121° giorno del #ArtsakhBlockade – Continuazione. Nuovo attacco delle forze armate dell’Azerbajgian in Armenia. Così Aliyev esprime come intende la pace (Korazym 11.04.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 11.04.2023 – Vik van Brantegem] – Questo pomeriggio, l’Azerbajgian ha avviato un’altra provocazione al confine armeno-azerbajgiano, a seguito della quale ci sono nuove vittime da ambedue le parti. Questo è il risultato della precedente violazione dell’integrità territoriale dell’Armenia da parte dell’Azerbajgian e dell’occupazione del territorio sovrano dell’Armenia. Ora l’Azerbajgian cerca di nuovo occupare ulteriori territori.

Il programma automatico dell’autocrate di Baku e i suoi troll trasmettono ancora il copione: “Gli Armeni stanno attaccando il territorio dell’Azerbajgian”. Sono gli stessi che twittano a raffica: “Gli Armeni stanno bloccando l’Artsakh”. The Azeri Times scrive, con la tipica logica di Baku, arrampicandosi sugli specchi: «Armen Gyozalyan, il Comandante del Corpo speciale dell’esercito armeno è rimasto gravemente ferito durante la scaramuccia [sic!]. Il fatto che un alto funzionario come il comandante delle forze speciali sia rimasto ferito suggerisce che l’attacco potrebbe essere stato premeditato dall’Armenia». È bello vedere che The Azeri Times finalmente ha abbandonato il pretesto comico di essere uno organo di stampa “indipendente”, diffondendo felicemente le stesse narrazioni che il regime guerrafondaio di Baku alimenta con i suoi strumenti di propaganda più servili. Come risposta dovrebbe bastare far presente, che quando un comandante (armeno) sta sul proprio territorio sovrano (armeno), ciò suggerisce che aveva tutto il diritto di essere lì dove si trovava quando è stato ferito dalle forze armate invasori (azere).

Sia i funzionari armeni che quelli azeri stasera privatamente stanno minimizzando le possibilità di un nuovo conflitto. Fonti a Yerevan affermano che lo scontro a fuoco di questo pomeriggio è un incidente isolato e non si ritiene che faccia parte di un’offensiva più ampia, mentre un funzionario a Baku afferma che Tegh «non è un punto di tensione». Tuttavia, i giovani soldati che tornano a casa nelle bare testimoniano quanto sia teso questo confine. C’è anche una paura palpabile in Armenia che questo scontro possa essere il culmine di settimane di retorica infuocata, di cui abbiamo riferito. Nel frattempo, la missione di monitoraggio della frontiera dell’Unione Europea deve ancora rilasciare una dichiarazione in risposta. Intanto, un alto funzionario del governo azero, parlando in modo anonimo dopo i fatali scontri a fuoco al confine con l’Armenia di questo pomeriggio, afferma che la diplomazia è fallita e «li costringeremo [gli Armeni] alla pace – sembra che non ci sia altro modo».

Il Ministero della Difesa armeno in un comunicato ha dichiarato, che le forze armate azere hanno aperto il fuoco intorno alle ore 16.00 (ore 13.00 di Roma) dell’11 aprile contro i militari armeni che stavano conducendo lavori di ingegneria vicino al villaggio di Tegh, dove le forze armate azere avevano già avanzate recentemente le loro posizioni oltre il confine.

Tigran Hovsepyan, il corrispondente a Syunik di Azatutyan, il programma armeno di Radio Liberty, ha riferito: «Hanno iniziato a sparare dalle ore 16.00, con armi leggere, poi sono passati al fuoco di mortaio. Poco fa sono stato al posto di blocco nel villaggio di Tegh, dove abbiamo sentito di nuovo i rumori dell’artiglieria, accompagnati anche da colpi di mitragliatrice, si vede del fumo dalla zona di interposizione. Al momento gli abitanti del villaggio non hanno informazioni chiare su cosa sia iniziato, si sa che c’è stata una scaramuccia nella zona interposizionale, che al momento sta continuando».

