Mostra “La preghiera tradotta nel linguaggio dei colori” di Vazgen Brutyan (Venetonews 03.09.24)

L’associazione Italiarmenia propone la mostra “La preghiera tradotta nel linguaggio dei colori” dell’artista armeno Vazgen Brutyan.

Iniziativa realizzata in collaborazione con il Comune di Padova.

Evento collegato

Mercoledì 4 settembre, ore 17:00
Presentazione del volume “Confesso con fede” in 50 lingue, a cura dei Padri della Congregazione Mechitarista dell’Isola di San Lazzaro degli Armeni, Venezia.
Intervengono:

  • Vartan Giacomelli – associazione Italiarmenia
  • padre Serop Jamourlian – Congregazione Mechitarista, Venezia
  • Alberto Peratoner – Facoltà Teologica del Triveneto, Padova
  • Antonia Arslan – scrittrice e saggista
  • Vazgen Brutyan – artista, Yerevan, Armenia

A seguire inaugurazione della mostra.

Per informazioni

Associazione Italiarmenia
sito www.italiarmenia.it

(Comune di Padova)

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La statua di Cristo più grande al mondo sta per nascere in Armenia, tra corruzione e scempi ambientali (Repubblica 03.09.24)

Ideata e sponsorizzata da un controverso oligarca, sarà la statua di Cristo più alta del mondo ed è investita da gravi polemiche: incoerente con la tradizione ecclesiastica della Chiesa locale, è stata progettata per erigersi sui resti di una fortezza del II millennio a.C. già danneggiata dai lavori preliminari. Ma una modifica al piano originario potrebbe venire in soccorso del sito archeologico, scoperto nel 2019 da un team italo-armeno

TBILISI – Più alta del Cristo Redentore di Rio de Janeiro, più imponente dell’attuale titolare del record mondiale, il Cristo Re di Swiebodzin, in Polonia, che misura complessivamente 52,5 metri: in Armenia è stata quasi completata una statua che supererà tutte quelle costruite finora.

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Armenia: il dilemma del nucleare (Osservatorio Bacani e Caucaso 02.09.24)

L’Armenia vuole chiudere la centrale nucleare di Metsamor, obsoleta e costruita in territorio sismico, e costruire un nuovo impianto entro il 2036. Per realizzarlo, Yerevan sta negoziando con Russia, Francia e Stati Uniti: una partita che tocca questioni energetiche ma anche geopolitiche

02/09/2024 –  Onnik James Krikorian

All’inizio di agosto il governo armeno ha istituito un nuovo organismo per monitorare l’attesa chiusura del vecchio reattore nucleare di Metsamor, costruito nel periodo sovietico, che dovrebbe essere sostituito da un nuovo impianto entro il 2036. Al momento Yerevan sta negoziando con diversi paesi – in particolare con Russia, Stati Uniti e Corea del Sud – per costruire un nuovo reattore capace di soddisfare le future esigenze energetiche dell’Armenia.

La centrale nucleare di Metsamor, entrata in funzione alla fine degli anni ’70, attualmente copre il 30-40% del fabbisogno elettrico nazionale. La percentuale varia a seconda della stagione.

Da tempo, ormai, la centrale di Metsamor suscita preoccupazione dal punto di vista della sicurezza, considerando la struttura e l’obsolescenza dell’impianto, oltre al fatto di sorgere in un’area sismica. Già negli anni 2000 l’Unione europea aveva chiesto di mettere fuori uso il vecchio impianto. Però in assenza di alternative, il reattore di Metsamor è sempre rimasto in funzione, eccetto nei sei anni successivi al devastante terremoto del 1988.

La decisione di sostituirlo arriva in un momento caratterizzato da preoccupazioni per il riscaldamento globale e dal tentativo di passare dalle fonti fossili a quelle rinnovabili. A completare il quadro, le rivalità geopolitiche nel Caucaso meridionale che hanno raggiunto livelli senza precedenti dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022.

