Il difficile (ma possibile) accordo di pace tra Armenia e Azerbaijan (L’inkiesta 13.12.23)

I governi di Armenia e Azerbaijan stanno facendo passi concreti verso la normalizzazione delle relazioni, a neanche tre mesi dall’offensiva azera nel Nagorno-Karabakh che ha posto fine – con l’espulsione dell’ottanta per cento della popolazione armena locale – a trent’anni di conflitto etno-territoriale. Dopo la vittoria schiacciante sulla nazione rivale, Baku sembra disposta ad accogliere il desiderio di “pacificazione preventiva” di Yerevan, e un trattato di pace potrebbe essere firmato già entro la fine dell’anno. I negoziati sono mediati separatamente da Stati Uniti, Unione europea (in particolare Francia e Germania), Russia e in parte dall’Iran. La settimana scorsa il premier armeno Nikol Pashinyan e il presidente azero Ilham Aliyev hanno annunciato con una dichiarazione congiunta di voler cogliere «un’opportunità storica per raggiungere una pace a lungo attesa nel Caucaso meridionale», sottolineando l’intenzione «di arrivare a un accordo fondato sul rispetto dei principi di sovranità e integrità territoriale».

L’ultima affermazione è significativa, poiché il timore dell’Armenia è che dopo la disfatta nel Nagorno-Karabakh – che era un’enclave etnicamente armena in territorio azero – l’Azerbaijan decida di attaccare direttamente il suolo armeno per impadronirsi della provincia del Syunik, e creare una continuità territoriale con il Naxçıvan, l’exclave azera che confina con l’Iran e la Turchia. In questo modo Baku e Ankara realizzerebbero il sogno geopolitico di creare un corridoio pan-turco che unisce l’Anatolia ai paesi dell’Asia Centrale attraverso il Caucaso e il Mar Caspio.

Per scongiurare questa escalation, a novembre il governo armeno ha proposto a tutti i paesi vicini di partecipare a un progetto di pacificazione, e riaprire i collegamenti stradali e ferroviari bloccati per decenni a causa del conflitto latente con Turchia e Azerbaijan, trasformando l’Armenia nel crocevia del Caucaso meridionale. Tra i punti della dichiarazione Yerevan-Baku c’è il rilascio dei prigionieri di guerra: trentadue armeni e due azeri, anche se rimangono diverse questioni da risolvere. Pashinyan vuole uno scambio di prigionieri che comprende «tutti in cambio di tutti», ma l’Azerbaijan non intende liberare i sei leader politici armeni del Nagorno-Karabakh.

Tuttavia, la dichiarazione congiunta è stata accolta con soddisfazione dai paesi mediatori, in particolare gli Stati Uniti. Il segretario di Stato americano Antony Blinken adesso vuole organizzare un incontro a Washington con gli omologhi di Armenia e Azerbaijan.

Otre alla diplomazia però, Yerevan sta cercando l’appoggio militare dei paesi occidentali, trovando in Parigi il partner principale per ricostruire le proprie forze armate dopo decenni di dipendenza da Mosca. L’Ue sta anche organizzando una missione tecnica in Armenia che valuterà le esigenze di sicurezza del paese, prima di avviare un piano di aiuti militari “non letali”.

Per l’Armenia la fine infausta della disputa nel Nagorno-Karabakh rappresenta un momento spartiacque della storia, che segna la fine di un’era di rigorosa appartenenza alla sfera d’influenza russa, ed è questo il fattore più destabilizzante sul futuro del paese. Mosca infatti è irritata dalle aperture del governo armeno all’Occidente, ma Yerevan afferma che il Cremlino non solo è venuto meno al suo impegno di proteggere l’alleato, ma ha tradito gli armeni allineandosi alle posizioni di Baku e Ankara per convenienza.

Le relazioni russo-armene hanno iniziato a inasprirsi nel 2020, quando la Russia è rimasta neutrale mentre l’Azerbaijan lanciava un attacco su vasta scala nel Nagorno-Karabakh, riconquistando una parte significativa del territorio conteso. Dopo aver mediato la tregua, Mosca ha schierato duemila soldati come peace-keeper, ma negli anni successivi le truppe azere continuarono a lanciare piccole e ripetute incursioni.

Ciò avrebbe dovuto attivare il sistema di mutua difesa dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Csto), un sorta di Nato dello spazio post-sovietico guidata dalla Russia a cui appartiene anche l’Armenia, ma il Cremlino è rimasto a guardare. Fino a settembre di quest’anno, quando l’Azerbaijan ha lanciato l’offensiva finale per catturare il resto del Nagorno-Karabakh e spingere all’esodo di massa la popolazione armena locale.

Abbandonata da una Russia che si è data come missione esistenziale la distruzione dell’Ucraina sacrificando tutto il resto, l’Armenia ha guardato altrove. Se prima acquistava quasi tutte le armi dalla Russia, ora sta firmando accordi con l’India e con la Francia.

A settembre la moglie di Pashinyan ha consegnato personalmente un pacco di aiuti a Kyjiv, e ottobre il parlamento armeno ha ratificato lo statuto di Roma della Corte penale internazionale, che significa che ora Vladimir Putin non può visitare l’Armenia senza rischiare l’arresto. Pashinyan per adesso esclude azioni di rottura più destabilizzanti, come l’uscita dalla Csto o l’espulsione delle forze armate russe presenti nel paese, ma sta tracciando la strada di una nuova Armenia.

