“Aiutare l’Armenia a proteggersi oggi significa proteggere noi stessi domani” (Il Folgio 20.12.21)

“Aiutare l’Armenia a proteggersi oggi significa proteggere noi stessi  domani” (Di lunedì 20 dicembre 2021) Le Figaro – Lei ha firmato la prefazione di un bel libro che mette assieme i disegni dei bambini e i testi impegnati di alcune personalità di origini armene o pro Armenia per denunciare la guerra del Nagorno-Karabakh. Lei dice che quando è iniziata la guerra, nel suo cervello si è accesa una piccola luce rossa dell’infanzia. Come mai? Jean-Christophe Buisson – Nei miei viaggi in Armenia e nel Nagorno-Karabakh prima di questo conflitto scatenato dall’Azerbaijan nel 2020, non potevo fare a meno di osservare la gioventù di questo popolo armeno che è fra i più vecchi al mondo. Portatori di una lunga e dolorosa storia segnata in particolare da un genocidio, i bambini armeni sono comunque animati da una felicità, da una gioia di vivere, da un ottimismo di cui i nostri bambini, che vivono in un paese più agiato, più ricco, più benestante, sono spesso incapaci. Quando è scoppiata la guerra il …

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ACS accanto ai rifugiati del Nagorno-Karabakh: “Lottiamo per la sopravvivenza” (VaticaNews 20.12.21)

Sono circa 90mila i rifugiati provocati dal conflitto in Nagorno-Karabakh che lo scorso anno ha visto fronteggiarsi Armenia e Azerbaijan. Una guerra che sembra dimenticata, ma che ha lasciato gravi conseguenze tra la popolazione, al fianco della quale c’è “Aiuto alla Chiesa che soffre”

Isabella Piro – Città del Vaticano

“Tutto ciò che avevamo con noi era una valigia”: Lida racconta così la fuga alla sua patria, il Nagorno-Karabakh, avvenuta dopo lo scoppio del conflitto tra Armenia e Azerbaijan, il 27 settembre 2020. Un cessate il fuoco tra i due Paesi è stato negoziato il 9 novembre 2020, ma gli strascichi di quella guerra sono ancora lunghi: in totale, si contano circa 90mila rifugiati, dei quali solo 25mila sono riusciti a tornare alle loro case. Tutti gli altri sono in Armenia e lottano per la sopravvivenza. Lida è tra questi: abita ad Artashat, una piccola città situata al crocevia di Armenia, Turchia e Azerbaigian. La sua testimonianza è stata raccolta dalla Fondazione pontificia “Aiuto alla Chiesa che soffre” (Acs) che nel mese di ottobre ha compiuto una visita in territorio armeno, per capire come portare aiuto in modo efficace ai rifugiati.

Senza elettricità e acqua

L’appartamento dove vive Lida è arredato in modo spartano, con solo lo stretto necessario. Mancano l’acqua corrente e l’elettricità, mentre da un enorme buco nel soffitto si scorge il piano superiore. I suoi figli più grandi – racconta – hanno combattuto in guerra; ne sono usciti vivi, ma sono ancora gravemente traumatizzati ed hanno difficoltà a trovare un lavoro. La donna ha le lacrime agli occhi quando parla della sua casa in Nagorno-Karabakh: è stata occupata dagli azeri durante la guerra, lo ha scoperto su Facebook.

Gli aiuti per 150 famiglie di Goris

Nei primi quattro mesi in Armenia, Lida ha ricevuto aiuti dallo Stato, ma ora non più. Fortunatamente, può contare su “Aiuto alla Chiesa che soffre” che fornisce, a lei e ad altri rifugiati, aiuti materiali ed assistenza spirituale e psicologica. In particolare, la Fondazione sostiene la ricerca di alloggi accessibili per i bisognosi, li supporta nel trovare un lavoro e garantisce kit di emergenza per 150 famiglie nella città di Goris, al confine con il Nagorno-Karabakh.

