La Chiesa Apostolica Armena contro la cessione di un altro territorio all’Azerbaijan (AciStampa 19.04.24)

Dopo aver perso il controllo dei territori dove si trovano diversi monasteri storici in Nagorno Karabakh (nome storico armeno: Artsakh), come quello di Dadivank, l’Armenia sembra apprestarsi a trasferire anche i territori di Tavush Marz, casa di antiche vestigia cristiane, al controllo di Baku. Così, lo scorso 9 aprile la Chiesa Apostolica Armena ha redatto una dichiarazione molto dura riguardo la possibile decisione delle autorità armene.

Secondo la dichiarazione, datata 9 aprile, i “recenti sviluppi non lasciano dubbi sul fatto che le autorità armene, nelle condizioni di completo spopolamento dell’Artsakh e di occupazione dei territori della Repubblica Armena, cedendo alle minacce dell’Azerbaijan si stanno preparando a consegnare i territori di Tavush Marz a quest’ultimo prima della presunta demarcazione”.

La Chiesa Apostolica Armena condanna l’approccio “disfattista” del governo, che ha portato a “successive dolorose concessioni territoriali”, e al fatto che le “false pretese e riprovevole ambizioni del’Azerbaijan nei confronti dei territori dell’Armenia vengono legittimate dalla comunità internazionale”.

Da parte sua, la Chiesa Apostolica Armena “accoglie con favore tutti gli sforzi ragionevoli e i processi volti a raggiungere la pace”, ma considera “indiscutibile che la politica adottata dalle autorità armene per creare una era di pace con concessioni unilaterali non solo è irrealistica, ma anche disastrosa”, perché “la contrattazione sulla patria e le continue concessioni ingiustificate non potranno mai fornire un ambiente sicuro per il nostro popolo”.

Secondo la Chiesa Apostolica Armena è piuttosto “possibile costruire una pace duratura e forte a condizione che si dimostri pieno rispetto per la dignità e i diritti nazionali e si mantenga il principio di reciprocità”.

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Per questo, si chiede alla Repubblica Armena di abbandonare “il modo disfattista di lavorare”, ma anche alle organizzazioni nazionali, politiche e non governative dell’Armenia e della diaspora” di “unirsi e difendere i nostri interessi statali con quelli nazionali”.

Ma perché il marz di Tavush è importante? Si trova a Nord dell’Armenia, ai confini con Georgia e Azerbaijan, è a 1000 metri sopra il livello del mare ed è famoso per l’abbondanza dei fiumi e delle risorse d’acqua, nonché di legame.

Il nome di Tavush viene da una area storica armena, parte della Grande Armenia e vi si trovano diversi luoghi di interesse cristiano.

In particolare, ci sono i complessi monastici di Goshavank (XII – XIII secolo), Haghartsin (XI – XIII secolo), Makaravank (XI – XIII secolo), Voskepar (VI – VII secolo), Mshavank (XII secolo), Nor Varagavank (XII – XIII secolo) e Khoranagat (XIII secolo).

Quando invece la Chiesa Apostolica Armena parla di politica disfattista, fa riferimento alla tensione che si è creata nel Paese per la gestione dei profughi dell’Artsakh, la mancanza di stabilità nelle relazioni con l’Azerbaijan peggiorate da diverse scaramucce in frontiera, nonché alle richieste dell’Azerbaijan di consegnare alcuni centri abitati. In particolare, secondo Bak nella zona di Tavush ci sono otto villaggi sotto il controllo armeno che vanno in realtà assegnati all’amministrazione azerbaigiana.

Come ha precisato il vice-premier azero Šakhin Mustafaev, quattro di questi villaggi (Baganis-Ajrim, Ašagy-Askipara, Khejrimly e Gyzylgadžily) “appartengono all’Azerbaigian e devono essere liberati immediatamente”, mentre per gli altri quattro (Jukhary-Askipara – in armeno Verin-Voskepar, Sofulu, Barkhdarly, Kjarki – in armeno Tigranašen) è necessaria una valutazione concordata, pur ritenendo necessaria la loro “liberazione”.

Da parte armena si sostiene che l’Azerbaigian abbia occupato “totalmente o in parte” 31 villaggi armeni, e Simonyan ha dichiarato che “noi siamo pronti a restituire le enclave azerbaigiane.

Non sono comunque ancora iniziate la trattative per delimitare e demarcare i confini tra Azerbaijan e Armenia, e questo non permette la conclusione di alcun accordo di pace, sebbene una commissione per le delimitazioni sia stata costituita già ad inizio marzo.

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L’Armenia accusa l’Azerbaijan di pulizia etnica davanti alla CIG (Ultimavoce 18.04.24)

Si sono tenute in questa settimana le prime audizioni del caso presentato nel 2021 dall’Armenia contro l’Azerbaijan di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG): le accuse sono quelle di glorificare l’odio razziale nei confronti della popolazione di etnia armena e di adottare comportamenti violenti e discriminatori. Al confine fra i due paesi sarebbero in atto operazioni di pulizia etnica. 

Le origini del caso: la guerra Armenia-Azerbaijan 

Il caso affonda le sue radici nella disputa riguardo il territorio del Nagorno-Karabakh, un’enclave montuosa che i due paesi del Caucaso di contendono sin dal crollo dell’Unione Sovietica. La regione è stata teatro di una vera e propria guerra Armenia-Azerbaijan, che nel ha causato la morte di più di 6.600 persone. Il conflitto si concluse all’epoca grazie ad un accordo di cessate il fuoco mediato dalla Russia, che garantì all’Azerbaijan il controllo territoriale di alcune parti del Nagorno-Karabakh, lasciando però il governo di altre aree in mano a funzionari armeni.