Nel dicembre 2023 l’Armenia ha firmato un accordo con l’agenzia nucleare russa Rosatom per modernizzare il reattore di Metsamor in modo da mantenerlo in vita fino al 2036, ossia fino a quando il nuovo impianto non sarà pronto. Recentemente anche i rappresentanti dell’azienda francese Framatome, produttrice di reattori nucleari, hanno visitato l’Armenia per incontrare Armen Grigoryan, segretario del Consiglio di sicurezza armeno. Il funzionario di Yerevan ha reagito con entusiasmo al rinnovato interesse della Francia per lo sviluppo del settore nucleare armeno.

In molti però ritengono che Yerevan sia più favorevole alla possibilità che gli Stati Uniti costruiscano un nuovo impianto basato sui cosiddetti “small modular reactors” [SMR, piccoli reattori modulari]. Pur non essendo stati sufficientemente testati per uso civile, gli SMR sono visti come un espediente per aiutare i paesi come l’Armenia a ridurre la loro dipendenza energetica da Mosca.

Qualche mese fa Armen Grigoryan ha dichiarato che i colloqui con gli Stati Uniti sugli SMR sono entrati in una fase “sostanziale”, rendendo più concreta l’ipotesi di una partnership energetica tra Washington e Yerevan. Recentemente, il Dipartimento di stato degli Stati Uniti ha confermato di aver ricevuto una richiesta di Yerevan di accelerare il processo.

Il nocciolo della questione è l’autorizzazione – prevista dalla legge statunitense sull’energia atomica del 1946 – per esportare tecnologie nucleari civili all’estero. Nel luglio di quest’anno, nel corso di una visita a Yerevan, Samantha Power, direttrice dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID), ha lodato l’impegno dell’Armenia nel potenziare le sue fonti di energia rinnovabile, sottolineando che l’energia nucleare svolgerà un ruolo chiave nella transizione energetica del paese.

Nel 2022, l’Armenia ha prodotto 9 GWh (gigawattora) di energia elettrica: il 43,5% da gas, il 32% da fonti nucleari, il 21,8% da impianti idroelettrici, mentre il solare e l’eolico hanno raggiunto rispettivamente appena il 2,7% e lo 0,02%.

L’energia nucleare è considerata un elemento chiave per ridurre la dipendenza energetica di Yerevan da Mosca, soprattutto tenendo conto del fatto che la Russia, sulla base di un accordo siglato nel 2013, potrebbe detenere il monopolio sulla fornitura e la distribuzione del gas in Armenia fino al 2043.

Nel maggio 2022, Antony Blinken, segretario di stato americano, e Ararat Mirzoyan, ministro degli Esteri armeno, hanno firmato un memorandum per esplorare le potenzialità dei piccoli reattori nucleari. Washington però deve ancora costruire un primo SMR operativo sul proprio territorio, dopo che l’anno scorso un progetto di questo tipo è stato abbandonato per via dei costi stimati in 5-9 miliardi di dollari.

Ad ogni modo, gli analisti vicini al primo ministro armeno Nikol Pashinyan credono che il governo di Yerevan sia favorevole all’opzione SMR. Pashinyan l’ha già definita “politicamente appetibile”.

L’anno scorso una delegazione armena si è recata in visita negli Stati Uniti per esplorare le potenzialità degli SMR e la possibilità di smarcarsi da Mosca. Nonostante alcuni esperti, compresi quelli dell’ufficio dell’Onu a Yerevan, invitino alla cautela nei confronti della tecnologia SMR, sottolineando che le tecnologie russe sono già state testate e utilizzate in Armenia, Pashinyan continua ad esprimere interesse per i reattori statunitensi.

Sembra dunque che il premier armeno abbia già preso una decisione e che stia solo aspettando che si creino i presupposti legali per permettere all’Armenia di ricevere le tecnologie nucleari statunitensi per uso civile.

Resta però la questione della fornitura del combustibile nucleare, che attualmente viene trasportato in Armenia dalla Russia per via aerea. Non è chiaro come Yerevan possa procurarselo altrimenti nel caso di un’eventuale rottura con Mosca.

In un articolo  scritto per il think tank Carnegie Endowment for International Peace, l’analista Areg Kochinyan parla della possibilità di ottenere l’uranio dal Kazakistan, ammesso che la Russia consenta il transito attraverso il proprio spazio aereo. Una seconda via potrebbe passare dall’Azerbaijan, ipotesi che però sembra poco realistica anche nel caso di un’eventuale normalizzazione delle relazioni tra Baku e Yerevan.