All’interno dei confini internazionalmente riconosciuti dell’Armenia, Tegh è l’ultimo villaggio sulla strada da Goris verso il Corridoio di Lachin che collega l’Armenia all’Artsakh, ora chiuso a tutti tranne che alle forze di mantenimento della pace russe e agli operatori umanitari del Comitato Internazionale della Croce Rossa.

Il Ministero della Difesa armeno ha informato, che l’esercito armeno ha preso le contromisure. «Secondo le prime informazioni ci sono morti e feriti [truppe] dalla parte armena», ha aggiunto il Ministero della Difesa.

«Le forze armate azere continuano la provocazione. Intorno alle ore 17.30 (ore 14.30 di Roma), le unità delle forze armate azere hanno usato colpi di mortaio nella stessa direzione. Le forze armate armene stanno adottando le necessarie misure difensive», si legge in un comunicato del Ministero della Difesa armeno. Usare i mortai significa aumentare la tensione e causare nuove vittime.

Le forze armate azere hanno anche sparato contro le postazioni armene situate nella sezione Sotk del confine armeno-azerbajgiano, ha dichiarato Ruzanna Grigoryan, il rappresentante della società che gestisce la miniera d’oro di Sotk, Geopromining: «Hanno iniziato a sparare intorno alle ore 17.15 (ore 14.15 di Roma). La società ha interrotto il lavoro della miniera di Sotk e ha evacuato i dipendenti per motivi di sicurezza». Nel frattempo sono continuati gli scontri vicino al villaggio di Tegh.

I social media affiliati allo Stato dell’Azerbajgian pubblicano avvertimenti alle sue truppe di non scattare e condividere foto di oggetti e veicoli militari. Messaggi simili sono stati visti durante precedenti operazioni militari, in particolare poco prima della guerra dei 44 giorni del Nagorno-Karabakh nel 2020.

I media armeni riportano, che il Comandante del Corpo d’armata speciale, Armen Gozalyan, è stato ferito durante l’attacco dell’Azerbajgian alle posizioni vicino al villaggio di Tegh.

L’intensità degli scontri al confine è notevolmente diminuita verso le ore 19.00 (ore 16.00 di Roma), ha informato dal Ministero della Difesa armeno. «Le informazioni sui bombardamenti in direzione di Vardenis al momento non corrispondono alla realtà, la situazione nella direzione menzionata è al momento relativamente stabile. Le informazioni diffuse dai media azeri sul presunto utilizzo di droni iraniani da parte armena non corrisponde alla realtà. Non ci sono droni iraniani nell’arsenale delle forze armate armene. Esortiamo a non pubblicare informazioni non verificate, a seguire solo notizie ufficiali. Rilasceremo rapporti ufficiali sulla situazione», ha affermato il Ministero della Difesa armeno.

A seguito della provocazione azera, la parte armena ha 4 vittime e 6 feriti, ha riferito il Ministero della Difesa armeno, aggiungendo che la parte azera ha molte vittime e feriti.

Alle ore 19.35 (ore 16.35 di Roma), la situazione sulla linea di contatto era ritornata relativamente stabile e alle ore 20.30 (ore 17.30 di Roma) la situazione era rimasto relativamente stabile. In caso di qualsiasi cambiamento della situazione, il Ministero della Difesa rilascerà una dichiarazione.

In un video [QUI] pubblicato dal Ministero della Difesa armeno, si vede come i militari delle forze armate dell’Azerbajgian si avvicinano in auto a scopo di provocazione e sparano in direzione dei militari delle forze armate dell’Armenia, che svolgono lavori di ingegneria, e aprono il fuoco.