L’appello del Papa

Da ricordare che, all’Angelus del 1.mo novembre 2020, giorno della festa di Tutti i Santi Papa Francesco aveva invocato la pace nella regione: “Non dimentichiamo quanto sta accadendo nel Nagorno-Karabakh – aveva detto –  dove gli scontri armati si susseguono a fragili tregue, con tragico aumento delle vittime, distruzioni di abitazioni, infrastrutture e luoghi di culto, con il coinvolgimento sempre più massiccio delle popolazioni civili”. Di qui, il suo accorato appello alle parti in causa per fermare “lo spargimento di sangue innocente”. La violenza non si risolve con la violenza, concludeva Francesco, ma solo con “un negoziato sincero”. Infine, il suo pensiero e alla sua vicinanza andavano a tutti i sofferenti a causa della guerra.

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Un ponte con i vigneti di Armenia e Ucraina (Il Friuli.it 20.12.21)

Un ponte tra il Vigneto Friuli e quelli di Armenia e Ucraina. È quello che getterà Agrifood Fvg, protagonista di due progetti sostenuti dall’Unione Europea nell’ambito della collaborazione con i Paesi del vicino Est al di fuori del perimetro comunitario. In programma seminari di approfondimento, scambi di visite per conoscere da vicino le rispettive realtà e partecipazione a eventi fieristici internazionali.

L’agenzia regionale Agrifood Fvg è risultata vincitrice di una call del programma europeo EU4BCC del settore vinicolo che vuole supportare la collaborazione tra aziende e istituzioni europee e di 6 Paesi della Eastern Partnership (EaP): Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Moldavia e Ucraina. Realizzerà così due progetti paralleli. Il primo si chiama Wine-Chain e coinvolgerà nell’arco di sei mesi imprese vinicole italiane e armene, terra con una ricchissima storia vinicola fin da 6.500 anni fa e che oggi è avviata verso una modernizzazione del proprio sistema produttivo. Il secondo progetto, della durata di quattro mesi, è denominato Wine V-Net e creerà le basi per collaborazioni con partner ucraini.

In entrambi i casi si dà importanza alla cooperazione tra imprese per la creazione di nuovi canali per la loro internazionalizzazione, per il trasferimento tecnologico, per la creazione i rapporti di distribuzione e attività di marketing digitale. La forza dei due progetti, cioè, è la loro capacità di coinvolgere l’intera filiera del vino, quindi non soltanto la parte produttiva di coltivazione e vinificazione, ma anche tutto il sistema dei fornitori di servizi e di attrezzature.

Sono previsti incontri di approfondimento, sia in presenza sia su piattaforma digitale, scambi di visite per conoscere reciprocamente le diverse esperienze imprenditoriali e la partecipazione di delegazioni congiunte a eventi fieristici internazionali, uno tra tutti Vinitaly.

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Vino, il Friuli alla “conquista” di Armenia e Ucraina (Messaggeroveneto.it 20.12.21)

Azerbaigian-Armenia: Taverna (M5s), gioia per liberazione prigionieri da parte di Baku (AgenziaNova 19.12.21)

Roma, 19 dic 14:59 – (Agenzia Nova) – “Riempie di gioia la recente liberazione di prigionieri di guerra armeni da parte di Baku. La speranza è che si possa quanto prima considerare definitivamente concluso il conflitto del Nagorno-Karabakh nella prospettiva di una pace duratura, fonte di stabilità per l’intera regione”. Lo scrive su Twitter la senatrice del Movimento cinque stelle, Paola Taverna. (Rin)

Junior Eurovision Song Contest 2021: vince l’Armenia (TvSorrisieCanzoni 19.12.21)

Il rock italiano non sbanca il Junior Eurovision Song Contest e non bissa il successo dei Måneskin, alla competizione. Ha chiuso infatti solo al decimo posto la gara della nostra dodicenne rappresentante, Elisabetta Lizza che ha cantato un pezzo decisamente rock come Specchio (Mirror on the wall).

