A Erevan una Pasqua di tensioni tra la Chiesa e il primo ministro (Asianews 05.04.24)

Pašinyan “predica” utilizzando salmi e immagini el Vangelo per difendere la sua politica. Karekin II e il clero gli rispondono che il suo compito è “guarire le ferite del suo popolo che subito gravi perdite”. Dietro allo scontro la ferita della rinuncia al Nagorno Karabakh mentre è tornata a salire la tensione con l’Azerbaigian.

Erevan (AsiaNews) – Molti sacerdoti della Chiesa Apostolica armena hanno reagito alla “predica politica” del primo ministro Nikol Pašinyan durante le celebrazioni della Pasqua, che in armeno è chiamata Zurb Zatik, “Liberazione dalla Sofferenza” e si celebra secondo il calendario gregoriano, in quanto gli armeni non hanno seguito gli ortodossi di tradizione bizantina nel difendere il “vecchio calendario”. Lo stesso patriarca, il katholikos Karekin II, nel suo messaggio pasquale ha ammonito i fedeli che “ci troviamo in tempi difficili e pieni di imprevisti per l’Armenia”.

La sera della vigilia pasquale, il Čragalujts, Pašinyan ha incontrato i membri del suo partito dell’Accordo Civile nella città di Artašat, centro amministrativo della regione di Ararat, e nel corso della discussione ha fatto ricorso inaspettatamente al Discorso della Montagna di Gesù, dichiarando che “la dimensione politica delle fondamenta del cristianesimo per me non è meno importante di quella spirituale”, in quanto “Gesù Cristo non è soltanto il Figlio di Dio, ma anche la figura ideale del leader”. Il Signore era anche “un grandissimo rivoluzionario, che per un certo periodo è andato in giro per il mondo, cambiandolo profondamente con le sue azioni”. Il premier ha quindi paragonato il destino del Salvatore con quello del suo partito, che diverse volte “era morto” e poi “è sempre risorto”, vedendo un particolare significato nelle parole del Vangelo che proclamano “Beati i perseguitati per la giustizia, poiché di essi è il Regno dei Cieli”, parole “che mi hanno sempre dato tanta forza nei momenti più difficili”, ha concluso Pašinyan.

In questi giorni diversi membri del clero hanno commentato queste parole, a cominciare dal capo del servizio informativo della curia di Ečmjadzin, la sede patriarcale, il sacerdote Esai Artenyan, che ha ricordato come “Cristo fu crocifisso proprio perché non voleva essere un rivoluzionario, e prendere il potere… nel Vangelo ci sono molte testimonianze del fatto che gli ebrei volessero che Gesù diventasse re, ma il Signore si è rifiutato, speravano che li guidasse alla rivolta contro l’imperatore e li liberasse dal giogo dei romani, ma Cristo è il re celeste, come Lui stesso più volte ha spiegato”. P. Esai non ha fatto il nome di Pašinyan, ma i suoi follower sulle reti social hanno capito a chi si riferiva.

Del resto non è la prima polemica che nasce tra il premier e la Chiesa armena, e Pašinyan ha perfino rifiutato di partecipare alle celebrazioni pasquali, limitandosi a rivolgere un saluto a tutti i credenti in un breve video pubblicato nei giorni precedenti, in cui invece di congratularsi ha letto il testo del salmo 25, “Signore, fammi giustizia, nell’integrità ho camminato”. Il premier ha cominciato nei suoi discorsi a citare passi di letteratura religiosa da alcuni anni, senza spiegarne le motivazioni.

Mentre Pašinyan teneva il suo “discorso della montagna” ai piedi dell’Ararat, il patriarca Karekin II guidava i fedeli nel corteo della veglia con le lampade accese al cero pasquale, e anche nella sua omelia non sono mancati i commenti alla situazione politica, esortando i fedeli a “dare la giusta risposta alle realtà che ci affliggono, il compito del nostro popolo è quello di superare le divisioni interne e l’incomunicabilità, guarire le ferite del popolo che ha sofferto di gravi perdite, rafforzando la Patria unendo le forze”. La grazia del Risorto deve fare in modo che “non ci riduciamo a essere una nazione debole e sconsolata, che mette in pericolo il futuro e l’indipendenza della nostra Patria”.

La Chiesa ha sempre criticato l’arrendevolezza del governo sulla questione dell’Artsakh, la “terra dei nostri guerrieri e dei nostri martiri”, ha ricordato il katholikos. Nel Nagorno Karabakh stanno “le tombe scavate per noi malvagi, ma la tomba di chi vince l’angoscia della morte insieme a Cristo è vuota, noi crediamo nella risurrezione”. Le parole del capo dei cristiani armeni sono risuonate come un appello a riprendere la lotta contro il nemico, proprio nei giorni in cui si rinnovano i conflitti di frontiera con l’Azerbaigian. In Armenia i politici parlano con i versi dei salmi e dei vangeli, mentre i preti usano la lingua della politica e della guerra.

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ARMENIA. Yerevan nuova cerniera tra Oriente e Occidente (Agcnews 05.04.24)

Gli Stati Uniti e l’UE stanno rapidamente pianificando un nuovo processo di sostegno per preparare l’Armenia all’adesione all’UE e alla NATO. Secondo indiscrezioni stampa, il segretario di Stato americano Antony  Blinken e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen discuteranno i passi da compiere in questa direzione, nonché il processo di unificazione dell’Occidente e dell’Armenia.

Secondo le indiscrezioni, Europa e NATO avvieranno un sostegno economico e finanziario e grandi volumi di assistenza al fine di recidere completamente i legami economici armeni con la Russia. Tra le idee sul tavolo, c’è quella di mettere infrastrutture di telecomunicazioni dell’Armenia sotto il controllo degli Stati Uniti. Inoltre è in fase di sviluppo un nuovo progetto per la ricostruzione della centrale nucleare di Metsamor e per questo sono previsti fondi.

