Delegazione armena visita Toscana e alto Lazio nel quadro dei programmi GAL (Tusciatimes 08.10.24)

Nell’ambito del progetto internazionale patrocinato oltre che dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, anche dalla FAO, Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura, dall’Unione Europea, dall’Undp, che rappresenta un organo di sviluppo delle Nazioni Unite, e dalla Regione Lazio e Regione Toscana, è stata realizzata una visita in Italia da parte di una delegazione armena operante nel quadro dello “sviluppo sostenibile” legato ai progetti Gal (Gruppo di Azione Locale). Lo scopo è stato quello di mettere a confronto le realtà armene nell’ambito dello sviluppo rurale nel suo complesso e dei finanziamenti a carattere strutturale e non destinati a tali tipologie di intervento, con analoghi organismi presenti sul territorio italiano. Nella fattispecie la delegazione armena composta da circa trenta rappresentati, ha visitato alcune aree della regione Toscana, e dell’alto Lazio, identificabile nella mancata regione Tuscia. Provenienti da Grosseto gli ospiti armeni si sono incontrati il 2 ottobre nella sede del Comune di Acquapendente con i rappresentanti del Gal Tuscia: il Vice presidente Giuseppe Fraticello, Fabio Marco Fabbri componente Cda, e Marco Valente organo amministrativo, presente anche il rappresentante dei Revisori dei Conti del Gal Antonio Menchinelli.
L’incontro si è aperto con i saluti di benvenuto del sindaco di Acquapendente, Alessandra Terrosi; ha poi rappresentato il funzionamento del Gal Tuscia Giuseppe Fraticello che ha dettagliato le modalità di finanziamento del “sistema” Gal e gli scopi fondamentali dei fondi strutturali in merito a tali progettualità. Marco Valente ha illustrato con il supporto di slide, i processi di sviluppo di tali progetti; ha concluso gli interventi Fabio Marco Fabbri che come storico e giornalista ha toccato i punti più critici della realtà armena: dal riconoscimento del Genocidio armeno del 1915, alla complessa questione del Nagorno Karabakh, proseguendo con il sottolineare la comune “cultura occidentale” tra Armenia e Italia, sfiorando la complessa questione geopolitica del Caucaso e delle legittime aspirazioni europeiste dell’Armenia, ma da considerarle nella articolata e penetrante presenza della Russia. In conclusione Fabbri ha ricordato la fondazione, nel 1310, dell’ospizio di Ss. Simone e Giuda, in piazza Vittoria Colonna a Viterbo, istituito da una comunità di monaci armeni, sotto la guida di frate Guglielmo. I monaci armeni lasciarono l’ospizio/convento viterbese intorno al 1434.
Hanno poi preso parola i rappresentati dei Gal armeni, come la presidente Saribkyan Karine del gruppo Aghstevi Houit, Anna Zakaryan del Lorva Dzor, Gal operante nel programma, UE “Empowerment of Local Actors for Development (LEAD), e la manager Anahit Badalin. Le delegate hanno rappresentato tramite slide le realtà armene nell’ambito dello sviluppo territoriale del “sistema Gal”, facendo notare le molte similitudini territoriali, ambientali e agro-economiche, di alcune aree geografiche dell’Armenia con regioni italiane.
La visita ha poi assunto l’aspetto della conoscenza dei luoghi visitando la Cattedrale del Santo Sepolcro di Acquapendente, come Civita di Bagnoregio.
In queste ore si è conclusa la missione Onu degli ospiti armeni i quali hanno auspicato un nuovo incontro/confronto da farsi in Armenia.
Il fine del programma internazionale è che l’Armenia tramite l’ampliamento della visione di tali progettualità cresca nella sensibilità inclusiva e resiliente; infatti il supporto dei sistemi di governance incentrati su cittadini e partnership e sull’innovazione favoriscono una globale sostenibilità sociale, economica e ambientale.
La delegazione del Gal Tuscia si è resa disponibile al proseguimento di un tale confronto rivelatosi decisamente costruttivo e proiettato verso comuni punti di interesse.