Il Junior Eurovision Song Contest 2021 di Parigi è stato invece vinto dall’Armenia, grazie alla giovane Maléna Fox – che ha finito la sua esibizione finale in lacrime – con la sua Qami Qami, un pezzo originale e moderno farcito di synth e completamente cantato in armeno con piccole parti in inglese. Una vittoria che bissa il primo posto dell’Armenia nella competizione che risale al 2010 con Vladimir Arzumanyam e Mama.

Seconda si è piazzata la Polonia, con Sara James e la sua Somebody, mentre solo terzo si è classificato invece Enzo, il rappresentante della Francia, nonostante il nome italiano, che con la sua orecchiabile Tic Tac a un certo punto delle votazioni sembrava avere la vittoria in tasca.

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Junior Eurovision 2021: vince l’Armenia, Italia decima con Elisabetta Lizza (Eurofestivalnews 19.12.21)

Armenia-Turchia: vicepresidente Parlamento Rubinyan inviato speciale per dialogo di Erevan (AgenziaNova 18.12.21)

Erevan, 18 dic 18:04 – (Agenzia Nova) – Il vicepresidente del Parlamento dell’Armenia, Ruben Rubinyan, sarà il rappresentante speciale dell’Armenia per il processo di dialogo con la Turchia. Lo ha annunciato oggi l’ufficio stampa del ministero degli Esteri armeno Vahan Hunanyan sulla sua pagina Facebook. “Il vicepresidente dell’Assemblea nazionale dell’Armenia (il Parlamento), Ruben Rubinyan sarà il rappresentante speciale dell’Armenia per il processo di dialogo tra Armenia e Turchia”, si legge nel post. La nomina di due rappresentanti speciali che dovranno tentare di normalizzare le relazioni fra i due Paesi è stata annunciata nei giorni scorsi. (Rum)

Corridoi complicati. Il Difensore civico armeno analizza le violazioni dei diritti dei frontalieri armeni da parte dell’Azerbajgian. Importanti indicazioni diplomatiche dalla Corte Internazionale di Giustizia (Korazym 17.12.21)

L’approccio “corridoio per corridoio” dell’Azerbajgian è carico di serie sfide per la Russia e l’Europa, ed è inaccettabile per la Repubblica di Artsakh. Lo ha affermato il Ministro degli Esteri dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh, David Babayan, in un’intervista commentando le dichiarazioni del Presidente dell’Azerbajgian Ilham Aliyev che il 14 dicembre 2021 in un incontro con il Segretario della NATO aveva affermato che lo stesso quadro giuridico che regola il “Corridoio di Lachin” tra l’Armenia e il Nagorno Karabakh dovrebbe essere applicato al “Corridoio di Zangezur” che collega l’Azerbajgian con la sua exclave autonoma di Nakhchivan.

Il Ministro Babayan ha dichiarato: «La posizione dell’Azerbajgian è prevedibile. Ci aspettavamo un simile approccio, come non ci si può aspettare nient’altro. Con tali azioni, l’Azerbajgian sta cercando di soffocare completamente Artsakh. Ma il problema non è solo in Artsakh; c’è un gioco più globale, naturalmente con la partecipazione della Turchia. Cosa significa comunicazione senza ostacoli tra la Turchia e l’Azerbajgian attraverso il territorio dell’Armenia riconosciuta a livello internazionale? È una perdita di sovranità su alcune linee di territorio. Ci sarà un “corridoio” oggi, un’altro domani. Dopotutto, non dicono nemmeno “Meghri”; dicono “Zangezur”. Potrebbero esserci diversi “corridoi” in Zangezur. Sono già comparsi almeno due riferimenti al “corridoio”: la ferrovia via Meghri [città], e l’autostrada via Sisian [città]. Allora, cosa sta cercando di fare l’Azerbajgian? Primo, dividere completamente l’Armenia.

