Armeni e curdi, la sfida Usa a Erdogan (Rassegna 31.10.19)

Kim Kardashian celebra riconoscimento genocidio armeno (Sputnik 31.10.19)

La star di un reality show americano e imprenditrice californiana di origine armena Kim Kardashian ha pubblicato su Instagram le nuove foto di un recente viaggio in Armenia per celebrare il riconoscimento da parte del Congresso degli Stati Uniti del genocidio armeno.

Il 29 ottobre la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha votato a favore del riconoscimento del genocidio armeno. Risoluzioni analoghe sono state introdotte per anni, ma non hanno mai ottenuto i voti necessari.

“Ieri c’è stata una vittoria così grande per il popolo armeno quando il Congresso americano ha riconosciuto il genocidio del popolo armeno! Questa foto è stata scattata questo mese in Armenia”, ha scritto Kim su Instagram.

Kim ha successivamente pubblicato una serie di scatti con sua sorella maggiore Kourtney e i suoi figli. Le donne indossavano rigorosi abiti neri e gioielli tradizionali del Paese caucasico.


Usa, riconosciuto genocidio armeno e sanzioni alla Turchia, l’ira di Ankara (Ilvaloreitaliano 31.10.19)

WASHINGTON. Meglio tardi, molto tardi, che mai. Doppio schiaffo della Camera Usa ad Ankara, a due settimane dalla visita del presidente turco Recep Tayyip Erdogan alla Casa Bianca: i deputati hanno approvato in modo bipartisan quasi all’unanimità una risoluzione che riconosce il genocidio armeno e un’altra che chiede al presidente Donald Trump di imporre sanzioni e altre restrizioni alla Turchia e ai dirigenti di quel Paese per l’offensiva nella Siria settentrionale. Immediata la reazione di Ankara, che “rifiuta” la risoluzione sul genocidio armeno, bollandola come una decisione “ad uso interno, priva di qualunque base storica e giuridica”.

Il ministero degli esteri turco ha convocato David Satterfield, ambasciatore Usa ad Ankara e ha condannato fortemente anche la risoluzione sulle sanzioni, sottolineando che la decisione non è consona all’ alleanza Nato tra i due Paesi e all’accordo tra Usa e Ankara sulla tregua in Siria, e ammonendo Washington a prendere misure per evitare passi che danneggino ulteriormente le relazioni bilaterali. Il 24 aprile è il giorno della memoria dello Metz Yeghern, ossia il  Grande Male, il nome con cui gli armeni indicano il genocidio di cui furono oggetto a partire dal 1915 per volontà del governo dei Giovani Turchi nei giorni del tramonto dell’Impero Ottomano. Il 24 aprile 1915 furono arrestati e deportati gli esponenti delle élites armene di Costantinopoli, Smirne e Aleppo. Nei due anni successivi persero la vita un milione e mezzo di armeni a causa sia di massacri che di malattie e stenti dovuti alle condizioni in cui venivano spostati attraverso i territori dell’Impero. Il silenzio dell’ Occidente fu assordante. Recentemente la questione del genocidio armeno è tornata di attualità in Italia e il Parlamento italiano si era impegnato a riconoscere ufficialmente l’evento e a darne risonanza internazionale.


Genocidio armeno. Anche gli Usa si convincono. L’arma segreta? Kim Kardashian (Blitzquotidiano 31.10.19)

ROMA – La decisione della Camera dei Rappresentanti Usa di riconoscere il genocidio degli armeni perpetrato tra il 1915 e il 1916 dai turchi e costò la vita a un milione e mezzo di persone è incontestabilmente un fatto storico. Scontata la rabbiosa reazione di Erdogan. Ha richiamato l’ambasciatore turco a Washington, messo in stand-by la visita di Stato programmata, minaccia di buttarsi nelle braccia della Russia fregandosene dell’alleanza atlantica.

Se ne discuterà a lungo (tranne in Turchia dove chi solo vi accenni finisce in galera). Intanto vanno rilevati alcuni fatti collegati alla vicenda piuttosto sorprendenti. Di sicuro lo è l’appoggio offerto da Trump, solitamente allergico a quanto accade fuori dall’America. Ma chi ha convinto lui, la figlia Ivanka, il cognato Jared Kushner, la pasionaria democrat Jackie Speier e i suoi 405 colleghi che hanno votato la risoluzione praticamente all’unanimità?

