Armenia-Azerbaijan, venti di guerra (Osservatorio Balcani e Caucaso 21.07.20)

Un anno e mezzo dopo il cessate il fuoco Azerbaijan e Armenia hanno ripreso il conflitto armato. Secondo gli esperti si tratta della peggiore escalation di sempre. Gli appelli internazionali rimangono inascoltati mentre le parti in conflitto si accusano reciprocamente

21/07/2020 –  Arzu Geybullayeva

Diciotto mesi dopo l’accordo sul processo di pace, Azerbaijan e Armenia hanno fatto un passo indietro con rinnovati scontri in prima linea a partire da domenica 12 luglio. Mentre i due paesi si accusano reciprocamente di aver iniziato le ostilità e di bombardare le aree civili, le perdite da entrambe le parti continuano a crescere e le richieste da parte della comunità internazionale rimangono inascoltate. Sono gli scontri peggiori di sempre, dicono gli esperti.

Gli eventi

Gli scontri sono iniziati il 12 luglio a Tovuz [in azero, Tavush in armeno], al confine tra Armenia e Azerbaijan, territorio internazionalmente riconosciuto come azero. La posizione è insolita, poiché gli scontri si accendono di solito sul territorio contestato del Nagorno Karabakh.

Al momento della stesura dell’articolo, le vittime erano 17: 12 militari e un civile secondo le più recenti dichiarazioni del ministero della Difesa azero, mentre l’Armenia ha dichiarato che quattro dei suoi soldati sono stati uccisi in combattimento. Ciascuna parte accusa l’altra di aver provocato i combattimenti.

Tom de Waal, ricercatore senior di Carnegie Europe e autore del libro “Il giardino nero” sulla storia del conflitto del Karabakh, ha scritto  su Twitter che questi scontri non sono stati accidentali, poiché “le violazioni del cessate il fuoco sono una decisione politica”. Da lungo tempo osservatore dei conflitti, De Waal non ha escluso le frustrazioni accumulate dalla parte azera, aggiungendo che “[l’Azerbaijan] è frustrato dalla mancanza di progressi politici dal 2018” e quindi ha  “maggiore interesse” [a iniziare lo scontro].

Frustrazione per il processo di pace è stata espressa  dal presidente Ilham Aliyev all’inizio di questo mese, durante un’intervista  con i media locali all’apertura di una clinica. “Oggi i negoziati non sono realmente in corso. Le videochiamate tra i ministeri degli Esteri non contano”, ha dichiarato Aliyev durante l’intervista. Il presidente ha anche aggiunto che non ha intenzione di rimanere in trattative di pace per inerzia.

Il 16 luglio, il ministro degli Esteri azero Elmar Mammadyarov è stato rimosso  e sostituito dall’attuale ministro della Pubblica Istruzione. La decisione è arrivata dopo l’incontro di Aliyev con il suo consiglio dei ministri, dove ha mortificato  l’ex ministro degli Esteri per la sua assenza dall’ufficio il 12 luglio, quando sono iniziati i combattimenti. Vale però la pena notare che Mammadyarov, come tutti gli altri membri del gabinetto nominato da Aliyev, si limita a mettere in atto politiche e decisioni approvate dal presidente.

La risposta internazionale

Durante l’intervista, Aliyev si è anche scagliato contro i copresidenti del gruppo di Minsk [un organo diplomatico guidato da Stati Uniti, Francia e Russia] e la loro inefficacia nel processo di negoziazione negli ultimi decenni. “Dal gruppo di Minsk ci aspettiamo dichiarazioni diverse. Quando il primo ministro armeno dice che il Karabakh appartiene all’Armenia, perché il gruppo di Minsk tace? Perché non dice che questa affermazione va contro l’essenza di questi colloqui?”, ha detto Aliyev.

Nel frattempo, i copresidenti  “hanno esortato le parti ad astenersi dall’esacerbare la retorica”, sottolineando “la necessità di creare un’atmosfera favorevole al ripristino del processo di pace”. L’UE ha inoltre esortato  entrambe le parti a “fermare lo scontro armato” e il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha chiesto  la “fine immediata dei combattimenti” e “provvedimenti immediati per disinnescare la situazione”.