«Si scopre che l’Armenia sta perdendo il controllo su circa un terzo del suo territorio, su Syunik [provincia], e non solo. Ciò significa che l’Armenia si sta “staccando” dall’Iran. Syunik è completamente circondata – in una posizione di piena enclave dall’Azerbajgian e dalla Turchia – poiché non avrà effettivamente un confine con l’Armenia perché se gli Azeri e i Turchi “attraversano liberamente“, domani verranno inviate truppe lì per garantire il “libero passaggio” – prima di tutto, di merci e merci, domani, di equipaggiamento militare, esercito, ecc.

«Cambierà completamente la situazione nella regione. Naturalmente, collegare [l’enclave dell’Azerbajgian] Nakhichevan con [la] [regione] Karvachar significherebbe la piena inclusione della Transcaucasia orientale, poiché l’Azerbajgian è già parte della Turchia de facto e un territorio altamente dipendente dalla Turchia, e nel senso attuale, l’Armenia non sarà tale perché anche Syunik sarà completamente assorbito. Non sto nemmeno parlando di Artsakh. Tutto ciò porterà a profonde trasformazioni: processi terribili e imprevedibili inizieranno nel Caucaso settentrionale, nella regione del Volga e nell’Asia centrale. Cioè, questa è in effetti la “tabella di marcia” [del presidente turco] Erdogan che ha espresso insieme al rappresentante dell’organizzazione [ultranazionalista turca] “Lupi grigi“».

C’è da dire che la frase di Aliyev rischia di essere un autogol per l’Azerbajgian. Equiparare i due corridoi vuol dire implicitamente che l’Artsakh appartierne all’Armenia così come il Nakhchivan appartiene all’Azerbajgian.

In realtà il dittatore di Baku cerca di barattare il fondamentale transito attraverso il Syunik (si noti che lo chiama sempre come Zangezur…) con la vita dei 120.000 armeni dell’Artsakh che senza supporto esterno sono destinati a morire.

Considerato che Aliyev ritiene già risolta la questione con la guerra e non vuole sentir parlare di status dell’Artsakh, siamo certi che una volta ottenuto lo sblocco delle vie di comunicazione nel sud dell’Armenia punterà i piedi sulla questione dell’Artsakh e bloccherà i transiti verso Stepanakert [Iniziativa italiana per il Karabakh].

Il Difensore dei diritti umani della Repubblica di Armenia ha inviato al Presidente dell’OSCE e ai Copresidenti del Gruppo di Minsk un rapporto in cui ha analizzato la violazione dei diritti dei residenti frontalieri armeni

Il Difensore civico dell’Armenia Arman Tatoyan ha inviato un rapporto al Presidente dell’OSCE e ai Copresidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE sulle violazioni dei diritti (ad esempio il diritto alla vita, il diritto alla libera circolazione, i diritti dei bambini, ecc.) dei residenti di frontiera dell’Armenia da parte delle forze armate azerbajgiane. “Con fatti ed esempi concreti il documento dimostra che le azioni delle forze armate azere, deliberatamente organizzate dalle autorità dell’Azerbajgian, violano i diritti delle persone che vivono nelle regioni di Gegharkunik e Syunik, nelle aree di confine del nostro Paese, interrompono le condizioni di sicurezza e la vita normale (vengono forniti esempi dalla comunità di Yeraskh della regione di Ararat)”, afferma il Difensore civico armeno. Pertanto, afferma, ripristinare la vita normale delle persone, garantire i loro diritti e la loro sicurezza è una priorità.

“Ho detto che le strade alternative non sono una soluzione a Syunik, poiché la sicurezza delle persone non è garantita. Le forze armate azere continuano a monitorare queste strade, i civili e le loro case. Inoltre, i militari sono presenti in modo dimostrativo sulle strade, in aree visibili ai civili, e stanno commettendo atrocità che violano i diritti umani”, afferma il Difensore civico armeno. “Ho dimostrato che le violazioni dei diritti umani nelle aree di confine sono alimentate dalla politica di armenofobia e di ostilità nei confronti degli Armeni delle autorità azere, che si è ulteriormente aggravata dopo la guerra”, aggiunge Tatoyan. Pertanto, dice, la conclusione è chiara: “Non dovrebbero esserci militari armati azeri nei nostri villaggi, in molti casi vicino alle case e sulle strade. Inoltre, questo vale per tutti loro schieramenti e non solo per le incursioni di maggio».