Non gli intellettuali, non una campagna d’opinione. Nemmeno un toccante film come Ararat, del 2002, girato dal grande regista canadese-armeno Atom Egoyan. Dove peraltro si cita, a proposito del silenzio di cento anni sul tentativo di eliminazione di un intero popolo, una frase attribuita ad Hitler in procinto di compiere il suo di genocidio: “Qualcuno si ricorda degli armeni?”.

Non ci è riuscito nemmeno l’armeno più famoso del mondo, Shahnour Vaghinagh Aznavourian, al secolo Charles Aznavour, immenso chansonnier e anche lui protagonista di Ararat. Nella società dello spettacolo di debordiana memoria, aggiornata dai social network alla società dello spettacolo di se stessi, ruolo e meriti vanno attribuiti invece a Kim Kardashian. Sì proprio lei, la regina dei like e del trash-chic, moglie del rapper Kanye West, maitresse a penser leopardata.

Un segno dei tempi, non c’è che dire. Inutile smoccolare sullo scadimento dei valori. Vano stracciarsi le vesti per il sacrilego accostamento tra la distruzione di un popolo e la banalità decerebrata spacciata via facebook. I potenti, gli influencer, provengono oggi dall’industria dell’intrattenimento che da un pezzo ha surclassato negli Usa i tradizionali fortini del potere economico, dall’acciaio al petrolio.

Dove non arrivano la denuncia e il memoir, l’analisi storica e i documenti d’epoca, dove nulla possono la rivendicazione etnica e la solidarietà internazionale, giunge, a proposito, tempestivo e risolutore, il marchio di fabbrica del brand Kardashian. Le sue generose natiche da esposizione. L’arma segreta degli armeni. (fonte La Repubblica)


Gli Stati Uniti riconoscono il genocidio armeno (31.10.19)

a Camera degli Stati Uniti ha riconosciuto il 30 ottobre 2019 – quasi all’unanimità,  405 «sì», 11«no» su 435 voti – una risoluzione che riconosce e invita «a commemorare il genocidio armeno e a rifiutare i tentativi di associare il governo americano alla sua negazione». Il «sì» bipartitico è salutato da un lungo applauso. È il riconoscimento formale di Washington. La Camera approva anche – 403 «sì» e 11 «no» (ora passa al Senato) – una risoluzione che chiede al presidente Donald Trump di imporre sanzioni e restrizioni alla Turchia per l’offensiva militare in Siria. Furibonda la reazione turca: Ankara convoca l’ambasciatore americano. Il Paese guidato dal dittatore Erdogan «rifiuta» la risoluzione, la bolla come «decisione a uso interno, priva di qualunque base storica e giuridica, un passo politico insignificante».

Il 1917 è l’anno di svolta nella Grande Guerra (1914-18) – Diserzioni negli eserciti e rivolte della gente spossata, anche da uno degli inverni più rigidi del secolo; Caporetto e Rivoluzione Russa; denuncia dell’«inutile strage» e genocidio degli armeni, il primo (e dimenticato) del XX secolo. «Metz Yeghern, il Grande Male» colpisce un nobile popolo. Re Tiridate III di Armenia, convertito e battezzato con la sua corte da san Gregorio Illuminatore, nel 312 dichiara il Cristianesimo «religione di Stato», un anno prima che l’«editto di Milano», sottoscritto nel febbraio 313 da Costantino il Grande per l’Occidente e da Valerio Liciniano Licinio per l’Oriente, conceda libertà di culto anche ai cristiani. Sotto l’Impero Ottomano un milione e mezzo di armeni rifiutano di rinnegare la fede e sono sterminati. Inizialmente i non musulmani sono protetti dall’Islam in quanto «gente del libro» e monoteisti: tra islamici e non musulmani, pur in posizione subalterna, la coabitazione regge fino a quando il nazionalismo non conta­gia anche l’Impero Ottomano. A Costantinopoli presso la Sublime Porta le minoranze religiose sono protette dalle potenze europee: la Francia tutela i cattolici, la Russia gli ortodossi, la Gran Bretagna i protestanti e gli anglicani, gli Stati Uniti gli ebrei.