Vi sono in piedi sforzi per espandere l’addestramento militare e le esercitazioni congiunte con l’Armenia, nonché donare al Paese sistemi militari nuovi e moderni soprattutto da parte della Francia. L’obiettivo è far sì che l’Armenia si sviluppi, soprattutto nel campo dei sistemi di difesa aerea e nella lotta agli UAV, in modo che l’Armenia sia pronta per una eventuale nuova guerra con l’Azerbaigian, paese inviso alla Francia. 

La Francia sarà pioniera in questo senso e dovrebbe essere sostenuta dagli Stati Uniti e da vari paesi dell’UE. Tra gli altri paesi che si affacciano all’Armenia c’è l’India che aumenterà la sua assistenza militare in funzione anti-Pakistan, partner strategico dell’Azerbaigian. Infine c’è il ruolo della Turchia che potrebbe sostenere l’adesione dell’Armenia alla NATO e contribuirà alla sua difesa in cambio dell’apertura del corridoio Zangezur. Un corridoio che l’Iran non appoggia in quanto taglierebbe fuori dal commercio Teheran. La Turchia è anche uno stretto alleato dell’Azerbaijan ma ha mostrato avere come unico interesse, negli ultimi anni: vendere armi e avere strade per il commercio.

Secondo alcuni specialisti geopolitici dell’area del Caucaso, il miglior scenario occidentale nel Caucaso è quello di stabilire una presenza diretta di intelligence militare in tre paesi caucasici contemporaneamente, creare una linea che mescoli il fronte settentrionale dell’Iran con il fronte meridionale della Russia e, se tutto va bene, rendere l’Armenia un membro della NATO.

Una delle cose più interessanti è che recentemente sono circolate voci secondo cui l’esercito armeno viene addestrato dalle forze speciali statunitensi, soprattutto per quanto concerne cecchini, sabotaggio, infiltrazione e guerra non convenzionale. In un post messo nella rete social di analisti esperti del Caucaso settentrionale si legge: “Tutti questi sforzi in materia di armamenti portano all’occupazione dell’Armenia da parte dell’Azerbaigian o alla trasformazione della regione in una zona di guerra a lungo termine. Il nuovo tipo di addestramento fornito all’Armenia, vale a dire l’avvio della ribellione e della guerriglia, e l’organizzazione dell’addestramento in questo stile richiamano direttamente il problema dell’invasione dell’Armenia da parte dell’Azerbaigian e l’invio della maggior parte della popolazione in Turchia”.

Tra gli “spoiler” sull’annunciato incontro trilaterale tra Nikol Pashinyan e Ursula von der Leyen e Antony Blinken, il principale è la questione del coordinamento di un piano per fornire all’esercito armeno “campioni” di armi occidentali e la sua integrazione nel programma americano di finanziamento militare esterno.

Secondo le indiscrezioni la fase addestramento sarà finanziata dall’European Peace Foundation e servirà per adeguare l’addestramento armeno a quello NATO.

E ancora c’è in ballo la ricostruzione della centrale nucleare di Metsamor e quella di una nuova centrale nucleare, soprattutto perché il governo Pashinyan ha già espresso il suo interesse nell’installazione di dispositivi e reattori di accumulo dell’energia. Questo renderà Yerevan più indipendente da Mosca ma de facto dipendente dall’Occidente. 

Una questione a parte saranno le misure a sostegno di Yerevan: l’intero pacchetto dovrebbe essere adottato nel caso in cui la Russia applichi misure restrittive nei confronti dell’Armenia per violazioni di accordi con Mosca e altri organismi quali il CSTO.

Anna Lotti

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L’Ue sta preparando un Piano di resilienza e crescita per l’Armenia da 270 milioni di euro (Eunews 05.04.24)

Bruxelles – L’Unione Europea cerca di diventare il partner di fiducia dell’Armenia, per togliere alla Russia anche l’ultimo alleato nella regione caucasica. “Stiamo rispettando la promessa fatta a ottobre di stare a fianco dell’Armenia e di fornire una visione per il nostro partenariato”, ha assicurato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nel corso di un punto stampa con il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, prima della riunione di alto livello di oggi (5 aprile) a Bruxelles.

Pashinyan Armenia von der Leyen Blinken Borrell
Da sinistra: il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken (5 aprile 2024)

Un partenariato che “sarà plasmato su un Piano di resilienza e crescita da 270 milioni di euro in sovvenzioni per i prossimi quattro anni“, è l’annuncio di von der Leyen, che ha promesso che l’Unione investirà su “economia e società armena”. A partire dalle piccole e medie imprese, fino a “progetti di infrastrutture-chiave, produzione di rinnovabili in Armenia e migliori interconnessioni con la Georgia”. Come rende noto lo stesso esecutivo Ue, il Piano di resilienza e crescita per l’Armenia sosterrà la diversificazione degli scambi commerciali, rafforzerà la cooperazione settoriale con l’Unione Europea e “contribuirà a soddisfare le esigenze a lungo termine degli sfollati” dal Nagorno-Karabakh. Proprio su questa “priorità” si è soffermata anche la presidente von der Leyen, ricordando che “dallo scorso settembre abbiamo erogato oltre 30 milioni di euro a sostegno dei rifugiati e siamo pronti a fare di più per sostenere l’integrazione a lungo termine”.

L’esodo della popolazione di etnia armena verso Yerevan (oltre 100 mila profughi riversatisi in un Paese di 2,8 milioni di abitanti) è iniziato dopo la presa dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh da parte dell’esercito azero il 20 settembre 2023. Da allora non hanno fatto progressi i contatti tra Bruxelles, Yerevan e Baku per arrivare a quell’accordo di pace generale che il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, dall’Aula di Strasburgo aveva prospettato per fine 2023 se solo il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, avesse deciso di non ostacolare il processo come aveva invece fatto al terzo vertice della Comunità Politica Europea del 5 ottobre in Spagna (quando aveva disertato il quintetto con il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e il presidente francese, Emmanuel Macron). La tensione è rimasta sempre alta, fino all’episodio più grave lo scorso 13 febbraio, quando quattro soldati armeni sono stati uccisi in uno scontro a fuoco con le forze di Baku lungo il confine.

