I disegni UE-NATO per l’Armenia di Nikol Pašinjan (L’antidiplomatico 16.12.25)

i Fabrizio Poggi per l’AntiDiplomatico

Significativi rivolgimenti nel Caucaso ex sovietico: dalla forzata capitolazione di Stepanakert, capitale di Artsakh, nel 2023, fino alla firma della “dichiarazione di intenti per la conclusione di un accordo di pace”, sottoscritta lo scorso 8 agosto a Washington dal presidente azero Il’kham Aliev e dal primo ministro armeno Nikol Pašinjan, mallevadore Donald Trump “il pacificatore”, che aveva siglato la svendita armena del Nagorno-Karabakh a Baku. Rivolgimenti che si stanno sempre più rivelando come i passi di un’accelerata penetrazione UE-NATO nella regione. A fare da apripista l’Azerbajdžan, che agisce in tal modo non solo quale anello nelle mire panturchiste di Ankara, ma come punta di lancia nelle pretese occidentali anche verso le ex repubbliche asiatiche dell’URSS, con obiettivo la Cina.

Una delle ultime tappe di questo percorso, come ricorda Ajnur Kurmanov su PolitNavigator, è stata la firma, lo scorso 10 dicembre, nel corso di una riunione del “Partner Capabilities Adaptation Initiative”, di un’intesa per esercitazioni militari congiunte azere-NATO. Ca va sans dire che l’atto viene presentato come un risultato senza precedenti nel raggiungimento della “pace” nella regione transcaucasica: «le esercitazioni pianificate approfondiranno ulteriormente la cooperazione tra Azerbajdžan e NATO, miglioreranno la prontezza operativa dell’esercito azero in linea con gli standard NATO, rafforzeranno la sicurezza collettiva e forniranno un contributo significativo alla pace e alla stabilità nella regione». Come no.

Prima che con i comandi NATO, Baku aveva sottoscritto intese per esercitazioni militari congiunte con la Turchia e lo scorso luglio, a livello di ministeri della difesa, era stato sottoscritto a Istanbul un memorandum su sicurezza militare, supporto logistico e forniture, in particolare, della società “Baykar”.

Ora dunque Baku passa dalle intese bilaterali con la Turchia, alla collaborazione aperta con la NATO, con militari di paesi UE che prenderanno parte a esercitazioni sul territorio azero e con comando e coordinamento di ufficiali di stato maggiore dell’Alleanza atlantica. Non solo: Londra ha revocato l’embargo sulle armi sia all’Armenia che all’Azerbajdžan e la Francia ha migliorato a tal punto le relazioni con Aliev che, nell’ambito di questo piano, si prevede di aprire un centro di addestramento congiunto armeno-azero in Karabakh, per migliorare la cooperazione tra Erevan e Baku, i cui contingenti, dice Kurmanov, saranno ora addestrati insieme per operazioni congiunte contro Russia e Iran.

Anche le specifiche della futura più grande base militare turca vicino a Baku, che diventerà centro di supporto NATO e trampolino per l’espansione in Asia centrale, stanno cambiando: dato che verrà dislocata nei pressi della costa, con ciò verrà cancellata di fatto la Convenzione sullo status del mar Caspio, che vieta la presenza di contingenti militari di altri stati. Inoltre, con l’avvio del “Corridoio Zangezur”, l’inclusione dell’Armenia nel “mondo turco” e lo sviluppo della rotta transcaspica, UE e NATO disporranno ora anche di un ponte geostrategico attraverso il Caspio, verso Kazakhstan e Asia centrale, fino ai confini cinesi; con Baku a fare da grimaldello.

Come membro attivo e di spicco, dice ancora Kurmanov, del blocco politico-militare dell’Organizzazione degli Stati Turchi, in Asia centrale Baku funge ora contemporaneamente da agente turco, agente israeliano e anche da canale diretto per gli interessi di NATO, UE e Gran Bretagna.

