Sulle montagne dell’Armenia per esplorare le interazioni tra geodiversità e biodiversità (Magazine.unibo 01.08.24)

Un team dell’Alma Mater ha partecipato alla missione sul vulcano Aragats – nata nell’ambito di un progetto bilaterale Italia-Armenia coordinato, per l’Italia, dal CNR – per indagare il rapporto tra le variazioni della biodiversità e quelle dell’ambiente

Alessandro Chiarucci, Martina Neri, Samadhi Cervellin, Bianca Vandelli – Università di Bologna – e Cesare Ravazzi – CNR – durante un rilevamento delle comunità vegetali di alta quota sulle pendici del Monte Aragats, a 3200 m. di altitudine


Si è conclusa la spedizione sul vulcano Aragats, nella regione di Aragatson, in Amenia, che ha coinvolto una squadra di docenti, ricercatrici e ricercatori, studentesse e studenti dell’Università di Bologna, dell’Università di Milano Bicocca, del CNR-IGAG (Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria) e della National Academy of Sciences della Repubblica Armena (NAS).

La missione fa parte del progetto “Geodiversity-Biodiversity interactions in forest to steppe habitats across an ecoclimatic gradient in Armenia. A theoretical concept applied to the effects of global warming”, nato nella cornice dell’accordo bilaterale biennale tra il CNR e il Ministero dell’educazione e della scienza della Repubblica Armena (MESRA). Il progetto punta a esplorare le relazioni tra le variazioni della biodiversità e quelle dell’ambiente, con focus sul ruolo dei fattori geologici, climatici e dell’uso del suolo.

A rappresentare l’Alma Mater, un team del Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali composto da Alessandro Chiarucci, professore di Botanica ambientale e applicata, Bianca Vandelli, titolare di una borsa di studio, e dalle studentesse Martina Neri e Samadhi Cervellin.


Un accampamento di pastori curdi sul versante orientale del Monte Aragats, a circa 2200 m. di altitudine, utilizzato per ospitare le famiglie che trascorrono il periodo estivo in alta quota con le greggi


“La missione ci ha permesso di completare una raccolta di dati ecologici e di biodiversità lungo un esteso gradiente di quota del Monte Aragats, un vulcano alto 4090 metri che costituisce la vetta più alta del Caucaso minore. Si tratta di un’area importantissima per la biodiversità, grazie alla sua posizione geografica e alla sua complessità topografica. Il progetto porterà importanti risultati in termini di ricerca di base e applicata.”, commenta il professor Chiarucci, che conclude: ”Inoltre, è stata avviata una collaborazione con l’Accademia Nazionale delle Scienze della Repubblica d’Armenia, che ci ha permesso di discutere sia di nuovi progetti di ricerca congiunta sia di possibili scambi di ricercatrici, ricercatori, studentesse e studenti.”.

La fortezza medievale di Amberd, sulle pendici meridionali del Monte Aragat,s a un’altitudine di 2300 m.

Gli studiosi hanno realizzato rilevamenti topografici, geopedologici, botanici e zoologici in 84 siti di campionamento distribuiti lungo un gradiente altitudinale di 2700 metri (tra i 1100 e 3850 metri) sul versante meridionale del vulcano. I dati raccolti permetteranno di porre le basi per un’analisi temporale degli effetti sulla biodiversità dovuti al processo di riscaldamento globale iniziato negli anni ‘80 del secolo scorso.

Durante la missione, il professor Chiarucci ha tenuto una relazione su “Le sfide della conservazione della biodiversità nell’Antropocene” presso la sede dell’Accademia Nazionale delle Scienze, nella capitale Erevan. L’evento, introdotto dal professor Ruben Harutyunyan, Segretario del Dipartimento di Scienze Naturali dell’Accademia, ha visto la partecipazione di rappresentanti delle strutture scientifiche ed educative armene, di giovani scienziate e scienziati, studentesse e studenti.

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Armenia e Turchia si incontrano sul confine (Osservatorio Balcani e Caucaso 01.08.24)

Il 30 luglio, gli inviati speciali armeni e turchi per la normalizzazione delle relazioni tra i due paesi si sono incontrati sul confine condiviso. Tuttavia, sebbene incoraggiante, il processo sembra rimanere legato alla normalizzazione delle relazioni tra Armenia e Azerbaijan

01/08/2024 – Onnik James Krikorian
Alla fine di luglio, Ruben Rubinyan e Serdar Kilic, i diplomatici armeni e turchi nominati inviati speciali per la normalizzazione delle relazioni tra i due paesi nel 2021, si sono incontrati di nuovo. Nonostante i tentativi precedenti, in particolare nel 2009, le speranze di successo si erano rafforzate dopo la guerra di 44 giorni tra Armenia e Azerbaijan nel 2020. Il confine condiviso è stato chiuso da Ankara nel 1993: non a causa del conflitto con Yerevan, ma in solidarietà con Baku dopo che le forze armene hanno preso Kelbajar, uno dei sette distretti azeri che circondano la regione separatista del Nagorno Karabakh, abitata principalmente da armeni.