Fabio Marco Fabbri

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Nagorno Karabakh 2023 l’ultima triste pulizia etnica di Giuseppe Morabito (Fiamma Cremisi ottobre 2024)

Articolo Morabito Fiamma Cremisi n. 4 2024

Armenia e Azerbaigian: accordi e disaccordi sul confine. Di Emanuele Aliprandi (parte prima) (Storiaverità 07.10.24)

L’accordo dello scorso 19 aprile tra Armenia e Azerbaigian per la definizione di una sezione del confine tra la regione armena di Tavush e quella azera di Gazakh è stato salutato con soddisfazione dalla comunità internazionale in quanto visto come un piccolo passo verso un definitivo accordo di pace. Ma ha anche dato vita a particolari dinamiche politiche che hanno prodotto in Armenia manifestazioni di dissenso e atti di disobbedienza civile. Vale la pena soffermarsi, per quanto sinteticamente, su alcuni aspetti della questione per provare a capire cosa stia effettivamente accadendo in Armenia e quali possano essere le ricadute su scala regionale.

Questione di confine

L’accordo di cui sopra ha riguardato un breve tratto di una dozzina di chilometri di un confine lungo circa mille chilometri. Questa definizione è stata fortemente “caldeggiata” dalla leadership azerbaigiana perché l’area in questione ha un alto impatto strategico: infatti, con la delimitazione di tale porzione di frontiera l’Azerbaigian ha preso il controllo di alcune centinaia di metri della statale che porta in Georgia (uno dei tre principali accessi verso Tbilisi) e del territorio dove passa il gasdotto proveniente dalla Russia. Inoltre, Baku ha spostato il confine verso ovest e lo ha avvicinato sempre di più alle exclave di epoca sovietica il cui controllo con ogni probabilità sarà il prossimo passo nelle richieste di Baku. All’indomani della demarcazione materiale del nuovo confine, i soldati azeri si sono posizionati nella porzione di territorio a loro assegnata con tanto di cerimonia di alzabandiera e slogan patriottici. Nelle stesse ora l’autoritario presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, in un discorso celebrava l’ennesimo successo personale e si vantava di aver costretto ancora una volta l’Armenia a soddisfare le sue richieste. Parole rivolte certamente a un pubblico interno (come ha commentato il presidente dell’Assemblea nazionale armena, Simonyan) ma che poco si conciliavano con le dichiarazioni di tutt’altro segno provenienti da diverse capitali.

Nagorno Karabak: carri armati azeri.

Le proteste dei residenti armeni

La cessione di territori all’Azerbaigian è avvenuta sulla base di una mappatura del confine risalente al 1976, successivamente confermata nel 1979 dall’istituto cartografico dell’URSS. Nel corso di una riunione di governo, il 16 maggio, il premier armeno Pashinyan ha ricordato come questa mappatura sia l’ultima ufficialmente disponibile e pertanto la definizione del confine secondo tali parametri è in linea con i principi della dichiarazione di Alma Ata (oggi Almaty). La demarcazione (che ha permesso la restituzione all’Azerbaigian di quattro piccoli insediamenti in rovina conquistati dagli armeni con la guerra degli anni Novanta) ha creato preoccupazione fra i residenti armeni di alcuni villaggi di confine (Voskepar, Baganis e Berbaker) ma soprattutto le proteste dei residenti del villaggio di Kirants. In questo insediamento, oltre a tratti di strada statale, sono finite agli azeri alcune costruzioni e attività produttive. Inutilmente la municipalità aveva proposto alla controparte lo scambio di queste aree con altre di maggior estensione utilizzate per il pascolo: Baku è stata irremovibile nel non scostarsi dalla mappa ufficiale. Le proteste delle comunità locali sono state incanalate nel movimento “Tavush per la madrepatria” alla cui guida si è posto il cinquantatreenne arcivescovo della locale diocesi Bagrat Galstanyan che ha dato vita a una marcia di protesta fino alla capitale Yerevan, culminata con una grande manifestazione in piazza della Repubblica il 9 maggio alla quale hanno partecipato oltre trentamila persone. Alla base dell’insoddisfazione locale non vi sono solo i problemi tecnici legati alla cessione territoriale pressoché unilaterale, ma il fatto che la stessa è stata di fatto obbligata dall’Azerbaigian nonostante questi occupi oltre 200 kmq di territorio armeno lungo altre sezioni del confine. Nel corso dei successivi mesi, tuttavia, la forza di questo movimento di opposizione è venuta progressivamente meno nonostante l’incessante attività del suo capofila.

Villaggio armeno bombardato dagli azeri.