In questa cornice si inserisce anche la drastica svolta anti-russa della leadership armena e non a caso è lo stesso presidente turco Erdogan che pare darsi da fare per mantenere in sella il traballante Nikol Pašinjan e, con ciò stesso, integrare l’Armenia nell’orbita turca. Le estese repressioni ai danni della popolazione dell’Artsakh e della chiesa apostolica armena, da parte del governo di Erevan, la campagna sul rifiuto di simboli nazionali, la denazionalizzare della storia patria, sono solo alcuni degli elementi del piano teso a integrare l’Armenia nel “mondo turco”: tutti aspetti su cui converrà soffermarsi più diffusamente in altro momento.

A oggi, l’americana Bloomberg parla di piani di Erdogan in materia di confini, che potrebbero concretizzarsi entro i prossimi sei mesi, proprio alla vigilia delle elezioni parlamentari armene nel 2026: «Una svolta diplomatica con l’Azerbajdžan e la riapertura del confine con la Turchia daranno al Primo ministro armeno Nikol Pašinjan un importante impulso in vista delle elezioni di giugno. Se vincerà, il Presidente azero Il’kham Aliev potrà collaborare con Pašinjan per un accordo di pace». Il processo è stato avviato con l’obiettivo di formare una catena stabile di stati nel Caucaso meridionale, che garantirebbe il successo della politica occidentale.

Qual è il senso di questi passi «apparentemente benevoli da parte della Turchia?» si domanda il politologo Ajk Ajvazjan: «vogliono convincere il popolo armeno che se l’Armenia abbandona l’architettura di sicurezza di cui gode con l’aiuto della Russia, non ci sarà alcuna minaccia. E la Turchia vi contribuirà. Se le autorità armene riusciranno a convincere il popolo di questo, potrebbero ottenere più voti alle elezioni». Di fatto, con l’apertura dei confini, la Turchia acquisirà maggiore influenza sull’economia armena, aumentando la presenza in aree strategicamente significative e spingendo fuori la Russia. Naturalmente, questo ha un obiettivo di vasta portata: preparare il Caucaso meridionale alla guerra con la Russia».

E, infatti, la rottura dei legami con Mosca implicherebbe anche il ritiro della base militare russa di Gjumri, con Il’kham Aliev che parla di «restauro e protezione del patrimonio culturale azero in Armenia» e del ritorno degli azeri a Sjunik, dove la “Trump Route” sarà presto ufficialmente inaugurata. Di contro, nota Ajnur Kurmanov, si tace sul rimpatrio dei rifugiati armeni e sul patrimonio armeno in Karabakh, mentre Erevan potrebbe presto inviare truppe al centro di “addestramento” NATO che vi verrà aperto, per addestramenti insieme a truppe azere.

È così che, nota Elena Ostrjakova, proprio come era accaduto con l’Ucraina, oggi anche all’Armenia viene promessa l’adesione alla UE, come annunciato dal cancelliere tedesco Friedrich Merz a Berlino, in occasione della firma di un accordo strategico con Nikol Pašinjan. «Abbiamo accolto con favore la richiesta di una maggiore integrazione dell’Armenia nella UE. L’Armenia sa che per l’adesione all’UE devono essere soddisfatte numerose condizioni. Se questo percorso proseguirà con l’associazione spetta al Paese stesso deciderlo. L’Azerbajdžan deve farlo, e l’Armenia deve farlo», ha affermato Merz.

Degno compare dei tanti oracoli che affollano i corridoi di Bruxelles, anche Merz si è lanciato nel vaticinio secondo cui Moskva interferirà sicuramente nelle elezioni parlamentari in Armenia del giugno 2026: «È diventata una norma davvero allarmante che le elezioni vengano attaccate dai nemici della democrazia. In particolare, la Russia sta cercando di intimidire gli elettori in Armenia per un eccessivo avvicinamento ai partner occidentali. Sta diffondendo menzogne sugli obiettivi e i valori della UE. Lo sappiamo: disinformazione, sabotaggi, droni. La Russia sta cercando di destabilizzare non solo l’Europa, ma anche l’Armenia attraverso misure ibride», ha affermato Merz, che intanto ha annunciato di voler recarsi a Erevan proprio a maggio 2026, guarda caso un mese prima delle elezioni.