Nel 2020, tuttavia, insieme ad altre regioni prese o restituite a Baku, questo non era più un problema. Nel settembre 2023, quando oltre 100.000 armeni etnici sono fuggiti in Armenia, Baku ha ripreso anche il pieno controllo del Karabakh.

Come nel 2009, tuttavia, la Turchia ha nuovamente subordinato la normalizzazione ai progressi del fragile processo di pace tra Armenia e Azerbaijan. All’ultimo incontro tra Rubinyan e Kilic, tenutosi a Vienna nel luglio 2022, le parti hanno concordato di aprire uno dei due valichi di frontiera inutilizzati per i titolari di passaporti diplomatici e per i cittadini di paesi terzi. Nonostante un investimento di 2,6 milioni di dollari per stabilire il controllo di frontiera e doganale da parte armena in uno dei due valichi di frontiera inutilizzati, non c’è stata ancora alcun passo simile da parte turca.

L’incontro al valico di Alican-Margara, circa 40 km a ovest di Yerevan e il primo sul confine, è stato comunque incoraggiante. Rubinyan e Kilic sono stati anche i primi diplomatici ad attraversare simbolicamente insieme il ponte. Tuttavia, una dichiarazione formulata in modo identico dai ministeri degli Esteri armeno e turco non ha fatto alcun riferimento ad una futura apertura parziale del confine, limitandosi a ribadire l’intenzione di “continuare il processo di normalizzazione senza precondizioni”, pur impegnandosi a valutare la possibile riapertura della ferrovia Akyaka-Akhurik più a nord.

Molti commentatori in Armenia, Azerbaijan e Turchia hanno interpretato l’annuncio come un ulteriore segnale che anche un’apertura parziale del confine, intesa a creare fiducia, non avverrà finché non si saranno verificati sufficienti progressi tra Baku e Yerevan. Sebbene ci siano stati alcuni sviluppi positivi da dicembre dell’anno scorso, quando l’Armenia ha sostenuto la candidatura dell’Azerbaijan per ospitare la Conferenza delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici di quest’anno a Baku, e anche la restituzione di quattro villaggi azeri presi all’inizio degli anni ’90, l’Azerbaijan ha da allora subordinato un trattato di pace alla rimozione da parte dell’Armenia di un controverso preambolo dalla costituzione del paese. Inoltre, il ripristino del passaggio a livello ferroviario sarebbe “in linea con gli sviluppi regionali”.

Molti hanno interpretato questo come lo sblocco del commercio regionale e dei trasporti in generale, tra cui un controverso collegamento tra Azerbaijan e Nakhchivan che passa attraverso l’Armenia, a lungo parte integrante dei precedenti tentativi di raggiungere un accordo. Sulla scia dell’invasione russa dell’Ucraina del febbraio 2022, la situazione è stata complicata da considerazioni geopolitiche, poiché la dichiarazione di cessate il fuoco che ha posto fine alla guerra del 2020 stabilisce che tale collegamento sarà supervisionato dalla guardia di frontiera del Servizio di sicurezza federale russo. Da allora, il primo ministro Nikol Pashinyan ha chiarito di essere contrario a tale sviluppo, il suo intento è infatti di cercare di spostare l’Armenia fuori dall’orbita di Mosca.

A giugno, il vice assistente segretario di Stato statunitense per gli Affari europei ed eurasiatici James O’Brien ha visitato Yerevan e ha anche sottolineato l’importanza della rotta, ma senza il coinvolgimento di Mosca e Pechino, in sostanza, creando una nuova rotta commerciale attraverso Turchia, Armenia e Azerbaijan verso l’Asia centrale aggirando Russia e Cina. Tuttavia, Ankara e Baku, a differenza di Yerevan, difficilmente soccomberanno alle pressioni occidentali per irritare la Russia. Baku ritiene inoltre che un confine aperto tra Armenia e Turchia prima di un accordo tra Armenia e Azerbaijan possa incoraggiare Yerevan a resistere.