In altre parole, ci deve essere una zona di sicurezza demilitarizzata, insiste il Difensore civico dell’Armenia. “Questo non significa che decidiamo così immediatamente di chi è il territorio. Si deciderà in seguito, almeno a seguito di delimitazione e demarcazione che inizi in parallelo”, afferma il Garante dei diritti umani dell’Armenia, aggiungendo che per ora è semplicemente necessario ripristinare con urgenza i diritti delle persone e la vita normale.

Nel rapporto il Difensore dei diritti umani armeno sottolinea che, sulla base della sua proposta, l’idea è già stata sancita in una risoluzione adottata dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa il 27 settembre 2021.
“Questi miei approcci derivano direttamente dalle esigenze e dall’esperienza dell’OSCE, dell’ONU e di altre organizzazioni internazionali”, conclude il Mediatore.

Importanti indicazioni diplomatiche dalla Corte Internazionale di Giustizia

La Corte Internazionale di Giustizia, il principale organo giudicante delle Nazioni Unite, ha pronunciato il 7 dicembre 2021 due ordinanze che afferiscono i rapporti tra Armenia e Azerbajgian riguardo anche al contenzioso sull’Artsakh/Nagorno Karabakh.

La prima Ordinanza concerne la richiesta da parte dell’Armenia di indicazione di misure provvisorie da adottare nel caso relativo all’applicazione della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (Armenia c. Azerbaigian).

Nella sua ordinanza, che ha efficacia vincolante, la Corte obbliga la Repubblica di Azerbajgian a:

– Proteggere dalla violenza e dalle lesioni personali tutte le persone catturate in relazione al conflitto del 2020 che rimangono in stato di detenzione e garantiscono la loro sicurezza e uguaglianza davanti alla legge (14 voti a favore, 1 contrario).

– Adottare tutte le misure necessarie per prevenire l’incitamento e la promozione dell’odio razziale e discriminazione, anche da parte dei suoi funzionari e istituzioni pubbliche, nei confronti di persone di nazionalità o origine etnica armena (All’unanimità).

– Adottare tutte le misure necessarie per prevenire e punire atti di vandalismo e dissacrazione che colpiscono Il patrimonio culturale armeno, inclusi ma non limitati a chiese e altri luoghi di culto, monumenti, punti di riferimento, cimiteri e manufatti (13 voti a favore, 2 contrari).

Anche se la Corte non si è ancora pronunciata sul rilascio dei prigionieri armeni detenuti in Azerbajgian, è pleonastico sottolineare la valenza politica e giuridica del pronunciamento. Di fatto, vengono toccati tre temi di fondamentale importanza e al centro del dibattito post-bellico:
– il trattamento dei prigionieri;
– l’odio razziale (nelle sue varie esternazioni, dai discorsi della leadership azera al famigerato “Parco dei trofei” di Baku, alle campagne sui social);
– la tutela del patrimonio architettonico civile e religioso nei territori ora occupati dalle forze armate dell’Azerbajgian.

La condanna è ancor più netta se si pensa che in contemporanea l’Azerbajgian aveva notificato alla Corte di Den Haag una serie stringente di richieste (Azerbajgian c. Armenia), in molti casi a specchio rispetto a quelle armene su vari temi cari alla propaganda azera: dall’odio etnico al problema dello sminamento, dalla distruzione dei monumenti azeri agli ostacoli frapposti al godimento dei beni azeri (sic!), alla condanna anche pecuniaria per le violazioni dell’Armenia.

Complessivamente, undici iniziali “capi di imputazione” ridottisi poi a sei richieste ufficiali dell’Azerbajgian, tutte sviluppate entro la cornice della Convenzione sul Eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 21 dicembre 1965.