Ecco dunque che i “confini della NATO”, ancora una volta, vengono disegnati non in base alle coordinate geografiche, ma alle categorie politiche di espansione territoriale. Così come si è da tempo usi parlare di una Russia che, a detta di Bruxelles, si starebbe pericolosamente spingendo verso i “confini orientali della NATO”, ecco che ora tali “confini orientali” dell’Alleanza di guerra si allargano fino ad aree che hanno ben poco di “europeista” e ancora meno di “atlantico”.

E al signor Pašinjan, nelle sue peregrinazioni verso le mete turche euro-atlantiche e reggicoda dei disegni espansionistici occidentali, si addicono le parole del Teseida boccaccesco, per cui «piangasi il danno a cui di ciò mal piglia».

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Visto per voi a teatro: “Viaggio in Armenia” di Silvio Castiglioni (SanMarinofixing 15.12.25)

Una guida turistica poetica, ma solo all’apparenza: dentro e dietro al “Viaggio in Armenia” – come del resto anche nei lavori precedenti portati in scena da Silvio Castiglioni – la sensazione è che il primo messaggio che arriva in platea sia solamente la prima statuina di una matrioska: fedele alla sua idea di drammaturgia per il palco – una drammaturgia profonda, che scava per riportare in superficie un messaggio forte -, anche in questo monologo, ospitato il 14 dicembre alle 18 nello spazio di CastOro Teatro (Rimini) e della durata di 55 minuti, il “viaggio” del titolo è un pre-testo per un percorso più verticale.

Il punto di partenza è fissato in una data, 1933, quando Osip Mandel’štam scrisse una poesia conosciuta come “Epigramma a Stalin” in cui lo definì il “montanaro del Cremlino”: poesia che gli costò la vita. La narrazione poi si allarga, come un sasso in uno stagno: Mandel’stam, inviato in Armenia per documentare le strategie del dittatore, si sofferma – come poi avrebbero fatto, anni più tardi, Ryszard Kapuscinski e Paolo Rumiz – sull’antropologia culturale e sociale degli abitanti, persone orgogliose e fiere che soffrono il giogo dell’URSS.

Dalla costruzione dello spettacolo, curata in ogni dettaglio, emerge un elemento totemistico di grande impatto: una teca di vetro, una sorta di prototelevisione, da cui Castiglioni racconta l’anima più sincera e nascosta degli Armeni.

Un lavoro egregio di un testo altrettanto meraviglioso, non semplicemente recitato da Silvio Castiglioni ma “vissuto” sulla pelle (che a un certo punto dello spettacolo si toglie dal viso) con la consapevolezza di una rinnovata attualità del tema e con la necessità, ancora più urgente, di far riscoprire il cuore del teatro: il luogo dello sguardo. Diverso dal luogo del semplice vedere.

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Monsieur Aznavour, storia di un artista tenace e narcisista (Corriere Alpi 15.09.25)