Tuttavia, alcuni credono che un documento provvisorio tra Baku e Yerevan su questo potrebbe essere firmato, o più probabilmente avviato, alla conferenza delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici nella capitale azera nel corso di quest’anno. Il 21 luglio, il consigliere di Aliyev Hikmet Hajiyev ha annunciato che era già stato inviato un invito al ministro degli Esteri armeno, Ararat Mirzoyan, incoraggiando le speculazioni. Sebbene non ci sia ancora stata una risposta ufficiale da Yerevan, l’ufficio di Pashinyan ha detto in risposta ad una richiesta dei media che avrebbe tenuto una conferenza stampa per affrontare queste questioni al ritorno dalle vacanze in agosto.

Che cosa potrebbe essere annunciato non è chiaro, ma probabilmente influenzerà anche il passo del processo di normalizzazione tra Armenia e Turchia. Pashinyan si era già preso una pausa dalle vacanze per visitare il valico di Alican-Margara solo quattro giorni prima dell’incontro fra Rubinyan e Kilic, evidenziando l’importanza che l’Armenia attribuisce all’apertura del confine. Come al solito, tuttavia, ciò sembra ancora legato ad un accordo tra Armenia e Azerbaijan.

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Condivisione facebookCondivisione XCondivisione linkedinCondivisione whatsappStampa L’IRAN STAREBBE ARMANDO L’ARMENIA (L’Opinione delle Libertà 01.08.24)

Venezuela sale la tensione, a causa del – si spera – ultimo trucco per mantenere il potere bolivarista, perpetrato da una tirannide che pratica il male in nome del “bene del popolo”. Il Governo di Caracas ha rotto le relazioni con il Perù, colpevole di ritenere Nicolás Maduro indegno della carica di presidente, che invece spetta al suo oppositore Edmundo González, come sostengono tutte le nazioni democratiche, ma non le dittature a cominciare dal terzetto Iran-Cina-Russia.

L’Iran è molto attivo in questo periodo, non solo per il conflitto con Israele. Il Governo di Gerusalemme ha eseguito a Teheran l’omicidio mirato del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, per mezzo di un missile teleguidato. Inoltre, a Beirut, Israele ha colpito il comandante militare di Hezbollah, Fuad Shukr. Non possiamo prevedere quali saranno gli esiti del conflitto tra sciiti e Israele, che poi è un chiavistello per mettere in difficoltà l’Arabia e gli altri Stati sunniti che con Israele hanno siglato gli Accordi di Abramo (implicitamente allargati a quasi tutti gli Stati sunniti). Si segnalano, però, in alcuni movimenti tellurici interessanti, al di fuori delle aree israelo-palestinesi.

Parliamo di una notizia rimasta sottotraccia, mentre su Rainews 24 capita di sentire glorificare il nuovo presidente iraniano Masoud Pezeshkian con la definizione profetico-visionaria di “uomo moderato”. L’Iran, infatti, avrebbe segretamente inviato 500 milioni di dollari di armamenti all’Armenia, che resta un’altra area bollente del Medio Oriente. Lo ha svelato pochi giorni fa il sito di opposizione al regime degli ayatollah, Iran International. La mossa di Teheran implica l’accensione di una miccia in una polveriera come il Caucaso, dove russi e iraniani cercano di riprendere le aree di servitù demaniale che erano parte dell’Unione Sovietica. Il principale problema dell’Armenia è con l’Azerbaigian, nazione con la quale Erevan ha combattuto due guerre dopo il 1990. Nel 2020 gli azeri hanno ripreso una buona parte del loro territorio a partire dal Nagorno-Karabakh.

Il sostegno all’Armenia implica il passaggio di questa nazione nell’area di influenza iraniana? Nel Caucaso le linee di “prestigio” restano molto fluide. Per esempio, oggi la Georgia è caduta in mani russe, per mezzo del lavoro occulto di servizi segreti e della corruzione di politici e militari. Questo è avvenuto dopo due conflitti col regime di Vladimir Putin, che riconquistò manu militari il 20 per cento delle regioni dell’Abcasia e dell’Ossezia del Sud. Ebbene, la Georgia non era per niente felice dell’idea putiniana della Reconquista russa delle steppe a sud della Siberia e del Caucaso.

Secondo Iran International, l’Iran avrebbe fornito all’Armenia droni kamikaze Shahed 136129 e 197 – come quelli utilizzati in Ucraina – e il drone Mohajer 10, in grado di volare a 7mila metri di altezza e con un raggio di azione di 2mila chilometri. Poi ci sarebbero i sistemi di difesa antimissile come i Khordad 15 e 3, il Majid e Arman. L’Armenia ha in un primo momento “non negato” le indiscrezioni, mentre in seguito le ha definite “false e tendenziose”.