Lo strappo della Chiesa armena

Il movimento, guidato da Galstanyan (che era stato nominato arcivescovo nel febbraio dello scorso anno, ha avuto immediato appoggio da parte della Chiesa Apostolica armena che ha preso una netta posizione a favore dei manifestanti e ha attaccato come mai era accaduto nel passato il governo di Pashinyan. I rapporti tra questi e la Santa Sede si erano, a dire il vero, già guastati da tempo. Basti pensare che la televisione pubblica armena aveva deciso di non mandare in onda il tradizionale messaggio di Capodanno di S.S. Karekin II, Catholicos di Tutti gli Armeni. Negli ultimi tempi, soprattutto dopo la sconfitta nella guerra del 2020, la chiesa armena ha assunto una posizione sempre più critica nei confronti del governo Pashinyan accusato di aver ceduto al nemico l’Artsakh (nome armeno per il Nagorno Karabakh) ed di essere troppo arrendevole di fronte alle minacce di Aliyev. L’istituzione apostolica armena, dal 1991 garante della stabilità istituzionale della repubblica armena indipendente, è andata così assumendo posizioni più politiche e Karekin II si è progressivamente avvicinato ai toni narrativi adoperati da Aram I, Catholicos di Cilicia, molto vicino alla diaspora armena. Da ultimo, entrambi i Catholicos hanno appoggiato l’iniziativa di Galstanyan e l’apice dello scontro con il governo si è avuto lo scorso 28 maggio (Festa della Repubblica) allorché la polizia ha impedito loro l’accesso al memoriale della vittoria di Sardarapat. La presenza di membri del governo alla cerimonia di riconsacrazione della cattedrale di Etchmidzin ha rappresentato un segnale di disgelo fra potere laico e religioso.

Protesta debole

La prima manifestazione a Yerevan ha raccolto, come detto, oltre trentamila persone e stimolato Galstanyan a impegnarsi in una serie di colloqui con politici di opposizione e personalità della società civile per dare vita a un movimento unitario contro Pashinyan. Ma il suo tentativo di creare una coalizione forte non ha sortito i risultati sperati anche a causa di una serie di veti incrociati delle varie fazioni politiche armene. Al punto che l’arcivescovo è stato indicato come soggetto super partes per guidare un governo di transizione. Si è parlato di impeachment per Pashinyan (ma di impossibile attuazione stante la maggioranza in parlamento) e della impossibilità per Galstanyan (che ha anche la cittadinanza canadese) di ricoprire il ruolo di Primo ministro. La seconda manifestazione, il 26 maggio (giorno che peraltro è stato segnato da un’inondazione nel nord del Paese), ha visto un’affluenza di circa ventimila persone, in calo rispetto alla precedente sicché il movimento ha cominciato a dare vita a una serie di azioni di “disobbedienza civile” quali ad esempio il blocco delle strade con le auto che hanno finito con l’irretire la popolazione della capitale. Ci sono stati alcuni tafferugli, circa trecento fermi (quasi tutti rilasciati in breve tempo). Non ha poi giovato all’iniziativa sapere che l’ex presidente Kocharyan appoggiava l’arcivescovo. Pashinyan e il suo partito “Contratto civile” hanno avuto vita facile nell’accusare la vecchia dirigenza armena dietro il tentativo di scalzarlo dal potere.

L’Armenia reale di Pashinyan

In un intervento televisivo il 24 maggio, giorno dell’attuazione dell’accordo di delimitazione del confine, Pashinyan ha spiegato il suo progetto che guarda a un’Armenia reale da contrapporre all’Armenia “terra promessa” che non può essere attuata. Il premier armeno ha sostenuto che per garantire la sovranità sui 29.743 km2 della repubblica è necessario stabilire un principio condiviso con la controparte azera; quindi la delimitazione, sia pure a costo di dolorose rinunce, è l’unico strumento che può garantire la futura sicurezza dell’Armenia stessa. Tuttavia i rapporti con il bellicoso Azerbaigian rimangono tesi e le recenti dichiarazioni dell’autoritario presidente Aliyev non inducono all’ottimismo su una veloce conclusione dei negoziati di pace.

Tempo d’Orchestra parte con il pluripremiato pianista armeno Sergei Babayan (Mantovauno 07.10.24)

MANTOVA – Giovedì 10 ottobre alle 20.45 presso la Sala delle Capriate inaugura Tempo d’Orchestra 2024/25Sergei Babayan, pluripremiato pianista armeno, artista Deutsche Grammophon, proporrà “Songs”, vera e propria celebrazione del dono melodico manifestato in particolare in molte pagine dedicate alla voce: nelle innumerevoli pagine liederistiche schubertiane, così come nelle liriche di Rachmaninov, o nelle melodie francesi di Bizet, Poulenc e Fauré.