Le ostilità al confine fra i due paesi si sono riaccese quando, a settembre dello scorso anno, Baku ha avviato un’operazione militare per riportare sotto il proprio controllo la totalità dell’enclave. Questa manovra ha prodotto la maggior parte della popolazione a fuggire verso l’Armenia, che oggi affronta una crisi umanitaria nel tentativo di gestire sia i rifugiati arrivati nel 2020 che i nuovi ingressi di settembre. Nonostante la CIG abbia ordinato all’Azerbaijan di consentire il ritorno della popolazione di etnia armena nel Nagorno-Karabakh già da novembre, gli sfollati non hanno fatto ritorno. A dicembre, le due parti hanno concordato di avviare dei negoziati per un trattato di pace, che però ad oggi non sembrano aver prodotto risultati.

Il caso portato alla Corte Internazionale di Giustizia

La Convenzione dell’ONU per l’eliminazione della discriminazione razziale prevede una clausola che consente di risolvere le dispute tramite la Corte Internazionale di Giustizia nel caso in cui con i negoziati bilaterali non si riesca a trovare un accordo. Nel 2021 l’Armenia ha quindi presentato un caso alla corte dell’Aja, accusando l’Azerbaijan di adottare comportamenti in chiara violazione della Convezione.

Le accuse sono state prontamente respinte dall’Azerbaijan, che sostiene di non aver mai costretto gli armeni a lasciare il Nagorno-Karabakh, ma al contrario di aver garantito il ritorno in sicurezza e la protezione effettiva di tutti i residenti dell’area in conflitto indipendentemente da nazionalità e etnia.

Questa settimana sono state avviate le prime audizioni pubbliche sul caso, che per ora si limiteranno ad accertare l’effettiva giurisdizione delle Corte Internazionale di Giustizia e quindi non entreranno nel merito delle accuse di discriminazione. Baku ha infatti sollevato due obiezioni all’avvio stesso del processo.

Le audizioni: la posizione dei due paesi

In primo luogo, il rappresentante azero Elnur Mammadov ha argomentato davanti al tribunale che l’Armenia non ha mostrato un reale impegno nei negoziati con l’Azerbaigian per risolvere la questione: la mancanza di una volontà genuina di risolvere il conflitto renderebbe il caso “prematuro, dal momento che per statuto la CIG ha mandato di intervenire nelle controversie solo laddove i dialoghi bilaterali siano falliti.

Mammadov ha poi contrattaccato, aggiungendo che dietro l’azione legale intrapresa dall’Armenia si celerebbe in realtà l’intenzione di sfruttare il processo come lo strumento di una campagna mediatica contro l’Azerbaijan. Accuse fermamente respinte da Yeghishe Kirakosyan, il rappresentante armeno, che ha dichiarato: “l’Armenia ha negoziato con l’Azerbaigian in buona fede e ha portato avanti le discussioni ben oltre il punto di utilità”.

In seconda battuta, l’Azerbaijan sostiene che le accuse presenti nell’istanza dell’Armenia siano semplicemente al di fuori del campo di applicazione della Convenzione contro la discriminazione, il che escluderebbe in automatico la giurisdizione della Corte Internazionale di Giustizia. Ancora una volta Kirakosyan ha controbattuto, osservando come le violenze, la detenzione e le scomparse forzate ai danni della popolazione armena siano chiaramente motivate da un intento discriminatorio su base razziale, al contrario di quello che l’Azerbaijan sostiene.

Consolidato il suo il controllo sul Nagorno-Karabak, Baku starebbe ora “cancellando sistematicamente ogni traccia della presenza degli armeni etnici, compreso il patrimonio culturale e religioso armeno”. Secondo il rappresentante armeno, l’Azerbajan ha da sempre interpretato le rivendicazioni in materia di diritti umani come una sfida nei confronti della sua sovranità o integrità territoriale. Alla luce di questo, assume corpo l’ipotesi per cui “dopo aver minacciato di farlo per anni, l’Azerbaigian ha completato la pulizia etnica della regione”: questa l’affermazione lapidaria di Kirakosyan.

Per arrivare a una sentenza per le accuse nel merito potrebbero volerci anni, un lasso di tempo a cui va sommato il periodo necessario per valutare le questioni relative alla giurisdizione. Nel frattempo, non esistono garanzie che la situazione al confine non si deteriori ulteriormente e che la guerra Armenia-Azerbaijan non produca altre vittime.

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Ritiro delle truppe dal Karabakh dove i russi erano forza di pace (Euronews 18.04.24)

Il compito dei militari russi era quello di garantire la sicurezza e il libero passaggio sull’unica strada che collega il Karabakh all’Armenia

Le forze russe sono state ritirate dalla regione del Karabakh in Azerbaigian dove erano stanziate come forze di pace dalla fine della guerra nel 2020.

Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha confermato le notizie sul ritiro, ma non ha fornito ulteriori dettagli.

Hikmet Hajiyev, capo della politica estera dell’amministrazione presidenziale dell’Azerbaigian, ha dichiarato che il ritiro delle truppe russe è stato concordato da entrambi i Paesi, anche alla luce del fatto che gli azeri hanno ripreso il pieno controllo della regione lo scorso anno.

Cosa facevano i russi nel Nagorno Karabakh

Il compito dei militari russi doveva essere quello di garantire il libero passaggio sull’unica strada che collega il Karabakh all’Armenia. Ma l’Azerbaigian ha iniziato a bloccare la strada alla fine del 2022, sostenendo che gli armeni la usavano per le spedizioni di armi e per il contrabbando di minerali, e le forze russe non sono intervenute.

