Corridoi complicati. Il Difensore civico armeno analizza le violazioni dei diritti dei frontalieri armeni da parte dell’Azerbajgian. Importanti indicazioni diplomatiche dalla Corte Internazionale di Giustizia (Korazym 17.12.21)

L’approccio “corridoio per corridoio” dell’Azerbajgian è carico di serie sfide per la Russia e l’Europa, ed è inaccettabile per la Repubblica di Artsakh. Lo ha affermato il Ministro degli Esteri dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh, David Babayan, in un’intervista commentando le dichiarazioni del Presidente dell’Azerbajgian Ilham Aliyev che il 14 dicembre 2021 in un incontro con il Segretario della NATO aveva affermato che lo stesso quadro giuridico che regola il “Corridoio di Lachin” tra l’Armenia e il Nagorno Karabakh dovrebbe essere applicato al “Corridoio di Zangezur” che collega l’Azerbajgian con la sua exclave autonoma di Nakhchivan.

Il Ministro Babayan ha dichiarato: «La posizione dell’Azerbajgian è prevedibile. Ci aspettavamo un simile approccio, come non ci si può aspettare nient’altro. Con tali azioni, l’Azerbajgian sta cercando di soffocare completamente Artsakh. Ma il problema non è solo in Artsakh; c’è un gioco più globale, naturalmente con la partecipazione della Turchia. Cosa significa comunicazione senza ostacoli tra la Turchia e l’Azerbajgian attraverso il territorio dell’Armenia riconosciuta a livello internazionale? È una perdita di sovranità su alcune linee di territorio. Ci sarà un “corridoio” oggi, un’altro domani. Dopotutto, non dicono nemmeno “Meghri”; dicono “Zangezur”. Potrebbero esserci diversi “corridoi” in Zangezur. Sono già comparsi almeno due riferimenti al “corridoio”: la ferrovia via Meghri [città], e l’autostrada via Sisian [città]. Allora, cosa sta cercando di fare l’Azerbajgian? Primo, dividere completamente l’Armenia.

«Si scopre che l’Armenia sta perdendo il controllo su circa un terzo del suo territorio, su Syunik [provincia], e non solo. Ciò significa che l’Armenia si sta “staccando” dall’Iran. Syunik è completamente circondata – in una posizione di piena enclave dall’Azerbajgian e dalla Turchia – poiché non avrà effettivamente un confine con l’Armenia perché se gli Azeri e i Turchi “attraversano liberamente“, domani verranno inviate truppe lì per garantire il “libero passaggio” – prima di tutto, di merci e merci, domani, di equipaggiamento militare, esercito, ecc.

«Cambierà completamente la situazione nella regione. Naturalmente, collegare [l’enclave dell’Azerbajgian] Nakhichevan con [la] [regione] Karvachar significherebbe la piena inclusione della Transcaucasia orientale, poiché l’Azerbajgian è già parte della Turchia de facto e un territorio altamente dipendente dalla Turchia, e nel senso attuale, l’Armenia non sarà tale perché anche Syunik sarà completamente assorbito. Non sto nemmeno parlando di Artsakh. Tutto ciò porterà a profonde trasformazioni: processi terribili e imprevedibili inizieranno nel Caucaso settentrionale, nella regione del Volga e nell’Asia centrale. Cioè, questa è in effetti la “tabella di marcia” [del presidente turco] Erdogan che ha espresso insieme al rappresentante dell’organizzazione [ultranazionalista turca] “Lupi grigi“».

C’è da dire che la frase di Aliyev rischia di essere un autogol per l’Azerbajgian. Equiparare i due corridoi vuol dire implicitamente che l’Artsakh appartierne all’Armenia così come il Nakhchivan appartiene all’Azerbajgian.

In realtà il dittatore di Baku cerca di barattare il fondamentale transito attraverso il Syunik (si noti che lo chiama sempre come Zangezur…) con la vita dei 120.000 armeni dell’Artsakh che senza supporto esterno sono destinati a morire.

Considerato che Aliyev ritiene già risolta la questione con la guerra e non vuole sentir parlare di status dell’Artsakh, siamo certi che una volta ottenuto lo sblocco delle vie di comunicazione nel sud dell’Armenia punterà i piedi sulla questione dell’Artsakh e bloccherà i transiti verso Stepanakert [Iniziativa italiana per il Karabakh].

Il Difensore dei diritti umani della Repubblica di Armenia ha inviato al Presidente dell’OSCE e ai Copresidenti del Gruppo di Minsk un rapporto in cui ha analizzato la violazione dei diritti dei residenti frontalieri armeni

Il Difensore civico dell’Armenia Arman Tatoyan ha inviato un rapporto al Presidente dell’OSCE e ai Copresidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE sulle violazioni dei diritti (ad esempio il diritto alla vita, il diritto alla libera circolazione, i diritti dei bambini, ecc.) dei residenti di frontiera dell’Armenia da parte delle forze armate azerbajgiane. “Con fatti ed esempi concreti il documento dimostra che le azioni delle forze armate azere, deliberatamente organizzate dalle autorità dell’Azerbajgian, violano i diritti delle persone che vivono nelle regioni di Gegharkunik e Syunik, nelle aree di confine del nostro Paese, interrompono le condizioni di sicurezza e la vita normale (vengono forniti esempi dalla comunità di Yeraskh della regione di Ararat)”, afferma il Difensore civico armeno. Pertanto, afferma, ripristinare la vita normale delle persone, garantire i loro diritti e la loro sicurezza è una priorità.

“Ho detto che le strade alternative non sono una soluzione a Syunik, poiché la sicurezza delle persone non è garantita. Le forze armate azere continuano a monitorare queste strade, i civili e le loro case. Inoltre, i militari sono presenti in modo dimostrativo sulle strade, in aree visibili ai civili, e stanno commettendo atrocità che violano i diritti umani”, afferma il Difensore civico armeno. “Ho dimostrato che le violazioni dei diritti umani nelle aree di confine sono alimentate dalla politica di armenofobia e di ostilità nei confronti degli Armeni delle autorità azere, che si è ulteriormente aggravata dopo la guerra”, aggiunge Tatoyan. Pertanto, dice, la conclusione è chiara: “Non dovrebbero esserci militari armati azeri nei nostri villaggi, in molti casi vicino alle case e sulle strade. Inoltre, questo vale per tutti loro schieramenti e non solo per le incursioni di maggio».