Nell’appuntamento di giovedì il pubblico le ritroverà riviste e trascritte per la tastiera, a comporre un caleidoscopio di meraviglie, in un cammino destinato a sorprendere. Il viaggio che propone all’ascoltatore, da Franz Schubert a Charles Trenet, offre un’occasione unica per riflettere sugli ingredienti di una grande melodia e sul modo in cui la canzone popolare moderna e la canzone d’arte si sono evolute nel tempo, sia nella loro forma originale, con parole cantate, sia come trascrizione per strumento, romanza senza parole.

Nato nella Repubblica Socialista Sovietica Armena, Sergei Babayan ha dato inizio alla sua carriera internazionale con la vittoria al concorso Casadesus nel 1989, dopo una formazione avviata con Pletnev e con alcuni allievi di una linea che risale ad Heinrich Neuhaus, il maestro di Richter e Gilels. Babayan, didatta a sua volta (tra i suoi allievi rientra anche Daniil Trifonov, uno dei talenti più in vista degli ultimi anni), vanta collaborazioni prestigiosissime (in particolare con Martha Argerich), e un curriculum straordinario nel quale rientra anche il contratto di registrazione in esclusiva per Deutsche Grammophon, la famosa etichetta tedesca.

Il concerto è incluso nell’abbonamento Omnia (150-190 euro) che garantisce il posto in sala per tutti e 10 i concerti in programma tra Teatro Sociale, Sala delle Capriate e Fruttiere di Palazzo Te. L’abbonamento è cedibile e garantisce la prelazione sui posti numerati per la Stagione concertistica 2025/26. È prevista la formula Omnia Young: i ragazzi entro i 30 anni di età (classe 1994) assistono ai concerti serali al prezzo speciale di soli 50 euro. Omnia offre la possibilità di partecipare gratuitamente agli appuntamenti della rassegna per famiglie Madama DoRe (compatibilmente con la disponibilità dei posti in sala il giorno stesso dello spettacolo).

I biglietti singoli (30 €, ridotto 27 €) per il concerto di giovedì saranno acquistabili solo da giovedì stesso.

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In vista della Cop29, in Azerbaijan cresce la repressione di voci critiche e pacifisti (Lavialibera 04 .10.24)

Era il pomeriggio del 21 agosto quando si sono perse le tracce di Bahruz Samadov, ricercatore e attivista per la pace originario dell’Azerbaigian. Samadov, dottorando all’università Charles di Praga, era tornato in Azerbaigian per le vacanze estive quando è scomparso poco prima di un incontro con un amico. Dopo due giorni di silenzio, è arrivata la conferma ufficiale: Samadov era stato arrestato dalle autorità azere con l’accusa di tradimento. Se dichiarato colpevole, potrebbe affrontare una pena compresa tra 12 e 20 anni di carcere o, in casi estremi, l’ergastolo.

Giornalisti critici a rischio

Sebbene non fosse ufficialmente collegato ai principali gruppi di opposizione del Paese, Samadov scriveva regolarmente per diverse pubblicazioni e media internazionali e regionali sull’autoritarismo in Azerbaigian. Inoltre, era stato un critico acceso della Seconda guerra del Nagorno-Karabakh del 2020, durante la quale l’Azerbaigian ha ristabilito il controllo sulla regione contesa al confine con l’Armenia.

“Prima del suo arresto, Bahruz aveva ricevuto numerosi messaggi minatori sui social media, come ‘un giorno il governo te la farà pagare’ e ‘sarai chiamato a rispondere per quello che scrivi’. In Azerbaigian, tutti i giornalisti indipendenti, esperti e studiosi rischiano di essere arrestati. Chi critica il governo diventa un bersaglio”, racconta Turxan Karimov, giornalista azero in esilio.

Azerbaijan: nella terra del fuoco protettore

Secondo i dati dell’agenzia azera Turan, attualmente sono 303 i prigionieri politici in Azerbaigian, tra cui risultano otto leader della ex Repubblica de-facto del Nagorno-Karabakh, ora parte dell’ Azerbaigian. Human Rights Watch riporta che solo tra il 2023 e il 2024, le autorità azere hanno arrestato oltre 30 persone tra giornalisti indipendenti, attivisti della società civile e accademici con accuse penali infondate, come contrabbando di denaro, imprenditoria illegale, riciclaggio di denaro ed evasione fiscale.