Dopo mesi di carenza di cibo e medicinali sempre più grave in Karabakh a causa del blocco, l’Azerbaigian ha lanciato un blitz nel settembre 2023: l’incursione ha costretto le autorità armene del Karabakh a capitolare, dopo un giorno di negoziati mediati dalle forze russe.

Quasi tutti i 50.000 residenti di etnia armena del Karabakh sono fuggiti dalla regione nel giro di pochi giorni.

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AZERBAIGIAN. LE FORZE DI PACE RUSSE HANNO INIZIATO A RITIRARSI DALLA REGIONE DEL NAGORNO-KARABAKH (Notiziegeopolitiche)

AMERIKATSI, LA MEMORIA DOVEROSA DEL TRAGICO GENOCIDIO ARMENO (Mymovies 18.04.24)

Michael A. Goorjian, regista americano di origini armene, ha realizzato Amerikatsi, un film potente e onesto evocando uno dei più efferati delitti della Storia, il genocidio armeno. Il film è stato presentato in anteprima al Woodstock Film Festival e ha vinto il premio come “Miglior film narrativo”. E’ stato candidato agli Oscar fra i film in lingua straniera.  Sarà nella sale italiane in primavera.
Il regista è perfettamente accreditato per questo racconto. E’ un fatto di sua cultura personale e famigliare. I nonni del padre erano miracolosamente sopravvissuti a quello sterminio. Il ragazzo Charlie è protagonista del film. Mentre i soldati ottomani irrompevano nelle case e portavano via gli armeni, Charlie si salvò nascondendosi in un baule che il caso, straordinariamente fortunato, destinava ad essere trasportato negli Stati Uniti.

E’ davvero opportuno, prima di proseguire il racconto, produrre un’istantanea di quella vicenda armena. Col termine “genocidio” oppure “olocausto degli armeni”, si indicano le persecuzioni degli armeni, deportati e uccisi dall’impero ottomano nel biennio 1915/1916. I morti furono più di un milione e mezzo. Gli armeni commemorano quel massacro il 24 aprile. La notte fra il 23 e 24 aprile fu devastante. Vennero arrestatati personaggi della cultura e dell’élite sociale di Costantinopoli. Gli arresti si protrassero per diversi giorni. In un mese oltre mille intellettuali armeni, scrittori, giornalisti, docenti, delegati al parlamento, furono deportati verso l’interno dell’Anatolia e massacrati durante il viaggio. Molti morirono di fame o per sfinimento. Erano presenti, per supervisione, ufficiali tedeschi collegati all’esercito turco. Gli storici rilevarono una analogia, una sorta di prova generale, fra quella marcia della morte, con le marce dei deportati ebrei verso i lager.

Ma il richiamo del Paese e del sangue è forte e Charlie, diventato uomo, decide di tornare nella sua terra. E’ il 1947 e quella nazione è soffocata da un oscurantismo che non fa prigionieri. Fa parte dell’impero sovietico con tutto ciò che il comunismo rappresenta. E’ l’inizio della guerra fredda e Stalin non intende tollerare focolai di democrazia o di affinità con l’Occidente, con L’America. Dunque la sua azione repressiva è impietosa. E Charlie sconta quella dura realtà e ne paga le conseguenze. Viene arrestato col pretesto di portare la cravatta, simbolo di cultura occidentale. Dalla prigione, osservando quel mondo, si rende conto del triste destino della sua terra d’origine. Ma non basta, il regime teme che i modi occidentali dello “straniero” possano influenzare gli altri detenuti e così lo relega in isolamento.
Ma Charlie, dalla sua identità di uomo libero, cerca di capire. E ciò che scopre sono verità disumane e inaccettabili.

Michael A. Goorjian ha espresso una visione di quella terra e del mondo che può essere estesa e misurata nella nostra epoca che vive, come non era mai accaduto, di contrasti fra mistiche, culture, Paesi, guerre, rese dei conti che per decenni erano state tenute sopite e che adesso sono esplose. Amerikatsi offre un’indicazione di resilienza onesta e profonda. Porta l’utente a ragionare sul nostro status attuale.
E’ ciò che devono fare le opere, che sia arte, cinema o scrittura.

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Yervant Gianikian: “La nostra guerra per la pace” (Cinecittànews 18.04.24)

Il festival di Bolzano consegna a Yervant Gianikian il premio alla carriera. “Per me, che sono cresciuto a Merano, è una sorta di ritorno a casa”, ci dice l’artista 82enne. Sul palco, intervistato dal critico Paolo Mereghetti, sarà da solo, ma la compagna di lavoro e di vita Angela Ricci Lucchi, scomparsa nel 2018, è sempre accanto a lui e rivive nei Diari di Angela. Sta infatti per vedere la luce il terzo capitolo di questo grande progetto.

Gianikian, di padre armeno e madre italo-austriaca, con studi di Architettura a Venezia, ha trovato in Angela, nata a Lugo di Romagna, allieva in Austria di Oskar Kokoschka, una complice totale per un lavoro di ricerca che parte dal found footage per esplorare la storia del Novecento, con un metodo personalissimo e temi ricorrenti, come la guerra, il colonialismo, la barbarie. A partire dai “film profumati” degli anni ’70, i due si sono sempre mossi tra videoarte, performance e cinema trovando riconoscimenti dal Festival di Cannes al MoMA di New York. Nel 2015 hanno vinto il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia per la loro partecipazione al Padiglione Armeno e il premio FIAF – International Federation of Film Archives. Così li descrive Paolo Mereghetti: “Dopo i lavori iniziali influenzati dall’arte concettuale, che ruotavano intorno all’idea di catalogazione, associazione – di oggetti ma anche di idee e sensazioni – il lavoro di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi prende corpo, sempre all’interno di una costante tensione formale sulla lettura del ‘rimosso cinematografico’ e sull’analisi del materiale preesistente. A partire dal recupero di vecchi archivi documentari, per proseguire coi film sulla guerra o sulla sopraffazione di una cultura sull’altra, i due registi hanno saputo superare la pura dimensione estetica o nostalgica legata all’utilizzo del found footage – il materiale girato ritrovato – per trasformare i loro film in strumenti di conoscenza e critica capaci di interrogare la ‘verità’ tramandata dalla macchina da presa che gli ultimi lavori dedicati alla compagna scomparsa hanno illuminato di una dimensione più personale ed emotiva”.

