Azerbaijan e armeni del Karabakh, negoziati a rischio (Osservatorio Balcani e Caucaso 10.03.23)

In una rara occasione pubblica, il primo marzo si sono incontrati i funzionari dell’Azerbaijan e della regione separatista del Nagorno Karabakh, popolata principalmente da armeni. L’incontro, supervisionato dal maggiore generale Andrey Volkov, comandante del contingente di peacekeeping russo incaricato di far rispettare la dichiarazione di cessate il fuoco del novembre 2020, ha fatto intravedere uno spiraglio nei negoziati.

Inoltre, per la prima volta, Baku aveva designato un rappresentante speciale, il deputato Ramin Mammadov, per parlare con i rappresentanti di quelle che fino a quel momento aveva considerato autorità de facto illegittime e separatiste che si oppongono al potere su quello che la comunità internazionale considera territorio sovrano azerbaijano. Di fronte a lui c’era il segretario de facto alla sicurezza nazionale del Karabakh, Samuel Shamranyan.

“Questa è la prima volta che un rappresentante politico incontra gli armeni del Karabakh”, afferma Ahmad Alili, direttore del Caucasus Policy Analysis Centre (CPAC) con sede a Baku. “Fino a questo momento abbiamo avuto solo momenti in cui gli armeni del Karabakh e [funzionari minori e tecnici] azerbaijani hanno tenuto riunioni su vari argomenti come la gestione dell’acqua, questa volta ci sono i rappresentanti politici”.

Ad accompagnare Mammadov c’erano membri di uno speciale gruppo di monitoraggio incaricato di sondare lo sfruttamento delle risorse naturali dell’Azerbaijan. Questo presunto sfruttamento sarebbe anche la ragione dietro il blocco di fatto dello strategico Corridoio di Lachin, in atto da oltre 87 giorni a causa delle azioni di sedicenti attivisti ambientalisti sostenuti dal governo.

Al momento, il trasporto di aiuti umanitari e medici lungo il percorso è limitato ai veicoli appartenenti al contingente russo di peacekeeping e al Comitato internazionale della Croce Rossa (ICRC). La questione del Corridoio di Lachin ha dominato il recente incontro tra i funzionari azerbaijani e quelli di etnia armena.

Fra le questioni discusse nella riunione del 1° marzo anche la riparazione e il ripristino della fornitura di energia elettrica dall’Armenia al Karabakh e la fornitura ininterrotta di gas naturale che passa anche attraverso il territorio dell’Azerbaijan. Tuttavia, secondo alcuni media, Mammadov avrebbe anche sollevato la questione della reintegrazione della popolazione di etnia armena del Karabakh nell’Azerbaijan vero e proprio.

Le autorità de facto del Karabakh hanno immediatamente smentito tali affermazioni affermando che la delegazione si è rifiutata di discutere la questione con Mammadov e chiede ancora l’indipendenza dall’Azerbaijan. Inoltre, il 7 marzo, la leadership de facto del Karabakh ha persino affermato che Baku avrebbe minacciato “passi più drastici” se tali aspirazioni non fossero abbandonate.

“Voglio affermare ancora una volta che non è solo una decisione del Consiglio di sicurezza, ma la stragrande maggioranza del nostro popolo accetta che non devieremo dal nostro diritto all’indipendenza e all’autodeterminazione”, ha detto Arayik Harutyunyan, presidente del Karabakh non riconosciuto e assediato. “E questo significa che nel prossimo futuro avremo diversi sviluppi e situazioni che dovremo affrontare”.

Né la comunità internazionale né la Repubblica di Armenia sostengono tali richieste: Yerevan si concentra solo sulle garanzie per i diritti e la sicurezza della popolazione etnica armena. Pertanto, Alili ritiene che “l’Azerbaijan voglia cooperare con il Karabakh e Baku voglia mostrare che esiste la possibilità di coesistenza”.

Tuttavia, eventuali speranze che fosse finalmente messo in atto qualche meccanismo di dialogo tangibile tra le parti sono state deluse pochi giorni dopo. Il 5 marzo, due soldati azerbaijani e tre poliziotti armeni sono rimasti uccisi in uno scontro a fuoco scoppiato nella regione separatista. Ciascuna parte incolpa l’altra per quella che è stato il più grave episodio di violenza in Karabakh quest’anno.

L’Azerbaijan sostiene che i poliziotti del Karabakh stavano trasportando armi, mentre la parte armena accusa Baku di aver orchestrato l’incidente, arrivando addirittura a definirlo “terrorismo”. In una dichiarazione del 7 marzo, il ministero della Difesa dell’Azerbaijan ha minacciato di prendere “misure decise e necessarie utilizzando tutte le possibilità per disarmare e neutralizzare uomini armati illegalmente”.

In questa quadro, molti sono ora scettici sulla prospettiva di colloqui tra Baku e Stepanakert, capitale di fatto della regione separatista.

“Questo recente attacco ha decisamente influenzato [i colloqui del primo marzo]”, ha detto a Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa Benyamin Poghosyan, direttore del Centro per gli studi strategici politici ed economici (CPES) con sede a Yerevan. “Non solo l’attacco, ma anche l’ultimatum dell’Azerbaijan di sciogliere la forza di difesa del NK e stabilire un checkpoint su Lachin o altrimenti [affrontare] nuovi attacchi”.

“Credo che questo dimostri che al momento non abbiamo alcuna base per negoziati significativi tra Azerbaijan e NK, quindi non vedo come questi incontri possano continuare”, conclude.

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