Dopo l’arresto di Samadov, anche Samad Shikhi e Javid Agha, attivisti per la pace e collaboratori di OC Media, una testata indipendente con sede a Tbilisi, Georgia sono stati fermati dalle autorità azere mentre cercavano di lasciare il Paese. Entrambi sono stati rilasciati poco dopo dichiarando di essere stati trattenuti per fornire testimonianze su Samadov. Ad Agha, tuttavia, è stato imposto un divieto di viaggio a tempo indeterminato. A luglio, anche un altro ricercatore, Igbal Abilov, è finito in carcere con l’accusa di tradimento. Come Bahruz Samadov, Abilov è stato posto in custodia cautelare per quattro mesi e rischia fino a 20 anni di reclusione.

“A questo punto cosa è rimasto da reprimere? Nel 2014-2015 hanno arrestato e represso le ong, quindi la società civile organizzata. Nel 2023 i gruppi informali e gli ultimi media indipendenti come Abzas media. Adesso non ne esistono più. Nel 2024 sono rimasti solo singoli individui come Bahruz Samadov” afferma Cesare Figari Barberis, ricercatore del Graduate Institute di Ginevra specializzato in Georgia e Azerbaijan, che ricorda come anni di repressione hanno portato al quasi totale esaurimento delle voci di opposizione nel paese.

Armeni in fuga dal Nagorno-Karabach

In vista della Cop29, un momento critico per Baku

Armenia e Azerbaigian potrebbero firmare un “accordo estremamente superficiale” prima della Cop29, un’intesa puramente simbolica che non risolverebbe alcun problema reale, nonostante Baku abbia annunciato l’intenzione di ospitare una “Cop di pace”

Gli arresti arrivano in un momento critico per l’Azerbaigian: meno di due mesi prima del vertice Cop29 di novembre a Baku e parallelamente ai colloqui di pace con l’Armenia che proseguono sullo sfondo di accuse di violazione del cessate il fuoco. Mentre da un lato alcuni ipotizzano che questa nuova ondata repressiva nei confronti di giornalisti, politici e sostenitori della pace possa preludere a una nuova escalation, altri ritengono che non sarebbe nell’interesse dell’Azerbaigian istigare un conflitto armato con l’Armenia prima del vertice delle Nazioni Unite sul clima.

“Credo che in questo caso non ci sia una vera e propria causa, ma un’autocrazia che tende ad essere sempre più autocratica. Potevano reprimere ancora di più e l’hanno fatto. Perché? Perché tanto non hanno nessun tipo di condanna internazionale, oppure anche se c’è, è molto debole”, afferma Barberis.

Secondo Laurence Broers, ricercatore del think tank britannico Chatham House, Armenia e Azerbaigian potrebbero firmare un “accordo estremamente superficiale” prima della Cop29, un’intesa puramente simbolica che non risolverebbe alcun problema reale, nonostante Baku abbia annunciato l’intenzione di ospitare una “Cop di pace“. “Come possiamo considerare seriamente questa iniziativa, quando osserviamo che le ultime voci indipendenti che esprimevano opinioni critiche sulla pace vengono arrestate?” si domanda Broers. “Chi avrà voglia di partecipare agli incontri di dialogo, sapendo che tali interazioni potrebbero essere utilizzate contro di lui come prova di tradimento?”.

Broers aggiunge che l’Azerbaigian sembra “molto riluttante” a lasciar perdere il conflitto con l’Armenia, nonostante le sue dichiarazioni contrarie, a causa delle “opportunità” che il conflitto offre. Secondo il ricercato del think tank britannico, oltre a fornire una questione centrale attorno alla quale mobilitare la popolazione, il conflitto è stato visto da alcuni come la prima vittoria militare ottenuta dall’Azerbaigian “come Stato nazionale”, il che ha portato a una “riluttanza” a muoversi completamente verso la pace.

Anche Bahruz, in un’intervista concessa alla lavialibera l’anno passato, esprimeva scetticismo riguardo alla possibilità che l’Azerbaigian interrompesse le proprie attività militari nei confronti dell’Armenia dopo aver ripristinato il controllo sul territorio conteso del Nagorno-Karabakh.

“L’armenofobia ha legittimato il regime di Ilham Aliyev per decenni perché l’immagine del nemico esterno è ciò che crea unità e neutralizza le contraddizioni interne, oltre a funzionare come strumento argomentativo. Se qualcuno si oppone al regime, è facile additarlo come pro Armenia”, aveva affermato Samadov, secondo il quale non sarà possibile raggiungere una pace duratura con gli armeni “fino a quando non saranno smontati i miti vendicativi che costituiscono la nostra identità nazionale e non sarà rifiutato il nazionalismo violento”.