A Bolzano vengono proiettati sei loro film: Ritorno a Khodorchur. Diario armeno (1986), Lo specchio di Diana (1996), Images d’Orient – Tourisme vandale (2001), Oh! Uomo (2004), Pays barbare (2013), I diari di Angela – Noi due cineasti. Capitolo 2 (2019) e l’ultima fatica Frente a Guernica (versione integrale) (2023).

“Gianikian e Ricci Lucchi – scrive Robert Lumley nella monografia Dentro al fotogramma, pubblicata nel 2011 – sono dei pionieri che hanno pensato a se stessi anzitutto come a degli artisti, lavorando al confine tra generi e ambiti istituzionali, con il risultato che le loro pellicole sono state lette e fatte proprie da spettatori e da mondi culturali molto diversi”.

Siete stati apprezzati e compresi sia nel mondo dell’arte che in quello del cinema.

La nostra opera è stata al centro di retrospettive al Jeu de Paume di Parigi come al MoMA di New York. La nostra trilogia della guerra è stata accolta in tanti luoghi diversi: Oh! Uomo è stato mostrato al Festival di Cannes nel 2004, Prigionieri della guerra, che è il primo capitolo, del ’95, è entrato nella collezione del MoMA insieme ad altri nostri film, Dal Polo all’Equatore, del 1996, è stato acquisito dal MAXXI di Roma due anni fa, lì abbiamo avuto una grande retrospettiva dei nostri film e ci sono anche nostri disegni e altre cose. Abbiamo fatto l’ultima Biennale veneziana di Harald Szeemann nel 2001 con La marcia dell’uomo e poi il mio ultimo film, che viene mostrato stasera a Bolzano, Frente Guernica (versione integrale) è stato prodotto dal Museo Reina Sofia di Madrid, mentre Pays Barbare è stato fatto insieme a Serge Lalou di Les Film d’ici nel 2013, ed è un film con cui abbiamo girato il mondo.

Dunque, i due mondi, dell’arte e del cinema, hanno percepito entrambi l’importanza e il valore della vostra opera.

Nell’ultimo Diario di Angela c’è Enrico Ghezzi che, all’inizio del film, dice che noi siamo artisti più che cineasti, però è anche vero che i Diari sono stati su Raiplay per dei mesi e lo è stato anche Ritorno a Khodorchur. Diario armeno, che è un film molto personale, sulla storia di mio padre che è sopravvissuto al genocidio armeno e che aveva sempre rifiutato di essere ripreso. È curioso poi che questo premio alla carriera ci venga dato a Bolzano, dato che ho vissuto la mia infanzia a Merano.

È quasi un cerchio che si chiude anche rispetto al discorso dell’identità. Il vostro è un cinema in qualche modo apolide. Lei ha un passaporto variegato per le sue origini armene ma c’è anche un forte radicamento nella lingua italiana.

Io sono cittadino italiano e mi sento italiano, come italiani sono i nostri film. Ma c’è anche questo aspetto: Angela stessa aveva studiato con Oskar Kokoschka a Salisburgo, in Austria. Per lei quello è stato un grande insegnamento, una grande lezione di cultura mitteleuropea, cultura a cui sentiamo di appartenere entrambi. Ora sto preparando un terzo diario di Angela e mi interessa molto che questa sera sia dato il mio film su Picasso e su Guernica perché è stato un grande sforzo, ho impiegato quattro anni a farlo.

Angela Ricci Lucchi e Yervant Gianikian

Angela Ricci Lucchi e Yervant Gianikian

Frente a Guernica aveva debuttato alla Mostra del cinema di Venezia.

Sì, è c’è stata una grande risposta del pubblico e sul web.

Guernica, come molte cose che avete fatto, è un lavoro sugli orrori della guerra e sulla guerra permanente che attraversa il Novecento e che ci portiamo purtroppo nell’oggi.

Abbiamo cominciato nel 1992-93 a costruire la nostra trilogia della guerra: Prigionieri della guerra, Su tutte le vette è pace, Oh! Uomo. Abbiamo continuato a lavorare sul tema e tutti questi film sono stati fatti durante le guerre, nella ex Jugoslavia, ad esempio, dove noi siamo andati anche a mostrarli. Quando Oh! Uomo veniva proiettato a Cannes in contemporanea avvenivano i massacri in Irak e la gente chiedeva che il film fosse mostrato non solo al festival ma nelle scuole e ovunque. Frente a Guernica era quello che a me mancava, un film sulla guerra civile in Spagna, guerra che anticipa la seconda guerra mondiale.

Come si pone oggi rispetto al conflitto in corso in Ucraina e a Gaza?

Noi abbiamo continuato sempre la nostra guerra per la pace. L’abbiamo portata avanti sin dall’inizio, occupandoci dei fascismi, delle ideologie, e continuiamo a farlo. E anche il terzo Diario di Angela sarà su questo.