Vai al sito

I coloni azeri stanno tornando nei territori del Karabakh passati sotto il controllo di Baku (topwar.ru 13.12.23)

Secondo l’ordine del presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev, diverse famiglie di etnia azera si sono trasferite nella città di Fuzuli, che in precedenza faceva parte della Repubblica del Nagorno-Karabakh e faceva parte della cosiddetta “cintura di sicurezza” attorno ad essa, che consisteva in diverse regioni dell’Azerbaigian. Pertanto, i coloni azeri stanno tornando nei territori del Nagorno-Karabakh passati sotto il controllo di Baku a seguito delle operazioni militari.

Lo riferiscono numerosi media in Azerbaigian.

I residenti che precedentemente abitavano a Fizuli furono ospitati in sanatori, dormitori e campi di pionieri fino al loro ritorno. Ora sono stati raccolti nel distretto Garadagh di Baku e inviati nella loro città natale. In questa fase, 25 famiglie, ovvero 112 azeri, stanno partecipando al reinsediamento.

Dopo 30 anni, il ritorno volontario degli ex sfollati interni nelle loro terre natali in condizioni di sicurezza e dignità è diventato possibile- Vesti.az ha detto in un comunicato.
Gli sfollati vivranno in nuovi edifici costruiti dopo che la regione passò sotto il controllo di Baku. Al momento a Fizuli sono state create le condizioni per ospitare 358 famiglie, ovvero 1,3mila residenti.

Yerevan è estremamente preoccupata per il fatto che i migranti azeri stiano cercando di tornare non solo negli insediamenti del Karabakh, ma anche in quelle regioni dell’Armenia dove vivevano in precedenza. Il politologo armeno Vigen Hakobyan ha definito questo processo una “bomba a orologeria”.

Vai al sito

Armenia e Azerbaijan, a sorpresa una speranza di pace (Osservatorio Balcani e Caucaso 12.12.23)

Armenia e Azerbaijan hanno rilasciato una dichiarazione congiunta che ha sorpreso anche i commentatori più esperti. Anche se non è chiaro se questa possa essere la tanto attesa svolta nei negoziati, la comunità internazionale è stata unanime nell’accogliere favorevolmente l’iniziativa

12/12/2023 –  Onnik James Krikorian

Nonostante le preoccupazioni che non si riuscisse a raggiungere nemmeno un accordo quadro per normalizzare le relazioni tra Armenia e Azerbaijan entro la fine di quest’anno, un’inaspettata dichiarazione congiunta, rilasciata da Baku e Yerevan lo scorso giovedì 7 dicembre, ha riportato alla luce un certo ottimismo. Tre anni fa i due paesi hanno combattuto una devastante guerra durata 44 giorni, ma fino ad ora un accordo di pace è rimasto una chimera.

Sebbene le dichiarazioni congiunte non siano una novità, finora erano sempre state rilasciate nell’ambito di colloqui trilaterali facilitati o mediati dal presidente russo Vladimir Putin o dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Questa volta, invece, la dichiarazione è stata rilasciata bilateralmente dall’ufficio del primo ministro armeno e dall’amministrazione presidenziale azerbaijana, senza il coinvolgimento di terze parti.

Lo sviluppo è particolarmente significativo dato lo stallo nel processo di Bruxelles facilitato da Michel, il ritiro del presidente azerbaijano Ilham Aliyev dai colloqui mediati dall’UE a Granada e Bruxelles in ottobre, e il rifiuto delle offerte di colloqui ospitati dalla Russia da parte di Yerevan, sempre più orientata a occidente.

Ancora più fiduciosa dopo la vittoria sulle forze di etnia armena in Karabakh, che ha provocato l’esodo di poco più di 100mila residenti verso l’Armenia, Baku ritiene che l’UE si stia sempre più schierando con Yerevan e vede con sospetto il seppur modesto sostegno militare non offensivo fornito al paese, che si aggiunge alla missione EUMA della politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC), schierata al confine dal febbraio scorso.

Durante una visita  a Tbilisi in data 8 ottobre, Aliyev aveva suggerito che fosse giunto il momento per Armenia e Azerbaijan di negoziare bilateralmente, in un paese terzo come la Georgia o sul confine condiviso. Ciò è culminato quando l’Azerbaijan ha annullato anche i colloqui programmati che si sarebbero tenuti tra i due ministri degli Esteri a Washington DC il 20 novembre.

Lo stesso giorno, Baku ha nuovamente invitato Yerevan a impegnarsi bilateralmente senza intermediari. Successivamente, a quanto pare colto di sorpresa, il vice primo ministro Mher Grigoryan ha suggerito che le commissioni di entrambi i paesi si sarebbero incontrate al confine. L’Azerbaijan ha acconsentito, anche se il meeting del 30 novembre è durato tre ore senza portare alcun risultato evidente oltre all’intenzione di incontrarsi nuovamente.

La dichiarazione congiunta della scorsa settimana, tuttavia, è stata diversa in quanto ha coinvolto, a quanto sembra da sole, le amministrazioni del primo ministro armeno e del presidente azerbaijano. Secondo le intenzioni dichiarate, Baku sarebbe pronta a rilasciare 32 prigionieri armeni, Yerevan 2 detenuti azerbaijani mentre le parti si sosterrebbero a vicenda sulla scena internazionale.

“In segno di buona volontà, la Repubblica di Armenia sostiene la proposta della Repubblica dell’Azerbaijan di ospitare la 29a Sessione della Conferenza delle Parti (COP29) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, ritirando la propria candidatura”, si legge  in quello che è stato probabilmente un annuncio senza precedenti. Il giorno successivo, la reazione internazionale è stata estremamente positiva.

“Stabilire e approfondire il dialogo bilaterale è un obiettivo chiave del processo di Bruxelles guidato dall’UE: i progressi di oggi rappresentano un passo fondamentale. Incoraggio i leader a concludere l’accordo di pace tra Armenia e Azerbaijan il prima possibile”, ha postato  Charles Michel su X.