L’Azerbajgian continua l’aggressione ingiustificata contro l’Armenia, ha scritto l’Ambasciatore con incarichi speciali armeno, Edmon Marukyan, in un post sul suo account Twitter, riferendosi all’aggressione scatenata dall’Azerbajgian nella zona del villaggio di Tegh: «L’Azerbajgian continua la sua aggressione non provocata e ingiustificata contro l’Armenia, perché, in quanto Stato aggressore, non sono state imposte sanzioni all’Azerbajgian e le sue azioni non sono state adeguatamente condannate dalla comunità internazionale».

La situazione nella comunità locale di Tegh non si è ancora calmata, da quando i residenti hanno lanciato l’allarme dalla fine di marzo, che gli Azeri di stanza sul territorio armeno non portano la pace, per dirla in parole povere. Hanno accusato le autorità armene di non impedire l’avanzata delle forze armate azere. «Cosa significa, che la situazione è così? Non sanno dall’alto che questo villaggio sarà distrutto in questo modo? È possibile qualcosa del genere? Stanno dormendo nel Ministero? Cosa stanno facendo i Parlamentari mentre sono seduti in una riunione? Il mio cuore batte forte, è questo un modo di vivere?», ha detto uno dei residenti di Tegh a Azatutya, il programma armeno di Radio Liberty.

Il Ministro della Difesa armeno, Suren Papikyan, ha interrotto la sua visita di lavoro a Brussel e sta tornando in Armenia. Armenpress ha chiesto al Portavoce del Ministero della Difesa armeno, Aram Torosyan: «Si sa che in questi giorni il Ministro della Difesa della Repubblica di Armenia, Suren Papikyan, è a Brussel in visita di lavoro. Il Ministro continua gli incontri, tenendo conto del fatto che l’11 aprile le unità delle forze armate azere hanno effettuato un altro attacco contro il territorio sovrano della Repubblica di Armenia, a seguito del quale la parte armena ha vittime e feriti?»
Risposta: «Il Ministro della Difesa ha interrotto la sua visita di lavoro e sta rientrando in Armenia. Il 10 aprile la delegazione guidata dal Ministro della Difesa della Repubblica di Armenia, Suren Papikyan, è partita per Brussel per una visita di lavoro. L’11 aprile, unità delle forze armate azere hanno sparato contro militari armeni che svolgevano lavori di ingegneria nell’area del villaggio di Tegh. La parte armena ha intrapreso azioni di ritorsione. A seguito della sparatoria su larga scala, la parte armena ha 4 vittime e 6 feriti, la parte azera ha un gran numero di vittime e feriti».

Il Ministero degli Esteri della Repubblica di Armenia ha rilasciato una dichiarazione in cui condanna la nuova provocazione dell’Azerbajgian contro l’integrità territoriale dell’Armenia, che ha causato vittime tra i militari delle forze armate della Repubblica di Armenia:
«L’11 aprile, intorno alle ore 16.00, nel territorio della Repubblica di Armenia, nell’area del villaggio di Tegh, regione di Syunik, un gruppo di soldati delle forze armate azere si è avvicinato ai soldati delle forze armate della Repubblica di Armenia con il pretesto di regolare i punti di schieramento al confine, ha aperto il fuoco con armi di diverso calibro, verso i militari e le posizioni delle forze armate armene, che hanno intrapreso azioni di rappresaglia e hanno difeso il territorio sovrano della Repubblica di Armenia. Ci sono vittime e feriti. Queste azioni aggressive della parte azera sono state condotte nonostante la volontà della parte armena di risolvere i problemi sul campo attraverso negoziati costruttivi.
La provocazione che ha avuto luogo è un’altra invasione dell’Azerbajgian sull’integrità territoriale della Repubblica di Armenia. Questa politica dell’Azerbajgian non è nuova, è la continuazione degli attacchi compiuti contro l’Armenia a maggio e novembre del 2021, oltre che nel mese di settembre del 2022, a seguito dei quali l’Azerbajgian occupa i territori sovrani della Repubblica di Armenia.
È un dato di fatto che l’uso della forza e la minaccia dell’uso della forza sono parte integrante della politica dell’Azerbajgian e mirano a destabilizzare in modo significativo la situazione nella regione e a minare gli sforzi dei partner mediatori per continuare i negoziati di pace. Chiediamo alla comunità internazionale e a tutti i partner interessati alla pace e alla stabilità nella regione di condannare le azioni aggressive dell’Azerbajgian attraverso dichiarazioni mirate e misure chiare a prevenire un’ulteriore escalation della situazione da parte di quest’ultimo».