Angela scriveva ogni giorno questo diario, quindi c’è moltissimo materiale.

Sì, Angela scriveva ogni giorno, ma non voglio anticipare nulla sul nuovo film. 

Se posso farle una domanda personale, la voce di Angela rimane sempre, avete lavorato in simbiosi per tutta la vita e sembra che lei sia ancora lì accanto a lei.

È sempre molto presente e la trovo in queste registrazioni che abbiamo fatto, nelle sue parole che entrano nel film.

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Fermo, la scrittrice armena Sonya Orfalian presenta il suo libro “Alfabeto dei piccoli armeni” (Corrierenews 18.04.24)

FERMO – Nell’ambito degli incontri con autrici ed autori, la Biblioteca “R. Spezioli” di Fermo ha organizzato per venerdì 19 aprile 2024 alle ore 17.00 nella Sala Lettura la presentazione del libro di Sonya Orfalian “Alfabeto dei piccoli armeni” (Sellerio, 2023), alla presenza della scrittrice armena che dialogherà con il prof. Francesco Castiglioni, docente di Storia e Filosofia al Liceo Classico “A. Caro” di Fermo.

 

Info: Biblioteca Civica “R. Spezioli” tel. 0734. 284462 – biblioteca.centrale@comune.fermo.it

Dalla dark age al poeta armeno Yeghishe Charents, due eventi targati Anassilaos (Reggiotoday 17.04.24)

Due significativi eventi in programma per la settimana e  targati Associazione Culturale Anassilaos.

Mercoledì 17 aprile  alle ore 17  presso la Sala Conferenze del MAaRC si terrà il secondo degli incontri promossi congiuntamente dal Museo Archeologico di Reggio Calabria e dal Sodalizio reggino.

“Mura divine. Modelli insediativi e mobilità nel Mediterraneo nella dark age” è il tema della conferenza della professoressa Elena Santagati, Associato di Storia Greca presso Università di Messina, e del professor Luigi Maria Caliò, associato di Archeologia Classica presso Università di Catania.

A condurre e moderare l’incontro il dotor Fabio Arichetta, Coordinatore degli incontri “La percezione del tempo tra Antico, Moderno e Contemporaneità nel cui ciclo si inserisce la manifestazione. Al centro della riflessione degli studiosi quel periodo della storia greca compresa tra il 1200 e l’800 a.C. che si apre con il crollo della Civiltà Micenea, forse a causa dell’arrivo dei Dori, e si prolunga fino ad Omero e alla nascita delle Poleis.

Tale periodo viene definito dagli storici dark age (età oscura) ma anche Medioevo Ellenico. Seppure le ragioni del crollo della civiltà micenea risultino ancora oscure e siano tuttora oggetto di vivace dibattito tra gli storici, è indubbio che intorno al XII secolo a.C.si avverte una profonda rottura con il passato e l’ emergere di una società diversa, non più organizzata intorno al Palazzo del sovrano, caratterizzata da ristagno economico, sociale e culturale.

Come peraltro avverrà in Occidente nel passaggio dal Medioevo all’Umanesimo, è evidente che il concetto di decadenza legato all’idea di una età oscura vuole definire soltanto un momento di passaggio e transizione da una età all’altra. Non a caso alla fine di tale età buia troviamo Omero, l’Iliade e l’Odissea, la nascita delle Città Stato (poleis) e il fiorire rigoglioso qualche secolo dopo della civiltà greca.

Di più stringente attualità, non fosse altro per le vicende internazionali che investono l’Oriente europeo e l’Armenia, l’omaggio al grande poeta armeno Yeghishe Charents (1897-1937) che si terrà giovedì 18 aprile  alle ore 16,45 presso la Sala Giuffre’ della Biblioteca Pietro De Nava promosso dall’Associazione Culturale Anassilaos congiuntamente con la stessa Biblioteca, con il Patrocinio del Comune di Reggio Calabria e dell’Ambasciata della Repubblica d’Armenia in Italia e l’adesione dell’Associazione Xenia Book Fair e della Comunità Armena di Calabria.

L’occasione per un tale incontro la pubblicazione, con testo originale e traduzione a cura della Leonida Edizioni, dell’opera poetica di Charents che può essere considerato come una delle più grandi voci poetiche del Novecento. Egli ha vissuto le immani tragedie del 20^ secolo a partire proprio dal Metz Yeghérn—il Grande Male, l’orribile genocidio del popolo armeno.

Fu rivoluzionario e bolscevico e combatté nell’Armata Rossa contribuendo ad instaurare in Armenia il regime comunista per accorgersi dopo che quella utopia si era trasformata nella oppressione dello stesso popolo armeno, la cui libertà e autodeterminazione, la cui religione e cultura, la cui arte e lingua venivano ancora una volta – dopo l’oppressione ottomana – conculcate da un regime dispotico.

Divenne così un oppositore tenace, pronto a battersi per il proprio popolo con le uniche armi di cui può disporre un poeta: la penna e l’ingegno. Il 26 luglio del 1937 venne arrestato e morì nel gulag di Stalin in circostanze tuttora oscure. All’incontro interverranno il dott. Stefano Iorfida (presidente Associazione Anassilaos), la dottoressa Daniela Neri (Responsabile Biblioteca P. De Nava), il dottor Domenico Pòlito (editore Leonida Edizioni), ilprofessor Giorgio Piras (Università di Roma La Sapienza) e il professor Alfonso Pompella (Università degli Studi di Pisa). Nel corso della manifestazione alla Leonida Edizioni, nel 20° anniversario della Fondazione, sarà consegnato il Premio Anassilaos Cultura 2024.