Ebbene, la Corte delle Nazioni Unite ha ritenuto di formalizzare solo un’ordinanza (La Repubblica di Armenia, in conformità con i suoi obblighi ai sensi della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, prendere tutte le misure necessarie per prevenire l’incitamento e la promozione dell’odio razziale, anche da parte di organizzazioni e persone private nel suo territorio, mirate a persone di nazionalità o origine etnica azera) che nei fatti trova poca applicazione dal momento che i messaggi di odio etnico sono prevalentemente unidirezionali e provengono da est.

Per l’Azerbajgian si tratta di una cocente sconfitta anche sul piano diplomatico [Iniziativa italiana per il Karabakh].

INTERNATIONAL COURT OF JUSTICE, Comunicato del 7 dicembre 2021 [QUI].

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Partenariato orientale, l’UE rilancia (Oservatorio Balcani e Caucaso 17.12.21)

Il 15 dicembre si è tenuto a Bruxelles il sesto Incontro ministeriale del Partenariato orientale  . Fanno parte del Partenariato orientale, iniziativa europea lanciata nel 2009, l’Armenia, l’Azerbaijan, la Georgia, la Moldavia e l’Ucraina. Era dal 2019 che i capi degli esecutivi – primi ministri o presidenti – dei paesi che ne fanno parte non si incontravano di persona – in questo formato – con le massime cariche europee. La Bielorussia ha interrotto la propria collaborazione a seguito delle note frizioni con l’Unione Europea.

Con questo incontro si è rilanciato l’impegno europeo con i partner orientali. Per il post-2020 l’Unione europea ha adottato un nuovo obiettivo di cooperazione  , che potrebbe essere descritto come le tre R: recovery, resilience and reform. La resilienza riguarda il rilancio e consolidamento di economie sostenibili e integrate nonché la rivoluzione digitale e le sfide al cambiamento climatico, il recovery è incentrato sul recupero pandemico e post-pandemico, e le riforme riguardano soprattutto la tutela dei diritti, della legalità e della sicurezza. Questi obiettivi sono sostenuti da un investimento europeo di 2.3 miliardi di euro.

Concretamente quindi i top-target entro il 2025 sono il sostegno ad altre 500.000 piccole e medio imprese (PMI), la costruzione di 3000 km di strade e ferrovie, la mobilità per 70.000 giovani, la riduzione del consumo energetico domestico del 20%, il monitoraggio della qualità e dell’accesso all’acqua, l’accesso a internet, la legalità, la lotta ai crimini informatici, l’edificazione di società eque ed inclusive, vaccini per 850.000 operatori sanitari e investimenti nel settore medico.

Finora il Partenariato orientale ha comportato un aumento del 22% dei commerci fra i paesi partner e l’UE. Quest’ultima ha sostenuto 185.000 piccole e medie imprese nei paesi partner, con 1,65 milioni di posti di lavoro creati. Sono stati circa 80.000 gli scambi studenteschi e per i giovani.

Armenia, Azerbaijan e Georgia

In Armenia l’Ue si è impegnata a sostenere 30.000 PMI. Inoltre è arrivata la promessa che verranno investiti 600 milioni nel corridoio nord-sud, e altri 300 milioni nello sviluppo informatico. Le regioni meridionali del paese – Sjunik in particolare – saranno oggetto di investimenti specifici (80 milioni di euro) così come Yerevan, interessata a una transizione green da 120 milioni di euro.

Transizione verde anche per la capitale dell’Azerbaijan e in particolare per il porto, per il quale l’UE ha stanziato 10 milioni, e altri 10 andranno alla digitalizzazione delle vie di trasporto. L’UE poi investirà 50milioni di euro per le PMI nel paese e altri 50 per l’ammodernamento e la sostenibilità del settore rurale. In linea con quanto sta già succedendo nelle aree riconquistate, Baku continua a promuovere insediamenti green e smart. L’UE auspica un sostegno di circa 20 milioni di euro per sostenere questo programma nazionale.