Mentre l’Azerbajgian attacca l’Armenia, Cirielli afferma che gli Azeri sono disponibili a costruire la pace

«Il dibattito in Azerbajgian e Armenia è dominato dalla questione del conflitto ma ho notato, nonostante una tensione durata trent’anni, che gli Azerbajgiani sono molto disponibili a fare la pace», ha dichiarato il Viceministro degli Esteri italiano, Edmondo Cirielli, un punto su cui trovare un l’incontro con la leadership armena guidata dal Primo Ministro Nikol Pashinyan. «La leadership attuale è molto interessata alla pace. Ci sono state delle elezioni dopo la guerra del 2020 che hanno visto il Premier vincere ampiamente, a dimostrazione che il popolo armeno vuole la pace», ha aggiunto Cirielli. Entrambi i Paesi, ha proseguito, «chiedono una mediazione da parte nostra per trovare una pace onorevole per entrambe le parti e noi cerchiamo di dare loro una mano».

«Il Caucaso è importantissimo per l’energia viste le forniture di gas e petrolio che riceviamo dall’Azerbajgian ed è la porta dell’Oriente, per questo storicamente l’Italia – prima l’Impero romano, poi le Repubbliche marinare, poi il Regno d’Italia – ha sempre visto nel Caucaso una zona importante per i nostri commerci e traffici economici», ha spiegato, Cirielli. «Vogliamo aiutare i Paesi a garantire la loro stabilità e a crescere economicamente. E in tal senso ci sono buone prospettive: io ne ho parlato con il Ministro degli Esteri e della Cooperazione internazionale, Antonio Tajani, e con il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni, e penso che prossimamente che il Ministro prenderà delle iniziative politiche importanti. Vogliamo dare una mano concreta», ha concluso Cirielli.

Ecco quello che dice Cirielli: gli Azeri sono disponibili a costruire pace. Quale è la pace secondo loro vediamo ogni giorno e oggi di nuovo: questo e il rispetto che hanno gli Azeri verso il loro partner strategico Italia.

L’Armenia chiede all’Unione Europea di fare pressione sull’Azerbajgian

L’Unione Europea potrebbe fare di più “per fare pressione” sull’Azerbajgian, che sta soffocando gli Armeni che vivono nell’enclave del Nagorno-Karabakh, ha stimato martedì l’Ambasciatore armeno in Francia, accusando Baku di preparare “un’epurazione etnica”.

“L’obiettivo dell’Azerbajgian è chiaro a tutti, è la pulizia etnica, è un genocidio che si sta preparando”, ha detto Hasmik Tolmajian ai giornalisti dell’associazione stampa diplomatica francese. “L’Azerbajgian sta facendo morire di fame un’intera popolazione per costringerla a lasciare il territorio”, ha aggiunto. Yerevan accusa i militanti azeri di bloccare da metà dicembre una strada vitale – il Corridoio di Lachin – che collega l’Armenia ai territori controllati dal governo della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh.

L’Armenia da mesi avverte di una “crisi umanitaria” a causa di questo blocco, che ha causato carenza di medicinali e interruzioni di cibo e elettricità. Ma Baku ha negato queste accuse. Armenia e Azerbajgian, due ex repubbliche sovietiche nel Caucaso, si sono scontrate in una guerra di 44 giorni nel 2020 per Nagorno-Karabakh. Questo conflitto aveva provocato una disfatta militare armena e un accordo di cessate il fuoco sponsorizzato dalla Russia, che vi ha dispiegato forze di mantenimento della pace. Ma le aggressioni dell’Azerbajgian restano frequenti e minacciano di far deragliare la fragile tregua.