In altre parole, ci deve essere una zona di sicurezza demilitarizzata, insiste il Difensore civico dell’Armenia. “Questo non significa che decidiamo così immediatamente di chi è il territorio. Si deciderà in seguito, almeno a seguito di delimitazione e demarcazione che inizi in parallelo”, afferma il Garante dei diritti umani dell’Armenia, aggiungendo che per ora è semplicemente necessario ripristinare con urgenza i diritti delle persone e la vita normale.

Nel rapporto il Difensore dei diritti umani armeno sottolinea che, sulla base della sua proposta, l’idea è già stata sancita in una risoluzione adottata dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa il 27 settembre 2021.
“Questi miei approcci derivano direttamente dalle esigenze e dall’esperienza dell’OSCE, dell’ONU e di altre organizzazioni internazionali”, conclude il Mediatore.

Importanti indicazioni diplomatiche dalla Corte Internazionale di Giustizia

La Corte Internazionale di Giustizia, il principale organo giudicante delle Nazioni Unite, ha pronunciato il 7 dicembre 2021 due ordinanze che afferiscono i rapporti tra Armenia e Azerbajgian riguardo anche al contenzioso sull’Artsakh/Nagorno Karabakh.

La prima Ordinanza concerne la richiesta da parte dell’Armenia di indicazione di misure provvisorie da adottare nel caso relativo all’applicazione della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (Armenia c. Azerbaigian).

Nella sua ordinanza, che ha efficacia vincolante, la Corte obbliga la Repubblica di Azerbajgian a:

– Proteggere dalla violenza e dalle lesioni personali tutte le persone catturate in relazione al conflitto del 2020 che rimangono in stato di detenzione e garantiscono la loro sicurezza e uguaglianza davanti alla legge (14 voti a favore, 1 contrario).

– Adottare tutte le misure necessarie per prevenire l’incitamento e la promozione dell’odio razziale e discriminazione, anche da parte dei suoi funzionari e istituzioni pubbliche, nei confronti di persone di nazionalità o origine etnica armena (All’unanimità).

– Adottare tutte le misure necessarie per prevenire e punire atti di vandalismo e dissacrazione che colpiscono Il patrimonio culturale armeno, inclusi ma non limitati a chiese e altri luoghi di culto, monumenti, punti di riferimento, cimiteri e manufatti (13 voti a favore, 2 contrari).

Anche se la Corte non si è ancora pronunciata sul rilascio dei prigionieri armeni detenuti in Azerbajgian, è pleonastico sottolineare la valenza politica e giuridica del pronunciamento. Di fatto, vengono toccati tre temi di fondamentale importanza e al centro del dibattito post-bellico:
– il trattamento dei prigionieri;
– l’odio razziale (nelle sue varie esternazioni, dai discorsi della leadership azera al famigerato “Parco dei trofei” di Baku, alle campagne sui social);
– la tutela del patrimonio architettonico civile e religioso nei territori ora occupati dalle forze armate dell’Azerbajgian.

La condanna è ancor più netta se si pensa che in contemporanea l’Azerbajgian aveva notificato alla Corte di Den Haag una serie stringente di richieste (Azerbajgian c. Armenia), in molti casi a specchio rispetto a quelle armene su vari temi cari alla propaganda azera: dall’odio etnico al problema dello sminamento, dalla distruzione dei monumenti azeri agli ostacoli frapposti al godimento dei beni azeri (sic!), alla condanna anche pecuniaria per le violazioni dell’Armenia.

Complessivamente, undici iniziali “capi di imputazione” ridottisi poi a sei richieste ufficiali dell’Azerbajgian, tutte sviluppate entro la cornice della Convenzione sul Eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 21 dicembre 1965.

Ebbene, la Corte delle Nazioni Unite ha ritenuto di formalizzare solo un’ordinanza (La Repubblica di Armenia, in conformità con i suoi obblighi ai sensi della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, prendere tutte le misure necessarie per prevenire l’incitamento e la promozione dell’odio razziale, anche da parte di organizzazioni e persone private nel suo territorio, mirate a persone di nazionalità o origine etnica azera) che nei fatti trova poca applicazione dal momento che i messaggi di odio etnico sono prevalentemente unidirezionali e provengono da est.

Per l’Azerbajgian si tratta di una cocente sconfitta anche sul piano diplomatico [Iniziativa italiana per il Karabakh].

INTERNATIONAL COURT OF JUSTICE, Comunicato del 7 dicembre 2021 [QUI].

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Partenariato orientale, l’UE rilancia (Oservatorio Balcani e Caucaso 17.12.21)

Il 15 dicembre si è tenuto a Bruxelles il sesto Incontro ministeriale del Partenariato orientale  . Fanno parte del Partenariato orientale, iniziativa europea lanciata nel 2009, l’Armenia, l’Azerbaijan, la Georgia, la Moldavia e l’Ucraina. Era dal 2019 che i capi degli esecutivi – primi ministri o presidenti – dei paesi che ne fanno parte non si incontravano di persona – in questo formato – con le massime cariche europee. La Bielorussia ha interrotto la propria collaborazione a seguito delle note frizioni con l’Unione Europea.

Con questo incontro si è rilanciato l’impegno europeo con i partner orientali. Per il post-2020 l’Unione europea ha adottato un nuovo obiettivo di cooperazione  , che potrebbe essere descritto come le tre R: recovery, resilience and reform. La resilienza riguarda il rilancio e consolidamento di economie sostenibili e integrate nonché la rivoluzione digitale e le sfide al cambiamento climatico, il recovery è incentrato sul recupero pandemico e post-pandemico, e le riforme riguardano soprattutto la tutela dei diritti, della legalità e della sicurezza. Questi obiettivi sono sostenuti da un investimento europeo di 2.3 miliardi di euro.

