a essere aguzzini feroci. E i complici vi furono: i tedeschi. I tedeschi – e la cultura tedesca – sono coinvolti ampiamente in tutti e tre i primi genocidi del Novecento: nel primo caso, quello del popolo Herero in Africa (1904), e nel terzo – la Shoah – furono i principali ideatori, organizzatori e responsabili. Nel caso degli armeni, cooperarono con i turchi, rendendolo il più possibile “efficace” e “scientifico”.

Va premesso che, quando Gran Bretagna e Francia amministrarono i paesi islamici loro sottomessi, entrambe cercarono per lo più di strutturare forme di governo ispirate a quelle europee. Vennero così aboliti e smantellati gli istituti sociali, giuridici (corti coraniche), educativi (madrasse) e di mutuo soccorso della società islamica, vigenti colà da secoli. Questo provocò ulteriore risentimento da parte della popolazione musulmana locale, che nel frattempo, con orrore, vedeva per la prima volta iniziare a emanciparsi, e talora a prosperare, coloro da sempre considerati subalterni: ebrei e cristiani armeni, copti e assiri.

La Germania guglielmina, che pure governava alcune popolazioni islamiche – Togo, Camerun e Africa Orientale –, adattò un sistema di dominio diverso, ossia mantenne funzionanti le strutture di governo previste dall’islam. Il governo tedesco di quei territori si esercitava, cioè, attraverso il tradizionale governo islamico degli stessi. Tale attitudine tedesca (“Islampolitik”), ovviamente, era funzionale a destabilizzare gli imperi coloniali britannico e francese, in quanto mostrava ai suoi sudditi musulmani un apprezzamento dell’islam e maggiore considerazione, acuendo la rabbia popolare contro Francia, Gran Bretagna e dhimmi.

Tali dinamiche fecero sì che, se da una parte non pochi leader religiosi islamici simpatizzarono per la causa tedesca e per la politicizzazione “tedesca” dell’islam, al contempo i dipartimenti di arabistica e di islamistica fiorirono nelle università tedesche, con la creazione di mensili, biblioteche e gruppi di discussione volti al medesimo fine. Molti islamologi tedeschi appoggiarono entusiasticamente, per il “bene” e la prosperità della nazione germanica, tale politicizzazione “geneticamente modificata” dell’islam. Soltanto poche voci accademiche, ancorché molto autorevoli, si levarono nettamente contrarie a questo eccitamento politico-bellico-religioso, poiché ritennero che ciò avrebbe contribuito a creare un mostro (così il danese Christiaan Snouck Hurgronje).

Tornando anche al Genocidio armeno, non stupisce che l’11 novembre 1914 l’ottomano Urguplu Hayri (Shayk al-Islàm) abbia promulgato cinque fatwa rivolte ai musulmani di tutto il mondo di mobilitazione al jihad. Tre giorni dopo, in nome del Sultano-Califfo Mehmed V il decreto venne letto pubblicamente dinanzi alle folle nella grande Moschea Fatih di Costantinopoli. L’idea era stata concertata insieme tra leader turchi e ufficiali tedeschi. Il capo del gabinetto militare tedesco, Helmuth von Moltke, ordinò di “risvegliare il fanatismo islamico” contro i nemici della Germania. Sempre nel 1914 l’islamologo tedesco Carl Heinrich Becker, all’epoca professore a Bonn, pubblicò una brochure intitolata Deutschland und der Islam (la Germania e l’islam), in cui asseriva che l’islam era il tallone di Achille per Russia, Gran Bretagna, Francia, ravvisando in esso, da parte tedesca, un fattore ausiliario di “guerra internazionale”.

Un popolo fiero e martire
Gli armeni, popolo fiero e martire, dovettero subire nell’infuriare del Genocidio entrambi questi nemici tra loro alleati. Il Genocidio armeno fu il primo caso in cui le politiche tedesche sull’islam trovarono eco, appoggio e connivenze da parte islamica; il secondo fu la Shoah.

Se la colpa degli ebrei, a detta dei nazisti, fu l’essere nati, agli armeni, almeno formalmente, il Sultano, i Giovani Turchi e migliaia di loro sostenitori e silenti alleati lasciarono una scelta, spesso poi non rispettata: quella tra la morte e la conversione all’islam. Gli armeni, per lo più, scelsero il cristianesimo e, dunque, la morte. Il “no” corrispose al martirio di un popolo, nobile, geniale, cosmopolita, ricco di dignità, un fiero popolo cristiano. Il più antico al mondo.

La perversa attitudine turco-islamica permise la salvezza a molti bambini orfani armeni, che furono poi “turchizzati” e “islamizzati” (e spesso ridotti anche in schiavitù). Anche questo non accadde ai bambini ebrei, privati di scelta e destinati ai crematori. La turchizzazione e l’islamizzazione dei bambini armeni durante e in seguito al Genocidio è un’ulteriore pagina nera della storia, dato che vi furono orfanotrofi che i Turchi predisposero a tal fine, con violenze inaudite e pressioni psicologiche tremende. Alcuni bambini scelsero la morte anziché negare l’identità loro e dei propri padri e abiurare la fede cristiana. Infine, alle donne armene, avviate con marce della morte verso il deserto siro-iracheno, la “soluzione finale” per gli armeni, fu riservata una sorte orrenda da parte dei loro sciagurati aguzzini turchi e curdi che commisero stupri pubblici e reiterati di vecchie e di bambine, di figlie dinanzi alle madre e viceversa. Molte morirono così.

Resta un fatto, però, poco studiato e non sufficientemente compreso e apprezzato, ma decisivo: nonostante il Genocidio armeno e la Shoah, il popolo armeno è ancora grandemente credente, parimenti il popolo ebraico. Esiste l’Armenia – e il Nagorno Karabakh – ed esiste Israele.

Leggi di Più: Genocidio armeno, una lezione molto attuale | Tempi.it