In Azerbaijan, la natura bilaterale dell’accordo è stata ampiamente celebrata, anche se gli analisti armeni sono stati per lo più silenziosi, timorosi che potesse anche rappresentare un allontanamento dal formato di Bruxelles, dai colloqui bilaterali tra i ministri degli Esteri facilitati dagli Stati Uniti o da entrambi. Alcuni a Yerevan, tuttavia, hanno suggerito che la Georgia avrebbe potuto mediare con gli Stati Uniti per contribuire a finalizzare l’accordo.

Il giorno dopo la dichiarazione, però, il deputato Sargis Khandanyan, presidente della Commissione per le relazioni estere, ha respinto tali suggerimenti, ribadendo che il processo è stato bilaterale senza intermediari, aggiungendo poi che, sebbene la sua importanza non debba essere sottovalutata, non dovrebbe nemmeno essere sopravvalutata. Khandanyan ha poi aggiunto che lo scambio di prigionieri avverrà in “ore o giorni”.

Al momento della pubblicazione di questo articolo, però, non ci sono notizie sul rilascio dei prigionieri.

Mentre ancora non è chiaro se Armenia e Azerbaijan torneranno ai colloqui bilaterali o trilaterali, la dichiarazione congiunta ha però incoraggiato chi spera in un accordo a breve. Sabato, parlando alla televisione pubblica armena, il segretario del Consiglio di sicurezza Armen Grigoryan ha potuto solo dire che un accordo potrebbe arrivare “entro la fine dell’anno… o il prima possibile”. Lo stesso era previsto alla fine dello scorso anno.

Vai al sito

Papa Francesco, ha affermato di guardare con speranza alle relazioni tra Azerbaigian e Armenia (TRT 12.12.23)

apa Francesco, ha affermato di guardare con speranza alle relazioni tra Azerbaigian e Armenia.

“Mi rallegro per la liberazione di un numero significativo di prigionieri armeni e azeri. Guardo con grande speranza a questo segno positivo per le relazioni tra Armenia e Azerbaigian e per la pace del Caucaso meridionale e incoraggio le parti e i loro leader a concludere quanto prima il trattato di pace”, ha detto  Papa Francesco durante l’Angelus affacciato alla finestra del Palazzo Apostolico Vaticano in piazza San Pietro.

 Durante la preghiera Papa ha anche ricordato che 75 anni fa è stata firmata la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e ha notato che, nonostante siano stati fatti molti passi avanti, vi sono ancoradelle carenze e talvolta si sperimentano situazioni di regresso.

Papa Francesco ha affermato che si continua a pregare per le persone che soffrono a causa delle guerre.

“Va fatto ogni sforzo per affrontare e superare le cause dei conflitti. Parlando di diritti umani, occorre proteggere i civili, gli ospedali, i luoghi di culto, liberare gli ostaggi, garantire i diritti e gli aiuti umanitari”,ha detto Papa.

Nel “Giardino dei giusti” ad Agrigento l’alessandrino Gorrini, che svelò il massacro degli Armeni (Radiogold 12.12.23)

MOLINO DEI TORTI – Il prossimo 15 dicembre l’Accademia di Studi Mediterranei di Agrigento, Istituto di Alta Cultura, onorerà alcune figure distintesi per la loro testimonianza di altruismo e sacrificio per la verità e la giustiziadedicando loro apposite steli che saranno collocate nel “Giardino dei Giusti” realizzato otto anni fa nel cuore della Valle dei Templi ad Agrigento, in collaborazione con il Parco Archeologico dichiarato patrimonio dell’Umanità da parte dell’Unesco.

Quest’anno, tra i “Giusti” che, con il loro esempio, andranno ad arricchire l’area del “Giardino”, ci sarà, oltre a Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI che tanto fece per aiutare perseguitati nella seconda guerra mondiale e ad altri personaggi, lo storico e diplomatico alessandrino Giacomo Gorrini. La stele in suo onore sarà collocata ha anticipato Assuntina Gallo Afflitto, fondatrice e anima dell’Accademia e del Giardino vicino a quella del diplomatico Luca Attanasio, ambasciatore d’Italia nella Repubblica Democratica del Congo vittima di un agguato nel 2021 vicino a Goma nel quale persero la vita il suo autista Mustapha Milambo e il Carabiniere della scorta Vittorio Iacovacci.

Chi era Giacomo Gorrini

Nato a Molino dei Torti nel 1859, lauree in storia e in giurisprudenza, dal 1911 al 1915, data di inizio della soluzione finale della questione armena, l’alessandrino Giacomo Gorrini fu console di Trebisonda, e testimone della deportazione e dei massacri degli armeni, che, rientrato in patria per l’entrata in guerra dell’Italia contro la Turchia, denunciò sulla stampa con grande partecipazione. Suo il memoriale sul’Armenia, redatto alla fine della Grande Guerra, base di partenza per le discussioni di Sèvres, Ginevra, Losanna. Suo anche lo scritto sulla questione armena edito nel 1940 con il titolo “Testimonianze” , segno del suo ininterrotto colloquio con le vittime del genocidio. Gorrini morì novantunenne a Roma nel 1950: la sua terra tombale è stata tumulata a Yerevan nel “Muro della Memoria” di Dzidzernagapert il 25 maggio 2001.