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La Russia si è ritirata dall’Artsakh, sconfitta nel Caucaso meridionale (Korazym 17.04.24)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 17.04.2024 – Vik van Brantegem] – Il contingente di mantenimento della pace russo ha lasciato l’Artsakh (Nagorno-Karabakh). Il filmato della partenza del personale e delle attrezzature del contingente è stato pubblicato oggi dall’agenzia di stampa Svezda del Ministero della Difesa della Federazione Russa. L’informazione sul ritiro delle forze di mantenimento della pace russe dall’Artsakh è stata confermata dal portavoce del Presidente russo, Dmitry Peskov.

Secondo quanto riportato dai media russi, il primo gruppo di personale con loro equipaggiamento militare del contingente di mantenimento della pace russo è partito pochi giorni fa dal monastero armeno di Dadivank nella regione di Karvachar. Attualmente, questo monastero è sotto la supervisione dei dipendenti del Ministero degli Interni dell’Azerbajgian.

Copertina video

 

Il contingente di mantenimento della pace russo era di stanza in Artsakh dal novembre 2020, sulla base della dichiarazione tripartita di cessate il fuoco nella guerra dei 44 giorni del 9 novembre 2020 da parte dei leader di Russia, Armenia e Azerbajgian. Il contingente russo era schierato lungo la linea di contatto tra la parte non ancora occupata della Repubblica di Artsakh e l’Azerbajgian e lungo il Corridoio di Lachin, che collegava l’Artsakh con l’Armenia, fino all’occupazione illegale da parte dell’Azerbajgian, con il benestare della Russia.

In precedenza, il Capo di Stato Maggiore delle forze armate russe, Valery Gerasimov, aveva affermato con una faccia di bronzo, che le forze di mantenimento della pace russe “hanno garantito il viaggio sicuro in Armenia a quasi tutta la popolazione del Nagorno-Karabakh”. Tradotto: hanno garantito la deportazione forzata in Armenia di tutta la popolazione della Repubblica di Artsakh, etnicamente pulito e occupato dall’Azerbajgian con la complicità della Russia.

Vale la pena notare che – secondo le disposizioni dell’accordo del 9 novembre 2020 – manca ancora un anno e mezzo alla fine della missione di mantenimento della pace russa in Artsakh.

Comunque, missione compiuta: dopo aver consegnato la Repubblica di Artsakh all’Azerbaigian, le forze di mantenimento della pace russe sono tornati a casa. Nel novembre 2020, Putin aveva promesso sicurezza agli Armeni dell’Artsakh. Tuttavia, con il monitoraggio delle forze russe, gli Armeni dell’Artsakh sperimentarono solo sofferenza. Poi, dopo l’attacco terroristico del 19-20 settembre 2023 dell’Azerbajgian, i militari Russi hanno partecipato alla deportazione forzata degli Armeni dell’Artsakh. Inoltre, non hanno impedito l’arresto illegale di alcuni leader della Repubblica di Artsakh, di cui alcuni si erano rifugiati nella base Russa a Stepanakert.

In realtà, questo ritiro è la conferma della vergognosa sconfitta della Russia nel Caucaso meridionale. Non solo la Russia ha perso l’Armenia, ma viene espulso anche dall’Azerbajgian. Quando qualcuno loda Putin come un grande stratega, mostragli il video di questo ritiro. Putin ha consentito la guerra di 44 giorni nel 2020, sperando che le truppe russe restassero nell’Artsakh per decenni. Tuttavia, oggi assistiamo alla ritirata dei militari russi dal Caucaso meridionale.

Foto di copertina dall’agenzia 301: in quanto media indipendente, il team 301 riconosce e utilizza solo una mappa quando riporta notizie armene e questa è la mappa dell’Armenia e dell’Artsakh indipendentemente dallo stato di occupazione.

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Sorrento: grande festa con musica armena al Ristorante Refood (Positanonews 17.04.24)

Sorrento: grande festa con musica armena al Ristorante Refood
Grande festa di compleanno ieri sera al Ristorante Refood di Sorrento, con musica dal vivo e un’atmosfera allegra e conviviale. Il locale, ormai punto di riferimento per la ristorazione in Penisola Sorrentina, ha ospitato un evento speciale che ha visto la partecipazione di numerosi invitati.

 
festa ristorante refood

Il Ristorante Refood conferma ancora una volta la sua vocazione all’eccellenza, non solo per quanto riguarda la qualità del cibo, ma anche per l’attenzione all’intrattenimento e all’organizzazione di eventi speciali. Un luogo ideale per celebrare occasioni importanti o semplicemente per trascorrere una piacevole serata in compagnia di amici e familiari.

La famiglia Savarese è un punto di riferimento per l’ospitalità in Penisola Sorrentina con una grande cucina dello chef Capozzi, una sala meravigliosa, gestita in maniera professionale, e da non perdere la visita alla cantina con una scelta di vini che vengono selezionati personalmente in cantina nelle varie aziende vinicole in Italia, come potranno dirvi i proprietari , ed è una fortuna poter parlarle con i titolari del ristorante, si riveleranno un pozzo di cultura, oltre che di grande umanità e conoscenza del territorio.

Qui si respira cultura, ma anche amore del territorio. Chiedete di Priora e gli si illumineranno gli occhi e il cuore, ebbene qui, dove si spazia fra la collina e il mare producono ortaggi e olio che avrete direttamente a tavola. Non solo, stare qui è sempre un’esperienza meravigliosa.