L’unica alternativa che rimane – quella di trasportare il combustibile nucleare attraverso il Mar Caspio e l’Iran – dipende dalla prontezza degli Stati Uniti di accettare tale scelta.

Ad ogni modo, la decisione definitiva su come sostituire il reattore nucleare di Metsamor dovrebbe essere presa nei prossimi due anni e con ogni probabilità rifletterà le dinamiche della rivalità tra Occidente e Russia nel Caucaso meridionale.

Nel frattempo, venerdì 30 agosto, sono state nuovamente sollevate preoccupazioni sulla sicurezza dopo che il reattore di Metsamor, colpito da un fulmine, si è temporaneamente spento. Il governo ha sottolineato che l’interruzione è scattata grazie al corretto funzionamento dei sistemi di sicurezza automatizzati della vecchia centrale. Il giorno successivo il reattore ha ripreso a funzionare.

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Armenia, i cattolici dell’Europa orientale hanno un nuovo ordinario (Renovatio21 02.09.24)

La diplomazia vaticana non va in vacanza: il 21 agosto 2024 Papa Francesco ha effettuato una nomina di primaria importanza per l’ordinariato cattolico degli armeni dell’Europa orientale.

Fr. Kevork Noradounguian è stato scelto per diventare Arcivescovo di Sebaste degli Armeni, titolo che spetta a colui che esercita la funzione di «ordinario» sugli Armeni cattolici dell’Europa orientale. L’Annuario Pontificio spiega che questi ordinariati sono «strutture geografiche istituite per le comunità cattoliche orientali che non hanno una propria gerarchia in un luogo specifico».

Sono guidati da un prelato nominato dalla Santa Sede, che risponde direttamente a quest’ultima, ed esercita la giurisdizione sui cattolici orientali che non hanno vescovi propri. Questo ordinariato è, tuttavia, collegato al Patriarcato armeno di Cilicia, che è stato recentemente presentato su questo sito. Il nuovo vescovo risiederà a Yerevan, la capitale dell’Armenia.

Padre Noradounguian, che sarà consacrato vescovo a breve, assume così la guida di una quasi-diocesi per i fedeli armeni cattolici dell’Europa orientale, in un territorio che comprende Armenia, Georgia, Russia e Ucraina. In altre parole, un terreno dove si mescolano guerre ibride e guerre aperte, in mezzo agli interessi geopolitici globali, e dove i cattolici sono spesso vittime collaterali.

In effetti, Armenia e Azerbaigian si stanno facendo a pezzi da decenni a causa di un conflitto territoriale sulla regione del Nagorno-Karabakh, riconquistata nel settembre 2023 da Baku dopo una guerra lampo contro i separatisti armeni che si erano impossessati di questo territorio negli anni Novanta.

Quasi tutti gli armeni cattolici hanno dovuto abbandonare la regione e abbandonarla ai musulmani. Dopo questa amara sconfitta, le autorità armene hanno fatto la scelta, con gravi conseguenze, di prendere le distanze dal vicino russo – accusato di inerzia – e di avvicinarsi all’Unione Europea e all’Occidente, cosa che non ha mancato di offendere il Cremlino.

In Georgia, dove il nuovo ordinario esercita ora la sua giurisdizione sugli armeni cattolici, il problema è diverso: il potere in carica ha deciso di avvicinarsi un po’ di più a Mosca, con il rischio di accentuare la frattura con l’Europa.

Per quanto riguarda l’Ucraina, che rientra anch’essa nel governo di padre Noradounguian, la guerra aperta che la Russia sta conducendo contro il Paese mette anche gli armeni cattolici in una situazione più che delicata.

Il sito web Nor Haratch riporta la biografia del nuovo vescovo. Nato ad Aleppo, Siria, nel 1968, è stato ordinato sacerdote il 20 agosto 1995 per l’Istituto del Clero Patriarcale di Bzommar (Libano). È stato vicerettore del seminario minore, vicario della parrocchia di Bourj Hammoud, rettore del seminario minore poi del seminario minore e maggiore, amministratore ed economo generale dell’Istituto.