Pima della cerimonia, durante la quale la stele per sarà posta fra il Tempio della Concordia e quello di Giunone, si svolgerà un convegno presieduto dal vescovo Dal Covolo nella Sala delle Conferenze di Casa Sanfilippo, ad Agrigento. L’incontro sarà aperto dai saluti del sindaco di Agrigento Franco Micciché, dall’arcivescovo metropolita Alessandro Damiano, dal Prefetto Filippo Romano. Sarà l’occasione per rievocare, con un intervento di Pietro Kuciukianconsole onorario della Repubblica d’Armenia in Italia, le tappe biografiche e l’impegno tenace di questo alessandrino da non dimenticare.

Vai al sito

CAUCASO. Segnali di distensione tra Armenia e Azerbaijan (Agc 11.12.23)

Scambio di prigionieri tra Baku e Yerevan, dopo l’incidente che è costato la vita a un militare armeno. Nella dichiarazione congiunta dell’Ufficio del Primo Ministro della Repubblica d’Armenia e dell’Amministrazione del Presidente della Repubblica dell’Azerbaigian si legge: “La Repubblica dell’Armenia e la Repubblica dell’Azerbaigian concordano sul fatto che si è presentata un’opportunità storica per raggiungere la pace tanto attesa nella regione. Entrambi i paesi riaffermano la loro intenzione di normalizzare le relazioni e raggiungere un trattato di pace basato sul rispetto dei principi di sovranità e integrità territoriale”.

Come risultato dei negoziati tra l’Ufficio del Primo Ministro della Repubblica d’Armenia e l’Amministrazione del Presidente della Repubblica dell’Azerbaigian, è stato raggiunto un accordo per intraprendere passi tangibili per rafforzare la fiducia tra i due paesi. Guidata dai principi dell’umanesimo e come gesto di buona volontà, la Repubblica dell’Azerbaigian rilascia 32 militari armeni.

A sua volta, la Repubblica d’Armenia, guidata dai principi dell’umanesimo e come gesto di buona volontà, rilascia 2 militari azeri. Come gesto gentile, la Repubblica di Armenia ritira la sua candidatura ad ospitare la 29a sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP-29) a sostegno della candidatura della Repubblica dell’Azerbaigian. La Repubblica dell’Azerbaigian e la Repubblica dell’Armenia sperano che anche gli altri paesi del Gruppo dell’Est europeo sostengano la candidatura dell’Azerbaigian. Come gesto gentile, la Repubblica dell’Azerbaigian sostiene la candidatura della Repubblica dell’Armenia del Gruppo dell’Europa Orientale a diventare membro dell’Ufficio di presidenza della COP.

La Repubblica di Armenia e la Repubblica di Azerbaigian proseguiranno i negoziati sull’attuazione di ulteriori misure di rafforzamento della fiducia nel prossimo futuro e chiederanno alla comunità internazionale di sostenere i loro sforzi, che promuoveranno la fiducia reciproca tra i due paesi e avranno un impatto positivo sulla situazione. tutta la regione del Caucaso meridionale.

Il 7 dicembre, il ministro degli Esteri della RA Ararat Mirzoyan ha ricevuto il consigliere senior statunitense per i negoziati nel Caucaso, copresidente del gruppo OSCE di Minsk Louis Bono. Gli interlocutori hanno toccato temi legati alla sicurezza e alla stabilità regionale. Sono stati discussi gli ultimi sviluppi nel processo di regolamentazione delle relazioni tra Armenia e Azerbaigian e gli approcci delle parti al progetto di trattato di pace. La parte armena ha risposto positivamente alla proposta del segretario di Stato americano Blinken di un incontro dei ministri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian a Washington.

Anna Lotti

Vai al sito

La conferenza sul clima del 2024 si farà in Azerbaijan (Il Post 11.12.23)

La COP29, cioè la conferenza delle Nazioni Unite sul contrasto al cambiamento climatico dell’anno prossimo, si farà in Azerbaijan, nella capitale Baku. È stato deciso solo sabato, molto in ritardo rispetto a quanto di solito viene scelto il paese ospite dell’evento: finora a causa dei veti imposti da alcuni paesi, e principalmente dalla Russia, non era stato possibile farlo.

Le COP sono organizzate a rotazione nei cinque gruppi regionali in cui sono suddivisi i quasi 200 paesi dell’ONU. Per ogni conferenza i paesi del gruppo di turno possono candidarsi a organizzarla, o sostenere la candidatura di un altro paese. Poi si raggiunge un accordo per consenso, senza votazioni formali, e l’ONU dà la sua approvazione. Generalmente avviene tutto senza intoppi, ma questa volta le cose sono andate diversamente. Il turno per il 2024 spetta al Gruppo Europa orientale, che comprende 23 paesi: a lungo la Bulgaria era stata il candidato con più sostegno, ma la Russia si opponeva a qualsiasi candidatura di un paese membro dell’Unione Europea, per via delle sanzioni che le sono state imposte per l’invasione dell’Ucraina.

La situazione si è sbloccata grazie a un accordo tra altri due paesi che si erano candidati a ospitare la COP29 e che fino a qualche giorno fa si osteggiavano a vicenda: l’Azerbaijan e l’Armenia. I due stati sono storicamente rivali e di recente sono stati al centro di una crisi internazionale: a settembre l’Azerbaijan ha infine preso il controllo del Nagorno Karabakh, lo stato separatista nel proprio territorio che era abitato principalmente da persone di etnia armena. Ma proprio giovedì scorso i due governi hanno annunciato l’avvio di colloqui di pace per normalizzare i propri rapporti.

Formalmente il fatto che sarà l’Azerbaijan a ospitare la COP29 sarà deciso con l’approvazione del documento finale della COP28 che è in corso a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, e durerà almeno fino a martedì.