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Tra le Montagne dell’Armenia: geografia e cultura di una Nazione Antica (Meteoweb 17.04.24)

Con una storia ricca e complessa che risale a millenni fa, l’Armenia è conosciuta per la sua cultura antica, la sua architettura storica e la sua influenza nella regione. La sua capitale, Yerevan, è una delle città più antiche del mondo continuamente abitate, con una vivace vita culturale e una ricca storia. L’Armenia è anche celebre per il suo patrimonio religioso, essendo stata la prima nazione al mondo ad adottare il cristianesimo come religione di stato nel 301 d.C. La sua posizione geografica tra l’Europa e l’Asia le conferisce un’importanza strategica e culturale unica, rendendola una destinazione affascinante per gli esploratori e i viaggiatori.

Geografia dell’Armenia: ecco dove si trova

Con una storia ricca e complessa che risale a millenni fa, l’Armenia è conosciuta per la sua cultura antica, la sua architettura storica e la sua influenza nella regione. La sua capitale, Yerevan, è una delle città più antiche del mondo continuamente abitate, con una vivace vita culturale e una ricca storia. L’Armenia è anche celebre per il suo patrimonio religioso, essendo stata la prima nazione al mondo ad adottare il cristianesimo come religione di stato nel 301 d.C. La sua posizione geografica tra l’Europa e l’Asia le conferisce un’importanza strategica e culturale unica, rendendola una destinazione affascinante per gli esploratori e i viaggiatori.

Il Territorio dell’Armenia

L’Armenia è un paese con un territorio variegato e affascinante, che si estende attraverso le catene montuose del Caucaso meridionale. La sua geografia comprende non solo imponenti montagne, ma anche valli fertili, fiumi sinuosi e antiche pianure. Nonostante le dimensioni relativamente ridotte, il territorio armeno è ricco di diversità naturale e paesaggistica.

Le valli offrono terreni agricoli fertili dove vengono coltivate varietà di frutta, verdura e grano, mentre i fiumi come l’Aras e l’Alazani forniscono risorse idriche cruciali per l’irrigazione e l’approvvigionamento idrico. Le pianure, come l’Ararat, sono famose per la loro importanza storica e culturale, offrendo panorami iconici e legami profondi con la mitologia e la storia dell’Armenia. Complessivamente, il territorio dell’Armenia riflette la sua ricca storia, la sua forte identità culturale e la sua connessione profonda con la natura.

C’è il Mare in Armenia?

L’Armenia è una nazione senza sbocchi sul mare situata nel cuore del Caucaso meridionale. Circondata da terreferme e montagne ma priva di una costa marittima, l’Armenia si distingue per la sua posizione unica e suggestiva. Nonostante non abbia accesso diretto al mare, l’Armenia è ricca di bellezze naturali, con paesaggi mozzafiato che comprendono montagne imponenti, valli fertili e fiumi sinuosi. La sua storia e la sua cultura millenaria, arricchite da influenze e tradizioni antiche, hanno contribuito a plasmare un’identità nazionale forte e vibrante. Pur non essendo bagnata dalle acque marine, l’Armenia è un tesoro di scoperte culturali e avventure paesaggistiche che catturano l’immaginazione dei visitatori di tutto il mondo.

Le Montagne dell’Armenia

L’Armenia è una terra di maestose montagne che dominano il suo paesaggio e caratterizzano la sua geografia. Situata nel cuore del Caucaso meridionale, l’Armenia è circondata da catene montuose che offrono panorami mozzafiato e una varietà di ecosistemi unici. Le montagne armeni rappresentano non solo una bellezza naturale straordinaria, ma anche un importante elemento culturale e storico per il popolo armeno. Queste imponenti vette hanno fornito rifugio e protezione alle comunità locali attraverso i secoli, mentre i loro pendii hanno nutrito una ricca tradizione agricola e pastorale. Le montagne dell’Armenia offrono anche un terreno ideale per escursioni, trekking e sport invernali, attirando gli amanti della natura e gli avventurieri da tutto il mondo per esplorare le loro meraviglie.

Fiumi e Laghi in Armenia

L’Armenia è attraversata da diversi fiumi e ospita alcuni laghi pittoreschi che contribuiscono alla sua bellezza naturale. Tra i fiumi più importanti ci sono l’Aras e l’Alazani. L’Aras scorre lungo il confine con la Turchia e l’Iran, contribuendo alla formazione di valli fertili lungo il suo corso. L’Alazani, invece, attraversa la regione settentrionale del paese, giocando un ruolo cruciale nell’irrigazione delle terre agricole e nella fornitura di acqua potabile.

Inoltre, l’Armenia è nota per i suoi laghi incantevoli, tra cui il Lago Sevan, il più grande e più alto lago del Caucaso. Il Lago Sevan, situato nella parte nord-orientale del paese, è una destinazione turistica popolare e una risorsa importante per l’approvvigionamento idrico e la pesca. Altri laghi significativi includono il Lago Parz, il Lago Arpi e il Lago Akna, ciascuno con le proprie caratteristiche uniche e bellezze naturali che attraggono visitatori e amanti della natura.

La superficie dell’Armenia

L’Armenia ha una superficie totale di circa 29.743 chilometri quadrati, rendendola uno dei più piccoli paesi del Caucaso meridionale. Nonostante le sue dimensioni ridotte, l’Armenia è caratterizzata da una varietà di paesaggi e ecosistemi, che vanno dalle montagne alle valli e alle pianure.

Le montagne occupano una parte significativa del territorio, con vette che superano i 4.000 metri di altezza, offrendo panorami spettacolari e terreni ideali per attività come l’escursionismo e lo sci. Le valli, invece, costituiscono importanti aree agricole, dove vengono coltivate una varietà di colture.

