Quando la guerra diventa un’abitudine (La Regione 15.10.24)

Spesso ci si dimentica che l’essere umano è un mammifero, troppo impegnati a discutere sulle distinzioni che ci rendono, erroneamente, superiori agli animali in quanto specie. Bisognerebbe differenziare quello che conosciamo da quello che abbiamo assimilato in quanto, se parliamo dell’etica e del senso di responsabilità, siamo ancora ben lontani dal poterci definire liberi dai comportamenti primitivi e bestiali.

A supporto di quest’opinione ‘Sr’, di Lea Hartlaub (mercoledì 16 ottobre alle 20.45 al cinema Iride), che narra in voce fuori campo avvenimenti umani che hanno come leitmotiv la giraffa, viaggiando attraverso gli archivi e le immagini di paesi sparsi in tutto il mondo. Un documentario caleidoscopico interessante nel suo voler essere contemplativo, ma eccessivamente televisivo e soprattutto prolisso nell’esposizione e nella struttura filmica; talvolta brillano frammenti di quotidianità anche piacevoli e profondi nella loro implicità, ma non bastano a tenere in vita l’interesse dello spettatore, assoggettato a una visione dispersiva e poco convincente.

Intanto, molto lontano, laggiù in quell’area dimenticata tra il Mar Nero e il Mar Caspio, gli animali non esistono, eccezione fatta per qualche uccello che riesce a sorvolare le bombe al fosforo. ‘The Black Garden’, di Alexis Pazoumian, ci costringe a distogliere un attimo lo sguardo e spostarlo verso l’Armenia, in particolare la regione a sud del Nagorno Karabakh, ora Azerbaijan, teatro di una guerra che si protrae da generazioni, dove i cani e i gatti sono sostituiti dalle bombe a mano e i kalašnikov. Abcasia, Ossezia del sud, in Georgia, l’ormai ex Repubblica dell’Artsakh – territorio dove si svolge il film – e persino l’Armenia stessa: questa la lista degli stati a riconoscimento limitato di quel triangolo delle Bermuda di esseri umani, quel giardino nero dove una lunga serie di guerre si è svolta fino a oggi. Avo e Samvel sono due bambini del Nagorno Karabakh, costantemente bombardati da una propaganda bellica che non riescono veramente a comprendere, persino a scuola, dove imparano inni patriottici, a utilizzare fucili e a prendersi cura di loro, come se fossero fedeli animali da compagnia. Altrove, Erik, che ha perso una gamba nell’esplosione di una granata, attende solo il ritorno della sua richiamata alle armi, anche perché a una parte di lui manca il compagno carrarmato, con cui ha passato due anni a difendere i confini dagli attacchi azeri. Un giovane pieno di vita, artigiano che lavora microsculture e cantante in un gruppo popolare, ma quel dolore fantasma gli ricorda costantemente il suo destino: tenersi sempre pronto per combattere e morire nell’eterno conflitto.

‘The Black Garden’ (mercoledì 16 ottobre alle 18 al cinema Iride) è un diario intergenerazionale che riesce a esse drammatico senza essere tragico; ripercorre la lunga serie di eventi scatenanti l’esodo della popolazione presente nella regione del Nagorno Karabakh, solo un anno fa, ma soprattutto che hanno progressivamente normalizzato il conflitto in tutti gli abitanti. Il lato tecnico impeccabile e la capacità di catturare l’apatia e la rassegnazione dei personaggi, si agganciano al senso di impotenza veicolato dal messaggio, portando a chiederci a cosa servono la Nato, l’Onu, l’Oms e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, quando i diritti umani vengono calpestati impunemente, e a quale scopo essere uniti, se non si impiega quella forza per difendere chi viene oppresso.

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Da Yerevan a Zvartnots tour tra luoghi dalla storia millenaria (IlSole24ore 14.10.24)

Ogni angolo del Paese racconta una storia millenaria, offrendo un’esperienza unica tra antichi monasteri, paesaggi spettacolari e una calorosa ospitalità. Parliamo dell’Armenia, una meta facilmente accessibile per i viaggiatori italiani. Grazie ai voli diretti da Milano, Roma e Venezia, si può raggiungere la destinazione in meno di quattro ore, aspetto che la rende ideale per un tour di 4-5 giorni. Questo itinerario propone una visita ai principali siti Unesco e permette di esplorare la straordinaria architettura medievale, le bellezze paesaggistiche e le tradizioni della piccola repubblica caucasica facendo base a Yerevan, la vibrante capitale armena, che funge da porta d’accesso ai siti disseminati sul territorio

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Quando gli arabi furono messi in fuga dalle croci-soldato (Sienapost 14.10.24)

Intorno il Lago Sevan in Armenia resti di civiltà diverse insieme alla rude bellezza della natura

In questo articolo inizio una nuova serie dedicata a luoghi insoliti e affascinanti, lontani dai classici itinerari turistici. Per qualche settimana vi parlerò di mete sorprendenti, immerse nella natura e nella storia, dove il tempo sembra essersi fermato. Senza costruirvi un intero itinerario, per iniziare proverò a raccontarvi in due o tre puntate alcune straordinarie giornate passate in Armenia, girando in maniera brada, come piace a me, lontano dalla folla e inseguendo le emozioni che solo luoghi poco frequentati sanno dare.

