Cremlino spera che in Armenia “rimarranno ordine e stabilità” (Askanews 24.04.18)

A Erevan prova di unità nell’anniversario del genocidio armeno

Mosca, 24 apr. (askanews) – Il Cremlino spera che in Armenia rimarranno l’ordine e la stabilità. Lo ha detto il segretario stampa presidenziale russo Dmitrij Peskov. “Ci auguriamo che nel paese sarà mantenuto l’ordine, la stabilità, e che al più presto possibile nel prossimo futuro ci sarà una configurazione politica, che sarà il consenso di tutte le forze che rappresentano il popolo armeno”, ha detto Peskov, commentando situazione a Erevan.

All’indomani delle dimissioni di Serzh Sargsyan il Paese ha dato prova di unità nell’anniversario del genocidio armeno: il massacro di 1,5 milioni di armeni sotto l’impero ottomano nel 1915.

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Armenia, dopo giorni di proteste si dimette il primo ministro (Tgcom24.it 24.04.18)

Dopo giorni di proteste, si è dimesso il primo ministro armeno Serzh Sargsyan. I manifestanti lo accusano di aver dato al governo del Paese una svolta autoritaria. Sargsyan è stato presidente per due mandati consecutivi e la legge gli imponeva di ritirarsi, ma era riuscito a farsi rieleggere grazie un referendum promosso da lui stesso. Ora l’Armenia ha detto basta e potrebbero esserci conseguenze nei rapporti con la Russia.

Il referendum Serzh Sargsyan è un volto più che noto agli elettori armeni. E’ ai vertici della politica fin da quando il Paese faceva ancora parte dell’Unione Sovietica. Il suo partito è quello Repubblicano, erede di fatto dell’ex partito comunista. Nel 2008 è stato eletto presidente per la prima volta, quando l’Armenia era ancora una repubblica semi-presidenziale. E’ stato riconfermato 5 anni dopo, raggiungendo così il limite dei due mandati. Ma quando Sargsyan ha sentito odore di ritiro, ha indetto un referendum per trasformare l’Armenia in una repubblica parlamentare e farsi eleggere primo ministro. Ha fatto in modo in sostanza di mantenere nelle sue mani la gran parte del potere politico. Ma i suoi piani non sono stati chiari fin da subito. Aveva promosso le riforme proposte come necessarie a rendere più democratico il Paese e soprattutto aveva assicurato che non si sarebbe candidato di nuovo. Con il 66% dei voti a favore, il partito Repubblicano vinse. Da Aprile sono ufficialmente entrate in vigore le nuove disposizioni, fra cui quella che l’elezione del nuovo presidente spetti al Parlamento, istituzione controllata dai repubblicani. Armen Sarkissian, uomo fedele a Sargsyan, occupa così la poltrona dal 2 marzo. Un mese dopo, Sargsyan si è fatto eleggere primo ministro, tornando al potere fino al 2022.

Le proteste Ma l’Armenia era stanca. Nella capitale, Yerevan, e in altre città importanti del Paese migliaia di persone si sono riversate in strada per dire no a un nuovo mandato di Sargsyan. Le proteste sono state organizzate dal partito di opposizione, che però, va ricordato, aveva in parte votato per l’elezione del leader repubblicano come primo ministro. Chi guida le proteste è invece da Nikol Pashinyan, membro di spicco del Congresso Nazionale Armeno, che già una volta si era opposto allo strapotere di Sargsyan e aveva dovuto scontare due anni di carcere.

Una “rivoluzione di velluto”Pacifiche, organizzate dal basso e che piano piano hanno coinvolto sempre più persone, fino a raggiungere circa 200 soldati appartenenti all’esercito armeno. “Rivoluzione di velluto”, l’ha ribattezzata Pashinyan, anche se i feriti sono stati 46. In questo modo hanno ottenuto il loro scopo. “Mi rivolgo ai cittadini armeni. Nikol Pashinyan aveva ragione. Io avevo torto“,ha detto infine Sargsyan in un comunicato. “Questa situazione richiede soluzioni, ma io non parteciperò. Lascerò l’incarico di primo ministro. Il movimento sceso per le strade è contro di me. Soddisferò le vostre richieste”. I manifestanti hanno accolto l’annuncio con applausi e balli.