(di Francesco Gallo) (ANSA) – ROMA, 15 DIC – ‘Monsieur Aznavour’ è una biopic nel segno di una tenacia nel rincorrere il successo inarrestabile e senza troppa etica. E questo quasi a riscattare un’adolescenza da figlio di immigrati armeni nella Parigi povera degli anni Trenta e Quaranta occupata dai nazisti. Una città segnata allora dalla guerra, dalla fame e dai primi ingenui tentativi di Aznavour di esibirsi nei café-concert. Una determinazione comunque quella del giovane Aznavour ammirevole, ma che può risultare anche antipatica per il suo narcisismo comportamentale e fisico (usò in anticipo sui tempi una rinoplastica per modificare il suo naso troppo ingombrante). Insomma onore ai registi Mehdi Idir e Grand Corps Malade (nom de plume di Fabien Marsaud) per aver portato avanti una biopic così ruvida e senza sconti sul cantautore e onore anche al protagonista Tahar Rahim, che si è trasformato fisicamente e vocalmente in un Aznavour più che credibile. Presentato fuori concorso al Festival di Cannes 2024 e in sala dal 18 dicembre con Movies Inspired, il film si concentra soprattutto su tre fasi della vita di Aznavour. Si parte dall’infanzia da figlio di immigrati armeni a Parigi e si passa poi alla fase più dura e frustrante, tra la fine degli anni Quaranta e i primi Cinquanta, quando viene percepito come cantante “non adatto”, con una voce sgraziata, troppo nasale, e un fisico lontano dai canoni dell’epoca. In questa seconda fase a salvarlo c’è l’incontro con Édith Piaf che lo prende sotto la sua ala, gli suggerisce la rinoplastica, una disciplina militare e soprattutto lo convince che come cantante “non funziona” ma come autore sì. Infine, per Aznavour c’è l’ultima fase, ovvero il successo internazionale ottenuto negli anni Sessanta, con viaggi in America, concerti all’Olympia e dischi venduti a milioni di copie. E le canzoni del film? Tra i brani ci sono: ‘Sur ma vie’, ovvero uno dei primi riconoscimenti importanti, ‘Je m’voyais déjà’, vale a dire le sue aspettative fallite verso un rapido successo, ‘La Bohème’, che sintetizza la memoria della povertà e dell’arte vissuta come destino e ‘For me formidable’, canzone simbolo del successo internazionale anche sul fronte anglofono. Sulla volontà monstre di questo artista dicono i due registi: “Quando ci si interessa alla carriera di Aznavour, non si può che notare questa straordinaria volontà. Charles era figlio di apolidi, conobbe la povertà, era basso e aveva una voce velata e, nonostante questi handicap, entrò nella storia della canzone francese. Ha saputo – continuano – sfondare le porte chiuse, ignorare le critiche ostili, i commenti razzisti che gli indirizzavano. Sono incredibili ad esempio gli epiteti che gli sono stati dati dalla stampa. Perfino le sue sopracciglia venivano derise!” Infine, ecco alcune frasi dello stesso Aznavour che dicono molto del suo sofferto successo: “Ho passato la mia vita a cercare di piacere. Quando ci sono riuscito, era quasi troppo tardi”. E ancora: “Non ho mai creduto al talento puro. Credo solo nel lavoro” e “Sono diventato famoso tardi, ma avevo già sofferto abbastanza per meritarlo”. (ANSA).

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Cultura: Città dell’uomo, il 19 dicembre incontro a Romans d’Isonzo con mons. Zekiyan (SIR 13.12.25)

“Testimone di speranza fra Oriente e Occidente”: è il titolo dell’incontro promosso dall’associazione Città dell’uomo unitamente all’unità pastorale Magnificat di Romans d’Isonzo che si terrà venerdì 19 dicembre (ore 20.30) a Romans d’Isonzo (Gorizia). Ospite dell’evento mons. Boghos Levon Zekiyan, già arcivescovo degli armeni cattolici di Istanbul. Professore ordinario in quiescenza dell’Università Cà Foscari di Venezia, il presule è presidente dell’Associazione culturale Padus Araxes, studioso e autore di pubblicazioni e traduzioni dalla lingua armena come l’opera su Gregorio di Narek, a cui sta lavorando da qualche anno e di cui è uscito il volume delle Lamentazioni. “Conoscitore di numerose lingue e culture, mons. Zekiyan – spiegano i promotori – rappresenta un ponte fra Oriente ed Occidente nel suo affaccio oltre confini e dimensioni settoriali per approdare ad uno sguardo universale ricco di sapienza, spiritualità e bellezza. Riconoscendosi nell’appartenenza identitaria armena, mons. Zekiyan sintetizza in sé il bagaglio di esperienze e relazioni che lo hanno portato a vivere a stretto contatto con religioni diverse, a mediare con governi e legislazioni dissimili, ad affrontare contesti sociali difformi. Un incontro che apre orizzonti e vuole dispensare semi di speranza in questo nostro mondo che è alla disperata ricerca di senso”.