Di sicuro, il Ministero delle Finanze dell’Armenia ha riportato che, nel 2024, il budget per la Difesa è aumentato dell’81 per cento rispetto al 2020. Un dato che da solo fa capire che la striscia di costa che va dalla Turchia occidentale fino al Sinai non è la sola dove il fuoco cova sopra la cenere. Ciò non significa arrivare all’opzione di guerre globali, bensì è il riesplodere della tattica militare-politica del fochismo, applicata dal comunismo sovietico e castrista tra gli anni Sessanta e Ottanta del secolo scorso. Nuovi Michail Gorbačëv e Ronald Reagan cercansi.

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Propaganda azera nel giornale ufficiale del Vaticano (Assadakah 31.07.24)

Letizia Leonardi (Assadakah News) – Il giornalista britannico, ricercatore di fama mondiale di antiche civiltà, Graham Hancock considera l’Armenia la culla dell’umanità. Lui ha scritto: “Il mondo è in realtà ingiusto nei confronti della nazione armena. In queste condizioni difficili, l’Armenia è riuscita a resistere davvero». Ma ciò che stupisce è l’atteggiamento, nei confronti del più antico Paese cristiano del mondo, del Vaticano che, non solo sembra ignorare le sofferenze di questo popolo che subisce da sempre attacchi dei vicini Paesi islamici, ma permette a certi giornalisti di pubblicare, nel giornale L’Osservatore Romano, delle autentiche mistificazioni della storia.

L’Artsakh, internazionalmente conosciuto come Nagorno Karabakh, quel territorio ancestralmente abitato e governato da armeni e sottratto a quest’ultimi dagli islamici azeri nella totale indifferenza del mondo e nell’assordante silenzio del Papa e del Vaticano, è diventato Albania caucasica. E sarebbero dunque attribuite all’Albania caucasica le radici del cristianesimo. In un articolo di questi giorni, pubblicato da L’Osservatore Romano (Viaggio nell’antica Albania caucasica Alle radici del cristianesimo. Uno dei primi territori ad adottare la religione cristiana ancora viva oggi grazie alla comunità degli Udi del 24 luglio 2024), si legge che è stato “Uno dei primi territori ad adottare la religione cristiana ancora viva oggi grazie alla comunità degli Udi”. E per avvalorare questa bislacca tesi si distingue l’Albania balcanica da quella caucasica e si parla della nascita della Chiesa Albana Apostolica del Caucaso nel IV secolo dopo la nascita di Cristo. Area che corrisponde oggi al territorio dell’Azerbaijan. Il governo di Baku si dà parecchio da fare a invitare coloro disposti a raccontare una storia reinterpretata. E così l’Armenia non sarebbe più il primo Paese cristiano del mondo ma addirittura l’Albania caucasica, grazie al predicatore Eliseo, discepolo dell’apostolo Taddeo che è stato inviato nel Caucaso per conto di san Giacomo, primo patriarca di Gerusalemme. E San Gregorio Illuminatore sarebbe stato preceduto da Eliseo che avrebbe fondato l’antica Chiesa Apostolica Albana di rito orientale del Caucaso. Ovviamente la giornalista Rossella Fabiani racconta il lungo viaggio di Eliseo e si affretta però a specificare che, ça va sans dire, è poco noto che l’Azerbaijan sia stata la culla della Chiesa Albana Caucasica Apostolica di rito orientale, che sarebbe più antica dell’armena Apostolica Gregoriana. Si citano manoscritti armeni che si trovano nel museo armeno Matenadaran e l’intento è sempre quello di togliere ogni paternità alla storica Armenia, compresa quella della cristianità. Sì cita la data del I secolo d. C. ma si specifica che è stato solo a metà del IV secolo (dopo l’Editto di Milano del 313) che i re albani adottarono ufficialmente il cristianesimo. Ma l’Armenia il cristianesimo lo ha adottato nel 301. Ed è strano che questa mistificazione, che genera confusione in chi poco sa dell’Armenia, sia a favore di un Paese islamico. E allora ecco che i monasteri armeni diventano dell’Albania caucasica.

Ma la parte più assurda dell’articolo è la seguente: “(….) Ma un lento oscuramento della Chiesa albana era già con la firma del trattato di Turkmenchay nel 1828 quando si decise di trasferire gli armeni provenienti dagli imperi ottomano e persiano nei territori dei khanati di Garabagh, Erivan e Nakhchivan. Iniziò allora un processo di gregorizzazione del patrimonio dell’Albania caucasica (….)” . Quindi gli armeni sarebbero i musulmani e i cristiani sarebbero gli antichi azeri…

E il viaggio in Azerbaijan deve essere piaciuto parecchio alla giornalista de L’Osservatore Romano, deve essere stata accolta molto bene, perchè ne ha scritto anche un altro di articolo (Monasteri tra le nuvole – 24 luglio 2024).