Successivamente è stato parroco della comunità armena cattolica di Mosca, rettore della chiesa di San Nicola da Tolentino e rettore del Pontificio Collegio Armeno di Roma, amministratore apostolico ad nutum Sanctae Sedis del Patriarcato armeno cattolico di Gerusalemme e Amman e parroco della parrocchia armena cattolica di Lione, Francia (2015-2023).

Inutile dire che il nuovo arcivescovo di Sebaste degli armeni non è stato scelto a caso. Il prelato ha familiarità con la Russia – e con le autorità russe – poiché ha trascorso diversi anni a trattare con la comunità armena insediata sulle rive del fiume Moscova.

La sua biografia dimostra che ha familiarità con le complesse questioni del Medio Oriente. Non c’è dubbio che la sua conoscenza del territorio e dei principali attori politici e religiosi della regione sarà una risorsa per la Santa Sede nel garantire la sopravvivenza della minoranza armena cattolica e promuovere la pace nella regione.

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Armenia. Pressioni degli Usa per dirottare il paese verso occidente (Notizie Geopolitiche 02.09.24)

L’ambasciatrice statunitense in Armenia, Christina Quinn, ha incontrato nei giorni scorsi il procuratore generale armeno, Anna Vardapetyan, per discutere delle riforme che Washington intende sostenere nel paese. Gli Stati Uniti stanno già investendo milioni di dollari per plasmare il settore della sicurezza armena, una mossa che suggerisce un crescente tentativo di controllo da parte di Washington su settori governativi che dovrebbero essere formalmente indipendenti.
L’interesse degli Stati Uniti in Armenia non si limita ai soli investimenti diretti. La figura di Anna Vardapetyan infatti offre un ulteriore spunto di riflessione. Vardapetyan è considerata un’agente d’influenza occidentale, in linea con molti altri collaboratori del governo guidato dal primo ministro Nikol Pashinyan, salito al potere in seguito alla rivoluzione colorata del 2018. Dal 2015 Vardapetyan è membro del Royal Institute of International Affairs di Londra, noto come Chatham House. Questa organizzazione è ufficialmente riconosciuta in Russia come ostile, a causa del suo sostegno all’opposizione pro-occidentale e delle sue pressioni per un cambiamento di potere nel paese.
Chatham House promuove l’adozione di riforme favorevoli a Washington non solo in Armenia e Russia, ma in tutti i paesi dell’ex blocco sovietico. Vardapetyan appare come la rappresentante ideale di questi interessi in Armenia, sostenendo riforme che mirano a mettere sotto controllo occidentale settori chiave dello stato.
Prima della sua nomina a procuratore generale, Vardapetyan era assistente di Pashinyan giocando un ruolo significativo nell’eliminazione dei rivali dell’opposizione che avrebbero potuto minacciare la posizione del premier, noto per le sue inclinazioni pro-occidentali. Questa collaborazione tra l’ambasciata statunitense e il procuratore generale suggerisce un’influenza sempre più marcata degli Stati Uniti nella politica interna armena, sollevando interrogativi sull’autonomia del paese e sul futuro delle sue istituzioni democratiche.

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Azerbaigian, la democrazia soffocata da gas e petrolio (RSI 01.09.24)

n Azerbaigian, oggi – domenica 1° settembre – si tengono le elezioni parlamentari. Ci si aspetta una nuova vittoria del presidente Ilham Aliyev, in carica dal 2003. Gli attivisti denunciano una stretta sui diritti umani e la mancanza di trasparenza nelle elezioni. Attualmente, nelle carceri azere ci sono oltre 300 prigionieri politici, tra attivisti, giornalisti e accademici. Da tempo Human Rights Watch denuncia violenze e torture sistematiche nelle prigioni azere.

Le elezioni sono state anticipate per via della COP29, la conferenza annuale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si terrà proprio a Baku a novembre. In molti denunciano l’ipocrisia di organizzare il più importante evento mondiale sul clima in un paese la cui economia è basata sui combustibili fossili. Il 98% dell’approvvigionamento energetico del paese dipende da petrolio e gas, così come il 90% dell’export.

