Burj Hammoud, il quartiere armeno di Beirut (Osservatorio Balcani e Caucaso 06.08.2020)

Fu fin troppo facile innamorarsi di Beirut, e ancora di più del quartiere di Burj Hammoud: era il 2011, la primavera araba aveva il profumo del gelsomino e anche lo storico quartiere armeno della capitale libanese sembrava fervere di una nuova energia.

La storia di quell’agglomerato, di cui divenni prima un curioso frequentatore e poi un accanito habituè, comincia tragicamente in Turchia un secolo fa, all’indomani del genocidio e dei primi arrivi di profughi nell’accogliente cittadina costiera libanese. Qui gli armeni misero subito radici, creando la più fervente e nutrita comunità in diaspora del Medio Oriente. Molti i fattori che lo permisero, come il pluralismo religioso, la vocazione commerciale della città e la prossimità del porto: circostanza storica, quest’ultima, che ieri ha rumorosamente dato testimonianza di se stessa.

L’onda d’urto che è partita dal molo ha scaricato la sua potenza sulla città partendo proprio dalla contigua Burj Hammoud: la comunità armena oggi piange i suoi morti e i suoi feriti insieme a tutta Beirut, la capitale di cui il nome, se pronunciato, evoca il sogno, la tragedia, l’incubo e la rinascita.

Per approfondire

Nel 2012 Paolo Martino partì da Beirut e attraverso Turchia orientale, Giordania e Siria ha raggiunse Yerevan, capitale della evocata quanto estranea Madre Armenia. Da quel viaggio venne fuori Dal Caucaso a Beirut, un reportage che percorre il cordone ombelicale della diaspora attraverso i luoghi della fuga e dell’esilio. Tre anni dopo Paolo incontrò di nuovo uno dei personaggi del suo reportage e scrisse La sabbia aspra della memoria

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