Armenia: tra rivoluzione di velluto e limiti da non superare (Lindro 03.10.18)

L’ Armenia è un piccolo Stato del Caucaso meridionale, invaso dalle truppe bolsceviche ed inglobato nell’Unione Sovietica nei primi anni venti, è divenuto indipendente nel 1991, dopo la dissoluzione dell’impero sovietico. Poco meno di tre milioni i residenti nel Paese e molti altri gli armeni della diaspora o semplicemente migranti economici: in Russia, negli Stati Uniti, ma anche in Ucraina e in Francia.

Nel mese di aprile una serie di proteste per le strade della capitale Yerevan e nelle principali città armene ha spinto alle dimissione il primo ministro Serzh Sargsyan, sostituito qualche giorno dopo da Nikol Pashinyan. Una piccola rivoluzione, non violenta, definita di velluto, che potrebbe in realtà non avere alcuna conseguenza e non produrre alcun cambiamento, ma che ha creato più di qualche turbamento nell’area, in quanto ha mostrato che anche un uomo di potere come Sargsyan può essere allontanato da movimenti di piazza, quando il bicchiere è colmo.

Sargsyan è stato il Presidente della Repubblica di Armenia per due mandati, dal 2008 al 2018. L’Armenia era allora una repubblica semipresidenziale, con poteri largamente nelle mani del Presidente, eletto direttamente dal popolo per un massimo di due mandati.

Pashinian è un ex giornalista ed editore, vicino politicamente per un certo periodo all’ex presidente Levon Ter-Petrosyan, fu condannato a sette anni di prigione perché accusato di essere tra gli organizzatori delle proteste che seguirono le elezione presidenziali del 2008. Rilasciato nel 2011, dopo un’amnistia, divenne parlamentare nel 2012.

Tra la prima elezione di Sargsyan nel 2008 e l’assegnazione della carica di primo ministro, nel 2018, a Pashinyan corrono dieci anni ed importanti cambiamenti: l’Armenia, assecondando i desideri di Mosca, entra nel 2015 nell’Unione economica eurasiatica e contemporaneamente, dopo un referendum costituzionale, si trasforma da repubblica semipresidenziale in repubblica parlamentare, con passaggio di poteri dal presidente al primo ministro e primo ministro, appena qualche giorno dopo la fine del mandato presidenziale, viene eletto proprio Serzh Sargsyan. Le opposizioni non ci stanno e cominciano le proteste di piazza che si concludono con le dimissioni di Sargsyan e la nomina di Pashinyan e con l’apparente, inusuale, disinteresse di Mosca per le vicende.

In realtà, Pashinian non sarebbe mai divenuto primo ministro se la Russia non avesse avuto rassicurazioni che non ci sarebbe stati cambiamenti radicali e che l’asse non si sarebbe spostato verso l’Unione Europea. Già a maggio, infatti, nel corso del primo incontro ufficiale a Mosca, Pashinyan si era affrettato a precisare ai giornalisti presenti che «le relazioni strategiche tra Armenia e Russia non richiedono discussioni. Penso che nessuno nel nostro paese abbia o possa mettere in dubbio l’importanza strategica delle relazioni armeno-russe». Pashinian ha sicuramente intenzione di continuare a cooperare con la Russia e lo ha ribadito anche nel corso dell’ultimo incontro di settembre, vorrebbe farlo però come partner alla pari e non sarà facilissimo, considerando che in passato governo e potere politico in senso lato a Yerevan hanno sempre agito per compiacere Mosca.