Concretamente quindi i top-target entro il 2025 sono il sostegno ad altre 500.000 piccole e medio imprese (PMI), la costruzione di 3000 km di strade e ferrovie, la mobilità per 70.000 giovani, la riduzione del consumo energetico domestico del 20%, il monitoraggio della qualità e dell’accesso all’acqua, l’accesso a internet, la legalità, la lotta ai crimini informatici, l’edificazione di società eque ed inclusive, vaccini per 850.000 operatori sanitari e investimenti nel settore medico.

Finora il Partenariato orientale ha comportato un aumento del 22% dei commerci fra i paesi partner e l’UE. Quest’ultima ha sostenuto 185.000 piccole e medie imprese nei paesi partner, con 1,65 milioni di posti di lavoro creati. Sono stati circa 80.000 gli scambi studenteschi e per i giovani.

Armenia, Azerbaijan e Georgia

In Armenia l’Ue si è impegnata a sostenere 30.000 PMI. Inoltre è arrivata la promessa che verranno investiti 600 milioni nel corridoio nord-sud, e altri 300 milioni nello sviluppo informatico. Le regioni meridionali del paese – Sjunik in particolare – saranno oggetto di investimenti specifici (80 milioni di euro) così come Yerevan, interessata a una transizione green da 120 milioni di euro.

Transizione verde anche per la capitale dell’Azerbaijan e in particolare per il porto, per il quale l’UE ha stanziato 10 milioni, e altri 10 andranno alla digitalizzazione delle vie di trasporto. L’UE poi investirà 50milioni di euro per le PMI nel paese e altri 50 per l’ammodernamento e la sostenibilità del settore rurale. In linea con quanto sta già succedendo nelle aree riconquistate, Baku continua a promuovere insediamenti green e smart. L’UE auspica un sostegno di circa 20 milioni di euro per sostenere questo programma nazionale.

Due iniziative attivate per la Georgia riguardano l’area del Mar Nero, sia per migliorare la connessione con la sponda europea, sia per i trasporti anche energetici, per un totale di 125 milioni di euro. Saranno poi 80.000 le PMI georgiane a beneficiare di un investimento europeo stimato intorno ai 600 milioni di euro e circa un migliaio gli insediamenti rurali che dovrebbero accedere a Internet veloce grazie a un investimento di 350 milioni. Infine – e certamente molto apprezzato dalla popolazione della capitale Tbilisi – l’UE stima un investimento di circa 100 milioni di euro per migliorare il monitoraggio e la qualità dell’aria nella capitale, pesantemente inquinata.

Il Trilaterale

Molto atteso per i 3 caucasici, ma soprattutto per Armenia e Azerbaijan, è stato l’incontro trilaterale Pashinyan-Aliyev-Michel a latere dell’incontro ministeriale. Non dovrebbe rimanere un episodio unico, è stato proficuo ed è durato quasi 5 ore. È un formato anomalo: i trilaterali precedenti fra i belligeranti del 2020 sono sempre e solo stati con il presidente Putin, e si contano sulle dita di una mano. Il 10 novembre il primo ha decretato il cessate il fuoco, l’11 gennaio c’è stato quello che ha dato impulso alla apertura delle vie di comunicazioni, e il 26 novembre a Sochi il terzo che ha evitato un nuovo impasse dopo i recenti scontri e dato nuovo impulso all’apertura delle comunicazioni e alla delimitazione pacifica dei confini.

Prima di questo trilaterale, il primo quindi in salsa europea, Mosca e Bruxelles si erano sentite tra loro. In settimana il presidente russo Putin si era sentito anche con il presidente francese Macron e aveva ribadito l’importanza che anche questo trilaterale fosse un puntello nel quadro di quanto concordato finora. Intorno ai continui incidenti sul confine si sta creando un compatto fronte internazionale che teme una nuova destabilizzazione dell’area. Un informale intervento di Macron è testimoniato da una foto  pubblicata il 15 dicembre che lo ritrae nella hall di un albergo di Bruxelles con Pashinyan e Aliev.

L’Europa dimostra a vari livelli un rinnovato impegno per la pace regionale. Charles Michel ha facilitato qualche settimana fa una linea diretta fra i ministeri della Difesa armeno e azerbaijano proprio per gestire gli scambi di fuoco ed evitare nuove escalation. Di questo, stando al comunicato  del Presidente del Consiglio Charles Michel, si è parlato e la validità dello strumento è stata riconosciuta dalle parti. La discussione ha riguardato poi altri punti di cruciale importanza. Non ci dovrebbero più essere prigionieri azeri in Armenia, mentre ne rimangono di armeni in Azerbaijan. Il sistema di scambio prigionieri-per-mappe di mine sta funzionando, e altri 10 armeni sono stati recentemente rimpatriati.

Durante l’incontro del 14 dicembre l’UE si è fatta promotrice dell’iniziativa di lanciare una piattaforma di consulenza economica per creare fiducia e rafforzare la cooperazione economica nella regione. In tutte le parti c’è la consapevolezza che il livello di animosità e odio reciproco non sono basi su cui sarà possibile costruire un vicinato pacifico, e ancor meno interscambi e integrazioni di comunicazioni e mercati. Se si intende veramente voltare pagina, e fare del Caucaso del Sud una regione di scambi, di mercati, e di comunità interconnesse vanno consolidate sicurezza militare e reciproche tolleranze etno-culturali. Per questi scopi l’UE mette a disposizione le proprie risorse, sia economiche che di know-how.

E in tutto questo complicato quadro di trilaterali multipli, un episodio interessante: Charles Michel, ha lasciato a un certo punto Pashinyan e Aliyev soli  . I due hanno parlato a quattr’occhi senza mediatori, per la prima volta dal conflitto. Per fare confidence building a volte è meglio non esserci…

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Nicosia, la chiesa armena della Santa Madre di Dio fa 40 anni (AciStampa 16.12.21)

La cattedrale armena della Santa Madre di Dio di Nicosia ha compiuto 40 anni, e il suo “giubileo” è stato salutato anche da tutte le chiese sorelle, in un impegno di unità che è stato in qualche modo anche favorito dal Religious Track, l’iniziativa di diplomazia religiosa presente a Cipro. Ma anche quaranta anni fa la chiesa fu costruita grazie ad un moto ecumenico, e con il sostegno decisivo del Consiglio Mondiale delle Chiese.