I rapporti con la Russia La crisi armena, al di là di una vittoria per la democrazia, rappresenta anche un simbolico allontanamento dalla Russia, alla quale è sempre stata vicina anche dopo la fine dell’Urss. Proprio Sargsyan, ricorda il Post, nel 2013 aveva rifiutato di firmare un accordo di integrazione economica con l’Unione Europea, preferendo rimanere nell’orbita di Vladimir Putin. Ora bisognerà capire come il Paese deciderà di muoversi nei confronti delle due fazioni.


Anche gli Armeni si arrabbiano (il Foglio 24.04.18)

 


Armenia: il futuro dopo le dimissioni del premier (Blastingnews 24.04.18)

Una bella lavata di capo spetta agli osservatori pessimisti del Medio Oriente: il primo ministro Sergh Sargsyan [VIDEO] si è spontaneamente dimesso in seguito alle proteste che lo hanno coinvolto in tutto il paese. Il motivo? Aver ottenuto un secondo mandato, grazie all’approvazione di un referendum, proposto da lui stesso. Scelta politica, questa, che gli ha conferito un’aura di autoritarismo tale da vederlo criticato da tutti gli abitanti armeni.

Una rivoluzione di velluto

L’#Armenia ha dato prova di spirito democratico forte e veloce, in seguito alle concessioni che il premier attribuiva da tempo a sé stesso. A Yerevan, la capitale del paese, sono stati migliaia i cittadini a riunirsi in protesta contro l’eventualità di un secondo mandato.

Le manifestazioni, organizzate perlopiù dal principale partito d’opposizione e sostenute dai più influenti membri del Congresso Nazionale dell’Armenia, sono state un vero e proprio fulmine a ciel sereno per Sargsyan.

Fulmine che, va ricordato, è stato successivamente colto con saggezza. E se è vero che ai giorni nostri sia ancora la prassi vedere la conquista – o riconquista – di un sistema democratico tramite lo spargimento di sangue, esistono sempre eccezioni che, si spera, confermino la regola.

Non è un caso che i media abbiano nominato la situazione armena “rivoluzione di velluto”. Senza alcun tipo di scontro armato, il premier ha annunciato le proprie dimissioni lasciando spazio alle acclamazioni della folla: “Per risolvere la situazione sono necessarie soluzioni. Soluzioni alle quali io non prenderò parte.

Cosa accadrà ora?

Così come ogni rivoluzione – pacifica o meno -, la transizione di governo che segue lo stallo iniziale sarà una fase delicata per il popolo e per la stessa nazione. Non serve certo citare esempi di stati abbandonati a sé stessi in seguito al rovesciamento di un regime. Va inoltre tenuto da conto che l’Armenia, schiacciata tra Turchia, Iran e Russia, assume attualmente la forma di uno stato-cuscinetto, che potrebbe rischiare di essere oggetto di mire espansionistiche.

L’interrogativo principale risiede proprio con i rapporti con la Russia, alleata dello stato sin dal crollo del muro di Berlino. Del 2013 è, per esempio, la notizia secondo cui l’ormai ex premier armeno avesse rifiutato di firmare accordi economici con l’Unione Europea, col fine di rimanere sotto l’ala di Putin. I pareri, in una situazione simile, restano in ogni caso poco precisi. Mentre la portavoce del ministero degli esteri russo Maria Zakharova esordisce con: ”Armenia, la Russia è sempre con te [VIDEO]!”, Leonid Kalashnikov del comitato della Duma sostiene di essere “ottimista e fiducioso circa le dimissioni di Sargsyan”.

In ogni caso, la cerchia politica russa si dichiara unanime nel sostenere che non ci saranno interventi interni all’Armenia: la scelta di un nuovo premier dovrà dipendere solo ed unicamente dal popolo. Una scelta saggia, che si spera venire messa realmente in atto da parte di tutte le grandi potenze. #ilSuperuovo