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Quarto volume della rivista “Armeniaca. International Journal of Armenian Studies”

Si segnala l’uscita del quarto volume della rivista “Armeniaca. International Journal of Armenian Studies”, pubblicato dalle Edizioni Ca’ Foscari di Venezia.
Il volume è liberamente accessibile a questo indirizzo:

Pashinyan chiede una road map congiunta con l’Azerbaigian per risolvere la questione del Karabakh (TRT 12.12.25)

Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha proposto all’Azerbaigian l’adozione di una roadmap congiunta per porre fine alla questione del Nagorno Karabakh.

In una conferenza stampa in Germania, riportata giovedì dall’agenzia statale Armenpress, Pashinyan ha dichiarato: «Rivolgo una proposta diretta all’Azerbaigian: sediamoci al tavolo e definiamo insieme una roadmap su come risolvere questa questione».

Le sue parole giungono in risposta alla dichiarazione rilasciata martedì dal Ministero degli Esteri azero riguardo all’agenda strategica adottata all’inizio del mese dall’Armenia e dall’Unione Europea. Baku aveva criticato il riferimento nel documento agli “armeni del Karabakh sfollati a seguito delle operazioni militari azere”.

L’Azerbaigian aveva inoltre contestato la definizione di questo gruppo come “rifugiati”, descrivendola come «un chiaro esempio di pregiudizio contro l’Azerbaigian».

«Non dobbiamo riavviare il movimento del Karabakh»

Definendo il tema del “ritorno degli armeni nel Karabakh” come una questione delicata, il primo ministro Nikol Pashinyan ha sostenuto che la sua risoluzione significherebbe, nel lungo periodo, «eliminare qualsiasi potenziale situazione di conflitto».

«Ho detto anche alla nostra popolazione del Karabakh che un ritorno non è realistico», ha aggiunto.

Pashinyan ha inoltre affermato: «Se continuiamo a insistere sull’agenda del ritorno, ciò significherebbe riavviare il movimento del Karabakh. Ma io ho detto chiaramente che non dobbiamo riavviare il movimento del Karabakh. Quel movimento è finito, e qualsiasi tentativo di riportarlo in vita è inutile».

Il premier armeno ha poi osservato: «Allo stesso tempo, in Armenia vediamo che l’Azerbaigian continua a usare l’espressione — difficilmente comprensibile — di “Azerbaigian occidentale”».

Baku non ha ancora rilasciato una dichiarazione ufficiale sulla proposta.

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ARMENIA-AZERBAIJAN/ La pace trumpiana crea “nuovi” spazi ma deve tener buona la Russia (Il Sussidiario 11.12.25)

Armenia e Azerbaijan hanno fatto pace grazie all’intervento di Trump. Ora operano gli interessi (anche turchi) per un corridoio commerciale Asia-Europa

Trump fa da paciere tra Armenia e Azerbaijan. E spiana la strada verso l’utilizzo del corridoio di Zangezur, da sempre conteso tra armeni e azeri, come parte di un corridoio più ampio che mette in comunicazione Asia ed Europa e che potrebbe costituire una valida alternativa per le merci che passano dal Mar Nero e dal canale di Suez.

Gli americani, però, osserva Valeria Giannottadirettore scientifico dell’Osservatorio Turchia del CeSPI, sempre più legati ai turchi non solo nella regione mediorientale ma anche nell’Asia centrale, devono stare attenti a non calpestare gli interessi dei russi e non devono perdere d’occhio la Cina, con la quale l’Azerbaijan ha buonissimi rapporti. L’area, insomma, ha equilibri fragili, che forse anche un corridoio commerciale potrebbe contribuire a rafforzare.

Armenia e Azerbaijan sembrano avere imboccato la strada della pace: come si è arrivati a un accordo e quali conseguenze avrà?