La cattedrale della Santa Madre di Dio è stata costruita a partire dal 1976, per sostituire la chiesa di Notre Dame de Tyre, che a seguito dei moti intercomunali del 1963- 1964 si è trovata nella zona nord di Cipro, di là dalla linea verde, nel territorio controllato dalla Turchia. Fu l’arcivescovo Makarios, allora presidente della nazione, a decidere di destinare per una nuova cattedrale la vecchia cappella di Ayios Dhometios.

La cattedrale fu costruita con l’aiuto del Consiglio Mondiale delle Chiese, ma anche della Chiesa di Westphalia, del governo di Cipro e il contributo dei fedeli. La prima pietra fu posta il 25 settembre 1976 dallo stesso arcivescovo Makarios III insieme all’arcivescovo armeno Nerses Pakhdigian, e fu ufficialmente inaugurata il 22 novembre 1982 dal Catholicos di Cilicia Koren I e il Catholicos coadiutore di Cilicia Karekin II. Erano presenti anche l’arcivescovo Chrysostomos I, il vescovo Zareh Aznavorian e il rappresentante Anranik L. Ashdjian.

La cattedrale della Santa Madre di Dio è l’unica chiesa di Cipro costruita nel tradizionale stile armeno, con una cupola centrale ottagonale e una cupola più piccola per la campana. La chiesa è stata rinnovata nel 2005 in memoria della famiglia Tutundijan, uccisa nell’incidente aereo di Helios, mentre il campanile è stato restaurato in memoria di der Vazken Sandrouni. Nel 2008, sono stati risistemati gli interni, in cui la maggior parte delle icone è stata realizzata dal pittore armeno-libanese Zohrab Keshishian.

Gli armeni sono presenti a Cipro sin dalla antichità, e secondo l’enciclopedia della diaspora armena c’erano funzionari, militari e mercanti armeni a Cipro già nell’Alto Medioevo. Tuttavia, una vera e propria comunità armena si formò a Cipro nel XII secolo. Attualmente i ciprioti armeni sono circa 4 mila persone. Le loro strutture (scuola, chiesa, stampa) sono sempre state attive. Gli armeni a Cipro hanno lo status di comunità religiosa, e la comunità armena ha un rappresentante nella Camera dei rappresentanti.

Dal 1930, tutte le chiese armene sono state poste sotto la giurisdizione del Catholicossato di Cilicia, che era trasferito da Istanbul ad Antelias.

Oltre alla loro cattedrale di Nicosia, ci sono altre chiese armene in terriorio controllato dai turchi. Tra questet, il monastero armeno di Sourp Magar, il monastero di Ganchvor Soup Asdvadzadzin a Famagosta.

Azerbaigian-Armenia: fonti, incontro tra Aliyev e Pashinyan dimostra impegno Ue (Agenzia Nova 15.12.21)

Bruxelles , 15 dic 23:04 – (Agenzia Nova) – Il vertice del Partenariato orientale si è svolto in “una atmosfera particolarmente positiva” nella cornice di un incontro di oltre quattro ore tra il presidente presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, e il primo ministro armeno Nikol Pashinyan. Lo ha riferito un funzionario Ue. “L’incontro tra Armenia e Azerbaigian è stata una chiara dimostrazione dell’impegno dell’Unione nei confronti della regione affinché si sblocchi la situazione e degli sforzi per affrontare anche problemi intrattabili. I leader hanno considerato gli ultimi sviluppi a Bruxelles come “un’evoluzione molto positiva dopo 30 anni di conflitto'”, ha sottolineato il funzionario. (Beb) (Beb)

Patriarca armeno: fra Erevan e Ankara una pace ‘senza precondizioni’ (Asianews 14.12.21)

Erevan (AsiaNews) – Il popolo armeno “è un popolo pacifico e vuole la pace”, per questo l’iniziativa diplomatica in atto fra Erevan e Ankara, con la nomina reciproca di inviati per negoziare la normalizzazione dei rapporti è un elemento “positivo”. É quanto afferma ad AsiaNews il patriarca armeno cattolico Raphaël Bedros XXI Minassian, pur precisando al contempo che i dialoghi devono essere “senza precondizioni”. Il primate armeno aggiunge che la diaspora “ha tutto il diritto” di rivendicare il riconoscimento del genocidio non per ottenere un “risarcimento materiale“, ma come “dovere morale” verso quanti “hanno perso la vita”.

Ieri il ministro turco degli Esteri Mevlut Cavusoglu ha affermato che Turchia e Armenia procederanno alla nomina reciproca di inviati speciali, per discutere le “misure” per normalizzare le relazioni. Sul tavolo anche la ripresa dei collegamenti aerei fra Istanbul e la capitale Erevan. Nel 2009 i due Paesi hanno firmato uno storico accordo di pace per la ripresa dei legami e la riapertura dei confini, ma il documento non è mai stato ratificato e i rapporti restano tesi.

A inasprire le relazioni la guerra combattuta lo scorso anno nel Nagorno-Karabakh, in cui Ankara ha sostenuto l’Azerbaigian e accusato Erevan di occupare territori azeri. Violenze che si sono rinnovate anche nelle scorse settimane e che hanno causato la morte di soldati armeni, in un quadro di continua instabilità e attacchi – diplomatici e militari – reciproci.