Il conflitto tra Armenia e Azerbaigian

Nagorno Karabakh Armenia AzerbaijanTra Armenia e Azerbaigian è dal 1992 che va avanti una guerra congelata, con scoppi di violenze armate ricorrenti incentrate nella regione separatista del Nagorno-Karabakh. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Dopo un anno e mezzo la situazione è tornata a scaldarsi a causa di alcune sparatorie alla frontiera a fine maggio 2022, proseguite parallelamente ai colloqui di alto livello stimolati dal presidente del Consiglio Ue, fino alla ripresa delle ostilità tra Armenia e Azerbaigian a settembre, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.

La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue, con 40 esperti dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre 2022. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin, mettendo in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Il 23 gennaio 2023 è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, ma la tensione è tornata a crescere il 23 aprile dopo la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello il 15 luglio tra Michel, il primo ministro armeno Pashinyan e il presidente azero Aliyev.

Nagorno-Karabakh Azerbaijan e Armenia
Esplosioni in Nagorno-Karabakh

L’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni sul campo ha messo in pericolo anche gli osservatori Ue presenti dal 20 febbraio 2023 in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. Solo un mese più tardi è sembrato che la situazione potesse pian piano stabilizzarsi, con il passaggio del primo convoglio con aiuti internazionali il 12 settembre attraverso la rotta Ağdam-Askeran e poi lo sblocco del corridoio di Lachin il 18 settembre dopo quasi nove mesi di crisi umanitaria. Neanche 24 ore dopo sono però iniziati i bombardamenti azeri contro l’enclave separatista che – per la sproporzione di forze in campo – ha determinato il cessate il fuoco e la resa fulminea dei militari di Stepanakert, con la presa totale del controllo da parte dei soldati di Baku.

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Classica: Venti dell’Est, musiche dall’Ungheria e dall’Armenia e concerto di Primavera (Quotidiano Nazionale)


“Ue al fianco dell’Armenia”, von der Leyen annuncia aiuti per 270 mln (Askanews)


 

L’origine dei genocidi (Lincontronews 05.04.24)

Assai numerosi sono stati, nella storia dell’Umanità, i genocidi messi in atto da popoli o etnie contro altri con le più disparate motivazioni. Sino a quelli più recenti del XX secolo. Ricordiamo innanzitutto che per “genocidio” si intende (Gabrielli – Gran Dizionario della Lingua Italiana) “… la sistematica distruzione di un gruppo etnico, religioso, razziale o di una intera stirpe”.

L’Accordo Internazionale ne sancì la condanna

Il termine, creato dal giurista polacco Raphael Lenkin nel 1945, venne ufficialmente usato per la prima volta nell’ “Accordo Internazionale” siglato a Londra l’8 agosto 1945 nel corso del quale venne istituito il Tribunale Militare Internazionale.  Tribunale istituito con rappresentanti degli Stati Uniti, del Regno Unito , della Russia e della Francia. Lo scopo era quello di giudicare i grandi criminali della Seconda guerra mondiale, imputati di “crimini contro l’umanità”( ai quali il genocidio era assimilato). Il termine “genocidio” venne usato nel corso del Primo Processo di Norimberga (novembre 1945/ottobre 1946) contro i principali capi nazisti. E da allora entrò nell’uso comune. Nel dicembre 1948 venne fondata da 123 Paesi (assenti Usa, Russia e Cina) la “Corte penale internazionale” (I.C.C.) all’Aja (Paesi Bassi) competente a indagare e giudicare crimini internazionali (compreso genocidio) compiuti da singole organizzazioni.

L’O.N.U stabilì la sua punibilità

Contestualmente l’Assemblea Generale dell’O.N.U., con la Risoluzione 260 A (III) , stabilì la “Convenzione internazionale per la prevenzione e la punizione del delitto di genocidio” sia in tempo di pace che in tempo di guerra. Nell’art. 2 la definizione di “genocidio” veniva estesa. Comprendeva “le lesioni gravi dell’integrità fisica o mentale di gruppi di individui, la loro sottomissione a condizioni di vita estreme. Nonché le misure tese a impedire nuove nascite nel loro seno (ad esempio l’ aborto obbligatorio e la sterilizzazione femminile). E inoltre il trasferimento forzato di fanciulli minori fuori dai gruppi”. Gli assunti di questa Convenzione sono stati immessi nell’art. 6 dello Statuto della Corte penale Internazionale firmato a Roma il 17/7/1988.

L’Italia li ha introdotti nel suo Codice penale con la legge 153 del 11/3/1952 e la Francia nel suo stesso Codice nel 1994. Nell’Occidente i genocidi più orrendi del XX secolo furono quelli compiuti dal Governo della Germania nazista (1939/1945) contro gli ebrei in alcune Nazioni europee. E quelli del Governo ottomano (1915/1916) contro il popolo armeno in Turchia.

I disastri dai primi secoli dopo Cristo

La “Shoah” (catastrofe, disastro) del popolo ebraico è stata ampiamente descritta, studiata e condannata dalla comunità internazionale alla fine della II Guerra mondiale. Mentre meno noto è il “Medz Yegern” (Grande Male) del popolo armeno. In merito ricordiamo innanzitutto che oggi l’Armenia è – dal 21/9/1991 – una Repubblica parlamentare indipendente, ammessa all’O.N.U. nel 1992. Dal 2001, fa parte del Consiglio d’Europa. Ha una popolazione di circa 3.000.000 di abitanti con capitale Yerevan. Vahan Khachaturyan ne è il Presidente e Nikol Pashinyan come Primo Ministro. In precedenza gli Armeni erano vissuti per secoli nell’Anatolia orientale (attuale Turchia), primo Stato al mondo ad aver adottato nel 310 d.C. – con San Gregorio e il Re Trididate III – il Cristianesimo.

Quel territorio venne conquistato dagli Ottomani nel XV secolo ed essi lo tennero sino al 1920, allorchè fu invaso da truppe dell’U.R.S.S.. In quell’anno vi fu proclamata la Repubblica socialista sovietica armena. Nel 1922, andò a formare – con la Georgia e l’Azerbaijan – la Repubblica federativa sovietica di Transcaucasia. Questa venne divisa, nel 1930, in tre Repubbliche distinte facenti tutte parte dell’U.R.S.S.. Caduta quest’ultima nel 1991, l’Armenia si proclamò Repubblica indipendente.