Ad agosto di quest’anno l’America si è inserita nelle negoziazioni in corso fra Armenia e Azerbaijan intavolate dopo la guerra del Nagorno Karabakh, fino a firmare un accordo a Washington, presenti Trump, il presidente azero Aliyev e il primo ministro armeno Pashinyan. È stato avviato una specie di meccanismo tripartitico, in cui l’America fa un po’ da ponte, da sponda e da garante. Sono state cancellate le restrizioni da parte americana che gravavano sull’Azerbaijan e il passaggio delle merci cargo tra i territori armeni e azeri è stato liberalizzato. Anche dal punto di vista politico il dialogo non avviene più in zone neutre: l’ultimo incontro, infatti, si è tenuto in Armenia.


Si sta lavorando ancora sull’accordo?

Tra America e Azerbaijan si sono costituiti dei gruppi di lavoro che si incontrano a scadenza regolare e si danno come deadline un periodo di sei mesi: tendono a regolare materie cruciali come possono essere l’energia e i trasporti. Ad oggi il processo di pace sembra proseguire in un nuovo clima, molto più positivo. La vera questione pendente ora è quella della riforma costituzionale da parte dell’Armenia, per cui si andrà a referendum nel 2026, in cui si riconosce il Nagorno Karabakh come azero.

Una delle questioni aperte fra i due Stati è quella del corridoio di Zangezur nella zona dell’enclave armena del Nakhchivan, che si trova tra Azerbaijan e Turchia. Su questo gli americani stanno trattando con gli armeni con l’impegno di tenere informati gli azeri. Perché questo corridoio è così importante?

Accordo Armenia-Azerbaijan
Pace tra Armenia-Azerbaijan: il premier Nikol Pashinyan con il presidente Ilham Aliyev ad Abu Dhabi (ANSA-EPA 2025)

A parte i malumori da parte armena per la denominazione del corridoio (Zangezur) perché è un nome tendenzialmente azero, si tratta di un passaggio funzionale a tutta la linea logistica Est-Ovest, cruciale anche per la Turchia, l’Europa e gli Stati Uniti. Siamo in un contesto in cui l’Azerbaijan è riconosciuto come attore chiave nella regione: è negoziatore tra Israele e Siria e punto di riferimento per USA ed Europa, non solo per quanto riguarda la questione energetica, ma soprattutto come attore di stabilizzazione. D’altra parte, è forse l’unico Paese del Mediterraneo allargato che non è circondato da sacche di tensione.

Ma i rapporti tra Armenia e Azerbaijan sono davvero cambiati?

Gli azeri hanno appena organizzato a Vienna la conferenza sugli studi dell’Azerbaijan alla quale per la prima volta c’erano anche esponenti armeni, studiosi e giornalisti: è la cartina al tornasole del cambio di approccio.

Quali sono i piani per il corridoio di Zangezur?

È parte importante del Middle Corridor, che passa dal Nakhchivan, si unisce alla Turchia e arriva in Azerbaijan e Asia centrale ed è un corridoio multimodale, con autostrade, porti e ferrovie per connettere tutti i Paesi dell’Asia centrale con l’Europa. Una via commerciale sulla quale, tenendo conto dei conflitti in corso, si sta investendo come alternativa al Mar Nero e al canale di Suez. Già ora in questa zona ci sono opere che sono un punto di riferimento: la linea ferroviaria tra Azerbaijan, Turchia e Georgia e a livello energetico il Southern Corridor, che passa sempre da Azerbaijan e Turchia. Il progetto del Middle Corridor, però, riguarda tanti Paesi: bisognerà uniformare gli investimenti nelle infrastrutture.

Questo progetto conferma l’asse Turchia-USA nel Medio Oriente? E la Russia, tradizionale alleato dell’Armenia, che ruolo ha: passa in secondo piano?