Lo stermino comincia nel 1894-96 con Abdul-Hamid II – I sultani sono sovrani politici e capi religiosi. Nel 1908 i Giovani Turchi lo depongono e lo sostituiscono con il fratello Mehmet V; propugnano un nazionalismo che soffoca i non musulmani; sterminano 30 mila armeni. Alla vigilia della Grande Guerra le potenze europee ritirano il personale diplomatico e così le minoranze religiose restano indifese. I Giovani Turchi ne approfittano e nella notte del 23-24 aprile 1915 passano di casa in casa ad arrestare e uccidere 50 intellettuali, accusati di essere la «quinta colonna» dell’Impero Russo. Un pretesto per scatenare la pulizia etnica che dura fino al 1922. Conversioni forzate, maltrattamenti, deportazioni e «marce della morte» provocano un milione e mezzo di morti per fame, malattie, sfinimento. Sovrintendono ufficiali tedeschi in collegamento con l’esercito turco, «prova generale» della deportazione nazifascista degli ebrei, con il ghigno beffardo di Hitler: «Chi ricorda più lo sterminio degli armeni?». I principali genocidi del XX secolo sono: i nazifascisti (1939-45) sterminano 6 milioni di ebrei e mezzo milione di zingari perseguitati, seviziati, sterilizzati e gasati perché «razza inferiore» nel «Porajmos, Grande divoramento»; stalinismo comunista in Urss con milioni di morti (1924-53); Khmer rossi in Cambogia (1975-79); pulizia etnica in Bosnia (1992-96), in Ruanda e Burundi (1994).

Periscono vescovi, sacerdoti, religiosi, donne, uomini, anziani, bambini e malati armeni, assiri, caldei, greci. L’ecatombe innesca la diaspora in Europa, Stati Uniti, Russia e Ucraina, Sudamerica. Benedetto XV scrive al sultano Mehmet V (10 settembre 1915) per far cessare l’eccidio «che avviene contro il volere di Vostra Maestà. Il popolo armeno, per la reli­gione che professa, è spinto a mantenere fedele suddi­tanza a Vostra Maestà». Nella risposta il sultano sostiene l’impossibilità di distinguere fra inno­centi e sediziosi e giustifica la pulizia etnica. Il Papa proclama «dottore della Chiesa universale» Sant’Efrem Siro vissuto in esilio a Edessa in Turchia. In visita in Armenia, Giovanni Paolo II (27 aprile 2001) definisce lo sterminio «un’aberrazione disumana, un tempo di indicibile terrore e sofferenza».

Suscita le ire della Turchia anche Papa Francesco che celebra in San Pietro il centenario del martirio e proclama dottore della Chiesa San Gregorio di Narek, monaco, filosofo, teologo, mistico e poeta: «Fare memoria dello sterminio di un milione e mezzo di armeni sotto un regime totalitario è doveroso, per il popolo armeno, per la Chiesa, per la famiglia umana perché il monito che viene da questa tragedia ci liberi dal ricadere in simili orrori. Quel massacro fu un vero martirio. Sentiamo il grido di tanti fratelli e sorelle che, per la fede in Cristo o l’appartenenza etnica, sono uccisi, decapitati, crocifissi, bruciati vivi, costretti ad abbandonare la loro terra. Basta conflitti e violenze fomentate strumentalizzando le diversità etniche e religiose. Si riprenda il cammino di riconciliazione tra il popolo armeno e quello turco».