“Nel nostro viaggio in Azerbaijan abbiamo attraversato tre grandi regioni del paese: Gabala, Shaki e Garabagh. Ognuna di esse è caratterizzata da una ricca presenza dell’antica Chiesa albana apostolica. A Nij — la nostra prima tappa dopo Baku, dove vive la comunità cristiana degli Udi, eredi diretti della comunità cristiana albana (…) “. Vengono elencati monasteri, chiese, luoghi ma degli armeni, anche nella zona di quella che era il Nagorno Karabakh, non ci sarebbe alcuna traccia.

A criticare quest’ultimo articolo, pubblicato sul quotidiano ufficiale vaticano, in cui i monumenti essenziali del patrimonio armeno del Nagorno Karabakh vengono descritti come appartenenti al patrimonio di Aghouania, è stata anche la Fondazione Geghard che lo ha definito privo di qualsiasi fondamento scientifico. Ha infatti rilasciato una dichiarazione in cui sottolinea che la propaganda statale azera ha trovato posto anche nella stampa vaticana.

Anche l’uso dei nomi azeri per i monumenti armeni nel titolo dell’articolo indica che la propaganda statale del governo di Baku non perde occasione per diffondere notizie false.

La dichiarazione della Fondazione aggiunge che “(…) questa strategia di appropriazione indebita del patrimonio culturale armeno viene ora implementata su nuove piattaforme internazionali, supportata dai massicci investimenti dell’Azerbaijan nel settore petrolifero e dalla sua influenza finanziaria sulle organizzazioni e istituzioni internazionali. L’Azerbaijan ha fatto della falsificazione storica non solo una politica statale, ma anche una teoria diffusa sulle piattaforme internazionali. Da un lato Baku sembra costruire un’immagine “multiculturale e democratica”, dall’altro “internazionalizza” i meccanismi di distorsione del patrimonio culturale armeno”. La mistificazione è portata avanti anche attraverso mostre fotografiche, come quella allestita recentemente in Polonia sul cosiddetto “albanese-caucasico”, con l’intervento dell’Ambasciata dell’Azerbaijan. La Fondazione Geghard condanna la politica di distorsione del patrimonio culturale armeno portata avanti dal regime dittatoriale di Aliyev, che utilizza tutti i mezzi possibili. Egli invita le rinomate organizzazioni scientifiche e istituzioni internazionali, nonché i media, a non cedere alla propaganda anti-armena dello Stato azero. 

Una grave amnesia, dunque, anche quella del Vaticano.

Fortunatamente ci sono ancora persone dalla memoria più solida, come quella del ricercatore britannico citato inizialmente. Graham Hancock ha concluso che l’Armenia dovrebbe essere un punto di svolta nella comprensione dell’antichità, nel ripristinare la memoria dei tempi antichi.

“Secondo me – ha dichiarato Graham Hancock – l’Armenia può davvero insegnare al mondo qualcosa sul nostro passato dimenticato e sullo spirito umano”.

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La quinta riunione del processo di normalizzazione Turkiye-Armenia (Trt 30.07.24)

Nell’ambito del processo di normalizzazione Turkiye-Armenia si è tenuta la quinta riunione.

Il Ministero degli Esteri turco ha rilasciato una dichiarazione sulla “Quinta riunione dei rappresentanti speciali del processo di normalizzazione Turkiye-Armenia”, in cui si afferma:

“I rappresentanti speciali di Turkiye e Armenia per il processo di normalizzazione, l’ambasciatore Serdar Kilic e il vicepresidente dell’Assemblea nazionale armena Ruben Rubinyan, hanno tenuto il loro quinto incontro il 30 luglio al valico di frontiera di Alican-Margara, sul confine comune dei due Paesi.

I rappresentanti speciali, confermando i punti concordati nei precedenti incontri, hanno anche deciso di valutare i requisiti tecnici per rendere operativo il valico di frontiera ferroviario di Akyaka/Akhurik in linea con gli sviluppi regionali e di facilitare le procedure di visto reciproche per i titolari di passaporti diplomatici/ufficiali.

Infine, i rappresentanti speciali hanno ribadito il loro accordo a proseguire questo processo senza precondizioni, con l’obiettivo finale di una piena normalizzazione.”