Un lago di sorprese: Noraduz e i soldati di pietra

Lasciato il piccolo villaggio di Gyulagarak, ho deciso di fare il giro del lago Sevan. Lo percorrerò partendo dal lato sinistro, venendo da nord, quello non turistico, dove non sono presenti le iconiche chiese da cartolina che hanno reso famosi questi luoghi, e le strade sono forse come cento anni fa.

Inizio il periplo, e sulla punta del bacino, che assomiglia a una grande pera, rimango sconcertato dalla grande quantità di edifici abbandonati. Alcuni, di grandi dimensioni, ricordano le nostre colonie, vagamente in stile razionalista: decine di vuote carcasse di tutte le dimensioni, telai anneriti dal tempo e mangiati dalla vegetazione. Poi tutto sfuma: le case, la strada piena di buche è asfaltata a tratti, come se i luoghi fossero stati abbandonati e dimenticati in un limbo senza tempo.

Voglio vedere il lago da vicino. Dalla strada lo intravedo tra gli alberi, così devio per un viottolo e arrivo fino al margine di una piccola spiaggia. Il blu intenso dell’acqua attrae gli occhi come una calamita. Spengo il motore e ascolto il frangere delle piccole onde.
Non voglio tornare sulla strada. Il GPS segna una piccola traccia e, testardamente, mi metto a cercarla nella bassa vegetazione. Un cancello aperto mi dice che forse sono su una via percorribile.

All’ingresso di una piccola valle, l’erba è così alta che fatico a distinguere il tratturo, immerso com’è in un mare di fieno e fiori colorati. Intorno, per chilometri, non ho incontrato anima viva. La prudenza direbbe di tornare indietro, ma ormai cerco di risalire la collina fino al crinale. Mi fermo sulla sella: la vista del lago dall’alto è magnifica, piccole baie cesellano la costa e il verde dell’erba sfuma nell’acqua trasparente. Il tratturo, ora divenuto ripido, cade giù in picchiata, e i sassi smossi rendono precario l’equilibrio.
Raggiungo nuovamente il margine del lago. Una strada dal fondo sabbioso conduce a un piccolo gruppo di case dai tetti in lamiera. Mi avvicino: devo fare benzina. Il lungo percorso nel parco ha messo in crisi i miei piani, il lato ovest del lago è praticamente disabitato. Un povero negozio si affaccia su una polverosa strada. Chiedo a due vecchi: mi portano sul retro e, a gesti, mi fanno capire che devo aspettare. Un uomo esce dal locale tenendo con una mano due piccoli secchi e nell’altra un grosso imbuto di latta. Inizia il travaso. Ripenso alle parole del nostro noleggiatore: Mi raccomando, solo benzina premium.

Saluto i due vecchi. Mi stringono la mano con una presa forte e ruvida, di chi ha conosciuto solo il duro lavoro dei campi. Li guardo con la coda dell’occhio tornare a sedersi, fermi sotto la grondaia. Sembrano aspettare solo l’ultima fermata della vita.

Attraversando un grumo di case precarie, di un solo piano, l’odore del letame è forte. I contadini lo lasciano essiccare al sole, in uno strato di qualche centimetro, lungo il selciato. Poco più avanti, lo hanno tagliato a quadri e disposto in grosse cataste di brune pagnotte, che ora fiancheggiano la strada. Avevo già visto in India fare lo stesso con gli escrementi di bufalo, che poi venivano bruciati nelle stufe durante l’inverno.

La miseria è sconcertante. Finalmente raggiungo la prima tappa di questa giornata: la piccola chiesa di Makenyats. Sembra abbandonata. Mi avvicino, apro il cancello e le prime khachkar sembrano accogliermi. Un piccolo fiume bagna un lato del cortile, scendendo rumoroso tra i sassi.

Sosto di fronte all’ingresso. Un forte odore di incenso pervade l’aria. Mi affaccio sull’uscio e intravedo un monaco in preghiera. Il tempo sembra fermo da secoli. Qualche candela illumina la scena, un raggio di luce penetra da una finestra rotonda. Il monaco, sentendomi, sembra ridestarsi. Si gira e si avvicina. Mi chiede da dove vengo.

Mi faccio raccontare qualcosa della sua vita: da solo tenta di tenere in piedi questo monastero. Alterna la preghiera ai lavori di muratura e pulizia. Fa anche da giardiniere, tenendo pulito il suolo sacro intorno alla chiesa. Quando non è in giro a consolare le anime, si dedica a tutto ciò. A me sembra un’impresa impossibile, ma la fede, come si dice, muove le montagne. Ha occhi chiari, forti, di qualcuno che ha certa la meta e non si preoccupa dell’energia che dovrà impiegare per raggiungere lo scopo.