Ma la Turchia si ostina a negare e non vuol sentir parlare di «genocidio». L’11 dicembre 1946 l’assemblea delle Nazioni Unite (risoluzione 96) riconosce «il crimine di genocidio, negazione del diritto alla vita di gruppi umani, razziali, religiosi, politici o altri, che siano stati distrutti in tutto o in parte». Il termine è coniato da Raphael Lemkin, giurista polacco (1944). In risposta alle parole di Papa Bergoglio, il ministero degli Esteri convoca mons. Antonio Lucibello, nunzio apostolico ad Ankara, e gli esprime «il disappunto del governo. Le dichiarazioni del papa non sono fondate su dati storici e sono inaccettabili». Nominare in pubblico il genocidio è punito con tre anni di carcere in quanto «gesto anti-patriottico e vilipendio dell’identità turca»: per questo molti sono perseguitati, tra cui lo scrittore Orhan Pamuk, Premio Nobel per la letteratura 2006, e il giornalista armeno Hrant Dink, ucciso da un ultranazionalista. Nel 2014 il primo ministro Recep Tayyip Erdogan, poi presidente-dittatore, con un gesto a sorpresa, esprime le condoglianze «ai nipoti degli armeni uccisi». Le cifre sono discordanti: secondo l’Armenia le vittime sono almeno 1 milione e mezzo; secondo la Turchia 300 mila: secondo l’Associazione internazionale degli studiosi di genocidi sono «oltre un milione». Riconoscono il genocidio armeno: Argentina, Armenia, Belgio, Canada, Cile, Cipro, Francia, Grecia, Italia, Lituania, Libano, Paesi Bassi, Parlamento europeo, Slovacchia, Stato Città del Vaticano, Svezia, Uruguay, Venezuela. Il Congresso degli Stati Uniti nel marzo 2010 approva la risoluzione che ne chiede il riconoscimento, ora è avvenuto.

Un secolo fa a Torino trovano accoglienza anche i profughi armeni. A Roma Pio XI mette a disposizione dei profughi la residenza estiva di Castel Gandolfo. Don Adolfo Barberis, segretario del cardinale arcivescovo di Torino Agostino Richelmy, un vulcano di attività, in una lettera descrive l’accoglienza: «Si ripetono un poco le opere di carità di Lourdes, in beneficio dei poveri profughi, nell’Istituto Sant’Anna. Si vanno ad accogliere alla stazione donne e fanciulli a tutte le ore della notte: si dà loro da mangiare e da bere, poi un poco di materasso per riposare, una benedizione, spesso Messa, confessione e Comunione, poi si mandano a spasso nel nome del Signore, e si accolgono altri».

 

 

 


Armeni e curdi, la sfida Usa a Erdogan (Il Giornale 31.10.19)

New York. A due settimane dalla visita del presidente turco Recep Tayyip Erdogan alla Casa Bianca, la Camera Usa assesta un doppio schiaffo bipartisan ad Ankara, approvando a larghissima maggioranza una risoluzione che riconosce il genocidio armeno e un’altra che chiede al presidente americano Donald Trump di imporre sanzioni alla Turchia e ai suoi dirigenti per l’offensiva nella Siria settentrionale.

La mossa ha mandato su tutte le furie Erdogan: «Questa accusa è il più grande insulto alla nostra nazione», ha detto del documento che riconosce formalmente il genocidio armeno per mano dell’impero ottomano durante la prima guerra mondiale. «La risoluzione non ha alcun valore», ha precisato, mentre l’ambasciatore statunitense ad Ankara David Satterfield veniva convocato al ministero degli Esteri per vedersi contestare una misura «priva di qualsiasi base storica o legale».

Il premier armeno Nikol Pashinian, invece, lo ha definito un voto «storico», e ha ringraziato per quello che ritiene un «passo audace verso la verità e la giustizia storica che conforterà milioni di discendenti dei sopravvissuti al genocidio». «In questo modo onoriamo la memoria delle vittime e diciamo mai più», ha scritto su Twitter l’ex vice presidente Joe Biden, candidato alle primarie democratiche del 2020. La risoluzione, non vincolante, invita a «commemorare il genocidio armeno» e a «rifiutare i tentativi di associare il governo americano alla sua negazione», nonché a educare sulla vicenda. E segue quella di una trentina di paesi, tra cui l’Italia, e di 49 su 50 degli stati Usa, dove vivono due milioni di americani di origine armena. Sulle due risoluzioni ora si dovranno esprimere prima il Senato e poi lo stesso Trump, che con l’annuncio della tregua in Siria ha revocato le sanzioni ad Ankara.