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Armenia-Turchia, dal tragico passato a moderne convenienze (Remocontro)


 

Nagorno Karabakh, la pace è ormai ad un passo. Cosa può ancora ostacolarla (Il Tempo 30.07.24)

Armenia e Azerbaigian si avvicinano sempre di più a una difficile pace in Nagorno Karabakh, la regione del Caucaso meridionale da più di 30 anni al centro di una contesa tra i due Paesi. Una pace che però rimane difficile. La strada da percorrere forse non è lunga, ma costellata di rischi legati a eventi che possono far crollare un processo che avanza faticosamente. I due Paesi stanno lavorando e sono vicini per un definitivo accordo rispetto al mutuo riconoscimento di un confine conteso. Il presidente azero Ilham Aliyev ha dichiarato che i due Paesi «non sono mai stati così vicini alla pace» e solo pochi giorni fa ha annunciato che un testo da sottoporre al premier armeno Nikol Pashinyan è in fase di preparazione e le firme potrebbero arrivare a novembre. Circostanza confermata dalle parole dello stesso Pashinyan.

Parole che hanno creato fiducia e speranza, su cui sono però calate come una scure appena due giorni fa gli avvertimenti dello stesso Azerbaigian. «Stop a provocazioni o il nostro esercito sarà costretto a rispondere con tutti i mezzi necessari a garantire la difesa del Paese», si legge in una nota diffusa dal ministero della Difesa di Baku. A mandare su tutte le furie il presidente Aliyev le esercitazioni militari congiunte tra l’esercito armeno e quello americano, le armi che la Francia ha inviato a Yerevan, ma anche la prima tranche dei 10 milioni di euro in aiuti militari che l’Unione Europea ha destinato all’Armenia. Inoltre negli ultimi giorni l’Azerbaigian ha dichiarato di aver abbattuto quattro piccoli veicoli da ricognizione armeni.

Fondamentale per la risoluzione dell’impasse è che Armenia e Azerbaigian diano fede all’accordo trovato a fine aprile per l’inizio dei lavori per la delimitazione dei confini. Un lavoro sul campo da effettuare in base alle mappe del periodo sovietico. A spianare la strada alla delimitazione dei rispettivi territori è stata la decisione di Pashinyan, che a marzo ha accettato di restituire all’Azerbaigian 4 villaggi occupati dalle forze armene nel 1990: Askipara, Baghanis Ayrum, Gizilhajili e Kheirimly. Si tratta di insediamenti abbandonati negli anni del conflitto, ma che all’epoca dell’Unione Sovietica appartenevano all’Azerbaigian. Rimangono tuttavia numerosi gli ostacoli verso una soluzione della disputa. L’apertura di Pashinyan alla firma di un’intesa ha scatenato veementi proteste che hanno messo in difficoltà il governo. Le pressioni della Francia e gli aiuti militari da parte dell’UE hanno fatto risalire la tensione. Il conflitto in Nagorno Karabakh ha dimostrato negli anni di essere sempre stato latente e sempre pronto a esplodere. Ultimo esempio meno di un anno fa.

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Erdogan a Israele: “Siamo entrati nel Nagorno Karabakh e in Libia, faremo lo stesso con loro” (Varie 29.07.24)

Sabato scorso, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha lanciato un duro avvertimento contro Israele, nel contesto delle crescenti tensioni nella regione del Medio Oriente.

In un discorso tenuto in una riunione del Partito Giustizia e Sviluppo (AKP, in turco), al potere, il presidente turco ha parlato dell’importanza di sviluppare l’industria della difesa locale per dissuadere Israele ad attaccare la Striscia di Gaza.

“Dobbiamo essere molto forti affinché Israele non possa fare queste cose alla Palestina”, ha affermato, citato dai media locali, dalla provincia di Rize, nel nord-est del Paese. “Proprio come siamo entrati nel Nagorno Karabakh e in Libia, faremo lo stesso con loro “, ha continuato.

“Non c’è nulla che ci impedisca di farlo. Dobbiamo solo essere abbastanza forti per compiere questi passi “, ha concluso il presidente turco.

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Erdogan minaccia: “Turchia può invadere Israele” (Adnkronos)


Erdogan minaccia di invadere Israele per far cessare la guerra (Rainews)


Medio Oriente, Erdogan evoca la possibilità che la Turchia invada Israele (Ansa)


Erdogan avverte che la Turchia potrebbe entrare in Israele (Agenparl)


Erdogan minaccia di invadere Israele, Katz: «Ricordati come è finito Saddam» (Lettera43)


Gaza, Erdogan minaccia di invadere Israele: il video con le sue parole (La Presse)


Israele risponde a Erdogan: “Non accettiamo minacce di invasione” (Intrerris)


Gaza, Erdogan minaccia di invadere Israele: il video con le sue parole (Libero)


ISRAELE. ERDOGAN, ‘PRONTI A INVADERE’ (Notizieveopolitiche)


 

Letture, a spasso per la laguna di Venezia (Acistampa 26.07.24)

Cullati dallo sciabordio delle onde contro i fianchi dello scafo – sia esso un vaporetto, un motoscafo, un barchino – davanti agli occhi dei viaggiatori si apre uno spettacolo che colma di stupore: un’isola piccola e stretta, ricca di vegetazione, che sembra miracolosamente sorgere dall’acqua e da cui svetta un campanile che punta verso il cielo terso. Qualcosa di remoto e contemporaneamente di presente, fuori dal tempo.