Risalgo in moto, sinceramente scosso per la tappa successiva proseguo il cammino verso Noraduz, famoso per il suo cimitero, sul filo di una storia che ho scoperto studiando il percorso. È così curiosa che ve la voglio raccontare.

La leggenda narra di un esercito arabo invasore in avvicinamento al borgo. In vista della collina del cimitero, letteralmente coperta di khachkar, i soldati si arrestarono. In lontananza, scambiarono le brune lapidi immerse nell’erba per un esercito in agguato. Intimoriti, preferirono voltarsi, girare al largo e cambiare direzione. Le mute sentinelle di pietra avevano così salvato il villaggio.

Storia o leggenda, oramai incuriosito, volevo vedere questa distesa di soldati di roccia e verificare il racconto.

Arrivando, il piccolo villaggio rurale appare vuoto, immerso in un mare d’erba inciso solo dalla polverosa strada che, incerta, riparte perdendosi nell’orizzonte.

Khachkar in armeno significa “croce di pietra”. Nel paese se ne vedono ovunque, erette come cippi per commemorare vittorie, amori o per cercare protezione da calamità naturali. Quelle antiche, per la maggior parte, sono realizzate tra il IX e il XVII secolo.
Il Cimitero di Noraduz rappresenta il luogo con la più grande concentrazione di queste steli: all’interno ve ne sono circa mille, grandi, piccole, reclinate, affogate nell’erba tanto da formare un pavimento. La pietra scolpita è bruna, ricoperta di arancioni licheni che saltano fuori come antichi merletti.

Mi aggiro tra le tombe infisse nel prato, condividendo la passeggiata con alcune pecore che brucano, per nulla disturbate dal mio passaggio, cerco di immaginarmi l’esercito in arrivo dalla valle, beh… a me questo sembra un luogo di pace.

Nuovamente mi rimetto in moto, mi lascio alle spalle le iconiche pietre del cimitero . Prima di sera visiterò altre piccole chiese disperse in poveri villaggi, scialuppe di fede in un mare di tempestosa miseria.

PS: Attualmente, dopo la distruzione del cimitero medioevale di Julfa (Nakhchivan) ad opera degli azeri, quello di Noraduz rappresenta la più grande distesa di khachkar. Quale può essere la ragione per cui in un’epoca recente (2006) si distrugga un cimitero medioevale sfugge alla mia comprensione.

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Archeologi scoprono una delle chiese cristiane più antiche del mondo (Greenme 14.10.24)

Un team di archeologi ha portato alla luce una delle chiese cristiane più antiche del mondo in Armenia, risalente al IV secolo d.C.: un ritrovamento che aggiunge un capitolo significativo alla storia del cristianesimo e del Paese

Un team di archeologi ha portato alla luce i resti di una chiesa cristiana del IV secolo, nascosta per secoli sotto la piana dell’Ararat in Armenia. Ma cosa rende questo ritrovamento così straordinario? Questa antica struttura ottagonale, adornata con piastrelle in terracotta e frammenti di marmo, potrebbe riscrivere un capitolo della storia cristiana, facendo luce sulle primissime comunità cristiane in uno dei luoghi di culto più antichi mai rinvenuti. Questa antica struttura offre un nuovo sguardo sulle origini del cristianesimo.

Artaxata: una scoperta nel cuore dell’Armenia

Dal 2018, l’Università di Münster collabora con l’Accademia Nazionale delle Scienze di Armenia per scavi archeologici nella piana dell’Ararat. Solo di recente, però, sono emerse le tracce di questo edificio cristiano, una struttura ottagonale con estensioni a forma di croce. La chiesa, arredata con piastrelle in terracotta e frammenti di marmo mediterraneo, presenta piattaforme in legno datate al IV secolo.

Secondo gli studiosi, questa è la chiesa più antica scoperta in Armenia. Il paese è noto per aver adottato il cristianesimo come religione di stato nel 301 d.C., grazie alla conversione del re Tiridate III per mano di San Gregorio l’Illuminatore, come spiegato dal  Professor Achim Lichtenberger e dal dottor Mkrtich H. Zardaryan:

Edifici ottagonali come questo non erano noti in Armenia, ma risultano comuni nel Mediterraneo orientale del IV secolo. Inoltre, nella chiesa sono stati rinvenuti elementi tipici degli edifici commemorativi cristiani, come piattaforme di legno risalenti alla metà del IV secolo.

Il vicino monastero di Khor Virap ne è testimonianza. Questa struttura apre uno squarcio su un’epoca in cui il cristianesimo muoveva i suoi primi passi nel mondo.

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Archeologia a colpo d’occhio. Cos’è questa struttura appena scoperta. Ha 1700 anni. Rispondono gli archeologi (Stilearte)

ARTUYT lancia PARAJANOV 100, nuova collezione dedicata al regista armeno Sergei Parajanov (Comunicati Stampa 11.10.24)

In occasione della Fashion Week, il Museo Bagatti Valsecchi, luogo ricco di arte e cultura, è stato il palcoscenico ideale per la sfilata della prima Collezione Artuyt Haute Couture Parajanov 100, che rende omaggio al genio Sergei Parajanov nel centenario della sua scomparsa.