Le pianure, come la pianura di Ararat, sono caratterizzate da paesaggi aperti e fertili, con una ricca storia e una profonda connessione culturale con il popolo armeno. Nonostante le sue dimensioni ridotte, l’Armenia è una terra di grande bellezza naturale e importanza storica, che attrae visitatori da tutto il mondo per esplorare la sua ricca cultura e i suoi paesaggi mozzafiato.

La Popolazione dell’Armenia

L’Armenia ha una popolazione stimata di circa 2,9 milioni di abitanti, secondo le ultime stime. Nonostante le dimensioni relativamente piccole del paese, la sua popolazione è nota per la sua diversità etnica e culturale. La maggioranza della popolazione è costituita dagli armeni, che rappresentano un’etnia omogenea e con una lunga storia e tradizioni culturali. Tuttavia, l’Armenia ospita anche minoranze etniche, tra cui curdi, russi, assiri e altri gruppi.

La densità di popolazione varia significativamente in tutto il paese, con la maggior parte degli abitanti concentrati nelle aree urbane, in particolare nella capitale Yerevan e nelle principali città come Gyumri e Vanadzor. Queste aree urbane sono centri vitali per la vita culturale, economica e politica del paese, offrendo una varietà di opportunità e servizi ai residenti.

Nonostante le sfide economiche e sociali, la popolazione armena è nota per la sua resilienza e la sua forte identità nazionale, che è stata plasmata da secoli di storia, cultura e tradizioni condivise.

Fauna e Flora dell’Armenia

L’Armenia ospita una varietà di flora e fauna uniche, grazie alla sua posizione geografica tra l’Europa e l’Asia e alla diversità dei suoi paesaggi. Tra le specie vegetali più comuni ci sono querce, faggi, pini, betulle e tigli, che crescono nelle foreste sparse delle montagne e delle valli. L’Armenia è anche nota per la sua ricca diversità di fiori selvatici, che includono tulipani, gigli, papaveri e molti altri.

Per quanto riguarda la fauna, l’Armenia è la patria di diverse specie di mammiferi, tra cui lupi, orsi, gatti selvatici, cinghiali e caprioli, che abitano le foreste e le montagne. Negli altipiani e nelle pianure si possono trovare specie come lepri, volpi, marmotte e gatti selvatici. Tra gli uccelli, l’Armenia è un importante punto di passaggio per le rotte migratorie, con una varietà di specie che sostano durante le loro migrazioni annuali. Si possono trovare anche rapaci come l’aquila reale, il falco pellegrino e il grifone, che si ergono sopra le montagne armeni con maestosità.

Tuttavia, la biodiversità dell’Armenia è minacciata da diversi fattori, tra cui la perdita di habitat, l’inquinamento e il cambiamento climatico. Di conseguenza, sono in corso sforzi per proteggere e conservare la ricca flora e fauna del paese attraverso riserve naturali, aree protette e iniziative di sensibilizzazione ambientale.

La Lingua dell’Armenia

La lingua ufficiale dell’Armenia è l’armeno, che è una lingua indoeuropea appartenente al ramo delle lingue armene. L’armeno è una lingua antica con una storia millenaria e una ricca tradizione letteraria, che ha subito influenze da varie lingue nel corso dei secoli, ma ha mantenuto la sua unicità e identità distintiva.

L’armeno moderno si divide in due principali dialetti: l’armeno occidentale e l’armeno orientale. L’armeno occidentale è parlato principalmente dalla diaspora armena in Europa occidentale e in America settentrionale e meridionale, mentre l’armeno orientale è la forma predominante parlata in Armenia e nelle regioni circostanti. Entrambi i dialetti hanno una grammatica e un vocabolario simili, ma differiscono leggermente nella pronuncia e nella sintassi.

Oltre all’armeno, altre lingue minoritarie sono parlate in Armenia, principalmente dalle comunità etniche minoritarie. Queste includono il russo, che è ampiamente compreso e utilizzato a scopi commerciali e ufficiali, e altre lingue minoritarie come il curdo, l’assiro e il russo. Tuttavia, l’armeno rimane la lingua predominante e l’elemento centrale dell’identità nazionale e culturale del popolo armeno.

I Confini dell’Armenia

I confini dell’Armenia sono determinati dalle sue nazioni confinanti e sono stati oggetto di cambiamenti nel corso della storia. Attualmente, l’Armenia confina con quattro paesi: a ovest con la Turchia, a nord con la Georgia, a est con l’Azerbaigian e a sud con l’Iran.

Il confine con la Turchia è stato oggetto di dispute storiche e politiche, in particolare a causa della questione del genocidio armeno e del territorio di confine noto come “confine occidentale”, che è stato chiuso dalla Turchia dal 1993.

Il confine settentrionale con la Georgia è relativamente stabile e rappresenta una frontiera di importanza strategica per entrambi i paesi, poiché collega l’Armenia con le rotte commerciali e di trasporto verso il Mar Nero.

Il confine orientale con l’Azerbaigian è stato al centro di conflitti territoriali, in particolare per la regione del Nagorno-Karabakh, una regione a maggioranza armena che ha dichiarato l’indipendenza dall’Azerbaigian nel 1991, scatenando una guerra che è durata fino al 1994. Anche se formalmente cessato, il conflitto sulla regione del Nagorno-Karabakh ha visto una recrudescenza delle tensioni nel 2020.

Infine, il confine meridionale con l’Iran rappresenta una frontiera relativamente stabile e ha un’importanza economica significativa per il commercio e i legami culturali tra i due paesi.

Complessivamente, i confini dell’Armenia sono il risultato di una storia complessa e di dinamiche geopolitiche in evoluzione, che continuano a influenzare le relazioni regionali e la politica internazionale.

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