La sfida alla Turchia da parte della Camera Usa arriva sullo sfondo della battaglia per l’impeachment, alla vigilia del voto di oggi dei deputati per formalizzare le procedure della messa in stato di accusa per la prossima fase dell’indagine. Per i dem la mossa «assicurerà trasparenza e fornirà una strada chiara per andare avanti». Il documento, che «stabilisce le procedure per le udienze», richiede in primis audizioni pubbliche, e la speaker Nancy Pelosi in una lettera ai democratici ha scritto: «Stiamo prendendo questa misura per eliminare ogni dubbio sul fatto che l’amministrazione Trump possa trattenere i documenti, bloccare la testimonianza di testimoni, ignorare mandati puntualmente autorizzati o continuare a ostruire la Camera». Nel frattempo il colonnello Alexander Vindman, il massimo esperto di Ucraina nel National Security Council, ha testimoniato ieri alla Camera affermando che la trascrizione della telefonata in cui il tycoon chiese al presidente ucraino Zelensky di indagare i Biden ha omesso parole e frasi cruciali. Secondo quanto riferito dal New York Times, che ha citato tre fonti informate, Vindman ha riferito come le omissioni comprendessero l’affermazione che c’era una registrazione dell’ex numero due di Barack Obama mentre discuteva della corruzione ucraina. Oltre ad una menzione esplicita da parte di Zelensky relativa a Burisma, la società del gas nel cui board sedeva il figlio di Biden. L’ufficiale ha sostenuto che provò a cambiare la trascrizione del colloquio preparata dallo staff della Casa Bianca, ma che mentre alcune sue correzioni ebbero successo le altre due non furono fatte.


Gli Usa, la Turchia e i curdi. Genocidio armeno: ora di verità e di scontento (Avvenire 31.10.19)

Se fossero cittadini della Turchia, 405 americani sarebbero oggi in guai seri. Tanti sono, infatti, i deputati che, sui 435 totali e quindi in maniera del tutto bipartisan, hanno votato perché le stragi di armeni compiute dagli ottomani nel 1915, con oltre un milione e mezzo di vittime, siano riconosciute come un “genocidio”. Parola che le autorità turche non vogliono sentir pronunciare. Mai. In nessun contesto.

Tanto che l’articolo 301 del codice penale nazionale prevede l’arresto e due anni di carcere per chi «offende lo Stato turco», in quella che pure è la versione riformata e mitigata nel 2008 di un articolo che invece prevedeva l’offesa «dell’identità turca». In questa tagliola nel 2005 incappò persino Orhan Pamuk, il più grande scrittore turco, l’unico premio Nobel per la letteratura del Paese, colpevole di aver pronunciato la parola proibita in un’intervista a una rivista svizzera.

I 405 deputati invece sono americani e hanno potuto decidere nel relativo agio di una piena democrazia. Nondimeno il pronunciamento è clamoroso e rovescia la lunga abitudine americana di aggirare il problema in omaggio al rapporto strategico con la Turchia, che per decenni è stata un’alleata decisiva, anche in seno alla Nato. Barack Obama aveva promesso di riconoscere il genocidio degli armeni nel 2008, durante la sua prima campagna per la presidenza, ma una volta eletto non aveva dato seguito concreto alle affermazioni di principio. Donald Trump aveva parlato di «atrocità di massa» pochi mesi dopo essersi insediato alla Casa Bianca, nell’aprile del 2017, ma si era ben guardato dall’usare il termine “genocidio”.

Adesso si cambia. E la svolta americana aggiunge un peso enorme alla non foltissima lista (29 Paesi) dei Paesi che hanno invece riconosciuto il genocidio. Lista di cui, accanto a Germania, Francia e Russia, fanno parte anche l’Italia e la Santa Sede, che ha sopportato in tempi recenti i tentativi di intimidazione che i vertici della Turchia di solito riservano a chi non si adegua al loro revisionismo nazionalista. Tipicamente, la convocazione dell’ambasciatore altrui e il ritiro del proprio. Come avviene ora con gli Usa. E come appunto avvenne quando papa Francesco, nel Messaggio agli armeni del 2015, nel centenario appunto del genocidio, citò la Dichiarazione comune di Giovanni Paolo II e del patriarca Karekin II del 2001 per ricordare che l’immenso massacro degli armeni di un secolo prima era «generalmente definito come il primo genocidio del XX secolo».

Una immagine del genocidio armeno dall'archivio Ansa

Una immagine del genocidio armeno dall’archivio Ansa

Piacerebbe a tutti poter credere che i deputati americani abbiano deciso di voltar pagina in seguito a una riflessione storica e morale. Avendo magari ascoltato la voce dei gruppi di pressione armeni che, negli Usa, alternano alla forza dei documenti e delle testimonianze le prese di posizione di stelle e stelline della musica e del cinema. E in parte sarà senz’altro così. È impossibile, però, non scorgere anche la più vasta filigrana politica del pronunciamento parlamentare.