Il governo armeno, ricorda il patriarca Minassian, ha affermato nel recente passato che “questo sarà il secolo della pace” e insieme alla controparte “cercheremo di trovare soluzioni pacifiche” finalizzate alla convivenza. Tuttavia, prosegue, un “elemento essenziale” è che questa pace, i dialoghi attraverso i quali raggiungerla siano “senza precondizioni” all’interno di un rapporto “libero” di scambio e confronto. Resta aperto il tavolo sul Nagorno-Karabakh dove “abbiamo perso la battaglia, ma non la guerra”. “Deve esserci – aggiunge – parità di trattamento fra un Paese e l’altro per un bene comune, per vivere in modo onorevole anche perché una distensione fra Armenia e Turchia può avere risvolti benefici per altre nazioni e per tutta la regione”.

Secondo il primate armeno il governo di Erevan è “ben disposto” al dialogo e alla ricerca di un accordo, ma “non possiamo sapere con sicurezza la posizione della controparte”. Uno dei nodi della controversia, ricorda il primate, resta quello relativo alle risorse del Nagorno-Karabakh, soprattutto l’acqua che “nutre l’Armenia e passa nel territorio controllato dal governo azero” mettendo a rischio l’approvvigionamento. Vi sono ancora punti “da risolvere”, avverte, andando oltre gli slogan e le rivendicazioni “di vittoria”.

La Chiesa armena, sottolinea il patriarca, intende proteggere e tutelare “i diritti e la vita” dei cattolici che abitano quei territori. E in un’ottica di dialogo e di confronto vuole porre al centro dell’attenzione anche la questione “della libertà religiosa” che deve essere reciproca e valere “per tutti” in Armenia come nel Nagorno-Karabakh, perché “alla fine crediamo in un unico Dio”. La Chiesa, conclude, “lavora per la pace, dignità e libertà della persona umana, come afferma lo stesso papa Francesco nell’enciclica ‘Fratelli tutti’ che è nostro punto di riferimento. Perché per apprezzare l’altro non dobbiamo perdere la nostra identità, rivendicando sempre il rispetto reciproco”.

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Armenia nominerà un rappresentante speciale in Turchia (Trt 14.12.21)

L’Armenia nominerà un rappresentante speciale per normalizzare le relazioni con la Turchia.

Il portavoce del Ministero degli Esteri armeno, Vaan Unanyan, ha annunciato che l’amministrazione di Yerevan nominerà un rappresentante speciale per normalizzare le relazioni con la Turchia.

In una dichiarazione condivisa sul suo account sui social media, Unanyan ha valutato la dichiarazione del ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu in merito alla nomina di un rappresentante speciale per l’Armenia.

Unanyan sottolineando che il suo Paese è pronto per il processo di normalizzazione delle relazioni con la Turchia senza precondizioni, ha confermato che la parte armena nominerà un rappresentante speciale per avviare il dialogo.

Il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu, nel suo discorso all’Assemblea generale della Grande Assemblea nazionale turca (TBMM) sul bilancio del Ministero, aveva riferito che nomineranno un rappresentante speciale, non un ambasciatore in Armenia.

“Anche l’Azerbaigian ha affermato che ciò è estremamente accurato. Coordiniamo ogni questione con l’Azerbaigian, parliamo, decidiamo insieme a loro. Se l’Armenia impara da questi recenti eventi e preferisce la pace e la tranquillità, si potrà aprire anche un’ambasciata. Decideremo insieme all’Azerbaigian su questa questione”, ha detto il ministro Cavusoglu.

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Armenia-Turchia: fonti Difesa, discussione relazioni bilaterali verterà su questioni regionali

Erevan, 14 dic 11:47 – (Agenzia Nova) – Il campo principale dello sviluppo delle relazioni armeno-turche riguarderà principalmente questioni di interesse regionale. Lo ha dichiarato il presidente della commissione parlamentare per la Difesa e la sicurezza armena, Andranik Kocharyan, commentando le dichiarazioni della parte turca sulla nomina, da parte di entrambi i Paesi, di inviati speciali per normalizzare il dialogo. “Cavusoglu ha annunciato che è necessario parlare con l’Armenia”, ha affermato Kocharyan. (Rum)

ARMENIA VS AZERBAIJAN/ “Erdogan vuole prendersi il Caucaso, solo Putin può fermarlo” (Ilsussidiario 14.12.21)

Da inizio novembre sono ripresi gli scontri tra truppe armene e azere al confine dei due paesi, scontri che si sono intensificati nelle ultime ore. Si contano una dozzina di morti tra entrambe le parti. La tensione torna a salire in quella che è una guerra infinita, dove non si riesce a trovare una via di uscita diplomatica capace di soddisfare soprattutto l’Azerbaijan, che, forte del sostegno di Ankara, continua ad alzare le richieste per provocare un conflitto armato definitivo, come ci ha detto Pietro Kuciukianconsole onorario armeno in Italia, “che porti gli azeri a prendere possesso dell’intero Caucaso”.

L’ultimo conflitto risale al settembre-ottobre 2020: 44 giorni di scontri feroci che hanno causato migliaia di morti, portando a un cessate il fuoco che ha favorito l’Azerbaijan, risultato vittorioso. Al centro di tutta l’annosa questione c’è il Nagorno-Karabakh, territorio armeno all’interno dei confini azeri, rivendicato in toto da questi ultimi. Secondo Kuciukian, gli azeri “non si fermeranno fino a quando non riusciranno a spazzare via del tutto l’Armenia”.

Si torna a combattere al confine fra Armenia e Azerbaijan. Chi sta alimentando la tensione?

C’è una questione che non si riesce a risolvere e che gli azeri stanno alimentando ad arte. Il trattato del cessate il fuoco del 2020 aveva stabilito un collegamento attraverso la parte più a sud dell’Armenia fra Azerbaijan e Nakhichevanskaya, una regione azera divisa dalla madrepatria dal territorio armeno. Questo permetteva giustamente un collegamento con regolare dogana e controlli all’ingresso e all’uscita, come avviene in tutto il mondo. Ma adesso gli azeri pretendono un proprio corridoio, di loro esclusiva appartenenza. Questo non è previsto dal trattato di cessate il fuoco: la strada c’è già, basta aprire le frontiere.

Un comportamento utilizzato per alzare la tensione?