Due iniziative attivate per la Georgia riguardano l’area del Mar Nero, sia per migliorare la connessione con la sponda europea, sia per i trasporti anche energetici, per un totale di 125 milioni di euro. Saranno poi 80.000 le PMI georgiane a beneficiare di un investimento europeo stimato intorno ai 600 milioni di euro e circa un migliaio gli insediamenti rurali che dovrebbero accedere a Internet veloce grazie a un investimento di 350 milioni. Infine – e certamente molto apprezzato dalla popolazione della capitale Tbilisi – l’UE stima un investimento di circa 100 milioni di euro per migliorare il monitoraggio e la qualità dell’aria nella capitale, pesantemente inquinata.

Il Trilaterale

Molto atteso per i 3 caucasici, ma soprattutto per Armenia e Azerbaijan, è stato l’incontro trilaterale Pashinyan-Aliyev-Michel a latere dell’incontro ministeriale. Non dovrebbe rimanere un episodio unico, è stato proficuo ed è durato quasi 5 ore. È un formato anomalo: i trilaterali precedenti fra i belligeranti del 2020 sono sempre e solo stati con il presidente Putin, e si contano sulle dita di una mano. Il 10 novembre il primo ha decretato il cessate il fuoco, l’11 gennaio c’è stato quello che ha dato impulso alla apertura delle vie di comunicazioni, e il 26 novembre a Sochi il terzo che ha evitato un nuovo impasse dopo i recenti scontri e dato nuovo impulso all’apertura delle comunicazioni e alla delimitazione pacifica dei confini.

Prima di questo trilaterale, il primo quindi in salsa europea, Mosca e Bruxelles si erano sentite tra loro. In settimana il presidente russo Putin si era sentito anche con il presidente francese Macron e aveva ribadito l’importanza che anche questo trilaterale fosse un puntello nel quadro di quanto concordato finora. Intorno ai continui incidenti sul confine si sta creando un compatto fronte internazionale che teme una nuova destabilizzazione dell’area. Un informale intervento di Macron è testimoniato da una foto  pubblicata il 15 dicembre che lo ritrae nella hall di un albergo di Bruxelles con Pashinyan e Aliev.

L’Europa dimostra a vari livelli un rinnovato impegno per la pace regionale. Charles Michel ha facilitato qualche settimana fa una linea diretta fra i ministeri della Difesa armeno e azerbaijano proprio per gestire gli scambi di fuoco ed evitare nuove escalation. Di questo, stando al comunicato  del Presidente del Consiglio Charles Michel, si è parlato e la validità dello strumento è stata riconosciuta dalle parti. La discussione ha riguardato poi altri punti di cruciale importanza. Non ci dovrebbero più essere prigionieri azeri in Armenia, mentre ne rimangono di armeni in Azerbaijan. Il sistema di scambio prigionieri-per-mappe di mine sta funzionando, e altri 10 armeni sono stati recentemente rimpatriati.

Durante l’incontro del 14 dicembre l’UE si è fatta promotrice dell’iniziativa di lanciare una piattaforma di consulenza economica per creare fiducia e rafforzare la cooperazione economica nella regione. In tutte le parti c’è la consapevolezza che il livello di animosità e odio reciproco non sono basi su cui sarà possibile costruire un vicinato pacifico, e ancor meno interscambi e integrazioni di comunicazioni e mercati. Se si intende veramente voltare pagina, e fare del Caucaso del Sud una regione di scambi, di mercati, e di comunità interconnesse vanno consolidate sicurezza militare e reciproche tolleranze etno-culturali. Per questi scopi l’UE mette a disposizione le proprie risorse, sia economiche che di know-how.

E in tutto questo complicato quadro di trilaterali multipli, un episodio interessante: Charles Michel, ha lasciato a un certo punto Pashinyan e Aliyev soli  . I due hanno parlato a quattr’occhi senza mediatori, per la prima volta dal conflitto. Per fare confidence building a volte è meglio non esserci…

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Nicosia, la chiesa armena della Santa Madre di Dio fa 40 anni (AciStampa 16.12.21)

La cattedrale armena della Santa Madre di Dio di Nicosia ha compiuto 40 anni, e il suo “giubileo” è stato salutato anche da tutte le chiese sorelle, in un impegno di unità che è stato in qualche modo anche favorito dal Religious Track, l’iniziativa di diplomazia religiosa presente a Cipro. Ma anche quaranta anni fa la chiesa fu costruita grazie ad un moto ecumenico, e con il sostegno decisivo del Consiglio Mondiale delle Chiese.