Il campanile annuncia la presenza di Santa Maria Assunta, nell’isola di Torcello, nella laguna di Venezia. Un gioiello che testimonia la viva fede di origini antichissime, nel periodo paleocristiano, che in questo luogo unico ha messo radici profonde.

Dobbiamo tornare indietro di oltre 1500 anni, fino al 639 dopo Cristo quando la chiesa viene eretta su ordine dell’Esarca di Ravenna Isacio, per dare una nuova sede alla cattedra episcopale di Altino. L’anno prima, infatti, proprio nel centro di Turricellium, il vescovo Paolo aveva trovato rifugio dall’invasione dei Longobardi, che stavano imponendosi dall’Italia del Nord verso buona parte della provincia italiana dell’ex impero romano; il vescovo aveva portato con sé il tesoro e le reliquie della diocesi, per poter assicurare loro, oltre che la salvezza dalle mani degli invasori, anche un luogo degno di accoglierle.

Da questa storia di fughe, violenze e insieme di speranze, nasce una nuova vita: bellezza di architetture, dipinti e soprattutto di sfavillanti mosaici, frutto dell’eredità preziosa della civiltà bizantina. Un ciclo di arte musiva, tra l’XI e il XII secolo, tra i più importanti d’Italia. La contemplazione è d’obbligo, si potrebbe dire, soprattutto dinanzi alla forza e alla grandiosità della tremenda visione del Giudizio Universale.

Il pellegrinaggio può continuare a lungo, attraverso luoghi imponenti o più nascosti, illustri o poco conosciuti, ma ugualmente segnati dall’impronta dello Spirito. Sembra strano parlare di Venezia e della sua laguna seguendo itinerari di questo genere, quando praticamente ogni giorno se ne discute, invece, come simbolo universale della piaga dell’overtourism. Possibile che in uno dei posti più frequentati del pianeta, flagellato da torme urlanti, ciabattanti, rigurgitanti di cibo-spazzatura siano custoditi spazi di contemplazione e di rigenerazione spirituale? Sì, è possibile. Magari scegliendo periodi meno inflazionati dei mesi estivi, ma su cui proprio adesso ci si può mettere a organizzare un itinerario “alternativo”, o anche solo immaginarlo, sognarlo.

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Due libri appena giunti in libreria invitano a farlo. Si tratta di Andar per isole nella laguna di Venezia di Monica Cesarato, e di Campanili a Venezia di Fabio Rizzardi.  La prima è una guida per esplorare la laguna e le isole che danno vita ad un ecosistema esemplare. L’autrice offre  la descrizione di 49 isole vere e proprie, raggiungibili solo via acqua con vaporetti e imbarcazioni: molte sono abitate, con una vita sociale anche vivace, altre sono abbandonate e selvagge, ma tutte portano ancora le testimonianze di un passato comune, con una vocazione alla vita religiosa,  tutte sono connesse dall’ambiente peculiare fatto di fondali, velme e barene. E per tutte esiste una lunga tradizione fatta di racconti, leggende e mille protagonisti della storia. Pensiamo a San Lazzaro degli Armeni, definita la piccola Armenia nella laguna; del resto Venezia è stata sede di una importante e florida comunità armena. E l’isola è davvero uno dei più suggestivi rifugi dell’anima. Lord Byron, uno dei più illustri ospiti del monastero armeno, lo ha descritto come un lugo che fa credere che “persino in questa vita ci sono cose diverse e migliori”. Quello che stupisce a chi arriva rigorosamente via mare, è la sobria armonia dell’architettura degli edifici, dei giardini, ma anche il silenzio e l’aria di pace che invitano ad entrare in una dimensione “parallela”. I corridoi lunghi, e custodi nell’ombra silenziosa, introducono alla scoperta  di un vero tesoro, gelosamente custodito da tre secoli dai padri armeni, qui rifugiati fuggendo dall’ennesima persecuzione a cui da sempre questo popolo pacifico, creativo è soggetto. Un popolo saldo nella fede: è ciò che caratterizza l’intera sua storia. Dal primo annuncio cristiano, che la tradizione attribuisce agli apostoli Bartolomeo e Taddeo, le vicende degli armeni sono totale testimonianza di fedeltà a Cristo, anche a prezzo della vita. Come ricorda la bellissima tela del Carpaccio, esposta nelle sale delle Galleria dell’Accademia, dedicata ai diecimila martiri del Monte Ararat, che si fecero crocifiggere piuttosto che rinnegare la propria fede.