Sì. Infatti, con questa scusa avvengono ricatti, vengono uccisi contadini, si chiudono certe strade che all’epoca dell’Unione Sovietica passavano dall’Azerbaijan: tutto per avere quello che loro chiamano corridoio.

La richiesta del corridoio può essere intesa come un pretesto per tornare a uno scontro armato?

Con l’odio viscerale per gli armeni che ormai gli azeri hanno sviluppato direi di sì, la loro idea è di spazzare via tutta l’Armenia.

Dovevano tenersi almeno due incontri a novembre tra i leader armeno e azero con Putin, ma nulla è stato fatto. La Russia sembra disinteressarsi della situazione?

Putin è abbastanza neutrale, però è interessato comunque a mantenere una forza militare, già presente in Armenia, e poi con gli accordi del cessate il fuoco ha ottenuto di inviare truppe con il ruolo di “peacekeepers” sia a nord, con sede a Martakert, che a sud, con base a Stepanakert. L’accordo prevede la presenza russa per cinque anni più ulteriori altri cinque. Quindi Mosca esercita un controllo decisivo nella regione.

Lo scenario che sembra profilarsi è un’Armenia sempre più ridotta ai minimi termini. Che cosa ne pensa?

Vedremo, è difficile capire cosa succederà. La regione è in pieno subbuglio e i russi sono impegnati su molti fronti, dalla Siria alla Libia e all’Ucraina. Il Caucaso è un ennesimo fronte aperto difficile da controllare.

Gli armeni come reagiscono a tutto questo?

Ovviamente, quando si perde una guerra, il governo che l’ha persa viene contestato, ma finora regge. Del resto, non c’è altra possibilità.

L’Unione Europea che cosa dice?

È assente come al solito, è sempre assente, a meno che non ricevano ordini dagli americani. Allora si muove in qualche maniera.

Che previsioni si sente di fare? Una nuova guerra è inevitabile?

Dipende, potrebbe finalmente stabilirsi una pace che interessa anche ai turchi e ai russi, ma sono gli azeri che non vogliono la pace. Si muovono così perché sono spalleggiati dalla Turchia. Se Putin fermasse Erdogan, allora si potrebbe evitare la guerra. Purtroppo sono in gioco un insieme di interessi ingenti che coinvolgono troppi paesi, un insieme difficile da controllare.

(Paolo Vites) 

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Capodanno 2021 a Siena: in Piazza del Campo l’Orchestra Nazionale Sinfonica Armena (RadioSiena 13.12.21)

Sarà l’Armenian National Philarmonic Orchestra con sede a Yerevan ad allietare il capodanno senese 2021 in Piazza del Campo il 31 dicembre. Lo ha deliberato la giunta comunale guidata dal sindaco Luigi De Mossi, che accettando la proposta armena di un concerto aperto e gratuito, ha dato mandato agli uffici di studiare la normativa e l’organizzazione in piena sicurezza degli eventi, che prevedono, assicura la giunta, un programma artistico di qualità e di gusto nazional popolare. Il

La scelta di puntare sull’orchestra armena giunge, si spiega, “vista la crisi, che a causa della pandemia da Sars-Cov-2, ha investito tutto il mondo dello spettacolo dal vivo, comprese le orchestre, che come da tradizione, portano la musica classica, di grande interesse culturale, in tournèe per teatri e piazze di tutto il mondo; questa Amministrazione ha avuto grande attenzione verso il mondo professionale dello spettacolo dal vivo, programmando, nel rispetto di tutte le normative vigenti per la lotta alla diffusione della pandemia da Covid-19, concerti, eventi e spettacoli nei luoghi più significativi di tutta la città di Siena, dove il pubblico senese e non ha potuto fruire di proposte culturali di alta qualità”.

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Saranno beati il 4 giugno i martiri del genocidio armeno Léonard Melki e Thomas Saleh (Asianews 13.12.21)

I due frati libanesi vennero uccisi “in odio alla fede” in Turchia tra il 1915 e il 1917. P. Léonard Melki subì percosse e torture per una settimana prima di venire giustiziato. La celebrazione a Jal el-Dib sarà preceduta da una settimana di processioni, Vie Crucis, serate evangeliche e concerti.

Beirut (AsiaNews) – La Chiesa latina in Libano, i frati cappuccini e l’ordine delle suore francescane della Croce celebreranno sabato 4 giugno nel grande convento della Croce (Jal el-Dib – Metn) la cerimonia di beatificazione dei sacerdoti libanesi Léonard Melki e Thomas Saleh. A darne l’annuncio è stato il vicario apostolico dei Latini, mons. César Essayan, durante una conferenza stampa che si è svolta presso il Centro cattolico media e informazione. La funzione sarà presieduta dal card. Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione per le cause dei santi, alla presenza dei patriarchi orientali come ha precisato lo stesso mons. Essayan. La celebrazione sarà preceduta da una settimana di cerimonie religiose: processioni, Via Crucis, serate evangeliche e concerti. In conformità a un decreto emanato da san Giovanni Paolo II, le beatificazioni si svolgeranno nei Paesi di origine per permettere al maggior numero di fedeli di quella stessa nazione di partecipare alle funzioni e assistere alle messe.

La data della cerimonia di beatificazione segue la recente decisione di papa Francesco di concedere l’autorizzazione alla Congregazione per le cause dei santi di promulgare i decreti riguardanti il martirio dei servitori di Dio Léonard Melki e Thomas Saleh. Entrambi erano religiosi dell’ordine dei Frati minori cappuccini, uccisi “in odio alla fede” in Turchia rispettivamente nel 1915 e nel 1917. Il riconoscimento del loro martirio ha aperto la porta alla beatificazione, senza che vi sia bisogno del riconoscimento di un ulteriore miracolo.