Intanto c’è già chi ha criticato il fatto che anche la prossima conferenza sul contrasto al cambiamento climatico, come già quella di quest’anno, si farà in un paese esportatore di combustibili fossili, il cui uso è la principale causa del riscaldamento globale. L’Azerbaijan è infatti uno dei membri dell’OPEC+, il gruppo allargato dei paesi esportatori di petrolio. Dopo l’inizio della guerra in Ucraina è diventato un fornitore di gas naturale sempre più importante per l’Unione Europea (Italia compresa), nelle strategie di riduzione della dipendenza dal gas russo.

L’Azerbaijan è però anche un paese in cui non c’è piena libertà d’espressione, e anche per questo la scelta di svolgervi la COP29 è già stata contestata. In particolare si sta parlando del fatto che lo scorso luglio la polizia azera ha arrestato con le accuse di contraffazione di denaro ed estremismo Gubad Ibadoghlu, professore della London School of Economics e ricercatore sulla corruzione in Azerbaijan che aveva criticato l’industria petrolifera nazionale. A settembre il Parlamento Europeo ha approvato una mozione per chiedere un’indagine sull’arresto di Ibadoghlu.

La conferenza del 2025, la COP30, sarà organizzata a Belem, in Brasile: anche questa decisione sarà formalizzata nel documento finale della COP28, ma è nota già dallo scorso maggio.

Vai al sito
————————————————————————————————————
Azerbaigian: Ilham Aliyev sarà candidato alle presidenziali anticipate
————————————————————————————————————
Baku ospiterà la COP29. Un accordo con l’Armenia alla base della scelta delle Nazioni Unite

Accordo tra Armenia e Azerbaigian: la soddisfazione del ministro Tajani (AISE 11.12.23)

ROMA\ aise\ – “Armenia e Azerbaigian hanno deciso di aprire una nuova fase nelle loro relazioni. L’Italia sarà vicina a questi due paesi amici in ogni momento del loro confronto”. Il vice presidente del Consiglio e ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Antonio Tajani, ha salutato con favore l’accordo che è stato raggiunto dai due paesi del Caucaso meridionale.
“Con un’intesa che l’Italia approva con sincera soddisfazione, due paesi da anni in contrasto imboccano con decisione una strada che auspichiamo li porti presto a una pacificazione, che noi vogliamo totale e definitiva”, ha detto Tajani. “Una nuova fase che li avvicinerà sempre più all’Europa, che permetterà a tutti noi europei di allargare gli spazi di cooperazione e di collaborazione pacifica”.
Il ministro ha inoltre sottolineato come l’accordo siglato permetta uno scambio di detenuti, una misura decisiva nel rafforzamento della fiducia fra i due paesi. “L’Unione europea sarà ancora al fianco di Armenia e Azerbaigian nei prossimi mesi, quando continueranno a lavorare per normalizzare le loro relazioni con un vero e proprio accordo di pace”, ha affermato Tajani, congratulandosi con i colleghi ministri, l’armeno Ararat Mirzoyan e l’azero Jeyhun Bayramov, “per il loro lavoro continuo. Ci eravamo incontrati alle Nazioni Unite”, ha ricordato, “e hanno sentito che l’appoggio costante del Governo italiano al progresso delle loro relazioni è sempre stato sincero e interessato: interessato perché vogliamo con determinazione che pace e benessere possano offrire frutti ai loro popoli e a tutti gli europei”. (aise)

Il popolo dell’Artsakh riconquisterà la Libertà della sua Patria con il potere della Verità e della Giustizia (Korazym 11.12.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 11.12.2023 – Vik van Brantegem] – Oltre 150 partiti, organizzazioni pubbliche, media e leader degli organi di autogoverno locale della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh hanno firmato un Appello alla comunità internazionale in occasione del Giorno del Referendum sull’Indipendenza, il Giorno della Costituzione della Repubblica di Artsakh e il 75° anniversario dell’adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Il messaggio del popolo dell’Artsakh
alla comunità internazionale:
Մենք ենք մեր սարերը
Noi siamo le nostre montagne

È la prima dichiarazione del popolo dell’Artsakh dopo la pulizia etnica, in cui vengono formulate le cinque condizioni per il ritorno in Artsakh della popolazione sfollata con la forza dopo l’aggressione terroristica dell’Azerbajgian del 19-20 settembre 2023:

  1. Nessuna giurisdizione azera e il ritiro completo delle forze armate, della polizia e dell’amministrazione azera devono essere completamente ritirate dal territorio della Repubblica di Artsakh, compresa la regione di Shahumyan.
  2. Caschi blu delle Nazioni Unite.
  3. Corridoio di Lachin sotto controllo e gestione delle Nazioni Unite.
  4. Governo transitoria delle Nazioni Unite per garantire le condizioni per il ritorno di tutti i rifugiati, la formazione di istituzioni democratiche e legali, il ripristino dell’economia e referendum per confermare lo status politico finale del Nagorno-Karabakh.
  5. Esclusione di procedimenti penali da parte dell’Azerbajgian nei confronti di cittadini della Repubblica di Artsakh per qualsiasi accusa durante l’intero periodo del conflitto, liberazione di tutti i prigionieri e tribunale internazionale per indagare su accuse di crimini di guerra da ambedue le parti.

I destinatari dell’Appello sono il Segretario Generale e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite; il Presidente in carica e i Copresidenti del Gruppo di Minsk (Russia, Francia e USA) dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE); il Segretario Generale, il Presidente dell’Assemblea Parlamentare, il Presidente del Comitato dei Ministri e il Presidente del Consiglio Europeo; il Presidente del Parlamento Europeo; il Segretario Generale della Comunità degli Stati Indipendenti; il Segretario Generale dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva; e il Segretario Generale della NATO.