Oggi le devastazioni ambientali nel paese caucasico sono evidenti: circa 30’000 ettari della penisola di Absheron, dove si estrae maggiormente il petrolio, sono inquinati. Nonostante ciò, per allontanarsi dal gas russo, nel 2022 l’Unione Europea ha firmato un accordo per aumentare l’importazione di gas dall’Azerbaigian, rimanendo in silenzio sulle continue violazioni dei diritti umani e civili.

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“Pordenonelegge” a Udine, il dialogo con Antonia Arslan martedì 17 settembre (Udineoggi

31.08.24 – 08:00 – Sono passati vent’anni, ma quella storia non smette di essere attuale e di parlare al nostro tempo: «L’Armenia resta a rischio, dopo l’invasione del Nagorno Karabakh da parte dell’Azerbaigian. L’obiettivo è quello di invadere tutta l’Armenia, un pezzo alla volta». La scrittrice Antonia Arslan resta vigile osservatrice degli accadimenti legati alla “sua” Armenia, e il suo romanzo di culto, La masseria delle allodole, si conferma un libro “necessario” due decenni dopo la prima pubblicazione datata 2004. Non è un caso che Rizzoli abbia deciso di rieditarlo, in questo ventennale, suggellando il successo di un romanzo che ha vinto decine di premi ed è stato presentato anche davanti al Congresso americano. Proprio Antonia Arslan sarà protagonista della “prima volta” di Pordenonelegge a Udine, alle soglie dell’avvio della 25a edizione, in programma dal 18 al 22 settembre. Appuntamento martedì 17 settembre, alle 18 nella sede di Fondazione Friuli: con l’autrice dialogherà il direttore artistico di Pordenonelegge, Gian Mario Villalta. La partecipazione è liberamente aperta al pubblico, è suggerita la prenotazione iscrivendosi attraverso il proprio account mypnlegge sul sito www.pordenonelegge.it. Info: Tel. 0434.1573100 mail segreteria@pordenonelegge.it.

Un ulteriore incontro con l’autrice è in programma a Pordenone mercoledì 18 settembre, giornata inaugurale del festival, sempre in dialogo con Gian Mario Villalta (ore 10.30, PalaPAFF!).

Con La masseria delle allodole, il suo romanzo d’esordio, Antonia Arslan attingeva alle memorie familiari per raccontare la tragedia di un popolo “mite e fantasticante”, gli armeni, e la struggente nostalgia per una patria e una felicità perdute. Yerwant – il nonno31 dell’autrice padovana – aveva lasciato, appena tredicenne, la casa paterna per studiare nel collegio armeno di Venezia. Ora, dopo quasi quarant’anni, si appresta a tornare nella Masseria delle Allodole, tra le colline dell’Anatolia, dove potrà finalmente riabbracciare i suoi cari. La notizia si diffonde nella cittadina natale, inebriata dai gelsomini in fiore e dai dolci preparati per la Pasqua, un’euforica frenesia che pervade lo scorrere quieto dei giorni. Si sta organizzando la festa di benvenuto e tutti, parenti e amici, sono invitati a prendervi parte. La Masseria è rimessa a nuovo, per completare l’opera è stato perfino ordinato da Vienna un pianoforte a mezza coda. Ma siamo nel maggio del 1915. L’Italia è entrata in guerra e ha chiuso le frontiere mentre il partito dei Giovani Turchi insegue il mito di una Grande Turchia, in cui non c’è posto per le minoranze. Yerwant non verrà, e non ci sarà nessuna festa. Al suo posto, solo orrore e morte. Un’odissea segnata da marce forzate e campi di prigionia, fame e sete, umiliazioni e crudeltà. Grazie alla tenacia di madri figlie e sorelle, al loro sacrificio e all’aiuto disinteressato di chi rifiuta di farsi complice della violenza, tre bambine e un “maschietto-vestito-da-donna”, dopo una serie di rocambolesche avventure, riusciranno a salvarsi e a raggiungere Yerwant in Italia. E sarà lui a garantire per loro un futuro e a custodire le “memorie oscure” che oggi la nipote Antonia ha trasfuso in un romanzo dolce e straziante come una fiaba

Pordenonelegge, promosso dalla Fondazione Pordenonelegge.it presieduta da Michelangelo Agrusti, è a cura di Gian Mario Villalta (direttore artistico), Alberto Garlini e Valentina Gasparet. Il programma della 25^ edizione è consultabile dalla homepage del sito pordenonelegge.it.