I due missionari cappuccini originari di Baabdat (Metn, Monte Libano) sono stati arrestati, torturati e uccisi in Turchia durante il genocidio del 1915, come si legge sulla pagina ufficiale dei cappuccini in Italia. Padre Léonard Melki (1881-1915) si è rifiutato di rinnegare la fede dopo aver nascosto il santissimo sacramento all’arrivo della polizia. Egli è stato picchiato con crudeltà per una settimana. I suoi aguzzini gli hanno persino strappato le unghie da mani e piedi. Il sacerdote, assieme a centinaia di altri prigionieri cristiani di Mardin, è stato poi deportato nel deserto e giustiziato lungo la strada. Egli è morto sotto i proiettili esplosi l’11 giugno 1915 assieme al vescovo e beato Ignace Maloyan (1869-1915), ucciso dopo aver rifiutato a più riprese di abbracciare l’islam, e come lui altri 415 uomini della città di Mardin. I loro corpi sono stati poi gettati in burroni e grotte.

Dopo aver concesso ospitalità a un sacerdote armeno durante il genocidio, p. Thomas Saleh (1879-1917) è stato arrestato e condannato a morte, per poi venire deportato in pieno inverno a Marash, insieme ad altri detenuti, sotto la scorta di un plotone di soldati. Egli è morto di stanchezza e di malattia lungo la strada il 18 gennaio 1917, ripetendo con coraggio: “Ho piena fiducia in Dio, non ho paura della morte”.

La cerimonia di beatificazione sarà la terza a venire celebrata in Libano, dopo quella del beato cappuccino Jacques Haddad, fondatore dell’ordine delle suore francescane della Croce e promotore di molte istituzioni ecclesiastiche, avvenuta il 23 giugno 2008. La cerimonia di beatificazione si è svolta in piazza dei Martiri a Beirut.

La presenza francescana in Libano è molto antica e probabilmente risale al tempo di san Francesco. I frati Minori hanno rappresentato una sorta di ponte fra Roma e la Chiesa maronita per mantenere l’unità anche nei momenti più difficili. Oggi essi sono a Beirut, Harissa, Tripoli e sono responsabili di due parrocchie nel sud del Paese, a Tiro e Deir Mimas.

Clima ostile verso i cristiani

Ricordiamo che a partire dal 1894 si era venuto a creare un clima ostile verso i cristiani, all’interno del quale si sono verificati ripetuti episodi di persecuzione in varie parti dell’impero ottomano, soprattutto nella regione della Mesopotamia con massacri organizzati o voluti dal governo centrale. Con lo scoppio della prima guerra mondiale, la persecuzione contro la Chiesa si è fatta più intensa, sistematica e feroce, rivelando un vero e proprio piano per la deportazione e lo sterminio di massa, diventando così il “primo genocidio del XXmo secolo” come dichiarato da san Giovanni Paolo II e dal patriarca supremo di tutti gli armeni Karekin II, il 27 settembre 2001. I massacri iniziarono la notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 a Costantinopoli, quando furono giustiziate le prime persone arrestate tra l’élite armena. Durante il “Medz Yeghern” [il grande crimine o il grande male, come viene ricordato] sono morti oltre un milione e mezzo di cristiani (armeni, siriani, caldei, assiri e greci). Con loro hanno trovato la morte molti vescovi, sacerdoti, religiosi e missionari stranieri, uccisi senza alcun processo, compresi i due servi di Dio in due date e luoghi diversi, ma in circostanze del tutto simili.

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UE e Armenia, partner nelle riforme? (Osservatorio Balcani e Caucaso 13.12.21)

Le recenti promesse di investimenti multimiliardari in Armenia da parte dell’Unione europea segnalano un crescente rafforzamento delle relazioni tra Yerevan e Bruxelles e una rinnovata fiducia dell’UE nell’eredità della rivoluzione armena del 2018.

Quest’estate, l’Unione europea ha presentato un pacchetto di aiuti da 2,6 miliardi di euro per l’Armenia nei prossimi 5-7 anni. Questo gesto rappresenta il più grande pacchetto di aiuti fornito all’Armenia dall’Unione europea di sempre.

L’annuncio, dato il 9 luglio dal Commissario europeo per il vicinato e l’allargamento Oliver Varhelyi durante una visita a Yerevan, include anche la promessa che tale pacchetto potrebbe raggiungere i 3,1 miliardi di euro.

Secondo i diplomatici i nuovi fondi rappresentano un’approvazione da parte di Bruxelles della vittoria schiacciante del primo ministro in carica Nikol Pashinyan nelle elezioni parlamentari anticipate dello scorso giugno, e sono una ricompensa per il “programma di riforme” armeno avviato dopo la rivoluzione del 2018.

Il finanziamento arriva anche sulla scia dell’accordo di partenariato globale e rafforzato (CEPA) tra Armenia e Unione europea, entrato in vigore il 1° marzo. L’accordo contiene clausole che approfondiscono la cooperazione tra l’Armenia e l’UE in materia di riforma istituzionale, investimenti economici e revoca delle tariffe sulle importazioni e sulle esportazioni tra l’Armenia e il blocco di 27 membri.

“Prova di fiducia nella democrazia”

Si pensa che uno dei motivi per cui l’UE abbia aumentato il livello di finanziamento nel pacchetto sia la vittoria del governo Pashinyan sulle autorità prerivoluzionarie dell’Armenia nelle elezioni parlamentari anticipate di giugno.

Il pacchetto da 2,6 miliardi di euro è stato dato “sulla base dei risultati ottenuti in passato”, ha dichiarato a OC Media Andrea Wiktorin, ambasciatore dell’Unione europea in Armenia. “Allo stesso tempo, alla fine tutto dipenderà dalla maturità dei progetti e dalla rapidità con cui potremo attuare le iniziative faro”.

L’UE identifica le “iniziative faro” come “progetti prioritari concreti con risultati tangibili che sono stati identificati congiuntamente con i paesi partner”.

Nel caso dell’Armenia, le iniziative faro comprendono un sostegno economico diretto per un massimo di 30.000 piccole e medie imprese; fino a 600 milioni di euro per un corridoio di trasporto nord-sud; fino a 300 milioni di euro in prestiti e sovvenzioni per il settore tecnologico dell’Armenia; fino a 80 milioni di euro in investimenti economici e infrastrutturali nella provincia meridionale di Syunik per sviluppare “resilienza”; e fino a 120 milioni di euro di investimenti per una Yerevan più “efficiente dal punto di vista energetico”, compresa la modernizzazione dei trasporti pubblici nella capitale.