E poi San Francesco nel Deserto, il piccolo lembo di terra tra le acque quiete lagunari, dove il grande santo si sarebbe fermato nelle sue peregrinazioni, fondandovi un convento che ancora oggi accoglie coloro che sono desiderosi di preghiera e di solitudine.

Anche i campanili sono una traccia evidente da seguire a Venezia. Sono ben 117, di epoche molto diverse fra loro e dalle forme più disparate. Formano una sorta di mappa tessuta tra cielo e terra, per raccontare storie particolari. Visto che non si può camminare per aria, ma con lo sguardo all’insù (pur con qualche cautela) l’autore ha elaborato dieci itinerari: nove in città e uno nelle isole, che potranno donare una visione d’insieme di questi inusuali punti di vista. Ci sono da considerare anche i campanili scomparsi, quelli crollati, come il campanile di San Benedetto, nel 1540, che ricorda da vicino quello arcifamoso di San Marco nel 1902.

Torniamo in laguna, da dove si è partiti con l’approdo a Torcello, per contemplare un campanile di Sant’Angelo nell’isola di Mazzorbo, a ovest della ben più nota e frequentata Burano alla quale è collegata da un ponte. Un altro luogo a prima vista irreale e sorprendente: un pezzo di campagna veneta, ricca di orti, di campi, di aie popolate da galline e galli, oche, anatre…Qui un tempo sorgevano molti luoghi di culto, monasteri, eremitaggi, in grado che ha impresso un’impronta indelebile. Accanto a qualche ristorante di fama ea gruppi di caratteristiche casette colorate, si aprono spazi disabitati, silenziosi, selvaggi, in cui il pensiero si perde e prende respiro, vagando nell’aria tersa come un placido veliero in viaggio verso l’Ignoto.

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Jerevan: l’ambasciatore Di Riso accompagna il vice presidente Arshakyan alla mostra “Frammenti di Arte d’Italia in Armenia” (Aise 26.07.24)

JEREVAN\ aise\ – Dopo il presidente Khachaturyan, anche vice presidente dell’Assemblea Nazionale della Repubblica di Armenia, Hakob Arshakyan, si è recato in visita alla mostra “Frammenti di Arte d’Italia in Armenia” presso la Galleria Nazionale di Jerevan.
Ad accompagnarlo ieri, mercoledì 25 luglio, l’ambasciatore d’Italia, Alfonso Di Riso, che aveva inaugurato l’esposizione lo scorso 2 giugno, in occasione delle celebrazioni della Festa della Repubblica Italiana a Jerevan.
La mostra, organizzata dalla Galleria Nazionale di Armenia, su impulso dell’Ambasciata d’Italia a Jerevan, è composta da circa 100 opere di arte italiana di celebri maestri come Donatello, Tintoretto, Guercino, Canaletto, Canova e altri.
Ad accogliere gli ospiti ieri era presente anche la direttrice della Galleria, Marina Hakobyan. (aise)

La denuncia: l’Ue fa affari con chi perseguita gli armeni (Panorama 25.07.24)

Il rapporto tra Unione europea e Azerbaigian è sempre più controverso e oggetto di discussione, soprattutto per quanto riguarda gli scambi commerciali che pongono Baku come uno dei principali fornitori di gas dei Paesi del Vecchio Continente, dopo la chiusura dei canali con la Russia in seguito all’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio 2022. Una scelta per danneggiare l’economia russa, obiettivo finora fallito, ma anche etica contro un Paese che non rispetta i diritti umani. E se di diritti umani si parla, dunque, quando Bruxelles acquista il gaz azero, non può e non deve ignorare la pulizia etnica che da anni è in corso nel Nagorno-Karabakh, la regione al confine tra Armenia e Azerbaigian.

A far discutere è quanto emerso da un report pubblicato a giugno dal Centro europeo per il diritto e la giustizia. Il report redatto dall’organizzazione internazionale non governativa dedicata alla promozione e alla tutela dei diritti umani in Europa e nel mondo, accende i riflettori su quanto accade nel Nagorno-Karabakh, la regione che si trova nell’attuale Azerbaigian sud occidentale in cui è in corso una «feroce distruzione del patrimonio cristiano armeno». Tutto senza che la comunità internazionale dica o faccia qualcosa. Molte chiese, da quella di San Sargis di Hadrut a Mokhrenes a quella di Saint-Jean-Baptiste a Chouchi, sono…..

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