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Lavaggio del cervello: come i libri delle scuole turche raccontano il genocidio armeno (Asianews 31.08.24)

Lo scrive il giornalista di inchiesta Uzay Bulut in un approfondimento pubblicato sul Gatestone Institute. Una narrazione degli eventi che “stravolge la storia”, negando anche che armeni, assiri e greci siano popolazioni autoctone. E i bambini diventano adulti “ripetendo a memoria le bugie insegnate loro nelle scuole”.

Istanbul (AsiaNews) – Un vero e proprio “lavaggio del cervello”. Così il giornalista di inchiesta turco Uzay Bulut definisce, in un’inchiesta pubblicata sul sito web del Gatestone Institute in un articolo intitolato “I libri di testo turco: stravolgere la storia”, i libri di testo che Ankara usa per gli studenti nella sezione dedicata alla storia del genocidio armeno e assiro.

“Le autorità governative turche – scrive il reporter – hanno preso di mira i propri popoli indigeni dell’Anatolia, vale a dire i greci pontici e gli armeni. Nel ventesimo secolo, la Turchia ottomana ha sterminato in gran parte questi popoli attraverso un genocidio”. Ciononostante, nei testi si parla di “richieste infondate di greci e armeni”. In precedenza le sezioni erano definiti, prosegue nell’analisi, “Pontus Issue” e “Armenian Question”. Ora “sono cambiati in ‘Rivendicazioni infondate del Ponto’ e ‘Rivendicazioni infondate armene’”.

Ankara nega anche che armeni, assiri e greci siano popolazioni autoctone della terra in cui i turchi si sono insediati secoli dopo, occupando il territorio e sterminando chi già vi abitava. Fra gli elementi più critici, sottolinea Uzay Bulut, “è che ai giovani scolari turchi, che non hanno alcuna idea della vera storia del loro Paese, viene fatto il lavaggio del cervello con falsità sull’origine del loro Paese e viene alimentato l’odio verso i resti delle minoranze”.

Di conseguenza, questi bambini diventano adulti ripetendo a memoria le bugie insegnate loro nelle scuole, negando che l’impero ottomano abbia commesso un genocidio contro gli armeni, gli assiri e i greci autoctoni. Questi bambini, afferma, “non hanno alcuna colpa se non conoscono la vera storia del loro Paese, né i fatti relativi al genocidio commesso contro le minoranze”.

A loro viene propinata la menzogna che le minoranze hanno vissuto “felici” nell’impero per secoli, fino a quando le potenze europee “non le hanno istigate a ribellarsi al loro governo. Al contrario, le minoranze che vivevano nell’Impero Ottomano – avverte – sono sempre state oppresse, ridotte in schiavitù, attaccate, derubate, rapite, violentate e massacrate, fino al genocidio del 1915. Queste minoranze non erano nemmeno considerate cittadini di seconda classe”.

Le minoranze “non avevano alcun diritto ed erano alla mercé dei loro brutali governanti” sottolinea il giornalista, che definisce l’educazione degli studenti turchi come “disinformazione, distorsione intenzionale e revisionismo storico”. “Non si tratta solo di una disputa tra armeni e turchi”, perché Ankara “sa meglio di chiunque altro che le accuse di genocidio sono reali”. Prova ne sono “gli archivi ottomani in suo possesso” che spiegano “la verità, anche dopo essere stati selettivamente ripuliti da qualsiasi prova incriminante”.

Secondo il dottor Gregory H. Stanton, presidente di Genocide Watch, la negazione è l’ultimo stadio del genocidio: “La negazione è la continuazione di un genocidio perché è un tentativo continuo di distruggere psicologicamente e culturalmente il gruppo vittima, per negare ai suoi membri persino il ricordo degli omicidi dei loro parenti”. Il governo turco dovrebbe finalmente affrontare “la realtà dei fatti” e insegnare “agli innocenti studenti turchi i tragici fatti della storia sui massacri e sul genocidio” conclude il giornalista. Perché non sono responsabili “né la giovane generazione di oggi né l’attuale governo turco, che non esisteva nemmeno durante questi omicidi”.