L’invito a firmare l’Appello rimane disponibile per ulteriori firme.

Riportiamo di seguito il testo dell’Appello nella nostra traduzione italiana dal testo in inglese diffuso da Artsakh Press [QUI].

Appello rilasciato dagli attori politici e civili della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh

Un popolo libero non può rinunciare ai suoi diritti sovrani e sottomettersi al dominio di uno Stato straniero, soprattutto governato per molti anni da un regime autoritario, corrotto e razzista, inebriato dalla sua impunità.
La nostra decisione collettiva di lasciare la nostra Patria – la Repubblica di Artsakh (Repubblica di Nagorno-Karabakh), le nostre case, le nostre chiese armene, lasciando dietro di noi le reliquie di San Giovanni Battista e le tombe dei nostri antenati, che abbiamo protetto da secoli, è la prova davanti al mondo intero che la libertà è il valore più alto per il popolo dell’Artsakh. Abbiamo preso questa decisione forzata nel mezzo di azioni genocide in corso e di gravi minacce esistenziali incombenti.

Abbiamo preso questa decisione, perché coloro che si definiscono paladini e difensori della libertà e dei diritti umani hanno deciso di negarci il nostro diritto a vivere con dignità nella nostra patria e il nostro diritto all’autodeterminazione, puntando così a realizzare una pace immaginaria tra l’Armenia e l’Azerbajgian, e per il bene dei propri interessi geopolitici.

Ce ne siamo andati, perché era l’unico modo per garantire la nostra sicurezza, preservare la nostra dignità umana e nazionale e il nostro patrimonio genetico, smascherare la grande menzogna su cui si basava l’idea politica di una risoluzione unilaterale e forzata del conflitto, costringendo noi e i nostri bambini ad accettare la cittadinanza e a giurare fedeltà al regime che ci odia.

Per più di tre decenni abbiamo difeso con tutte le nostre forze il diritto dei nostri figli alla pace e al libero sviluppo. Ci siamo opposti agli accordi politici che ci sono stati offerti a scapito del nostro diritto sovrano di vivere nella nostra Patria, conquistato a costo di vite umane e di enormi sacrifici di molte generazioni durante i lunghi secoli di lotta per preservare la nostra dignità e identità nazionale. E questa lotta non è finita. Siamo fiduciosi che riconquisteremo la nostra Patria con il potere della verità e della giustizia.

Per coloro che pensano che il mondo possa essere governato dalla menzogna e dalla brutta forza, ripetiamo quanto segue:

La Repubblica di Nagorno-Karabakh (NKR) è stata proclamata il 2 settembre 1991 dalle legittime autorità della Regione Autonoma di Nagorno-Karabakh (NKAO) e della Regione Shahumyan della Repubblica Socialista Sovietica di Azerbajgian, quando le autorità di quest’ultima annunciarono la loro decisione di secessione dall’URSS. La Dichiarazione politica sulla proclamazione dell’NKR si basava sulle norme giuridiche della legge sovietica allora in vigore e sulla volontà del popolo dell’Artsakh, espressa in un referendum nazionale.

Il nostro diritto all’autodeterminazione fu riconosciuto anche dalle autorità della Russia sovietica e dell’Azerbajgian nel 1920, e divenne la base per la creazione della Regione Autonoma di Nagorno-Karabakh nel 1923, fu sancito nella Costituzione dell’URSS, nella Costituzione della Repubblica Socialista Sovietica di Azerbajgian e nella sua legge “Sulla NKAO”, è stata preservata nella Legge “Sulla procedura di secessione della Repubblica Sovietica dall’URSS” del 3 aprile 1990, e si basa anche sulla Carta delle Nazioni Unite e sul Patto Internazionale sulla Diritti civili e politici del 1966.

Il Referendum del 10 dicembre 1991 ha confermato che la maggioranza assoluta degli elettori ha sostenuto la decisione di dichiarare l’indipendenza della nostra Repubblica. Il Parlamento legittimo, eletto secondo standard democratici e in condizioni di assedio genocida e aggressione armata, ha adottato il 6 gennaio 1992 la Dichiarazione di Indipendenza della Repubblica di Nagorno-Karabakh, Artsakh. Migliaia di nostri connazionali hanno pagato con la vita questa scelta.

Nel 1992, tutti gli Stati membri dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) hanno riconosciuto il diritto dei rappresentanti eletti del Nagorno-Karabakh a partecipare alla conferenza internazionale dell’OSCE incaricata di risolvere il conflitto del Nagorno-Karabakh. Con un referendum nel 2006, il nostro popolo ha approvato la Costituzione della Repubblica, che definisce la procedura per l’elezione dei legittimi rappresentanti del Nagorno-Karabakh e i loro poteri; nel 2017, sempre con un Referendum, il popolo ha approvato una nuova Costituzione. Questa Costituzione era e rimane l’unico documento fondamentale attraverso il quale i cittadini della nostra Repubblica sono guidati e hanno obbediti di loro spontanea volontà.

Di conseguenza, noi cittadini della Repubblica di Artsakh, nel tentativo di difendere i nostri diritti legali e il diritto di preservare la soggettività della nostra Repubblica, affermiamo che l’autodeterminato Nagorno-Karabakh non ha preso alcuna parte nella formazione della costituzione e delle autorità dell’auto-dichiarata Repubblica di Azerbajgian e, al contrario, dichiarò la sua indipendenza. Tuttavia, il neonato Azerbajgian non ha nascosto le sue pretese infondate sul Nagorno-Karabakh.