FotoLa collezione Spring Summer 2025 si presenta come una fusione poetica di grandezza rinascimentale e minimalismo moderno. Intreccia eleganza senza tempo e innovazione contemporanea, riecheggiando l’opulenza e la raffinatezza del Rinascimento. I 18 look presentati rappresentano un connubio di eleganza, creatività e sartorialità, testimoniano l’impegno di Artuyt nell’haute couture e si distinguono per il design e l’alto livello di artigianalità. Adornati da dettagli lussuosi come perle e catene dorate, i capi evocano un senso di regale raffinatezza. Dedicata a uomini e donne, la collezione offre una miscela armoniosa di stili classici e d’avanguardia, con giacche retrò e gonne ampie e vaporose come messe in scena filmiche del cineasta armeno.

Ogni foulard della nuova collezione è caratterizzato da disegni basati su collage di Parajanov ispirati ai film e alla personalità artistica del regista. I capi sono realizzati con la seta più pregiata per richiamare la passione del regista per la texture, i colori e i dettagli. Parajanov infatti era un alchimista del colore in grado di trasformare la pellicola in un caleidoscopio di emozioni. La sua tavolozza vibrante e satura, composta da rosso, giallo, blu e oro, rifletteva la bellezza e la spiritualità della cultura armena. Tali nuance si ritrovano anche nella collezione Artuyt con il blu, colore della spiritualità e dell’infinito, come predominante che invita a ricercare l’autenticità e a celebrare uno spirito di gioioso individualismo e ottimismo.

La sfilata è stata curata da Emerging Talents Milano, principale piattaforma per la promozione e presentazione di stilisti emergenti.

Celebrazione dell’eredità di Sergei Parajanov
Sergei Parajanov, noto per il suo stile visivo innovativo e il suo genio cinematografico, ha lasciato un segno indelebile nel mondo dell’arte e del cinema. La narrazione e il linguaggio visivo unici di Parajanov hanno ispirato intere generazioni di artisti in diverse discipline. Le sue opere, tra cui “Le ombre degli antenati dimenticati” e “Il colore dei melograni”, continuano ad affascinare il pubblico con le loro immagini ricche e poetiche e le tecniche narrative innovative.

Il centenario di Sergei Parajanov è incluso nel Calendario UNESCO che celebra gli anniversari di personalità eminenti e di eventi importanti per gli anni 2024-2025.

«Nagorno-Karabakh? Una catastrofe. E non solo per noi armeni» (Temoi 10.10.24)

Intervista all’ambasciatore armeno presso l’Unione Europea, Tigran Balayan: «L’Azerbaigian l’anno scorso ha portato a termine la sua operazione di pulizia etnica. Noi vogliamo la pace. Il rapporto tra Erevan e Ue non è mai stato così buono»
Gli armeni protestano contro l'invasione del Nagorno-Karabakh da parte dell'Azerbaigian
Gli armeni protestano contro l’invasione del Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbaigian (Ansa)

«Sa, anch’io provengo dal Nagorno-Karabakh. L’attacco militare di un anno fa dell’Azerbaigian è una tragedia nazionale, ma per me è anche una tragedia personale. La mia famiglia ha perso tutto». Tigran Balayan è stato nominato a settembre dell’anno scorso ambasciatore della Repubblica di Armenia presso l’Unione Europea. Ma rilasciando un’intervista a Tempi sui rapporti tra il suo paese e l’Ue e sull’impervio processo di pace tra Erevan e Baku, non parla soltanto da diplomatico. Il 19 settembre 2023, giorno in cui l’esercito del dittatore Ilham Aliyev ha invaso il Nagorno-Karabakh, cacciando dalle loro case 120 mila armeni, «l’Azerbaigian ha portato a termine la fase finale della sua pulizia etnica contro la popolazione indigena armena», afferma. «È stata una catastrofe, e non solo per noi armeni».

Ambasciatore Balayan, che cosa intende?
L’attacco militare contro il Nagorno-Karabakh è stata una catastrofe anche per il sistema legale internazionale e per il rispetto dei diritti umani. Purtroppo, nonostante i negoziati di pace che proseguono, l’Azerbaigian continua con la sua ostilità armenofoba. L’ultimo esempio è il discorso aggressivo e pieno di minacce di Ilham Aliyev davanti al Parlamento azero, dopo un altro dubbio “processo elettorale”.