Genocidi dall’Armenia alla Shoa

La “Questione armena” si era posta per la prima volta nell’Impero ottomano alla fine del XIX secolo quando la popolazione armena cristiana cominciò a manifestare intenti separativi dall’Impero a favore di un avvicinamento alla Russia. La “Sublime Porta” ottomana reagì con una serie di massacri di armeni perpetrati tra il 1894 e il 1896 dal Sultano Abdul Hamid II. A Istanbul e a Urfan (30.000 Armeni uccisi) e ad Adana in Cilicia (20.000 Armeni uccisi) noti come “Massacri hamidiani”. Ma fu dall’inizio della Prima guerra mondiale (luglio 1914) che ebbe inizio in Turchia il sistematico”Medz Yegern” , Grande Male, genocidio armeno.

La trasformazione della Turchia

In quel momento la Turchia si era alleata alla “Triplice Alleanza “ (Germania, Italia, Austria) contro la “Triplice Intesa “(Russia, Francia e Regno Unito). Molti Armeni disertarono dalle file dell’esercito turco aggregandosi a quello russo. Il loro intento era quello di riuscire a ottenere – a guerra finita -un appoggio da Mosca per conseguire l’autonomia dalla Turchia. Il Sultano Mehemet V, succeduto a Abdul Hamid, diede allora inizio a un nuovo progetto che prevedeva l’organica soppressione dell’intera etnia armena nell’Impero.

Nel 1914, al Governo della Turchia c’era il Partito”Unione e Progresso” (“Itthad ve Terraki Comijeti”) retto dai “Tre Pascià Djemal, Enver e Talat, quest’ultimo alla direzione del movimento modernista dei “Giovani Turchi”. Sorto nel 1889, questo movimento proponeva di trasformare l’Impero in una monarchia costituzionale, liberale e moderna. E nel 1908 aveva contribuito in modo fondamentale alla costituzione del Partito “Unione e Progresso”.

Il Panturchismo, le lotte interne, gli arresti e i genocidi taciuti

Il Governo diede origine a un Organismo speciale” (“O.S.”) dipendente dai Ministeri della Guerra, dell’Interno e della Giustizia al comando di due medici Nazim e Behaeddin Chakir. E con l’assistenza di Consiglieri militari dell’alleata Germania (Baroni von der Golz e von Ditfurth). Il suo scopo era quello di raggiungere in Turchia una omogeneità etnica, politica e religiosa su base nazionalistica (“Panturchismo”) alla quale gli Armeni cristiani erano estranei. Il 29/5/1914 il Comitato Centrale del Partito al potere fece approvare dal Parlamento una legge (“Techir”) che autorizzava la deportazione (“Aksor”) di chiunque fosse percepito come “minaccia per lo Stato”, indirizzata elettivamente contro gli Armeni.

Ma già nella notte tra il 23 e il 24 aprile avevano avuto inizio a Istanbul i primi arresti di personaggi eminenti e di intellettuali (giornalisti, scrittori, poeti) armeni. Gli arresti erano stati effettuati da truppe dell’esercito turco agli ordini del generale tedesco Frederich Bronsart von Schellendorf . Fu lui che provvide anche a disarmare tutti i militari armeni che militavano nell’esercito.

A caccia degli Armeni

Tra il dicembre 1914 e il febbraio 1915 vennero istituiti i “Creati Tchetè”, battaglioni speciali incaricati di eseguire la cattura di tutti gli Armeni a qualunque categoria appartenessero. E inoltre di consegnarli ai membri della “Teksilat i Mahusa” (Organizzazione speciale), gruppi formati da criminali comuni prelevati dalle carceri statali. Costoro erano incaricati – con la promessa di essere successivamente liberati – di uccidere tutti gli Armeni che venivano loro consegnati.

Ebbe così inizio il “Grande genocidio” armeno ( “Medz Yegern” noto come “Ermeni Soykirimi” massacro armeno, dai turchi). Gli Armeni venivano inviati, con appositi convogli controllati dai criminali liberati, ai lavori forzati nella costruzione della ferrovia Konya (Turchia) – Bagdad (Iraq) . Poi vennero deportati – con marce estenuanti note come “marce della morte” – in campi di raccolta situati nell’Anatolia interna. Il più tristemente famoso era quello di Dar es Zor nel cuore del deserto.

Milioni di persone massacrate e mai più ritrovate

Durante le marce della morte e la prigionia nei campi morirono centinaia di migliaia di prigionieri per sfinimento, denutrizione, malattie, sevizie e annegamenti. Altre centinaia di migliaia morirono uccisi direttamente dai carcerieri. Complessivamente si calcola che, tra il 1915 e il 1916, vennero uccisi dai Turchi 1.500.000 Armeni. Pari a circa i 2/3 di tutti gli Armeni presenti all’epoca nell’Impero ottomano. Arnold J.Toynbee, agente dell’Intelligence britannica in Anatolia (1916) calcola tale massacro tra 1.200.000 e 2.000.000 individui. E  l’“Enciclopedia britannica” (2010) in 1.750.000. Alla vigilia della Prima Guerra mondiale gli Armeni in Turchia assommavano a circa 2.000.000 e nel censimento del 1922 risultavano solo 400.000. Questo massacro viene ricordato dagli Armeni ogni anno il 24 aprile, giorno dell’inizio del “Medz Yegern” a Istanbul.

Un Monumento mausoleo è stato eretto nel 1967 a Yerevan sulla “Dzidzernagapert ” (Collina delle rondini) con una cuspide alta 42 metri e con un museo sotterraneo in memoria del genocidio. Altro Monumento si trova, formato da una corolla di 12 colonne – a ricordo delle 12 Provincie turche nelle quali ebbe luogo il genocidio – nel Sunset Park di Las Vegas (Nevada). Eretto dagli emigrati armeni negli Stati Uniti nel 2023.