Armenia: il cappellano militare è sempre pronto

Speranze al minimo

Nel frattempo, a Baku l’incertezza riguardo a chi potrebbe essere il prossimo bersaglio delle autorità pesa sulle poche voci critiche rimaste nel Paese. “So che c’è molto panico e un po’ di senso di disperazione perché chi è rimasto non sa più che fare. Non c’è molto supporto interno e pochissimo esterno. Cosa rimane da reprimere? Quasi niente ormai”, afferma Barberis.

Senza una pressione internazionale sul regime di Ilham Aliyev affinché liberi coloro che sono stati ingiustamente incarcerati, le speranze per i detenuti nelle carceri azere rimangono ridotte al minimo. “I paesi e le organizzazioni occidentali devono sollecitare il governo a rilasciare tutti i prigionieri politici. Hanno il potere di chiedere all’Azerbaigian di rispettare i diritti umani”, afferma il giornalista Turxan Karimov. 

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Armenia, genocidio infinito (Radio Radicale 03.10.24)


Dibattito organizzato da Fondazione Willy Brandt.

Sono intervenuti: Mario Spadari (presidente della Fondazione Willy Brandt), Mariano Giustino (corrispondente di Radio Radicale dalla Turchia), Antonella De Monteforte (professoressa), Gianna Cimino (curatore culturale), Beppe Attene (sceneggiatore), Flavia Fratello (giornalista), Pietro Alleva (blogger, componente dell’Associazione Manalive), Boutros Marayati (arcivescovo armeno-cattolico di Aleppo), Tsovinar Hambardzumyan (ambasciatrice della Repubblica d’Armenia in Italia).

Tra gli argomenti discussi: Aleppo, Antisemitismo, Armenia, Associazioni, Azerbaigian, Balcani, Bosnia Erzegovina, Carcere, Caucaso, Chiesa, Cristianesimo, Croazia, Cultura, Curdi, Decessi, Diritti Umani, Donna, Ebraismo, Ebrei, Economia, Ergastolo, Esteri, Europa, Finanziamenti, Fondazioni, Fotografia, Genocidio, Georgia, Germania, Giornalisti, Giustizia, Guerra, Hamas, Hitler, Identita’, Informazione, Integralismo, Intellettuali, Islam, Israele, Italia, Kavala, Medio Oriente, Multiculturalismo, Nagorno Karabak, Nazionalismo, Palestina, Palestinesi, Pena Di Morte, Politica, Rapimenti, Religione, Roosevelt, Russia, Scienza, Serbia, Storia, Stragi, Sviluppo, Terrorismo Internazionale, Totalitarismo, Turchia, Ucraina, Unione Europea, Urss, Usa, Violenza.

La registrazione video di questo dibatto ha una durata di 1 ora e 50 minuti.

Il contenuto è disponibile anche nella sola versione audio.

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Francia. Assassinato un altro oppositore fuggito dall’Azerbaigian (Pagineesteri 03.10.24)

Pagine Esteri, 3 ottobre 2024 – Vidadi Isgandarli, un noto oppositore politico azero che viveva in esilio in Francia, è morto a causa di un’aggressione che potrebbe avere motivazioni politiche.

Il 62enne, ex procuratore e poi attivista per i diritti umani, è stato infatti picchiato da tre uomini e poi accoltellato 21 volte domenica notte all’interno del suo appartamento di Mulhouse, una città dell’Alsazia a pochi chilometri dal confine con la Germania. Martedì scorso la vittima è deceduta in ospedale a causa delle gravi ferite riportate.

Nel 2011 Isgandarli era stato condannato a tre anni e mezzo di carcere in Azerbaigian per diversi reati, tra cui quello di “interferenza nei processi elettorali”. L’anno successivo era stato scarcerato grazie ad un’amnistia varata dal presidente Ilham Aliyev.

Nel 2017, però, le continue minacce da parte del regime lo avevano convinto a trasferirsi in Francia insieme alla famiglia. A Mulhouse aveva ripreso a denunciare la repressione e gli intrallazzi economici del vertice del regime azero.

Per ora gli inquirenti francesi non si sbilanciano, ma Isgandarli è il quarto oppositore del regime di Aliyev assassinato in esilio dal 2021 ad oggi, dopo Bairam Mammedov, Vuqar Rza e Hüseyn Bakikhanov, uccisi rispettivamente in Turchia, in Belgio ed in Georgia.
Nel 2021 un altro dissidente azero, Mahammad Mirzali, era stato accoltellato 16 volte a Nantes (Francia) ma era sopravvissuto.

