CALUSO. Dall’Armenia al Canavese, l’incredibile storia della famiglia Abagian (Giornalelavoe.it 24.04.18)

Giorgio Abagian, 74 anni, è un vivaista e floricoltore di Caluso. Il suo cognome è conosciuto in tutto il Canavese grazie alla solida reputazione dell’azienda da lui amministrata, i “Vivai Abagian”. Giorgio ha una storia familiare incredibile: sia il padre Ruben, fondatore dell’azienda, sia la madre Margherita erano armeni, e la loro vita, come scopriamo dal racconto di Giorgio, è strettamente legata al dramma del genocidio armeno, in cui persero la vita 1 milione e mezzo di armeni e che viene ricordato il 24 aprile.

Nonostante fossero entrambi armeni, i genitori di Giorgio si conobbero in Italia. Essi arrivavano da due regioni geografiche diverse: il padre Ruben era un armeno russo, mentre la madre Margherita era un’armena turca. Margherita visse in prima persona, quando era molto piccola, il genocidio e le lunghe “marce della morte” che lo caratterizzarono. Fortunatamente si salvò, e, grazie all’intervento di alcuni soldati statunitensi, poté rifugiarsi prima a Beirut, in Libano, e poi ad Alessandria d’Egitto. Qui rimase in un orfanotrofio fino al 1936, anno in cui emigrò in Italia per sposare il padre di Giorgio Ruben. Ciò avvenne grazie all’intermediazione dello zio di Ruben, un religioso che era a capo dell’orfanotrofio stesso. Questo zio era un prete che, dopo la rivoluzione bolscevica, aveva espresso delle critiche nei confronti del regime, inimicandosi così il governo sovietico. Si trovò costretto a fuggire, e riuscì a farlo grazie all’intermediazione di suo fratello, padre di Ruben e nonno di Giorgio. Come segno di riconoscenza per l’aiuto ricevuto, il prete diede la possibilità a uno dei figli del fratello di andare a studiare all’estero. Fu così che Ruben poté andare a studiare prima dai salesiani a Istanbul, dove rimase fino ai 17 anni, e poi in un seminario a Roma. Nonostante il percorso di studi religioso Ruben non sentiva però una vocazione per diventare prete; abbandonò dunque il seminario, e decise di andare a Torino, città in cui c’era una comunità di orfani armeni. Nel 1929 si spostò da Torino a Caluso, dove cominciò a lavorare duramente con un socio armeno. Nel 1936 venne raggiunto da Margherita: da quel momento i destini della famiglia Abagian rimasero intrecciati a quelli di Caluso. Nessuno in famiglia dimenticò tuttavia le radici armene: Giorgio stesso mostra di essere molto legato alle sue origini, al punto che nel corso della sua vita ha fatto numerosi viaggi fatti in Georgia, Siria e Armenia per andare a trovare i parenti sia paterni sia materni che sono stati rintracciati. Concluso il racconto di Giorgio è inevitabile pensare che la vicenda della sua famiglia sia straordinaria e unica nel nostro territorio. Essa merita di essere raccontata perché ci permette di conoscere più da vicino la storia del genocidio, tragedia di grande importanza storica che tuttavia è ancora poco conosciuta.

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