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Enoturismo, la Conferenza Onu dall’11 settembre in Armenia (Agenziaviaggimah 30.08.24)

Mancano pochi giorni all’inizio della Conferenza globale sul turismo del vino, evento voluto da UN Tourism che si terrà a Yerevan, Repubblica di Armenia, dall’11 al 13 settembre 2024.

Heritage in Every Bottle: Crafting Authentic Wine Tourism Experiences” è il tema scelto per questa edizione su cui esperti, produttori e rappresentanti di regioni vinicole di tutto il mondo discuteranno e si confronteranno.

Il programma comprende sessioni tecniche, presentazioni tematiche, masterclass e workshop che si svolgeranno giovedì 12 e venerdì 13 settembre. Rappresentanti di celebri regioni vinicole, tra cui la Borgogna (Francia) e Mendoza (Argentina), presenteranno esempi delle migliori pratiche.

Iter Vitis, itinerario culturale del vino e della vite del Consiglio d’Europa, condividerà approfondimenti dal punto di vista della rete, con interventi della presidente italiana Emanuela Panke.

Focus dei dibatti e delle discussioni i legami tra vino, turismo e cultura come mezzo per rivitalizzare e promuovere le tradizioni, l’integrazione delle diverse tradizioni nell’esperienza del turismo enologico e lo sviluppo di strategie di comunicazione efficaci per raggiungere un pubblico sempre più vasto.

Tra gli ospiti, l’esperto di digitalizzazione, l’italiano Jochen Heussner, lo scrittore Alder Yarrow e Paul Wagner del Culinary Institute of America e del Napa Valley College per gli Usa; per la Germania Gergely Szolnoki, professore di ricerca di mercato presso l’Università di Geisenheim. In agenda anche gli interventi del ministro del turismo dell’UruguayEduardo Sanguinetti, e di Carolina Fuller di Catena Zapata (Argentina), n. 1 tra le “World’s Best Vineyards” 2023.  

«L’Armenia è onorata di ospitare l’8ª Conferenza globale sul turismo del vino delle Nazioni Unite. Con la nostra tradizione vinicola millenaria e il ricco patrimonio culturale, siamo in una posizione unica per mostrare le pratiche innovative e l’eccezionale cultura del vino. Questa conferenza offre una piattaforma speciale per la collaborazione, l’apprendimento e l’avanzamento del turismo del vino», ha sottolineato Susanna Hakobyan, direttrice ad interim del Tourism Committee della Repubblica di Armenia.

Il turismo enologico, che è cresciuto molto negli ultimi anni, è anche l’occasione per il turista di conoscere non solo storie, usanze e rituali profondamente radicati nella storia della vinificazione, ma anche tutta la comunità sociale, la ricchezza storica e il patrimonio artistico delle regioni che si visitano.

«Il turismo del vino è profondamente legato alla cultura e all’identità del territorio, svolgendo un ruolo cruciale nel favorire l’empowerment rurale e lo sviluppo delle comunità, aiutando le destinazioni a diversificare le loro offerte turistiche. Questa conferenza non solo cerca di mettere in evidenza questi aspetti, promuovere scambi e favorire la cooperazione tra le destinazioni, ma anche di celebrare il ricco patrimonio vinicolo dell’Armenia, il suo popolo e la sua cultura», ha affermato Sandra Carvao, direttrice market intelligence, policies and competitiveness, UN Tourism.

In occasione dell’evento ci sarà l’opportunità di visitare la caverna di Areni-1, dove è stata ritrovata la più antica cantina al mondo, risalente a 6.100 anni fa.

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L’ Armenia accoglie la Conferenza globale sul turismo del vino delle Nazioni Unite (Agenfood.it)
Armenia accoglie la Conferenza globale sul turismo del vino (uominidonnecomunicazione)
Enoturismo, Armenia pronta ad accogliere Conferenza globale dell’Onu (Askanews)
Armenia: a Yerevan, dall’11 settembre, la Conferenza globale sul turismo del vino

Alla (riscoperta) di Sergei Parajanov (Ciakmagazine 30.08.24)

Una delle tante belle cose della Mostra del cinema di Venezia è senz’altro la sezione Venezia Classici. Prima di tutto perché offre l’opportunità di vedere magnifici film del passato perfettamente restaurati e riportati al loro antico splendore. E poi perché, lato documentari, permette di far conoscere a un pubblico più giovane dei grande cineasti le cui opere sono di difficile reperibilità e di cui, spesso, le nuove generazioni non conoscono. E non conoscere le opere di Sergej Parajanov è un peccato.