L’Ambasciatore armeno in Francia, Hasmik Tolmajian, ha sottolineato che ci sono state condanne internazionali per il blocco del Corridoio di Lachin. Ma questo è ancora insufficiente. “L’Unione Europea ha abbastanza leve nel suo arsenale diplomatico per fare pressione sull’Azerbajgian”, ha sottolineato Tolmaijan, prospettando la possibilità di ricorrere a “sanzioni mirate” mentre il Paese fornisce gas all’Unione Europea. “L’Azerbajgian non è la Russia, non è la Turchia, non è la Cina”, ha continuato, aggiungendo che “se le leve fossero usate, sarebbero efficaci”.

Regione montuosa popolata principalmente da Armeni, che si è separata dall’Azerbajgian al crollo dell’Unione Sovietica, la questione del Nagorno-Karabakh ha avvelenato le relazioni tra Yerevan e Baku. Armenia e Azerbajgian hanno combattuto due guerre, negli anni ’90 e nel 2020, per il controllo di questa enclave. Tolmaijan ha accusato l’Azerbajgian anche di voler “rosicchiare” il territorio armeno e ha insistito sul fatto che l’Armenia rimane “molto attaccata a una soluzione politica pacifica”. “Ma non possiamo imporre la pace”, ha reagito, esprimendo il senso di isolamento del suo Paese.

Mentre tutta l’attenzione è posto sull’Ucraina, “sotto diversi aspetti, il Nagorno-Karabakh e l’Armenia rischiano di diventare vittime collaterali di questa guerra”, ha anche considerato. Il mese scorso il Ministro degli Esteri francese, Catherine Colonna, che ha annunciato di volersi recare “ad aprile” nelle capitali dell’Azerbajgian e dell’Armenia per ricordare in particolare “la necessità di una soluzione politica”.

Trattare con il diavolo: Aliyev vuole davvero la pace?
di Karena Avedissian [*]
EVN Report, 10 aprile 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Il dittatore azero è un uomo che non mantiene le sue promesse. Ma gli alti funzionari armeni affermano che al momento non c’è altra scelta.
Dopo settimane di sanguinosa guerra, la dichiarazione di cessate il fuoco del 2020 che ha posto fine alla guerra di 44 giorni sul Nagorno-Karabakh ha sancito la realtà della situazione sul terreno: l’Azerbajgian aveva vinto e gli Armeni che vivevano sia in Artsakh che in Armenia dovevano fare i conti con la loro sconfitta. Ma l’accordo tripartito mediato dalla Russia era ben lungi dall’essere l’ultima parola in materia.

Nonostante abbia conquistato aree di territorio nella regione, l’Azerbajgian non ha ancora raggiunto il suo obiettivo finale di ottenere il controllo sull’intero Nagorno-Karabakh, che continua a insistere sia necessario per qualsiasi tipo di pace negoziata. Ma, data la credibile paura degli Armeni del Karabakh che essere governati da Baku significhi morte o esilio, è possibile una tale pace senza forzare il loro esodo?

La dichiarazione di cessate il fuoco del 2020 stabiliva che lo status della Repubblica di Nagorno-Karabakh doveva essere deciso attraverso colloqui, ma né l’Azerbajgian né l’Armenia sono in grado di concedersi reciprocamente le concessioni richieste dall’altro. Per Baku è accettabile solo una capitolazione totale, mentre Yerevan semplicemente non può impegnarsi in alcun accordo che possa esporre al rischio di pulizia etnica, un rischio che gli esperti internazionali di genocidio avvertono è molto reale.