L’asse Turchia-USA si conferma anche con il nuovo asse tra Azerbaijan e Stati Uniti. La Turchia è unita storicamente all’Azerbaijan, tanto è vero che si definiscono una nazione con due Stati diversi. La Russia potrebbe costituire un problema se, vedendo che perde margini di influenza, non le viene dato nulla in cambio. Bisogna cercare di non contrariarla, soprattutto in relazione a quella fascia di Paesi come Uzbekistan, Kazakistan, Tajikistan, che gravitavano sotto l’Unione Sovietica.

Tra russi e americani, però, in questo momento sembrano esserci buoni rapporti: Washington ne terrà conto anche nella gestione del dossier Armenia-Azerbaijan?

Credo di sì. Se leggiamo il nuovo rapporto sulla sicurezza nazionale degli Stati Uniti vediamo che la Russia non è più considerata un nemico. Il grande problema di Mosca è lo stesso che per certi versi ha portato al conflitto con l’Ucraina: non vuole noie in quelle che considera le proprie sfere di influenza. Insomma, siamo in uno scacchiere in cui l’equilibrio di potere deve essere mantenuto il più possibile. In questo contesto, comunque, c’è da tenere conto anche della Cina, con la quale l’Azerbaijan ha rapporti ottimi. Ci sono delle convergenze ma anche degli equilibri molto fragili. Penso, tuttavia, che la Russia non abbia interesse a rovinare i piani degli altri se gli altri non rovinano i suoi.

(Paolo Rossetti)

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“I baroni di Aleppo”: a Salerno la storia di una famiglia armena e del celebre hotel (SalernoToday 10.12.25)

A Salerno si tiene la presentazione del libro I baroni di Aleppo (Marlin editore), scritto dai giornalisti Flavia Amabile e Marco Tosatti. L’evento è in programma giovedì 11 dicembre alle ore 19.30 presso la Libreria Imagine’s Book, situata in Corso Garibaldi 142. Durante l’incontro, l’autrice dialogherà con il giornalista e scrittore Paolo Romano.

Il libro

Il volume ripercorre la storia del Medio Oriente dall’inizio del Novecento fino ai giorni nostri, filtrata attraverso le vicende della famiglia armena Mazloumian. La narrazione prende avvio in Anatolia nella seconda metà dell’Ottocento, quando i protagonisti sono costretti a lasciare la propria terra per sfuggire al genocidio armeno e rifugiarsi ad Aleppo. Qui, nel 1911, il patriarca Krikor fonda il Baron’s, destinato a diventare il primo albergo della regione. La struttura assume presto un ruolo centrale, complice l’arrivo del treno Orient-Express l’anno successivo, trasformandosi in un punto di riferimento strategico. Tra gli episodi storici riportati nel testo figurano il passaggio di Agatha Christie, che sulla terrazza dell’hotel scrisse Assassinio sull’Orient Express, e il ruolo dell’albergo durante la prima guerra mondiale come nascondiglio per le prove del genocidio armeno. Il libro analizza infine il declino della struttura, iniziato dopo la seconda guerra mondiale con la fine del mandato francese e proseguito con la nazionalizzazione in seguito al colpo di stato siriano del 1966, fino agli sforzi dell’ultimo erede, Armen, per mantenere l’attività durante la guerra civile scoppiata nel 2012.


“I baroni di Aleppo”: a Salerno la storia di una famiglia armena e del celebre hotel
https://www.salernotoday.it/eventi/cultura/baroni-aleppo-amabile-imagines-book-corso-garibaldi.html
© SalernoToday

Un ponte di pace e vicinanza tra popoli, Seborga accende “L’albero della solidarietà Italia-Armenia” (SanremoNews 09.12.25)

Un albero della solidarietà è stato posizionato e acceso in piazza Martiri della Libertà a Seborga in occasione delle festività natalizie con l’intento di creare un ponte di pace e vicinanza tra Italia e Armenia.