Fu in tali condizioni, che la comunità internazionale registrò l’esistenza di disaccordi sullo status del Nagorno-Karabakh, riconoscendo la natura contesa di questo territorio. Armenia e Azerbajgian sono diventati Paesi partecipanti all’OSCE a condizione di riconoscere l’esistenza di disaccordi sulla questione del Nagorno-Karabakh e di concordare che il futuro status del Nagorno-Karabakh venga determinato in una conferenza di pace sotto gli auspici dell’OSCE. Entrambi gli Stati hanno assunto l’obbligo internazionale di risolvere la questione esclusivamente con mezzi pacifici.

Tuttavia, una volta divenuto uno Stato partecipante all’OSCE, l’Azerbajgian ha immediatamente violato il suo obbligo internazionale di risolvere pacificamente le controversie. Baku ha usato illegalmente la forza contro la NKR come territorio conteso per impedire lo svolgimento di una conferenza internazionale per determinare lo status del Nagorno-Karabakh. In quelle condizioni, la popolazione del Nagorno-Karabakh ha esercitato il proprio diritto all’autodifesa. L’aggressione armata dell’Azerbajgian nel 1992-1994 portò alla sua sconfitta con significative perdite territoriali. È importante sottolineare che la linea di contatto tra il Nagorno-Karabakh e l’Azerbajgian è stata riconosciuta a livello internazionale.

Tuttavia, durante i tre decenni del conflitto, nessun statista, politico o autorità legale internazionale ha risposto a una semplice domanda: perché l’Azerbajgian e altri Stati che hanno riconosciuto legalmente l’obbligo di seguire lo stato di diritto come principio fondamentale della loro statualità, e hanno disatteso l’obbligo di rispettare il diritto all’autodeterminazione del Nagorno-Karabakh e dal principio del non uso della forza, entrambi derivanti da tale principio fondamentale?

Questa circostanza ha permesso all’Azerbajgian di mantenere nel suo arsenale politico la strategia di annessione del Nagorno-Karabakh attraverso l’espulsione forzata del suo popolo indigena. La politica aggressiva dell’Azerbajgian non ha ancora ricevuto la dovuta condanna internazionale. Gli attori internazionali, contrariamente ai loro obblighi internazionali di assumersi la responsabilità di proteggere la popolazione dal genocidio (Responsabilità di proteggere), purtroppo, non hanno prestato la dovuta attenzione agli avvertimenti contenuti nella Dichiarazione del Parlamento dell’Artsakh del 27 luglio 2023 sui più gravi minacce esistenziali contro la popolazione del Nagorno-Karabakh, non hanno impedito le azioni criminali dell’Azerbajgian, che ha commesso un’altra aggressione militare contro la Repubblica di Artsakh nel settembre 2023 ed ha completamente espulso la popolazione armena indigena del Nagorno-Karabakh dalla sua patria storica.

Va ricordato che dopo la conclusione della tregua il 9 novembre 2020, il Presidente dell’Azerbajgian ha dichiarato che il problema del Nagorno-Karabakh non esisteva più e che tutti dovevano fare i conti con le conseguenze della seconda guerra del Karabakh. Nel tentativo di cambiare l’essenza del conflitto, l’Azerbajgian ha introdotto nel suo vocabolario diplomatico una falsa narrativa sulla ”occupazione delle terre azere da parte dell’Armenia”, attraverso la quale tenta di mettere a tacere le legittime preoccupazioni sulla sua aggressiva politica genocida.
Non intendiamo compromettere i nostri principi, le nostre convinzioni e i nostri diritti in relazione alla nostra Patria, né di fronte alla forza, né sotto la minaccia di distruzione, né in esilio, né in qualsiasi altra circostanza politica.

L’intero mondo civilizzato si trova oggi di fronte a una scelta: o ripristinare l’ordine internazionale nel Nagorno-Karabakh, basato sul rispetto del diritto all’autodeterminazione e degli altri diritti e libertà dei popoli e dei diritti umani, oppure accettare che il blocco, l’aggressione armata, Il genocidio e l’occupazione sono modi legittimi per risolvere i conflitti.

Oggi, i leader di molti Stati parlano della necessità del ritorno degli Armeni nel Nagorno-Karabakh. Tuttavia, crediamo che per il ritorno pacifico, sicuro e dignitoso e la vita del nostro popolo nella loro patria siano necessarie le seguenti indiscutibili condizioni:

Innanzitutto escludiamo il ritorno dei cittadini della Repubblica di Artsakh sotto la giurisdizione dell’Azerbajgian. Le forze armate, la polizia e l’amministrazione azera devono essere completamente ritirate dal territorio della Repubblica di Artsakh, compresa la regione di Shahumyan, dove l’Azerbajgian ha anche la piena responsabilità della pulizia etnica del 1992.

In secondo luogo, le forze multinazionali internazionali di mantenimento della pace delle Nazioni Unite dovrebbero essere dispiegate lungo tutto il confine della Repubblica di Artsakh e dovrebbe essere creata una zona smilitarizzata.

In terzo luogo, il Corridoio di Lachin, riconosciuto a livello internazionale, dovrebbe essere completamente affidato al controllo e alla gestione delle Nazioni Unite.

In quarto luogo, il territorio della Repubblica di Artsakh dovrebbe essere affidato al controllo delle Nazioni Unite per garantire le condizioni per il ritorno di tutti i rifugiati, la formazione di istituzioni democratiche e legali e il ripristino dell’economia. Tutti i rifugiati devono avere pari status, pari diritti ed essere soggetti alle regole comuni del periodo transitorio fino a quando non si terrà un referendum per confermare lo status politico finale del Nagorno-Karabakh, il cui risultato sarà legalmente riconosciuto da tutti gli Stati.