‘Operazioni di sicurezza nazionale contro gruppi di ribelli’

I fatti che vennero a costituire la definizione di “Genocidio Armeno” sono stati, nel tempo, variamente interpretati. Numerosi interventi hanno sostenuto che i massacri del 1915/1916 in Turchia non rientrano nella categoria dei crimini definiti come “Genocidio”, ma sono da considerarsi come “Operazioni di sicurezza nazionale contro gruppi di ribelli”. In tal senso si sono espressi lo storico negazionista Bernard Lewis della “British Academy”(2010) e l’arcivescovo cattolico Boghos Levon Zekiyan (1997 e 2000), ma soprattutto i rappresentanti dei vari Governi succedutisi in Turchia dal 1915 ad oggi.

Tra questi ricordiamo il Ministro degli Interni ottomano Pascià Ahmed Talat (“ Gli armeni vanno distrutti come microbi tubercolotici di danno ai turchi onesti”- 1918), il Presidente turco Mustafà Kemal Ataturk (“Nessuna responsabilità governativa può essere dimostrata nella tragedia armena”-1925) e l’attuale Presidente della Turchia Recer Tayyip Erdogan ( “Non si dicano stupidaggini sulla questione armena del 1915” – 2015).

Giornalisti e scrittori incarcerati perchè contro il genocidio

Gli scrittori Orhan Pamuk e Taner Akam sono stati incarcerati e il giornalista Hrgnt Dink è stato ucciso per aver scritto che “ in Turchia nel 1915 venne perpetrato un eccidio”. Ancor oggi, in base all’articolo 301 del Codice penale turco, vengono puniti con la reclusione sino a 3 anni coloro che menzionano la parola “genocidio” nei loro scritti in quanto il fatto rientra nel reato di “vilipendio dell’identità nazionale”. Quanto accaduto nel biennio 1915/1916 in Turchia è stato riconosciuto come “genocidio” da 29 Stati del mondo. Ricordiamo fra questi l’Italia ( 17/11/2000 – Presidente Giuliano Amato), la Francia ( 6/2/2001 Presidente Francois Hollande) , la Germania ( 22/4/ 2015 – Presidente Angela Merkel, gli Stati Uniti (6/10/2019 – Presidente Barak Obama).

La condanna della S.Sede, con Papa Bergoglio

Anche la S.Sede, con Papa Bergoglio (20/4/2915), ha condannato apertamente il genocidio armeno come primo del XX secolo citando la stessa condanna espressa in precedenza nel 2001 da Papa Giovanni Paolo II. Questa presa di posizione del Vaticano aveva portato al richiamo in Patria dell’Ambasciatore turco presso la S.Sede. Papa Bergoglio parlò tuttavia ancora di “genocidio armeno” nel corso del suo viaggio apostolico in Armenia (2016), provocando le rimostranze del Vice Primo Ministro turco Canikli Nurettin. Questa persistente negazione di genocidio a carico della popolazione armena da parte del Governo turco è una delle cause che ostacola il procedimento di ingresso della Turchia nell’Unione Europea.

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Monza: al Binario 7 per il popolo armeno (Ilcittadinomb 05.04.24)

Domenica 7 aprile al Binario 7 di via Turati 8 a Monza, in sala Picasso, alle 17.30, lo spettacolo di musica e poesia armena “Il canto spezzato del popolo armeno: ieri e oggi”.

Monza: al Binario 7 per il popolo armeno, «storia e memoria»

Una serata dedicata «alla storia e alla memoria del popolo armeno, fino alla recente pulizia etnica compiuta in Nagorno K.-Artsakh, spiegando in dettaglio attraverso letture, musica e gli interventi dei relatori, la questione armena e i pericoli della destabilizzazione del Caucaso, uno dei punti più critici e a rischio del pianeta».

Monza: al Binario 7 per il popolo armeno, in scena

Intervengono l’ambasciatore Bruno Scapini, diplomatico, già ambasciatore d’Italia in Armenia, Cristina Carpinelli, CESPI – Centro Studi Problemi Internazionali; Ani Balian, Unione Armeni d’Italia.
In scena Luca D’Addino, reading, Ani Balian, canto, il maestro Gianfranco Iuzzolino al pianoforte.

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Pessima figura diplomatica del Viceministro Cirielli in difesa dell’autocrate azero Aliyev. Intervista al Presidente dell’Artsakh (Korazym 05.04.24)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 05.04.2024 – Vik van Brantegem] – Il Consiglio per la comunità armena di Roma esprime ferma condanna per le ultime dichiarazioni rilasciate dal Viceministro degli Esteri, Edmondo Cirielli, che ancora una volta fa da cassa di propaganda al regime dell’Azerbajgian [QUI]. L’esponente di governo è arrivato ad attaccare il Ministro francese Stephane Sejourne, perché in una conferenza stampa congiunta con il Segretario di Stato USA Blinken aveva invitato l’Azerbajgian a cessare la sua retorica di minaccia contro l’Armenia.

Il viceministro italiano si allinea così, ancora una volta, nella linea della lobby pro Azerbajgian, alla retorica minacciosa del regime autocratico di Ilham Aliyev che in queste ultime settimane sta attaccando pesantemente la Francia per il suo sostegno all’Armenia, contrasta la recente politica dell’Unione Europea nel Caucaso meridionale e, di fatto, scavalca il ministro Tajani.

Il Consiglio per la comunità armena di Roma chiede al Ministro degli Esteri, Antonio Tajani se:

  • è al corrente di queste dichiarazioni fatte dal suo vice che vasta eco, negativa, stanno avendo non solo da parte armena e francese;
  • condivide questo attacco rivolto a un Paese membro dell’Unione Europea;
  • non ritiene opportuno rettificare le stesse ed esprimere solidarietà alla Francia per l’attacco rivolto al ministro di Parigi;
  • non ritiene che il Viceministro Cirielli debba essere rimosso dal suo incarico in quanto incompatibile a quel principio di imparzialità e correttezza che dovrebbe contraddistinguere la sua missione diplomatica.

Il Consiglio per la comunità armena di Roma chiede al parlamento italiano di condannare questo ennesimo sostegno di Cirielli, eventualmente sollecitando un’audizione del viceministro al fine di chiarire le ragioni “personali” di tali ripetute esternazioni a favore del regime di Aliyev.