Quasi tutti i Paesi, in passato assoggettati al sistema sovietico, rimangono ancora oggi confinati all’interno di un sistema in cui gli affari privati spesso sono nascosti da ragion di Stato ed in cui la straripante corruzione rende qualsiasi sforzo compiuto verso lo sviluppo economico ed il benessere diffuso, uno sforzo vano. Anche in Armenia, la ragione principale che ha spinto migliaia di cittadini nuovamente in strada, nei mesi passati, è da ricondurre alla dilagante corruzione e all’arroganza della politica. Riuscire a far emergere il meglio della società armena, lottare contro la corruzione e le oligarchie senza tagliare i legami con Mosca sarà abbastanza complicato. Il primo caso che ha creato qualche frizione tra Mosca e il nuovo potere di Yerevan riguarda l’ex Presidente Robert Kocharian e l’ex vice ministro della Difesa Yuri Khachaturov, arrestati perché accusati di aver violato l’ordine costituzionale in occasione della repressione seguita alle proteste dopo le elezione del 2008 e che costò la vita a 10 manifestanti: sia il Presidente russo che il Ministro degli esteri Lavrov hanno infatti sollevato la questione, anche se con toni e modalità differenti, lasciando trapelare preoccupazione per la campagna anticorruzione che ha toccato gli ex leader politici.

Le relazioni tra Armenia e Russia sono sicuramente rilevanti, ma il legame con Mosca va ben oltre gli aspetti puramente economici. E’ sicuramente vero che l’Armenia esporta il 19 per cento dei propri prodotti in Russia, ma è anche vero che l’intera Unione Europea ne importa più del 25 per cento e il solo Canada il 12 per cento. E’ vero altresì che l’Armenia dipende dalla Russia per questione energetiche, aspetto del resto evidenziato dal Presidente russo anche nel corso dell’ultimo incontro di qualche giorno fa con Pashinian, quando ha sottolineato che se l’Armenia si approvvigiona di gas naturale a prezzi stracciati, lo deve proprio alla vicinanza a Mosca. Ma la Russia non è solo un importante partner economico, Mosca fino ad ora è stato un alleato di Yerevan, nel verso senso della parola. L’Armenia ha infatti un altro piccolo problema, si chiama Nagorno Karabakh, la regione a maggioranza armena assegnata negli anni ’20 da Stalin all’Azerbaijan. Subito dopo il crollo dell’impero sovietico, il Nagorno Karabakh dichiarò l’indipendenza  e la violenta reazione degli azeri diede avvio alla guerra che si concluse con un accordo nel 1994, dopo una lunga lista di violenze, morti, rifugiati ed operazioni con un forte tanfo di pulizia etnica da entrambe le parti. L’Armenia aveva conquistato circa il 10% di territorio azero, che non ha mai voluto restituire, nonostante le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, tutte rimaste inascoltate e che richiedevano «il ritiro dei soldati armeni dalle aree occupate appartenenti all’Azerbaijan». Nella complicata vicende del Nagorno Karabakh, l’appoggio russo e’ sempre stato fondamentale per l’Armenia ed oggi, i diecimila soldati russi, distaccati presso la base militare di Gyumri, sono un modo per la Russia per controllare i propri interessi nella regione, ma sicuramente un solido appoggio all’Armenia ed un deterrente per eventuali decisioni non concordate degli ingombranti vicini, Azerbaijan e Turchia.

L’ Armenia sa bene che se riesce a mantenere le posizioni e non ha mai ceduto il territorio conquistato lo deve soprattutto alla Russia ed i politici armeni sono ben consci del fatto che basta poco perché l’ago della bilancia si sposti da una parte piuttosto che dall’altra: un paio di anni fa la vendita di armi russe all’Azerbaijan ha fatto squillare qualche campanellino, con la conseguente, inusuale, contestazione del ministro degli esteri Sergey Lavrov in visita nel Paese.

L’appoggio russo  e’ sempre stato importante per l’Armenia, la rivoluzione di Pashinyan è assolutamente ‘incolore’ e la vicinanza al Cremlino, sia da parte del governo che della maggioranza degli armeni non e’ in dubbio, del resto i diecimila soldati russi della base di Gyumri sono un ottimo deterrente e non solo per le mire degli ingombranti vicini.

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