Queste dichiarazioni potrebbero rimanere inascoltate, specialmente perché circa 30.000 persone si sono radunate  in piazza della Libertà a Baku nella notte del 14 luglio, gridando slogan a sostegno della guerra, dell’esercito e del presidente e chiedendo ulteriori azioni in prima linea. La manifestazione improvvisata è stata in parte causata dalla notizia della morte del generale Polad Hashimov, molto stimato e anche primo ufficiale di alto livello ad essere ucciso dal cessate il fuoco. Diverse migliaia di persone hanno aspettato che il corpo di Hashimov arrivasse nella vicina città di Sumgayit.

Alla fine, dopo che un gruppo di manifestanti ha ripetutamente attaccato l’edificio del parlamento, la polizia è intervenuta con gas lacrimogeni e manganelli.

Nel frattempo, dopo una breve pausa, i combattimenti sono ripresi il 16 luglio.

I vicini

L’Iran ha espresso interesse ad assumere un ruolo nel processo negoziale. Secondo quanto riferito  , il ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif ha sentito telefonicamente le sue controparti per incoraggiare i due paesi a esercitare moderazione e avviare negoziati. La Turchia ha espresso pieno sostegno per l’Azerbaijan. Il 16 luglio, il presidente turco Erdoğan ha dichiarato  che si è trattato di un “attacco deliberato contro l’Azerbaijan” e non solo di “una violazione delle frontiere”, mentre il ministro della Difesa ha dichiarato che l’Armenia avrebbe pagato care le sue azioni. Secondo gli esperti, la probabilità che la Turchia intervenga militarmente è bassa  . L’Azerbaijan è alla ricerca di riconoscimento e sostegno, cose che la Turchia offre abbondantemente.

Anche il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha fatto appello alle sue controparti per incoraggiare entrambi i governi a chiedere un cessate il fuoco. Tuttavia, Lavrov potrebbe dover programmare un’altra chiamata per aggiornare la sua controparte azera appena nominata sui dettagli degli ultimi 14 anni di trattative.

Alcuni analisti affermano  che potrebbero esserci in gioco  interessi politici più ampi. La regione di Tovuz si trova vicino al gasdotto del Caucaso meridionale, che convoglia il gas naturale dall’Azerbaijan al gasdotto TANAP della Turchia. Da anni ormai la Turchia cerca di ridurre la propria dipendenza energetica dalla Russia e diversificare le proprie risorse, nonché di abbassare i costi. L’anno prossimo scadrà l’accordo di 25 anni che obbligava la Turchia a comprare il gas russo, e le possibilità che la Turchia lo rinnovi sono scarse. Sul piatto ci sono anche la centrale nucleare che la Russia sta costruendo in Turchia, il conflitto in Siria e, naturalmente, il grande afflusso di turisti russi che arrivano in Turchia. Solo l’anno scorso, il numero dei turisti russi in Turchia ha raggiunto  i sette milioni.

Un breve cessate il fuoco, prospettive di pace ancora più sottili

Nel 2018, quando l’attuale primo ministro armeno Nikol Pashinyan è salito al potere, era apparso un barlume di speranza per il futuro del Nagorno Karabakh e dei territori occupati. Nel suo articolo  di ottobre 2019, Tom de Waal scriveva che, all’epoca, il livello dei combattimenti violenti era crollato, era stata istituita una linea per lo scambio di informazioni ed era stato raggiunto un accordo per fermare il fuoco lungo il confine riconosciuto a livello internazionale, al fine di consentire ai residenti dei villaggi lungo la linea di contatto di riprendere una vita pacifica su entrambi i lati.

Eppure, questo non è bastato. “Se non ci sarà presto più sostanza da discutere nei negoziati […] l’Azerbaijan potrebbe presto dichiarare che la sua pazienza si sta esaurendo”, che è ciò che stiamo vedendo ora, poiché la situazione è degenerata e la mancanza di fiducia nel gruppo di Minsk è tornata a farsi sentire. Ora è il momento per i copresidenti di assumere un ruolo proattivo, ma potrebbe essere troppo poco e troppo tardi.

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