È grande negli Usa, soprattutto negli ambienti diplomatici e militari, lo scontento per le recenti decisioni di Donald J. Trump che, ritirando i soldati dal Nord Est della Siria, ha di fatto “invitato” Recep Tayyip Erdogan ad attaccare i curdi del Rojava. A tali ambienti poco importa che il capo della Casa Bianca abbia altri obiettivi strategici, per esempio contenere l’influenza iraniana, in omaggio ai quali nelle stesse ore ha rinforzato con migliaia di soldati le guarnigioni di stanza in Arabia Saudita. Per molti americani è inaccettabile che siano stati scaricati i curdi, alleato decisivo nella lotta contro il Daesh, e che nello stesso tempo si sia offerta alla Russia di Vladimir Putin l’occasione per espandere ancora il proprio ruolo in Medio Oriente.

Non a caso, le risoluzioni parlamentari sono state in realtà due. Quella sul genocidio e quella in cui, con un consenso di pochissimo inferiore, si chiede all’Amministrazione di adottare sanzioni punitive nei confronti dei dirigenti turchi. Il tutto alla vigilia della visita di Stato di Erdogan a Washington che era prevista per il 13 novembre ma che ora, a giudicare dalla reazione dello stesso Erdogan («Non ho ancora deciso») e del suo ministro degli Esteri Cavusoglu («Una decisione insignificante»), pare fortemente a rischio. Per ‘The Donald’, che dopo l’attacco turco aveva varato un pacchetto di flebili sanzioni quasi subito ritirate, è un momento di grande imbarazzo.

Pare evidente, infatti, che i fatti siriani delle ultime settimane siano il frutto di una triangolazione Usa-Russia-Turchia che la Casa Bianca è sola a difendere. Ora Trump deve scegliere tra la critica del Congresso che per di più sta per decidere l’apertura della procedura di impeachment e l’ira di Erdogan, mentre già sfuma tra le polemiche l’effetto da campagna elettorale dell’eliminazione di al-Baghdadi. Anche questa, con ogni probabilità, frutto della triangolazione di cui sopra, che gran parte dell’America non riesce proprio a digerire.


Usa riconosce genocidio armeno, Ankara: “Tentativo di ricattare la Turchia” (La Repubblica 31.10.19)

ANKARA – Il parlamento turco ha votato questa mattina una risoluzione in cui definisce “un tentativo di ricattare la Turchia” il testo approvato dalla Camera Usa, che ha riconosciuto come “genocidio” il massacro degli armeni del 1915. “Il parlamento turco condanna e non riconosce l’adozione da parte della Camera dei rappresentanti americana di un documento in cui si aderisce alla teoria del genocidio armeno. Una decisione che getta ombre su verità storiche e va a discapito dei membri del congresso che hanno mostrato saggezza e coscienza”. Queste le parole della risoluzione, firmata da quattro dei cinque partiti che siedono nel Parlamento turco: oltre al partito di governo Akp e agli alleati nazionalisti del Mhp, il documento è stato votato anche dai rappresentanti dell’opposizione del partito repubblicano, Chp, e dell’altro partito nazionalista, Iyi parti. Npon ha votato la risoluzione il Partito democratico dei Popoli, forza di sinistra e filo-curda.

La Camera dei rappresentanti Usa ha votato ieri a larghissima maggioranza a favore di due risoluzioni. La prima riconosce come “genocidio” il massacro della popolazione armena in Turchia negli anni compresi tra il 1915 e il 1916 ad opera dell’impero ottomano; tragici fatti di cui Ankara ha ammesso la veridicità definendolo “un fatto tragico”, ma su cui si rifiuta di usare la parola genocidio. Ci furono almeno 1,5 milioni di morti.

La seconda risoluzione contiene la proposta di sanzioni alla Turchia in seguito all’intervento militare nel nord-est della Siria e  arriva dopo che il 17 ottobre la Casa Bianca aveva annunciato che tutte le sanzioni in corso nei confronti della Turchia sarebbero state abolite.