Da parte sua, l’Armenia ha adempiuto a quasi tutti i suoi obblighi derivanti dall’accordo di cessate il fuoco, inclusa la consegna di distretti precedentemente sotto il suo controllo come Aghdam e Kelbajar (Karvachar) e il rimpatrio di tutti i prigionieri di guerra azeri in Azerbajgian. Ha anche ceduto il controllo del Corridoio di Lachin alle forze di mantenimento della pace russe. L’Armenia si è anche astenuta dall’avanzare posizioni militari o dall’iniziare ostilità, secondo la missione di monitoraggio di Mosca e altri osservatori stranieri.

L’unico punto dell’accordo che l’Armenia deve ancora rispettare è quello di “garantire la sicurezza dei collegamenti di trasporto” tra l’Azerbajgian e la sua exclave di Nakhichevan. Tuttavia, l’Azerbajgian ha imposto la sua interpretazione di ciò come dargli il diritto di creare un “corridoio” sul quale l’Armenia non avrebbe alcun controllo sovrano – qualcosa che Yerevan ha rifiutato. Lo stallo ha fatto deragliare ulteriori colloqui, con Baku che si rifiuta di muoversi.

Al contrario, l’Azerbajgian non ha rispettato la sua parte dell’accordo, violando l’ accordo di cessate il fuoco nel Nagorno-Karabakh , attaccando l’Armenia, continuando a mantenere i prigionieri di guerra armeni, spostando le posizioni militari in avanti nel Nagorno-Karabakh e all’interno della Repubblica di Armenia , e bloccando il Corridoio di Lachin.

Il Presidente dell’Azerbajgian Ilham Aliyev, chiede ulteriori concessioni all’Armenia che non erano incluse nell’accordo. Ciò include l’installazione di un posto di blocco presidiato dalle forze armate azere nel Corridoio di Lachin, nonché il completo disarmo dell’esercito di difesa dell’Artsakh, che secondo Baku è un’estensione delle forze convenzionali della Repubblica di Armenia, che Yerevan ha già ritirato. Per gli armeni locali, sono l’ultima linea di difesa contro un potere ostile che cerca di sottometterli.

La definizione di “pace” dell’Azerbajgian è subordinata all’acquiescenza dell’Armenia su ciascuno di questi fronti, anche se sono arbitrari e richiederebbero la capitolazione totale sia degli Armeni del Nagorno-Karabakh che dell’Armenia.

Non essendo in grado di ottenere queste concessioni, Aliyev ha ampliato le rivendicazioni territoriali dell’Azerbajgian alla Repubblica di Armenia, che spesso chiama “Azerbajgian occidentale”. Il 19 marzo 2023, Aliyev ha minacciato l’Armenia, twittando: “C’è una condizione affinché possano vivere comodamente su un’area di 29.000 chilometri quadrati: l’Armenia deve accettare le nostre condizioni”.

La comunità internazionale ha chiuso un occhio davanti alla retorica bellicosa e ha continuato a interagire con Aliyev come se fosse una parte lesa, che agisce in buona fede. Questo ha solo incoraggiato le linee di attacco provenienti da Baku.

Quindi, il 30 marzo 2023, il Servizio di Sicurezza Nazionale armeno ha riferito che le forze armate azere erano entrate nel territorio armeno, spingendosi fino a 300 metri all’interno del confine. Hanno iniziato a svolgere lavori di ingegneria, secondo quanto riferito in cinque diverse località. L’Armenia ha scelto di non opporsi alla mossa per evitare l’escalation.

Aliyev continua a coltivare all’estero un’immagine di cercatore di pace, che molti attori internazionali hanno abbracciato, mentre interpreta il focoso uomo forte vestito con la divisa militare a casa.
Nell’agosto 2022, il Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha ringraziato sia Aliyev che il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, per gli scambi “aperti e produttivi” e ha osservato che “sono stati compiuti parecchi passi per portare avanti gli accordi raggiunti durante il nostro ultimo incontro” ad aprile. L’Azerbajgian ha attaccato la Repubblica di Armenia due settimane dopo.