La chiesa armena San Giovanni Battista di Shushi, nel Nagorno-Karabakh, distrutta dall'Azerbaigian
La chiesa armena San Giovanni Battista di Shushi, nel Nagorno-Karabakh, distrutta dall’Azerbaigian (foto Caucasus Heritage Watch)

Nell’ultimo anno, come confermano rapporti internazionali, l’Azerbaigian ha portato avanti una campagna sistematica di distruzione dell’eredità armena in Nagorno-Karabakh. Che cosa si può fare per fermare Baku?
La distruzione dell’eredità religiosa e culturale armena è stata una delle principali componenti della politica anti-armena dell’Azerbaigian, che ha conosciuto un’escalation a partire dal conflitto del 2020 ma che c’è sempre stata. Avviene su scala industriale e sfortunatamente la comunità internazionale non ha preso iniziative pratiche sufficienti a prevenire questo fenomeno o a proteggere ciò che resta. Ad ogni modo, ci sono state risoluzioni importanti che vorrei ricordare. Nel dicembre 2021, la Corte internazionale di giustizia ha ordinato all’Azerbaigian di prendere misure adeguate a prevenire i vandalismi e la profanazione dell’eredità armena. Allo stesso modo, nel marzo 2022, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione condannando la distruzione e la cancellazione della cultura armena. Ha anche riconosciuto l’ampia componente armenofoba dell’Azerbaigian a livello statale e il revisionismo storico promosso da Baku. Organizzazioni come Unesco o Europa Nostra devono però prevenire la distruzione sistematica dell’eredità armena in modo più attivo e far sì che i responsabili paghino.

E Bruxelles come si sta muovendo su questo fronte?
L’Unione Europea è a conoscenza del problema, i funzionari Ue continuano a rassicurarci sul fatto che solleveranno questo problema nei loro colloqui con Baku. Fino ad ora, però, la distruzione sta andando avanti ed è anche peggiorata rispetto a prima.

Ci sono ancora decine di armeni prigionieri in Azerbaigian. Che cosa sapete di loro?
Siamo a conoscenza della presenza di 23 ostaggi armeni attualmente detenuti illegalmente nelle carceri di Baku. L’Azerbaigian purtroppo è noto per le sue torture nei luoghi di detenzione e molti prigionieri di guerra armeni una volta rimpatriati hanno raccontato storie terribili del trattamento disumano ricevuto in prigione in Azerbaigian. Il numero di prigionieri di guerra e civili presi in ostaggio dall’Azerbaigian in realtà è molto più alto (almeno 80 persone) ma sfortunatamente gli azeri negano la loro esistenza e quindi non sappiamo il numero esatto, né sappiamo se queste persone siano ancora vive o morte. Negli ultimi quattro anni, si sono verificati molti episodi di omicidio, incluse decapitazioni e fucilazioni di massa, torture e altri maltrattamenti di prigionieri di guerra e civili. Molti di questi sono stati ripresi in video dagli stessi torturatori azeri.

L'ambasciatore dell'Armenia presso l'Unione Europea, Tigran Balayan
L’ambasciatore dell’Armenia presso l’Unione Europea, Tigran Balayan

Con l’aiuto della comunità internazionale l’Armenia sta faticosamente cercando di concludere un accordo di pace con l’Azerbaigian. Molti si chiedono se Erevan possa davvero fidarsi di Aliyev. Lei che cosa ne pensa?
Come ha detto il primo ministro Nikol Pashinyan nel suo intervento durante la 79esima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, la «pace tra Armenia e Azerbaigian non solo è possibile, ma è a portata di mano». Il 30 agosto, l’Armenia e l’Azerbaigian hanno firmato il loro primo documento bilaterale legale, il “Regolamento sull’attività congiunta delle commissioni sulla delimitazione del confine di Stato” tra i nostri due paesi, concordando di fissare come principio fondamentale della delimitazione del confine la Dichiarazione di Alma Ata del 1991. Il prossimo passo dovrebbe essere la firma dell’Accordo sull’avviamento della pace e delle relazioni interstatali tra i nostri paesi, e c’è già un accordo sull’80 per cento del testo. Il mio governo ha proposto di firmare l’accordo. Purtroppo, per ora l’Azerbaigian non solo porta ancora avanti la propaganda anti-armena ai massimi livelli, ma presenta sempre nuove richieste e precondizioni pretestuose. Si vede che mentre l’Armenia sta mostrando di essere pronta in modo genuino a portare la pace nella nostra regione non solo con semplici dichiarazioni ma anche con passi concreti, ad esempio l’allontanamento dal confine delle forze armate o la creazione di un meccanismo per fare luce sugli incidenti tra i due paesi, Baku sembra non esserlo rigettando tutte queste proposte.

Molti rifugiati armeni dall’Artsakh non hanno chiesto la cittadinanza dell’Armenia perché sperano di fare ritorno alle loro case. Il regime azero sostiene che il Nagorno-Karabakh è già “aperto” al loro ritorno. Ci si può fidare?
Molti paesi e organizzazioni internazionali con dichiarazioni o risoluzioni hanno chiesto all’Azerbaigian di garantire il ritorno degli armeni in sicurezza. Il richiamo più importante è quello della Corte internazionale di giustizia, che ha emesso un ordine vincolante. Nonostante questo, l’armenofobia del governo azero e l’assenza di impegni chiari in questo senso, come anche le notizie sulle torture e le umiliazioni inflitte dagli azeri agli armeni, compresi bambini e anziani, ci fanno concludere che è molto difficile immaginare un ritorno sicuro e la permanenza degli armeni in Nagorno-Karabakh.