La cattedrale della Santa Madre di Dio è stata costruita a partire dal 1976, per sostituire la chiesa di Notre Dame de Tyre, che a seguito dei moti intercomunali del 1963- 1964 si è trovata nella zona nord di Cipro, di là dalla linea verde, nel territorio controllato dalla Turchia. Fu l’arcivescovo Makarios, allora presidente della nazione, a decidere di destinare per una nuova cattedrale la vecchia cappella di Ayios Dhometios.

La cattedrale fu costruita con l’aiuto del Consiglio Mondiale delle Chiese, ma anche della Chiesa di Westphalia, del governo di Cipro e il contributo dei fedeli. La prima pietra fu posta il 25 settembre 1976 dallo stesso arcivescovo Makarios III insieme all’arcivescovo armeno Nerses Pakhdigian, e fu ufficialmente inaugurata il 22 novembre 1982 dal Catholicos di Cilicia Koren I e il Catholicos coadiutore di Cilicia Karekin II. Erano presenti anche l’arcivescovo Chrysostomos I, il vescovo Zareh Aznavorian e il rappresentante Anranik L. Ashdjian.

La cattedrale della Santa Madre di Dio è l’unica chiesa di Cipro costruita nel tradizionale stile armeno, con una cupola centrale ottagonale e una cupola più piccola per la campana. La chiesa è stata rinnovata nel 2005 in memoria della famiglia Tutundijan, uccisa nell’incidente aereo di Helios, mentre il campanile è stato restaurato in memoria di der Vazken Sandrouni. Nel 2008, sono stati risistemati gli interni, in cui la maggior parte delle icone è stata realizzata dal pittore armeno-libanese Zohrab Keshishian.

Gli armeni sono presenti a Cipro sin dalla antichità, e secondo l’enciclopedia della diaspora armena c’erano funzionari, militari e mercanti armeni a Cipro già nell’Alto Medioevo. Tuttavia, una vera e propria comunità armena si formò a Cipro nel XII secolo. Attualmente i ciprioti armeni sono circa 4 mila persone. Le loro strutture (scuola, chiesa, stampa) sono sempre state attive. Gli armeni a Cipro hanno lo status di comunità religiosa, e la comunità armena ha un rappresentante nella Camera dei rappresentanti.

Dal 1930, tutte le chiese armene sono state poste sotto la giurisdizione del Catholicossato di Cilicia, che era trasferito da Istanbul ad Antelias.

Oltre alla loro cattedrale di Nicosia, ci sono altre chiese armene in terriorio controllato dai turchi. Tra questet, il monastero armeno di Sourp Magar, il monastero di Ganchvor Soup Asdvadzadzin a Famagosta.

Azerbaigian-Armenia: fonti, incontro tra Aliyev e Pashinyan dimostra impegno Ue (Agenzia Nova 15.12.21)

Bruxelles , 15 dic 23:04 – (Agenzia Nova) – Il vertice del Partenariato orientale si è svolto in “una atmosfera particolarmente positiva” nella cornice di un incontro di oltre quattro ore tra il presidente presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, e il primo ministro armeno Nikol Pashinyan. Lo ha riferito un funzionario Ue. “L’incontro tra Armenia e Azerbaigian è stata una chiara dimostrazione dell’impegno dell’Unione nei confronti della regione affinché si sblocchi la situazione e degli sforzi per affrontare anche problemi intrattabili. I leader hanno considerato gli ultimi sviluppi a Bruxelles come “un’evoluzione molto positiva dopo 30 anni di conflitto'”, ha sottolineato il funzionario. (Beb) (Beb)