L’Azerbajgian ha ripetutamente accusato l’Armenia di aver bloccato i negoziati, cercando di dare l’impressione che gli Armeni stiano ostacolando la pace. Quindi, nel novembre 2022, Aliyev ha annullato un colloquio programmato, affermando che l’inclusione del Presidente francese, Emmanuel Macron, era una linea rossa. Aliyev considera inaccettabili i negoziati che coinvolgono qualsiasi potere che limiterebbe le sue opzioni massimaliste.

In quanto parte vincente, l’Azerbajgian, che è anche più potente politicamente, militarmente ed economicamente, ha più potere contrattuale e può esercitare maggiore influenza sui termini della pace. Ma questo non può anche significare che l’Armenia e gli Armeni del Nagorno-Karabakh, in quanto parti perdenti, non possano o non debbano avere voce in capitolo nel processo di pace.

Nei conflitti, la comunità internazionale e i mediatori mirano spesso a garantire che tutte le parti, comprese le parti perdenti, abbiano un ruolo nel plasmare i termini della pace. Ciò si basa sul principio di affrontare le cause profonde del conflitto al fine di raggiungere una pace sostenibile e duratura. Secondo gli Armeni, la causa principale del conflitto moderno è la sicurezza degli Armeni rispetto a Baku.

Attualmente, l’idea di “pace” dell’Azerbajgian implica la sottomissione della popolazione armena del Nagorno-Karabakh, che di fatto la costringerà ad andarsene. Ciò equivale a pulizia etnica, e si verificherà a meno che la comunità internazionale non intervenga. Il fatto che la comunità internazionale non lo prenda sul serio è preoccupante.

I funzionari azeri negano pubblicamente che un’acquisizione risulterà in una pulizia etnica, nonostante le preoccupazioni armene. Assicurano alla comunità internazionale che gli Armeni del Karabakh saranno “cittadini dell’Azerbajgian”, il che implica che saranno protetti. Tuttavia, la storia recente mostra che un passaporto azero non protegge i cittadini dalla violenza per mano del proprio Stato.

I diritti delle minoranze e le espressioni pubbliche delle identità delle minoranze in Azerbajgian sono soppressi e i gruppi minoritari non hanno mezzi per organizzarsi in modo indipendente o difendere i propri interessi. Sebbene ci sia un numero trascurabile di Armeni in Azerbajgian, gli Armeni come gruppo sono presi di mira e demonizzati nel discorso pubblico azero, nella retorica ufficiale e nelle sfere sociali e culturali. I funzionari azeri si impegnano in una tale retorica razzista e di odio contro gli Armeni, che la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite ha ordinato loro di smetterla. Tuttavia, il sentimento anti-armeno persiste, con il Parlamento dell’Azerbajgian che definisce la diaspora armena europea nel marzo 2023 un “tumore canceroso”.

Gli Armeni del Nagorno-Karabakh hanno resistito per decenni al dominio azero e si sono effettivamente governati autonomamente per tutto il periodo post-sovietico. Ciò è dovuto proprio al loro timore di persecuzioni e discriminazioni anti-armene. Laddove l’Azerbajgian ha preso territorio, ha sistematicamente cancellato l’eredità e la presenza storica armena, come documentato da Caucasus Heritage Watch.

Ad oggi, nessun grande attore internazionale ha affrontato il potenziale destino degli Armeni del Nagorno-Karabakh se fossero integrati con la forza in uno Stato che ha mostrato il desiderio di eliminarli. Ecco perché un alto funzionario armeno, coinvolto in colloqui bilaterali dal 2020, parlando a condizione di anonimato, mi dice che gli sforzi diplomatici armeni sono concentrati sul mantenere vivo il processo negoziale. “L’Azerbajgian si lamenta del fatto che stiamo utilizzando tutte le piattaforme negoziali, inclusi il gruppo di Minsk, gli Stati Uniti e Mosca. Sappiamo che non sono un partner in buona fede, ma sappiamo anche che non ci sono altre opzioni. Stiamo cercando di ripristinare i negoziati come possiamo, anche se ciò significa proseguire i negoziati contemporaneamente attraverso gli Stati Uniti, l’Unione Europea e Mosca”, ha affermato.