L’ex repubblica sovietica dell’Asia centrale, tra i principali esportatori di gas e petrolio in Europa e stretto alleato della Turchia di Recep Tayyip Erdogan, a novembre ospiterà la conferenza dell’ONU sui cambiamenti climatici “COP 29”. Pagine Esteri

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San Gregorio Illuminatore, Apostolo dell’Armenia (Radiospada 30.09.24)

Il 30 settembre il Martirologio Romano ricorda il santo vescovo Gregorio Illuminatore. Vediamo chi è questo santo dell’Oriente, così famoso anche in Occidente (è il lui il napoletano “San Gregorio Armeno”.

«Gregorio, discendente dei Re dell’Armenia, fuggito ancor bambino dalla patria a Cesarea di Cappadocia, ivi ricevette il santo battesimo e una educazione cristiana; si sposò ed ebbe due figli, Ortane e Arostane. Non ignorando ciò che il padre aveva fatto – l’uccisione del Re Kosrov – si diede volontariamente in schiavitù al figlio di questi Tiridate III che lo avrebbe condotto poi con sé in Armenia, una volta riottenuto dai Romani il regno. Gregorio, dopo quattordici anni di atrocissimi tormenti, sostenuti con invitta costanza per di non sacrificare agli idoli, riuscì a convertire alla vera fede il Re e i suoi ministri. Tiridate, animato da santo zelo, distrusse tutti i templi degli idoli ed edificò molte chiese sicché, verso il 301, il suo Regno fu il primo ad adottare la Religione Cattolica come unica ed ufficiale. Quindi sollecitò con insistenza che Gregorio fosse consacrato Vescovo. Trovandosi questi nel dubbio se accettare o meno sì gravoso ufficio, un Angelo lo confortò, quindi ricevette il sommo sacerdozio dalle mani di Leonzio, Vescovo di Cesarea. Tornato in patria si adoperò sempre più alacremente per la propagazione della vera fede, confermando la predicazione con la vita santa e coi miracoli: i templi dei demoni cadono alle sue preghiere, sanati sono i malati. Infine desideroso di riposarsi in Dio, consacrò vescovo suo figlio Arostane e ne andò in solitudine con pochi allievi, ove dedito a un digiuno sì ammirabile e alla contemplazione, pieno dei giorni si addormentò nel Signore, sotto l’Imperatore Costantino Magno, verso il 332. Le sue reliquie nel secolo VIII furono traslate in Italia per sottrarle alla furia degli Iconoclasti. A Napoli, nella splendida chiesa di san Gregorio Armeno, si conservano il capo, le catene e i frammenti delle verghe, con cui fu torturato. Nella Cattedrale di Nardò si venera un braccio». (da Die I Octobris. In festo Sancti Gregorii episcopi majoris Armeniae et Martyris)

Leone XIII lo ricorda nella sua enciclica agli Armeni “Paterna caritas

«Quegli stessi che sono separati da Voi nel loro culto si gloriano che il popolo Armeno sia stato istruito nella fede di Cristo da quel Gregorio, uomo santissimo soprannominato l’Illuminatore, che essi venerano in modo particolare come loro padre e loro patrono. Fra loro è rimasto pure memorabile il viaggio che egli fece alla volta di Roma per testimoniare la sua fedeltà e il suo rispetto verso il Romano Pontefice San Silvestro. Si dice anche che egli sia stato ricevuto con l’accoglienza più benevola, e che ne ottenesse parecchi privilegi. In seguito questi stessi sentimenti di Gregorio verso la Sede Apostolica furono condivisi da molti altri di coloro che ressero le Chiese Armene, come risulta dai loro scritti, dai loro pellegrinaggi a Roma e, principalmente, dai decreti sinodali»

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Junior Eurovision 2024, per l’Armenia sarà in gara Leo Mkrtchyan (Eurofestivalnews 29.09.24)

Sarà Leo Mkrtchyan, 10 anni, a rappresentare l’Armenia allo Junior Eurovision 2024, in programma sabato 16 Novembre alle ore 18 alla Caja Magica di Madrid. ARM TV ha selezionato interanamente il giovane artista fra 100 ragazzi e ragazzi dopo due round di audizioni. A selezionarlo un panel di giurati internazionali composta i capodelegazione all’Eurovision o Junior  Eurovision  di Francia, Regno Unito, Polonia e Portogallo; da Iveta Mukuchyan, rappresentante amena all’Eurovision 2016 e co-conduttrice dello Junior Eurovision 2022 insieme a Garik Papoyan, anche lui nella giuria; e inoltre dal regista Aramais Hayrapetyan

 Leo Mkrtchyan, che sarà in gara  identificato solo come Leo, canta da sempre: i suoi artisti preferiti sono Michael Jackson, Frank Sinatra, Justin Timberlake e Teddy Swims. Oltre alla musica, ama il calcio e la lettura. La canzone sarà presentata prossimamente.