Wiktorin ha affermato che l’UE “ha preso buona nota” della valutazione degli osservatori OSCE delle elezioni di giugno, la quale “ha dichiarato che le elezioni sono state eque e generalmente ben gestite in un breve lasso di tempo”. Wiktorin ha aggiunto che l’UE sostiene pure il “forte impegno dell’Armenia a perseguire ulteriormente il suo programma di riforme”.

Anche l’ambasciatrice lituana in Armenia, Inga Stanytė-Toločkienė, ha elogiato le elezioni anticipate come “prova della fiducia del popolo armeno nella democrazia” e “prova di una resilienza della democrazia in Armenia”. Ha affermato inoltre che, oltre al pacchetto di assistenza e all’attuazione dell’accordo CEPA, “un’altra direzione che la Lituania sosterrebbe con entusiasmo è legata a ulteriori progressi verso la liberalizzazione dei visti”.

“È giunto il momento di avviare un dialogo sui visti con l’Armenia”, ha affermato, con l’ulteriore avvertenza che “è necessario garantire il consenso tra tutti gli stati membri”.

Il deputato lituano al Parlamento europeo Rasa Juknevičienė ha dichiarato a OC Media che affinché la cooperazione UE-Armenia possa davvero prosperare, l’Armenia deve prima “superare l’eredità bellica, per quanto dolorosa” e “concentrarsi pienamente sullo sviluppo sociale ed economico”.

“La guerra non è mai una buona soluzione”

Viola von Cramon, europarlamentare tedesca, ha dichiarato a OC Media che l’UE “può essere più coinvolta” nella risoluzione del conflitto del Nagorno-Karabakh. La strada verso un ulteriore coinvolgimento dell’UE, secondo von Cramon, dovrebbe prevedere la sostituzione della Francia come co-presidente del gruppo di Minsk dell’OSCE, attualmente incaricato di facilitare la risoluzione del conflitto. La sostituzione dovrebbe avvenire a favore dell’intero blocco europeo di 27 stati membri. Gli attuali co-presidenti del gruppo sono Francia, Russia e Stati Uniti. Allo stesso tempo, von Cramon ha detto di vedere “una riluttanza di alcuni dei leader dell’UE ad agire e a vedersi come un attore politico”.

Il fattore russo

Con il suo dispiegamento di 2.000 forze di pace nel Nagorno-Karabakh, la Russia è stata vista da molti osservatori come un “vincitore” della seconda guerra della regione. L’UE, nel frattempo, è vista come uno dei “perdenti”, con una diminuzione della sua influenza nei confronti della Russia.

La Russia è sempre più attiva in Armenia. Tra i suoi progetti sul territorio armeno la costruzione di nuove stazioni della metropolitana a Yerevan, una prima apertura assoluta di una diocesi ortodossa russa in Armenia, la supervisione dell’FSB russo di gran parte dei confini dell’Armenia.

Secondo Viola von Cramon, la crescente influenza russa nel Caucaso meridionale si basa principalmente su “stivali militari sul terreno”, ma non su un “impegno per la risoluzione dei conflitti”. Specie se si considera anche l’aumento dell’influenza turca in Azerbaijan, “sta diventando difficile per l’UE avere influenza politica”, ha detto von Cramon.

Allo stesso tempo, ha aggiunto, il ruolo dell’Unione europea nella regione è fondamentalmente diverso da quello della Russia. L’UE non cerca di rendere l’Armenia o qualsiasi altro paese della regione “dipendente” dall’Unione “come la Russia sta facendo e ha fatto in passato”, ha sostenuto.

L’eurodeputata lituana Rasa Juknevičienė, nel frattempo, ha dichiarato a OC Media di non vedere la fine della seconda guerra del Nagorno-Karabakh “come una vittoria per la Russia, come alcuni potrebbero sostenere”, specialmente se si considera la cooperazione militare dell’Armenia con la Russia e il ruolo svolto dalla Turchia nella vittoria dell’Azerbaijan.

“Il monopolio russo sulla geopolitica nella regione si è effettivamente indebolito quando la Turchia è entrata in scena. Non penso che sia stata una decisione saggia [da parte dell’Armenia] fare totale affidamento sulla Russia fin dall’inizio”, ha detto Juknevičienė a OC Media, aggiungendo che è stata una decisione sovrana dell’Armenia, “ma un modo faticoso per imparare che la Russia di Putin non è un garante di cui fidarsi”.

Alla domanda sul ruolo della Russia nella regione, l’ambasciatrice lituana Inga Stanytė-Toločkienė è stata irremovibile, commentando che “la risoluzione del conflitto deve essere “re-internazionalizzata”. “Non c’è nulla di buono per i paesi più piccoli all’interno del monopolio, o negli accordi sopra le loro teste, comandati delle grandi potenze regionali”, ha detto Stanytė-Toločkienė. “Vorremmo vedere concetti come quello delle sfere di influenza sepolti nel passato”.

Guardando a nord ed ovest

Nonostante le incursioni russe nel paese, Stanytė-Toločkienė afferma che l’UE rimane il principale “partner per le riforme” dell’Armenia. Per quanto riguarda il ruolo dell’UE nella risoluzione del conflitto del Nagorno-Karabakh, esso dipende dalla “misura in cui la Russia riterrà che sia nel suo interesse proteggere il monopolio che ha creato dopo la seconda guerra del Nagorno Karabakh”.

L’ambasciatrice dell’UE Andrea Wiktorin ha affermato che l’Armenia non deve necessariamente scegliere tra guardare a nord e guardare a ovest. Il CEPA, ad esempio, ha dimostrato che è “pienamente compatibile” con l’adesione dell’Armenia al blocco commerciale dell’Unione economica eurasiatica guidato dalla Russia. “I partner orientali hanno il pieno diritto di plasmare liberamente l’ampiezza e la profondità delle loro relazioni con l’UE e altri attori internazionali”, ha affermato.

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