Il 13 marzo e di nuovo il 27 marzo, l’Azerbajgian ha esteso gli inviti ai funzionari del Nagorno-Karabakh per i negoziati a Baku. Tuttavia, questi inviti sono stati respinti dai funzionari del Nagorno-Karabakh. Tigran Grigoryan, Presidente del Centro regionale per la democrazia e la sicurezza, ritiene che lo scopo dell’invito sia politico. “Vogliono dimostrare che i negoziati sono un processo interno – che i negoziati possono svolgersi senza coinvolgimento internazionale. Ciò significa che la loro agenda per i colloqui è l’integrazione”, afferma. Grigoryan spiega che l’invito a Baku ha un altro scopo: un pretesto per un’altra possibile escalation. “Vogliono dimostrare che la parte del Nagorno-Karabakh non collabora e che l’Azerbajgian è pronto a parlare, ma gli Armeni no. L’Azerbajgian mira a imporre il suo programma di integrazione al Nagorno-Karabakh e all’Armenia, ed è disposto a usare la forza militare per raggiungere questo obiettivo. Un mese fa, l’Azerbajgian ha emesso un ultimatum, affermando “o accetti questo processo di integrazione o faremo un’escalation sul campo”, e da allora ha continuato a peggiorare la situazione. E Stepanakert non può accettare questa proposta perché significherebbe che i negoziati riguardano l’integrazione in Azerbajgian”, dice. “Stepanakert afferma la sua disponibilità a discutere questioni tecniche e infrastrutturali con Baku”, afferma Grigoryan. “Tuttavia, ritiene che le questioni politiche debbano essere risolte attraverso un meccanismo internazionale che possa fornire garanzie per la continuazione del processo di pace se viene firmato un trattato tra l’Azerbajgian e l’Armenia”.

Lo stesso funzionario armeno afferma che il pensiero prevalente all’interno del governo è che la parte armena debba negoziare con Aliyev, pur sapendo che qualsiasi accordo potrebbe non durare a lungo. “Anche se sappiamo che non manterrà i suoi impegni, dobbiamo persistere nel processo in quanto al momento non ci sono alternative praticabili”, ha affermato il funzionario. “La cosa più importante è trovare meccanismi che possano estendere i colloqui e frenare Aliyev. Sappiamo che quando Aliyev non ottiene ciò che vuole, ricorre alla forza, come ha fatto quando ha conquistato il territorio vicino a Jermuk in Armenia dopo non aver ottenuto ciò che voleva. Ha anche chiuso il Corridoio di Lachin per spingere per un altro incontro. Sta usando la forza e il ricatto. È fondamentale stabilire un meccanismo per impedirgli di farlo in futuro”, ha aggiunto il funzionario.

Il cessate il fuoco che ha posto fine, o forse solo messo in pausa, la guerra del 2020 prevedeva che i diplomatici armeni e azeri si sedessero per negoziare un futuro per la regione. Baku potrebbe accusare l’Armenia di temporeggiare, ma sa bene che Yerevan non può dare ad Aliyev ciò che vuole veramente: un Nagorno-Karabakh senza Armeni.

[*] Karena Avedissian è una scienziata politica che si occupa di movimenti sociali, nuovi media, società civile e sicurezza nell’ex Unione Sovietica, con particolare attenzione alla Russia e al Caucaso. Ha conseguito il dottorato di ricerca presso l’Università di Birmingham nel 2015. Da allora, ha lavorato come ricercatrice presso l’Università della California meridionale e l’Università di Birmingham su temi di democrazia comparata e autoritarismo, costruzione dello Stato in Armenia e influenza dello Stato nello spazio post-sovietico. I suoi scritti sono stati pubblicati su The Guardian, Moscow Times, Open Democracy, Global Voices, Transitions Online e Hetq. Attualmente è docente presso l’American University of Armenia.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]