Armeno nato in Georgia cento anni fa, Parajanov è morto nel 1990, dopo una vita dedicata all’arte, al cinema e alla verità. Osteggiato dal regime sovietico, è stato più volte arrestato e condannato a pene detentive, supportato dalla comunità artistica mondiale che ogni volta a gran voce ne chiedeva il rilascio. Ci ha lasciato pochi film, tutti straordinari, come Il colore del melograno e La leggenda della fortezza di Suram, realismo magico applicato alle antiche storie della tradizione armena.

Un cinema unico, analizzato nel documentario “I will revenge this world with love” S. Paradjanov diretto da Zara Jian e che vede la partecipazione di alcuni grandi registi particolarmente influenzati dalle sue opere, come Emir Kusturica, Tarsem Singh e Atom Egoyan, naturalizzato canadese, ma Armeno di famiglia.

«Penso che per qualsiasi regista armeno, direi per qualsiasi creatore di immagini armeno, Parajanov ha un’influenza enorme» ci ha detto Egoyan, che abbiamo raggiunto nel suo studio in Canada. «Perché rappresenta l’Armenia dall’interno e dall’esterno. Era una  figura diasporica, perché è vissuto in Ucraina e ha girato film in Ucraina, ma era molto legato al Caucaso, non solo all’Armenia, ma all’intera regione. Poi, come artista, ha un’assoluta unicità di visione. Il fatto che abbia creato un linguaggio visivo allo stesso tempo molto formale e incredibilmente libero è un’alchimia meravigliosa. Il colore dei melograni è quasi un museo visivo, per me è stata un’ispirazione diretta per Calendar, un mio film del 1993, per cui sono andato praticamente in pellegrinaggio in molte chiese in cui lui stesso aveva girato. Potrei continuare all’infinito. Voglio solo dire che è una figura monumentale che ha creato un cinema unico».

Per Zara Jian raccontare e far raccontare l’opera di Parajanov, soprattutto in questo momento, mentre la guerra tra Russia e Ucraina si fa sempre più cruda e violenta, era una missione di vita.

«Sono cresciuta in Armenia fino all’età di 17, 18 anni. Naturalmente sapevo chi fosse, ma è stato quando sono andata via, prima in Russia, poi a Los Angeles, che in modo molto misterioso si presentava in qualche forma nella mia vita. Un’opera in un museo, una retrospettiva. Nel tempo ho approfondito lo studio della sua vita e delle sue opere e sono diventata più consapevole della portata del suo lascito. Come essere umano ho capito tutte le sue scelte.

Sulla sua arte non ho parole, perché quest’uomo, anche in prigione, creava. E tutte quello che ha fatto sono per me capolavori. Cercava di essere in mezzo alla bellezza creandola, perché non riusciva ad accettare ciò che il mondo offriva. Poi, nel 2.020, c’è stata la guerra in Armenia, ed è stato il periodo più difficile della mia vita, a quel tempo vivevo a Mosca. Ero confusa, aggressiva den e sentivo che mi stavo distruggendo. Ma rimasi comunque in Russia, perché avevo molte domande da fare questa guerra. Nel 2022, in ottobre, otto mesi dopo l’inizio del conflitto con l’Ucraina, non riuscivo nemmeno a respirare, ho fatto le valigie, sono tornata in Armenia e sono andata al Museo Parajanov.

Guardando il suo autoritratto, e ricordando che lui si definiva figlio di tre nazioni, una cosa che oggi non sarebbe possibile. E ho iniziato a pensare che questo suo messaggio sia oggi fondamentale da trasmettere alle giovani generazioni, per cambiare le cose continuando a fare arte e a creare bellezza. Così la mia missione è diventata quella di portare questo messaggio ai miei amici alle giovani generazioni attraverso le opere e la vita di Sergej Parajanov»

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