Il Consiglio per la comunità armena di Roma ricorda, a questo riguardo, che qualsiasi rapporto economico e commerciale tra Italia e Azerbajgian non implica la sottomissione alla propaganda di quella che è la nona peggiore dittatura al mondo (fonte Freedom house).

Il Consiglio per la comunità armena di Roma chiede ai media di porre in giusta evidenza il comportamento di Cirielli che, oltretutto, rilascia dichiarazioni proprio in un momento di grave crisi su più fronti mondiali.

Intervista al Presidente della Repubblica di Artsakh

Lo Stato di Artsakh opera in esilio e il decreto di scioglimento fu annunciato per garantire una uscita sicura della popolazione

Il Presidente della Repubblica di Artsakh, Samvel Shahramanyan, in una recente intervista rilasciata al quotidiano francese Le Figaro [QUI], ha fatto riferimento al documento di “scioglimento” dell’Artsakh, al ritorno dei cittadini dell’Artsakh in patria e ad altre questioni.

In particolare, ha notato che nell’Artsakh ci sono ancora 10-11 persone malate o disabili, che non possono muoversi liberamente e non vogliono lasciare le tombe dei loro parenti. Dopo l’attacco terroristico dell’Azerbajgian del 19-20 settembre 2023, il numero dei rimasti è stato leggermente più alto (varie fonti parlavano di 50), ma la maggior parte di loro se n’è andata tramite la Croce Rossa.

Parlando dell’eventuale contatto con i prigionieri, il Presidente dell’Artsakh ha osservato che oltre agli 8 leader dell’Artsakh, ci sono anche 7 militari catturati a settembre. Ha detto che al momento non esiste una data chiara per il cosiddetto processo giudiziario. Ha anche fatto riferimento al tema della cosiddetta “intervista” dell’ex Presidente Harutyunyan, osservando che è stata fatta sotto coercizione. Allo stesso tempo, il Presidente della Repubblica di Artsakh ha chiesto alla Francia di esercitare pressioni sull’Azerbajgian, chiedendo il rilascio di tutti i prigionieri. «Chiedo il loro rilascio immediato e incondizionato, così come il rilascio di tutti i detenuti Armeni, arrestati arbitrariamente, ingiustamente imprigionati con accuse infondate. E chiedo alla Francia di fare pressione su Aliyev», ha detto Shahramanyan.

Rispondendo alla domanda se esiste un collegamento tra l’elezione della sua elezione a quinto Presidente della Repubblica di Artsakh e il successivo attacco terroristico azero, Shahramanyan ha negato, ricordando che gli Azeri avevano già accumulando truppe sulla linea di contatto: «Era chiaro che dopo un assedio di nove mesi per indebolirci, avrebbero attaccato».

Riferendosi al tema dello “scioglimento” dello Stato e al successivo decreto sulla cancellazione di quel “documento”, Shahramanyan ha dichiarato: «Il 19 settembre, fin dall’inizio dell’aggressione, abbiamo capito che saremmo stati soli a difenderci e che anche i Russi presenti sul posto non sarebbero intervenuti. A causa dello squilibrio delle forze non abbiamo avuto la possibilità di opporre resistenza, per questo motivo abbiamo stabilito rapidamente un contatto con gli Azeri, in modo che la popolazione civile fosse quanto più libera possibile dalle operazioni di combattimento. Dopo dodici ore di trattative abbiamo posto fine alle ostilità. Il giorno successivo, i cittadini dell’Artsakh hanno chiesto di evacuare in Armenia, temendo omicidi di massa da parte degli invasori. Quindi abbiamo avviato un secondo ciclo di trattative per rendere la loro evacuazione il più agevole possibile. Baku ci ha inviato un documento in cui l’Assemblea Nazionale doveva dichiarare che “il popolo dell’Artsakh rinuncia ai propri diritti, alla propria sovranità, ai propri simboli”. Ma perché quel documento fosse valido, il Parlamento doveva votare. Ho fatto una controproposta che il Presidente, cioè io, annunciassi lo scioglimento dell’Artsakh il 1° gennaio. Era una garanzia di un’evacuazione relativamente sicura. Sapevo benissimo che quel documento era illegale e incostituzionale, perché doveva essere ratificato dalle strutture giuridiche della Repubblica di Artsakh, ma era l’unico modo per salvare i miei connazionali».

Alla domanda di Le Figaro se esista uno Stato e un governo di Artsakh in esilio, Shahramanyan ha dato una risposta positiva, dicendo: «Sì, nell’edificio in cui vi ospito a Yerevan si trovano l’ufficio del Presidente dell’Artsakh e gli uffici delle strutture giudiziarie e legislative. I parlamentari possono riunirsi qui per votare. In ottobre ho firmato un decreto che prevede che tutti i ministri del governo rimangano al loro posto su base volontaria». Shahramanyan ha parlato anche del possibile ritorno dei cittadini dell’Artsakh. A questo proposito ha detto: «Nella situazione attuale, non è realistico pensare di tornare nel nostro territorio occupato dagli Azeri. È necessario tenere conto delle realtà dei popoli dell’Azerbajgian e dell’Artsakh che si considerano nemici. A Baku, ai giovani Azeri viene insegnato a scuola che gli Armeni sono nemici. Ci vorranno anni perché la mentalità del popolo azerbajgiano cambi e la convivenza pacifica tra i vicini diventi possibile. E qui penso tanto agli Armeni dell’Armenia quanto agli Armeni dell’Artsakh. Come possono le autorità di Yerevan considerare sicuro il loro Paese, quando alcune parti del suo territorio sono già occupate dagli Azeri, e i leader di Baku dichiarano pubblicamente i loro diritti sugli altri?».

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Il canto spezzato del popolo armeno: l’evento a Monza (Quindicinews 05.04.24)

Domenica 7 aprile, ore 17.30 – Sala Picasso Binario 7 (via Turati 8)
Il canto spezzato del popolo armeno: ieri e oggi
Serata dedicata alla Memoria, ai canti ed alla Storia armena.