In quinto luogo, dovrebbe essere completamente esclusa la possibilità di procedimenti penali da parte dell’Azerbajgian nei confronti di cittadini della Repubblica di Artsakh per qualsiasi accusa durante l’intero periodo del conflitto. Tutti gli Armeni arrestati e già condannati in Azerbajgian devono essere rilasciati immediatamente. Siamo pronti a riconoscere la competenza di un tribunale internazionale per indagare su ogni crimine di guerra di cui sono accusati i nostri cittadini, a condizione che allo stesso modo questo tribunale affronti anche tutti i crimini di guerra commessi dai cittadini dell’Azerbajgian e dai suoi mercenari.

Siamo pronti a fare del nostro meglio per contribuire al raggiungimento di una soluzione pacifica al conflitto, che sarà basata sul pieno rispetto del diritto all’autodeterminazione e degli altri diritti umani e libertà dei popoli riconosciuti a livello internazionale.

Vai al sito

La complessa geometria dei format negoziali nel Caucaso meridionale, dopo la fine del conflitto tra Azerbaigian e separatisti armeni

Dopo la rapida conclusione dell’ultimo conflitto armato tra separatisti armeni ed esercito regolare di Baku, nel territorio del Karabakh, potrebbero aprirsi le porte per un accordo tra Armenia e Azerbaigian, con positive ricadute per l’intera area del Caucaso meridionale. Ora andremo ad analizzare la complessa geometria dei format negoziali nel Caucaso meridionale, dopo la fine del conflitto tra Azerbaigian e separatisti armeni.

Le notizie degli ultimi giorni sembrano confortare questo orientamento. Nei primi giorni di dicembre è stato infatti emanato un comunicato congiunto dei due paesi nel quale essi auspicano la firma di un trattato di pace entro la fine di quest’anno, nel rispetto dei principi di integrità territoriale e di sovranità. Il momento sembra assai favorevole per un accordo che possa beneficiare entrambe le parti, al punto che l’Armenia si è detta persino favorevole alla candidatura di Baku come città ospitante per la prossima COP29 sul clima.

Cosa attendere

Si pone a questo punto il tema di quale sarà il format di dialogo e negoziazione, indispensabile per avviare un processo di pace e, in futuro, di cooperazione costruttiva tra le due nazioni, e di come strutturarlo.

Vista la complessità della regione caucasica, dove insistono gli interessi di diversi attori non certo marginali, non sembra che vi possa essere uno schema negoziale limitato alle sole Armenia ed Azerbaigian.

Dal suo lato Baku preme perché in questo format sia inserita la Turchia, suo storico alleato, all’insegna del motto “due nazioni, un popolo”. Dall’altro lato invece l’Armenia, al momento in rapporti complicati con la Russia, cerca sponsor geopolitici in altre direzioni.

Ecco quindi rifarsi avanti la Francia, la cui diaspora armena ha sempre un certo peso in termini di lobbying e di advocacy. E’ di poche settimane fa infatti la visita compiuta da Catherine Colonna, Ministro degli Esteri francese, a Jerevan, ribadendo l’intenzione di assicurare forniture militari all’Armenia. Con il disappunto dell’Azerbaigian, che, anche per questo, ha boicottato il vertice della Comunità politica europea di Granada.

La complessa geometria dei format negoziali nel Caucaso meridionale: conclusioni

La posizione ufficiale di Baku è, in ogni caso, quella di trattare le questioni del Caucaso meridionale nell’ambito di un framework regionale; tale orientamento escluderebbe i paesi europei, consentendo invece la partecipazione di Turchia e Russia.

Postura perfettamente coincidente con quella del Premier turco Erdogan che, da fine stratega, propone un ristretto format a 4 comprendente, appunto Turchia e Russia oltre, naturalmente ad Armenia e Azerbaigian.

Del resto il rapporto di cooperazione competitiva tra Mosca ed Istanbul è ben rodato ed è già stato sperimentato nel teatro siriano, parzialmente in Libia e, con alterni successi, in relazione agli accordi sull’esportazione del grano ucraino attraverso il Mar Nero.

A dimostrazione ulteriore che il format di dialogo scelto, nel cui contesto verranno redatti e firmati gli accordi armeno-azeri, non è un dettaglio secondario si intravedono altri movimenti nello scenario del Caucaso allargato.

Uno di essi è stato in precedenza tentato dal Premier georgiano Garibashvili che ha tentato di agire come cavallo di Troia sia degli Usa che dell’UE, proponendo un format 3+2 dove alla coppia dei contendenti si affiancherebbero la stessa Georgia insieme a Washington e a Bruxelles. Ma la proposta di Tbilisi sembra non essere stata raccolta dagli interessati.

La soluzione parrebbe forse essere il diverso formato del 3+3, comprendente oltre ai due ex contendenti anche Russia, Turchia, Georgia ed Iran. Al momento però la Georgia ha sospeso la sua partecipazione a questa piattaforma per via dei suoi territori (Abkhazia e Ossezia meridionale) auto-proclamatesi indipendenti e riconosciuti da Mosca come tali.

Gli altri 5 membri di questo format, definito “Piattaforma regionale di consultazione” si sono comunque incontrati, lo scorso 23 ottobre, a Teheran a livello di Ministri degli Esteri. Nella dichiarazione finale congiunta i 5 Ministri hanno sottolineato l’importanza di piattaforme come questa per un dialogo costruttivo a beneficio dell’intera regione. Hanno inoltre concordato che il prossimo meeting si terrà ad Istanbul.

Segnali eloquenti che, presente o meno la Georgia, potrebbe essere questo il futuro formato negoziale nel cui ambito avviare il processo di confidence-building tra Armenia e Azerbaigian.

Vai al sito