#ArtsakhBlockade Holodomor di serie B. Cari senatori, in Artsakh la fame uccide come in Ucraina novant’anni fa (Korazym 12.09.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 12.09.2023 – Renato Farina] – Ho fatto un sogno tremendo. Mi sono ritrovato in un’isba ucraina in pieno Holodomor. Non fingete di non sapere che cosa sia. Nel biennio 1932-1933 tre quattro cinque milioni di famiglie contadine morirono per fame (questo etimologicamente significa la parola). Fu una carestia terroristica. Stalin impose la collettivizzazione, non fu una decisione economica: collettivizzò per volontà politica la fame e la morte dei kulaki.

Prima la Camera e poi il Senato il 26 luglio hanno approvato la mozione “90 anni dopo l’Holodomor: riconoscere l’uccisione di massa per fame come genocidio”. Giustissimo. Ma come fanno i senatori italiani a non riconoscere invece il genocidio armeno ad opera dei giovani turchi nel 1915? Sarebbe drammaticamente essenziale per impedire che il genocidio si ripeta contro i miei fratelli Armeni che in 120 mila sono stritolati dall’assedio nell’Artsakh (Nagorno-Karabakh), circondati da ogni parte da soldati e “attivisti” Azerbajgiani che bloccano l’unica via che li collega alla Repubblica di Armena.

Mi chiedo: perché questo doppio standard? Questa inerzia oscena, in aggiunta alla vendita di aerei militari italiani al regime di Ilham Aliyev, credo che renda attuale quello che in Napoli milionaria di Eduardo De Filippo, Gennarello, tornato dalla guerra e accolto dai parenti e a dagli amici che non vogliono sentir parlare delle stragi con l’invito a tacere, commentò: «Certe cose si pagano».

Il Parlamento ha chiesto che il genocidio dei kulaki sia riconosciuto, ma continua l’inerzia oscena sull’assedio dell’enclave armena, in aggiunta alla vendita di aerei militari al regime azero.

Un’infamia che si ripete

Davvero si vuole accettare che si ripeta – anche se sappiamo tutto, e persino l’ONU lo sa e condanna sterilmente – l’infamia che inesorabilmente di nuovo si affaccia dalle mie parti, a pochi chilometri da dove guizzano le trote come principesse argentee nel lago di Sevan, lungo la via carovaniera del Caucaso meridionale, tra monti che rilucono di bellezza e di fede? (Sì, esistono ancora in certi posti maledetti dalla persecuzione e benedetti dal martirio le testimonianze di santi bambini e madri sante; come martiri furono nel 1915 il milione e mezzo di Armeni sotto il giogo ottomano, e i contadini Ucraini annichiliti dall’inedia dopo aver rosicchiato le icone).

Il sottoscritto Molokano, al tempo in cui militava come Italiano, ma spiritualmente Armeno, nell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, propose due emendamenti alla risoluzione che riconosceva l’orrore di quella carestia. Era il 2010, e ne discussi con Sergej Markov, Vicerettore dell’Università di San Pietroburgo e ideologo di Putin, un uomo ragionevole. La versione ufficiale traduceva “kulaki” con “contadini ricchi”: io proposi contadini e basta. Ricchi di che? Quella era la giustificazione ideologica che mosse gli “attivisti” a partecipare all’assassinio, togliendo gli ultimi chicchi di grano dal pugno stretto di madri che vedevano i loro piccini senza più la forza di sbattere le ciglia. Markov fece votare i Russi a favore dell’emendamento. Il termine “carestia terroristica” invece lo ritenne un insulto alla Russia e la sinistra europea, per difendere non la Russia ma l’utopia assassina del comunismo, rise. Allora nessuno potè introdurre il termine genocidio. E neppure nel titolo si parlava di Ucraina, ma di ex URSS.

Per il bene dell’umanità?

Il mio intervento fu una richiesta di perdono agli Ucraini a nome del popolo italiano. Stupii l’assemblea. Il motivo? Lo dissi. Il Console italiano a Kharkiv, Kiev e Odessa, il Triestino Sergio Gradenigo, fascista della prima ora, aveva inviato rapporti terrificanti a Benito Mussolini. Mussolini leggeva ogni corrispondenza dall’URSS. Il Console scrisse di «una carestia organizzata e voluta per dare una lezione al contadino». Mussolini ne approfittò per comprare grano da Mosca, e non protestò per la strage: anzi a settembre volle fosse firmato a Roma il Patto italo-sovietico di «amicizia, non aggressione e neutralità». Deputati Ucraini dalla barba incolta da contadini mi cercarono e si misero in ginocchio a ringraziarmi.

Mi fa spavento che l’Italia abbia firmato simili intese con l’Azerbajgian a Baku, che vanno oltre l’amicizia e contemplano «la modernizzazione delle forze armate». Vasilij Grossman in Tutto scorre dedica pagine di indicibile pena e straziata poesia a descrivere le madri che mangiano i figli morti. La morte per fame è la più dolorosa che esista. E gli attivisti comunisti, come gli attivisti ecologisti e nazionalisti Azeri – ahimè sostenuti dai miei fratelli Italiani al governo e al Senato -, erano convinti di essere nel giusto. «È per fare il bene, il bene dell’umanità che hanno ridotto le madri a quel punto» (pagina 151). E voi Italiani per il gas? Certe cose si pagano.

Il Molokano

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di settembre 2023 dell’edizione cartacea del mensile Tempi.

Foto di copertina: il Museo Nazionale del Genocidio dell’Holodomor a Kiev (Foto di Eduard Kryzhanivskyi). Il cibo come arma. L’Holodomor, la carestia artificiale di Mosca che uccise ucciso milioni di ucraini. L’alleato di Mosca nel Caucaso meridionale, Baku, sta usando un’altra volta il cibo come arma, questa volta per annientare il popolo armeno dell’Artsakh in un nuovo genocidio.