Intervengono:
L’Armenia e il Nagorno K. – Artsakh al cospetto della Storia
Amb. Bruno Scapini – diplomatico, già ambasciatore d’Italia in Armenia

Analisi del Nagorno K. – Artsakh: profilo storico-giuridico
Cristina Carpinelli – CESPI Centro Studi Problemi Internazionali

Esposizione dei fatti storici
Ani Balian – Unione Armeni d’Italia

Reading di poesie: Luca D’Addino
Canto: Ani Balian
Pianoforte: M° Gianfranco Iuzzolino

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Progetto Nor Arax (Lafolla 05.04.24)

Per il penultimo appuntamento della serie Discovery, pensata per esplorare repertori diversi dalla classica, martedì 9 aprile 2024 (Teatro Vittoria – ore 20) l’Unione Musicale ospita il Progetto Nor Arax, nato nel 2007 da un’idea del musicista torinese Maurizio Redegoso Kharitian per diffondere la musica e la letteratura armena. Il nome Nor Arax si ricollega alla storia degli armeni che trovarono rifugio in Italia, in particolare in Puglia, dopo il Genocidio del 1915; come racconta Redegoso Kharitian, nell’intervista esclusiva raccolta dall’Unione Musicale, «gli esuli armeni fondarono un villaggio che chiamarono Nor Arax. Aras o Arax è il nome di un fiume che scorre lungo l’Armenia, la Turchia, il Caucaso e l’Iran, crocevia di culture millenarie. Nor significa nuovo, il nuovo sentimento, il nuovo senso per quelle acque che scorrono: non più confine, separazione, ma unione e vita». Quello stesso spirito vitale e quella stessa volontà di unire animano il Progetto, che non si identifica con un ensemble fisso ma, definendosi come un “laboratorio artistico permanente”, assume formazioni diverse per esplorare al meglio il patrimonio culturale dell’Armenia.

 

Per il suo debutto all’Unione Musicale, Progetto Nor Arax si presenta con un originale trio formato da Maurizio Redegoso Kharitian alla viola, Tatevik Aivazian al pianoforte e Aram Ipekdjian al duduk (una sorta di oboe della tradizione orientale) e con un programma che offre “assaggi” del variegato panorama musicale armeno. La proposta spazia dalle composizioni di Komitas Vardapet, considerato il padre della musica armena moderna perché i suoi lavori e le sue trascrizioni di pezzi popolari ebbero un’enorme influenza tra i suoi compatrioti, a quelle di Tigran Mansurian, il più importante compositore armeno vivente, caratterizzato da uno stile arcaico e legato alla spiritualità della sua terra. Si segnalano inoltre la Suite per viola e pianoforte del celebre Aram Khatchaturian, brani del folklore caucasico raccolti da Georges Ivanovich Gurdjieff nella prima metà del Novecento e inni sacri.

Il concerto è concepito come un viaggio musicale ad Hayastan, il nome più antico dell’Armenia, che – prosegue Redegoso Kharitian – «partendo dalla nostra epoca contemporanea giunge a ritroso fino ai primi canti cristiani di matrice armena». Uno spazio importante è riservato alla musica popolare che continua a essere una fondamentale fonte d’ispirazione: «In tutte le opere che ho ricevuto da compositori armeni sparsi in tutto il mondo, sono chiare le presenze di stilemi tipici della musica orientale, a volte con suggestioni ispirate anche dalla magnifica architettura dei monasteri armeni».

Tutte le serate della serie Discovery si arricchiscono di un aperitivo prima del concerto (ore 19.30) servito nel foyer al primo piano del Teatro Vittoria e incluso nel costo del biglietto. Gli aperitivi sono a cura di Locanda Leggera, primo locale a rifiuti zero d’Italia, per una proposta nel segno della sostenibilità.

martedì 9 aprile 2024 Teatro Vittoria, Torino, via Gramsci 4 ore 19.30 aperitivo – ore 20 concerto DISCOVERY

Progetto Nor Arax Maurizio Redegoso Kharitian viola Aram Ipekdjian duduk Tatevik Aivazian pianoforte

Hayastan Frammenti musicali dall’Armenia Musiche di Khatchaturian, Mansurian, Hovhaness, Babadjanian, Avedissian, Gurdjieff, Komitas

BIGLIETTERIA biglietto unico (aperitivo+ concerto) euro 10 in vendita online su www.unionemusicale.it, presso la biglietteria di Unione Musicale e, il giorno del concerto, presso il Teatro Vittoria dalle ore 19

INFORMAZIONI Unione Musicale, piazza Castello 29 – 101023 Torino tel. 011 566 98 11 – info@unionemusicale.it – www.unionemusicale.it orario: martedì e venerdì 10.30-14.30 – mercoledì 13-17

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Il segretario di Stato USA Blinken invita l’Azerbaigian ad allentare le tensioni con l’Armenia (Euroactiv 04.04.24)

Il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha invitato mercoledì (3 aprile) il leader dell’Azerbaigian ad allentare le tensioni che si sono nuovamente accese con l’Armenia, in vista di un’offerta USA-UE per sostenere economicamente Erevan.

In una telefonata con il Presidente Ilham Aliyev prima dei colloqui con l’Armenia a Bruxelles, Blinken ha appoggiato i colloqui di pace in corso tra gli avversari del Caucaso, che secondo lui potrebbero portare “benefici economici all’intera regione”.

Blinken “ha sottolineato che non vi è alcuna giustificazione per l’aumento della tensione al confine e ha ammonito che le azioni aggressive e la retorica di qualsiasi parte minerebbero le prospettive di pace”, ha dichiarato il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller in un comunicato.

Il diplomatico statunitense ha anche fatto pressione su Aliyev affinché rispetti i diritti umani in patria e ha discusso del cambiamento climatico. L’Azerbaigian, nonostante sia un importante estrattore di combustibili fossili, ospita il vertice delle Nazioni Unite sul clima di quest’anno.

Martedì l’Armenia e l’Azerbaigian si sono scambiati accuse di aver aperto il fuoco attraverso il loro confine, rinnovando i timori di un conflitto.

L’anno scorso l’Azerbaigian ha sottratto la regione del Nagorno-Karabakh ai separatisti armeni con un’offensiva militare lampo. Le forze azere hanno preso il controllo dell’enclave sul suo territorio, popolata dall’etnia armena, scatenando un esodo di oltre 100.000 armeni.