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L’Armenia si sta avvicinando all’Unione Europea, alla quale è culturalmente e storicamente legata. Eppure, nel 2022 la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha definito Aliyev un «partner affidabile dell’Ue». Molti membri dell’Europarlamento hanno criticato la presidente per quelle parole. A che punto sono le relazioni tra Erevan e Baku?
Il rapporto tra Armenia e Unione Europea ha raggiunto il punto storicamente più alto, nell’ultimo anno abbiamo raggiunto obiettivi importantissimi che hanno ridefinito il contenuto delle relazioni tra Armenia e Ue. Solo nell’ultimo anno, infatti, il premier Pashinyan ha parlato davanti al Parlamento europeo in sessione plenaria, affermando che il popolo armeno «è pronto ad avvicinarsi all’Unione Europea, nella misura in cui l’Unione Europea lo riterrà possibile». In seguito, il nostro ministro degli Esteri è stato invitato al Foreign Affairs Council, poi c’è stata la risoluzione del Parlamento europeo che ho già citato. Ad aprile ha avuto luogo il vertice senza precedenti tra Bruxelles, Washington e Erevan, dando un nuovo impeto alla cooperazione. Il Consiglio dell’Unione Europea ha poi aperto i colloqui per la liberalizzazione dei visti con la Repubblica dell’Armenia, l’Ue ha stanziato anche 270 milioni di euro di fondi per il nostro paese. E potrei andare avanti. Rimane ancora molto lavoro da fare, ma sono fiducioso che insieme potremo ottenere ancora di più.

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ARMENIA. IL GOVERNO SI RIFIUTA DI SOTTOSCRIVERE LE DICHIARAZIONI DELLA CSI (Notizie Geopolitiche 10.10.24)

Il governo dell’Armenia ha deciso di non aderire a due dichiarazioni adottate dal Consiglio dei ministri degli Esteri della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) durante una riunione a Mosca. Questa mossa riflette le tensioni crescenti tra Erevan e Mosca e segna un cambiamento significativo nella politica estera dell’Armenia, da sempre legata alla Russia, ma che negli ultimi mesi ha cercato di diversificare le sue alleanze diplomatiche e strategiche.
Le dichiarazioni adottate dalla CSI riguardavano due questioni di rilevanza geopolitica. La prima trattava della cooperazione per garantire la sicurezza in Eurasia e suggeriva un adattamento dell’architettura regionale alle nuove realtà geopolitiche multipolari. La seconda, forse la più controversa, invitava gli Stati membri a non utilizzare misure restrittive unilaterali nelle relazioni internazionali, facendo riferimento alle sanzioni imposte alla Russia da parte dell’occidente a seguito dell’invasione dell’Ucraina.
Il rifiuto dell’Armenia di sottoscrivere queste dichiarazioni senza fornire spiegazioni dettagliate sottolinea l’equilibrio precario che Erevan cerca di mantenere tra la necessità di garantire la propria sicurezza, storicamente legata alla Russia, e l’apertura a nuove dinamiche diplomatiche che potrebbero allontanarla da Mosca.
Negli ultimi anni le relazioni tra Armenia e Russia hanno subito un progressivo deterioramento, culminato con l’inasprirsi delle tensioni a partire dal 2022. Mentre l’Armenia rimane formalmente parte della Collective Security Treaty Organisation (CSTO), ha progressivamente ridotto la sua partecipazione alle attività dell’organizzazione, boicottando diverse sessioni e cercando un maggior dialogo con altre potenze, come dimostrato dalla sua partecipazione ai vertici del BRICS e della CSI. Questo distanziamento diplomatico può essere visto come una risposta alla crescente frustrazione armena per l’apparente mancato sostegno russo durante i recenti conflitti con l’Azerbaigian.
Le relazioni tra Erevan e Mosca si sono ulteriormente complicate dopo la riconquista del Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbaigian a settembre 2023. Nonostante la Russia sia tradizionalmente vista come l’alleato più vicino dell’Armenia, la sua mancata risposta alle richieste armene di intervento durante il conflitto ha lasciato un vuoto di fiducia tra i due Paesi. Nel frattempo i legami della Russia con l’Azerbaigian si sono rafforzati, come dimostrato dall’incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente azero Ilham Aliyev prima del vertice della CSI, in cui entrambi i leader hanno elogiato il crescente sviluppo delle relazioni bilaterali.
Il rifiuto di sottoscrivere le dichiarazioni della CSI può essere interpretato come un segnale che l’Armenia sta cercando di ricalibrare le sue alleanze. La posizione di Erevan è particolarmente delicata, poiché si trova a dover bilanciare la sua dipendenza dalla Russia per la sicurezza con la necessità di non alienarsi completamente dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, che hanno condannato l’azione militare dell’Azerbaigian e le violazioni dei diritti umani nella regione del Nagorno-Karabakh.
Questa politica di bilanciamento si riflette anche nelle recenti aperture diplomatiche dell’Armenia verso altre organizzazioni internazionali, tra cui i BRICS che includono Paesi come Cina, India, Brasile e Sudafrica. L’intenzione sembra quella di diversificare le alleanze e di esplorare nuove opportunità di cooperazione economica e politica al di fuori della sfera di influenza russa.
Il rifiuto dell’Armenia di aderire alle dichiarazioni della CSI rappresenta un ulteriore segnale del cambiamento nelle dinamiche geopolitiche della regione caucasica. Con la Russia sempre più concentrata sui propri interessi strategici in Ucraina e con l’Azerbaigian che rafforza la sua posizione sul piano regionale, l’Armenia si trova di fronte alla sfida di ridefinire la propria politica estera in un contesto internazionale sempre più complesso. La capacità di Yerevan di gestire questa transizione e di stabilire nuove alleanze potrebbe determinare il futuro della sua stabilità e della sicurezza regionale.