Alto undici metri è stato decorato con luci solari e con palline trasparenti che contengono i disegni dei bambini del comprensorio scolastico ligure e degli armeni rifugiati, che sono stati costretti a lasciare le proprie case durante l’attacco dell’Azerbaijan. L’albero rappresenta i colori della bandiera dell’Armenia e parla di solidarietà, di bambini che hanno perso tutto e di altri bambini che decidono di non lasciarli soli. L’iniziativa, realizzata dalle scuole del territorio, come l’Istituto Comprensivo di Vallecrosia e della val Verbone (San Biagio, Perinaldo, Soldano) e dei bambini di Seborga, insieme a LumiBear S.R.L., Pro Seborga, gli Scout di Taggia, la Regione Liguria e in collaborazione con l’UNHCR Armenia e l’Ambasciata Italiana a Yerevan, rappresenta perciò un simbolo potente di vicinanza tra popoli. Un modo per sostenere i bambini e le famiglie armene rifugiate che hanno perso case e villaggi e creare un ponte di pace dalla Liguria a Yerevan.

All’inaugurazione erano presenti The Scouts del comprensorio, l’arpa celtica con Monica Zantedeschi, i bambini che hanno cantato insieme creando un’atmosfera magica e intensa, la principessa Nina, il consigliere regionale Veronica Russo e il sindaco di Vallecrosia Fabio Perri. “Ho avuto il piacere di partecipare, in rappresentanza della Regione Liguria, all’inaugurazione dell’Albero di Natale solidale Italia–Armenia, un progetto ricco di significato che unisce la nostra Riviera ai bambini rifugiati armeni attraverso il linguaggio universale della creatività” – afferma il consigliere regionale Veronica Russo – È un’iniziativa che ho seguito fin dalla sua nascita, passo dopo passo, vedendola crescere fino a diventare un simbolo concreto di solidarietà e collaborazione tra comunità lontane ma profondamente vicine nei valori. Un grazie speciale a Flavio Gorni e a LumiBear S.R.L. per aver dato vita a questo progetto ma soprattutto ai bambini dell’Istituto Comprensivo di Vallecrosia, che con le loro palline decorate hanno portato sull’albero colore, speranza e un messaggio che va ben oltre i confini geografici”.

L’albero si potrà ammirare fino al 6 gennaio e poi verrà ripiantato in un luogo privato dove potrà continuare a vivere. “Ho partecipato con grande piacere all’inaugurazione dell’Albero di Natale solidale Italia–Armenia a Seborga, un progetto che porta con sé un messaggio di pace, condivisione e vicinanza tra comunità diverse. Desidero ringraziare Flavio Gorni e LumiBear S.R.L. per l’invito, ma soprattutto i bambini e gli insegnanti dell’Istituto Comprensivo di Vallecrosia, che hanno contribuito con entusiasmo alla realizzazione delle decorazioni dell’albero” – commenta il sindaco di Vallecrosia Fabio Perri – “Vedere le loro creazioni esposte accanto ai disegni dei bambini rifugiati armeni è stato emozionante e profondamente significativo. Un gesto semplice ma capace di costruire un ponte simbolico tra la nostra città e chi vive situazioni difficili, ricordandoci quanto i più piccoli possano essere ambasciatori naturali di solidarietà”.

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Russia: Merz in Armenia, ‘Mosca non interferisca in elezioni’ (AdnKronos 09.12.25)

Mosca, 9 dic. (Adnkronos/Afp) – il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha messo in guardia da una possibile ingerenza russa nelle elezioni parlamentari armene del prossimo anno, affermando che Mosca sta cercando di impedire legami più stretti tra la nazione caucasica e la Ue. “È diventata una triste normalità che le elezioni vengano attaccate dai nemici della democrazia”, ​​ha affermato Merz in una conferenza stampa a Berlino insieme al suo omologo armeno Nikol Pashinyan, accusando la Russia di “cercare di spaventare gli elettori in Armenia” e di “diffondere falsità sugli obiettivi e i valori dell’Unione Europea” attraverso “disinformazione e sabotaggio”. “Non è solo l’Europa che la Russia sta cercando di destabilizzare con mezzi ibridi, ma anche l’Armenia”, ha aggiunto.