L’Armenia allo Junior Eurovision Song Contest

Diciassettesima partecipazione per l’Armenia dal debutto del 2007 ad oggi. Ha saltato soltanto l’edizione da remoto del 2020, ritirandosi dopo essersi iscritta perchè in quel periodo era in atto la fase più delicata del contrasto con l’Azerbaigian. Maléna, selezionata in quell’anno, ha poi vinto l’anno successivo col brano “”Qami Qami“: si trattava della seconda vittoria dopo quella ottenuta da Vladimir Arzumanyan, originario della regione contesa del Nagorno Karabakh, nel 2010 con il brano “Mama”. Nel bilancio anche cinque secondi e tre terzi posti.

La vittoria di Maléna fu caratterizzata dal boicottaggio in diretta della tv azera, durante l’esibizione della giovane artista e anche al termine, nella proclamazione della sua vittoria. In quella stessa occasione, la tv azera tentò vanamente  di impedire alla sua artista Sona Azizova di andare a complimentarsi con Maléna in quanto “nemica perchè armena”.

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Maestoso da mille anni: è il Platano gigante di Vrisi, il più longevo d’Italia (QuiCosenza 29.09.24)

CURINGA (CZ) – Al suo interno potrebbero starci tranquillamente 10 persone. Il suo fusto è quasi totalmente cavo alla base, e largo più di tre metri. Con una circonferenza di 14,75 metri, (ma le sue radici sono ancora più estese) e un’altezza di oltre 31 metri, il platano di Vrisi è il più longevo d’Italia, ed è inserito nella lista degli alberi monumentali della Calabria. Il platano calabrese si è anche aggiudicato il secondo posto al contest European Tree of the Year, che il 17 marzo 2021 ha assegnato il titolo alla millenaria Carrasca di Lecina, in Spagna. Il maestoso albero si trova nel cuore di un bosco, situato sulle basse montagne del comune di Curinga (Cz) ed è accessibile attraverso un apposito e suggestivo sentiero

Ma quanti anni ha? Alcuni botanici hanno stabilito che ha oltre 1000 anni di vita e che sarebbe stato uno dei monaci Basiliani, provenienti dall’Armenia, a costruire il vicino Eremo di Sant’Elia nel XI secolo, e a piantare nel fertile terreno sulle sponde di un ruscello, una piantina, diventata oggi l’eccezionale gigante della natura.

L’albero più grande d’Italia è il Castagno dei Cento Cavalli di Sant’Alfio, in Sicilia, e misura 22 metri; perciò il platano di Curinga è, per dimensioni del tronco, ai primissimi posti nella classifica dei giganti vegetali del Paese.

Questo platano orientale, originario dell’Armenia, viene definito “Il Gigante di Curinga”. Il luogo che lo accoglie è affascinantesilenzioso, e per molti ha il profumo di sacralità. Il corpo dell’albero non è stato intaccato dal tempo, ed è cresciuto meravigliosamente maestoso diventando non solo il simbolo di Curinga, ma anche uno dei principali attrattori del territorio. Di questo imponente albero dunque, si può dire “mille anni e non sentirli”. 

Dalla sua posizione inoltre, su un pianoro affacciato sul golfo di Sant’Eufemia, è possibile spaziare, nelle giornate più chiare, sullo Ionio e sul Tirreno, intravedendo le isole Eolie e persino la cima dell’Etna. Un tempo, inoltre, veniva utilizzato da pastori e viandanti per ripararsi dalle intemperie.

L’Eremo di Sant’Elia Vecchio

I resti attuali si trovano poco sopra l’area boschiva che ospita il Platano monumentale, e richiamano le forme tipiche dell’architettura orientale: il livello inferiore dell’edificio adibito alle funzioni quotidiane, quello superiore a dormitorio; la splendida chiesa con l’abside tuttora visibile, sormontato da una splendida cupola bizantina.

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