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Armenia, la vita dopo la guerra (Osservstorio Balcani e Caucaso 09.10.24)

La storia di Suren, 42 anni, che si è trasferito dal Nagorno Karabakh in Armenia un anno fa, dopo l’attacco militare dell’Azerbaijan. La difficile vita di un uomo che ha già visto quattro guerre, la sfida quotidiana di prendersi cura della sua famiglia

09/10/2024 –  Armine Avetisyan Yerevan

“La guerra è una tragedia che non può essere espressa appieno a parole. Quando il primo proiettile è esploso vicino a casa mia, in quel momento, pensavo solo a mio figlio di quattro anni, terrorizzato che potesse succedergli qualcosa”, ricorda Suren, 42 anni, che si è trasferito dal Nagorno Karabakh in Armenia un anno fa. Suren è una delle oltre 100mila persone che sono state costrette a lasciare le proprie case.

Un anno fa, il 19 settembre, a seguito dell’attacco militare dell’Azerbaijan, l’intera popolazione del Nagorno Karabakh, fra cui oltre 115mila armeni, ha dovuto lasciare la propria casa nel giro di pochi giorni.

Questo esodo, l’ultimo stadio della politica di pulizia etnica, ha avuto luogo durante la sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, quando l’intera comunità internazionale si è riunita per l’ennesima volta per discutere della necessità di una risoluzione pacifica dei conflitti, della difesa di stabilità e sviluppo, condannando l’uso della forza, la violazione delle norme internazionali e dei diritti umani in diverse parti del mondo.

Nell’ultimo anno, il governo armeno ha adottato le misure necessarie, anche con l’aiuto dei partner internazionali, per affrontare le esigenze primarie e a medio termine degli armeni sfollati dal Nagorno Karabakh, nonché per sviluppare i necessari programmi a lungo termine.

“Non puoi immaginare quanto sia difficile accettare il fatto che devi lasciare la tua casa. Devi lasciarla alle spalle e andartene. Chiudere la porta e con essa un intero capitolo della tua vita. È incredibilmente difficile lasciare alle spalle tutto ciò che possiedi, tutto ciò per cui hai lavorato così duramente negli anni e dirigerti verso l’ignoto”, afferma Suren.

Suren racconta che, dopo aver accettato l’idea di andarsene, si è trovato di fronte a un’altra sfida: trovare un veicolo che potesse portare la sua famiglia in Armenia.

“Non ho un’auto e non so guidare, ma comunque in quel momento non c’era più nemmeno il carburante. Vivevamo sotto assedio da un bel po’ di tempo ed eravamo rimasti senza cibo e carburante. L’Azerbaijan ci aveva prosciugati. Avevo quasi perso la speranza di sfuggire al caos quando ho sentito che i trasporti pubblici sarebbero stati disponibili per portarci in Armenia. Mi sono affrettato a registrare la mia famiglia e ho iniziato a fare i bagagli. Ognuno di noi poteva portare solo una borsa. Abbiamo portato qualche vestito e basta”, dice lentamente Suren.

Per Suren, parlare del momento in cui h dovuto abbandonare la propria casa è particolarmente difficile. Dice che ha spento l’elettricità e il gas per evitare problemi in sua assenza, ha chiuso a chiave la porta e ha preso la chiave con sé, sperando che un giorno sarebbe tornato.

“A casa avevamo un telefono fisso. Quando sono arrivato in Armenia, ogni tanto chiamavo il numero di casa mia. Squillava, ma nessuno rispondeva. Questo mi dava speranza; era un segno che nessuno (azero) viveva a casa mia. In seguito, il telefono ha smesso di squillare. La linea telefonica è stata interrotta…”.

Uscire di casa e arrivare in Armenia non è stato facile. A causa del grande afflusso di rifugiati, l’unica strada era intasata per decine di chilometri. A quel tempo per raggiungere Goris servivano 2-3 giorni anziché 5-6 ore.

“No, non voglio ricordare. No, era il caos…”, Suren preferisce non soffermarsi sul passato. Dice di non aver dimenticato un solo momento e che quei ricordi gli balenano davanti agli occhi come scene di un film ogni giorno, ma sceglie di vivere nel presente.

La nuova vita in Armenia

Suren ha subito fatto domanda per la cittadinanza armena e in seguito ha trovato un lavoro. Oggi lavora nel suo ambito come avvocato. Non si lamenta di questa nuova fase della vita, riconoscendo che è stata difficile, ma si è adattato.