Il presidente dell’Azerbaigian rafforza la presa sul potere dopo la vittoria in Karabakh

I risultati ufficiali hanno mostrato che il presidente azero Ilham Aliyev si è assicurato un quinto mandato consecutivo nelle elezioni di mercoledì (7 febbraio), un risultato atteso dopo la storica vittoria del suo Paese sui separatisti armeni lo scorso anno.
I …

Da allora, Aliyev e il primo ministro armeno Nikol Pashinyan hanno espresso la speranza di un accordo di pace globale.

Venerdì Pashinyan incontrerà a Bruxelles Blinken e i leader dell’Unione Europea, mentre l’Occidente cerca di consolidare i legami e il sostegno economico con l’Armenia, che sta cercando di abbandonare la dipendenza dalla Russia.

L’Armenia ha un’alleanza di lunga data con Mosca e si è infuriata quando la Russia – consumata dalla guerra in Ucraina e infastidita dalle aperture di Pashinyan alverso l’Occidente – non è riuscita a fermare la vittoria militare dell’Azerbaigian lo scorso anno.

Il mese scorso Pashinyan ha chiesto un ampio dialogo pubblico sulla prospettiva che il Paese chieda l’adesione all’UE.

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Gerusalemme, nuovo attacco di coloni ebraici (e polizia) al quartiere armeno (Asianews 04.04.24)

Nel mirino le proprietà contese nella zona denominata “Giardino delle Vacche”, da tempo al centro di una controversia anche legale. Le forze dell’ordine, senza presentare alcun mandato, hanno sostenuto gli assalitori nel tentativo di sgombero. Il patriarcato in una nota chiede “ai cristiani di tutto il mondo” di difendere e sostenere la battaglia della comunità di Terra Santa.

Gerusalemme (AsiaNews) – All’ombra della guerra a Gaza, anche sul fronte interno israeliano si consumano attacchi, abusi e violazioni da parte di polizia, gruppi radicali e autorità governative che passano in gran parte sotto silenzio. Prova ne è quanto successo – di nuovo – ieri mattina verso le 11 nel quartiere armeno di Gerusalemme, in una zona denominata “Giardino delle Vacche” (Goveroun Bardez): le forze dell’ordine e un gruppo di coloni ebraici hanno cercato di attuare uno sfratto “illegale”, in un’area contesa da tempo al centro di una controversia finita anche nelle aule di tribunale. Il tentativo di esproprio, sottolinea una nota del Patriarcato armeno di Gerusalemme, “è iniziato con la distruzione delle proprietà” e con “assalti al clero e agli armeni locali”.

Gli avvocati che rappresentano la comunità armena di Gerusalemme hanno condannato il comportamento della polizia e dei coloni, che hanno beneficiato della “copertura” degli agenti nel tentativo di entrare illegalmente nel “Giardino”. L’obiettivo era di cacciare con la forza – e contro il diritto – gli armeni e di modificare lo status quo dell’area. Fonti rilanciate dal Tatoyan Foundation Center for Law and Justice riferiscono che le forze dell’ordine hanno “rimosso illegalmente” le barricate a protezione “senza un ordine del tribunale e preavviso”. A seguire è scoppiata “una rissa” tra membri della comunità “compreso il clero” e gli assalitori spalleggiati dalla polizia.

La nota del patriarcato armeno precisa che a guidare “lo sgombero era Assaf Harel”, ufficiale di polizia, e il gruppo di agenti intervenuti, seppure sollecitati, non ha saputo mostrare i documenti che autorizzavano l’operazione, compreso “l’allontanamento fisico dei sacerdoti”. “I permessi o gli ordini del tribunale – prosegue la dichiarazione – non sono stati presentati”, ma gli agenti hanno continuato a “proteggere e assistere i rappresentanti di Xana Gardens nella loro distruzione di proprietà”. “È chiaro che le provocazioni di oggi sono un tentativo di creare un precedente contro il quartiere armeno e le sue terre legittime. Continueremo a difendere la nostra posizione e chiederemo ai cristiani di tutto il mondo – conclude la nota patriarcale – di mettere in luce queste invasioni senza fine della pacifica comunità cristiana armena”.

La vicenda è esplosa nel maggio scorso, ma il contratto era stato firmato in gran segreto nel luglio 2021 e prevede l’affitto per quasi un secolo di “Cow’s Garden”, oggi un parcheggio utilizzato per recarsi al muro del pianto. L’uso – assieme ad altre proprietà menzionate nel contratto – da parte degli ebrei ha provocato l’ira degli armeni, che da tre anni si battono per tornare a disporne a pieno titolo. A originare lo scontro l’affitto per 99 anni – una cessione di fatto – di proprietà immobiliari a un imprenditore ebreo australiano dall’impero economico opaco, che muove da dietro le quinte. Di recente la comunità armena ha presentato ricorso in tribunale, con l’obiettivo di “invalidare” la locazione fra patriarcato e Xana Capital. L’azione si basa sul presupposto che i terreni sono detenuti in via fiduciaria a beneficio della comunità con un fondo waqf istituito oltre 400 anni fa e non possono essere venduti o affittati se la transazione non va a beneficio della comunità o è approvata.

Il prete “traditore” che ha mediato e sottoscritto l’atto è Baret Yeretzian, ex amministratore dei beni immobili del Patriarcato armeno di Gerusalemme, oggi in “esilio”. Con lui hanno operato il patriarca armeno ortodosso Nourhan Manougian, l’arcivescovo Sevan Gharibian e l’uomo d’affari Daniel Rubenstein (conosciuto come Danny Rothman), che intende costruire un hotel di lusso. La vicenda ha toccato anche la carica patriarcale, col primate armeno “sfiduciato” dalla comunità, parte dei fedeli ne hanno invocato le dimissioni, mentre Giordania e Palestina hanno “congelato” di fatto l’autorità, così come gli stessi “Accordi di Abramo”: una delle compagnie coinvolte, infatti, è la One&Only, con base a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti (Eau).