“All’inizio, la mia famiglia si è stabilita in una regione vicino alla capitale, Yerevan. Il governo ci ha offerto un riparo, ma io avevo dei risparmi e ho affittato una casa. È stata una tappa temporanea per noi, per raccogliere le idee e capire cosa fare dopo. Dopo circa un mese, abbiamo deciso di trasferirci a Goris. I miei genitori sono venuti con me. Viviamo in affitto e sia i miei amici che il governo ci hanno aiutato. Non mi lamento della vita di oggi; viviamo dignitosamente. Non so se questa è la nostra strada, ma non ci si arrende”.

Suren crede fermamente che se continui a piangere e a pensare al passato, la vita rimarrà bloccata, ma i suoi piani sono diversi: lui vuole vivere. “Ho 42 anni e ho già visto quattro guerre. Mi basta. Non voglio più vedere combattere o morire…”.

In seguito all’attacco dell’Azerbaijan al Nagorno Karabakh, 223 persone sono state uccise, tra cui 25 civili, cinque dei quali minorenni. Durante i combattimenti, 244 persone sono rimaste ferite, circa 80 delle quali civili, tra cui 10 minorenni. Venti persone sono scomparse, tra cui cinque civili. Ci sono stati circa 20 casi di profanazione di cadaveri, certificati da rapporti forensi.

Questa guerra è durata due giorni. Il cessate il fuoco è stato dichiarato il 20 settembre, quando le autorità del Nagorno Karabakh hanno accettato la proposta di Baku di deporre le armi, un messaggio trasmesso attraverso la missione di peacekeeping russa di stanza nel Nagorno Karabakh. Una settimana dopo questo incontro, l’ultimo presidente del Nagorno Karabakh, Samvel Shahramanyan, ha firmato un decreto per sciogliere la Repubblica del Nagorno Karabakh entro il 1° gennaio 2024.

Dopo dieci mesi di assedio, 24 ore di operazioni militari e l’annuncio dello scioglimento dell’Artsakh, oltre 100mila persone hanno iniziato la migrazione in Armenia. Oggi, il governo armeno sta fornendo loro assistenza e le loro vite sono entrate in una nuova fase.

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Chi è Elina Avanesyan? Età, altezza e carriera della tennista armena (Tag24 08.10.24)

Chi è Elina Avanesyan? Elina Ararati Avanesyan è una giovane tennista, nata il 17 settembre 2002 a Pjatigorsk. Dopo aver rappresentato la Russia, ha ottenuto la naturalizzazione armena, che le ha permesso di competere sotto la bandiera dell’Armenia. La sua carriera promettente la sta portando a farsi notare nel panorama tennistico internazionale.

Chi è Elina Avanesyan: altezza e carriera

Alta 172 cm, con 5 titoli in singolare e 9 nel doppio nel circuito ITF, ha dimostrato di essere una giocatrice versatile e competitiva. Raggiungere la 60ª posizione nel ranking mondiale in singolare è un risultato impressionante, così come il suo miglior piazzamento nel doppio. Nel 2023 Elina Avanesjan ha avuto una stagione davvero impressionante, con diversi risultati notevoli che hanno contribuito a farle guadagnare posizioni nel ranking. Dopo un inizio difficile nelle qualificazioni dell’Australian Open, ha trovato il ritmo partecipando a vari tornei e ottenendo buoni risultati.

Il trionfo all’ITF di Wiesbaden rappresenta un passo significativo nella sua carriera, e il suo exploit al Roland Garros è stato sicuramente il punto culminante della stagione. Eliminare una giocatrice del calibro di Belinda Bencic è un risultato straordinario, e raggiungere gli ottavi di finale in uno slam dimostra il suo crescente potenziale. Anche i successi sul cemento americano, in particolare la vittoria su Alize Cornet allo US Open, confermano la sua capacità di competere con le migliori giocatrici del mondo.

Nel 2024 il momento positivo è proseguito. Elina Avanesjan ha vissuto un inizio di stagione davvero entusiasmante, culminando con un’impressionante prestazione all’Australian Open, dove ha raggiunto il terzo turno. La vittoria sulla n°8 del mondo, Maria Sakkari, è senza dubbio uno dei momenti più significativi della sua carriera, che ha segnato il primo successo contro una top-10. Anche se è stata sconfitta da Kostjuk, il fatto di aver battuto Sakkari rappresenta una grande motivazione per il futuro.

La sua prestazione a Miami, con la vittoria su Ons Jabeur, ha ulteriormente dimostrato la sua crescita nel circuito WTA, e il terzo turno in un torneo WTA 1000 è un traguardo notevole. Anche se ha affrontato alcune uscite premature in altri tornei, il suo percorso al Roland Garros, dove ha raggiunto di nuovo gli ottavi di finale, evidenzia la sua consistenza. Ad agosto ha poi ufficializzato il cambio di nazionalità, che l’ha portata a giocare per l’Armenia.

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