VISITA DI STATO DEL PRESIDENTE ARMEN SARGSYAN IN ITALIA SU INVITO DEL PRESIDENTE SERGIO MATTARELLA (President.am 05.10.21)

Su invito del Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella, il Presidente della Repubblica di Armenia Armen Sargsyan e sua moglie Nune Sargsyan sono, a partire da 5 ottobre, in visita di Stato in Italia.
Si tratta della prima visita di Stato di un Presidente Armeno in Italia durante i 30 anni di storia della Repubblica d’Armenia.
Il Presidente Sargsyan avrà un colloquio privato al Quirinale, residenza del Presidente della Repubblica Italiana, a cui seguirà un’ampia riunione delle delegazioni.
I Presidenti di Armenia e Italia rilasceranno una dichiarazione alla stampa.
Nell’ambito della visita, il presidente Sargsyan incontrerà anche il presidente del Consiglio dei ministri italiano Mario Draghi. Il Presidente dell’Armenia incontrerà anche il Presidente del Senato italiano Maria Elisabetta Casellati, il Presidente della Camera dei Deputati Roberto Fico, il Sindaco di Roma.
Gli incontri si concentreranno sull’approfondimento delle relazioni bilaterali, sull’espansione della cooperazione reciprocamente vantaggiosa in vari campi, su questioni e sviluppi regionali, nonché su altre questioni di reciproco interesse.
Durante la visita, il presidente Sargsyan sarà ospite del Pontificio Collegio Armeno di Roma, dove incontrerà i rappresentanti della comunità armena.
All’ordine del giorno della visita di Stato del presidente Sargsyan figurano anche i temi dell’approfondimento della cooperazione in ambito educativo e culturale. All’Università La Sapienza di Roma, il presidente Sargsyan sarà presente alla riapertura della Cattedra di Armenologia, mentre terrà una lezione all’Università di Bologna.
Nell’ambito della visita di Stato, sotto gli auspici dei Presidenti della Repubblica di Armenia e dell’Italia, verrà inaugurata nel palazzo del Quirinale una mostra di opere dei grandi pittori armeni Hovhannes Aivazovsky, Georg Bashinjaghyan, Martiros Saryan, Vardges Surenyants e Hakob Kojoyan.

6/7 ottobre, Roma. Popoli fratelli, terra futura. Religioni e culture in dialogo (Nev.it 05.10.21)

Roma (NEV), 5 ottobre 2021 – Si tiene a Roma il 6 e il 7 ottobre, nel cuore della Settimana per la pace, l’incontro internazionale “Popoli fratelli, terra futura – Religioni e culture in dialogo”. Per la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) partecipa Cordelia Vitiello, vice-presidente della Chiesa evangelica luterana in Italia (CELI), nonché presidente dell’Ospedale Evangelico Betania di Napoli e membro del Consiglio della Federazione luterana mondiale (FLM).

“La pace è possibile? – questa è una delle domande che si pongono gli organizzatori, alla quale prova a rispondere Cordelia Vitiello -: Secondo me sì, basterebbe che coloro che detengono il potere politico ed economico, insieme alle religioni, si parlassero fra di loro. La parola ‘pace’ viene dal sanscrito ‘pak’, che significa saldare, fissare, unire. Quindi l’amore è la chiave universale che vince il pregiudizio e salda il legame fra gli esseri umani, unendoli nel rispetto delle proprie libertà”.

“I tempi difficili e confusi che il mondo sta attraversando hanno un bisogno crescente di incontri di dialogo come quello di Roma – si legge nell’invito all’iniziativa, promossa dalla Comunità di Sant’Egidio –, al fine di costruire una autentica pace ed una possibilità reale di vivere insieme tra popoli diversi”.

L’evento si articolerà attraverso una Assemblea d’Inaugurazione (mercoledì 6 ottobre, ore 17) e quattro forum tematici (giovedì 7 ottobre, ore 10) con il contributo di leader delle grandi religioni mondiali e personalità del mondo della cultura e della politica internazionale.  I temi dei forum sono: “La cura della casa comune”. “Ritrovare il noi”. “La pace è possibile?”. “Il futuro che vogliamo”. Al termine delle relazioni principali di ciascun forum, interverranno anche altri rappresentanti religiosi. In questa sede parlerà la delegata FCEI, Cordelia Vitiello.

Sono attesi, fra l’altro, esponenti protestanti, luterani, anglicani, armeni, buddisti, ebrei, induisti, musulmani e ortodossi.

In programma

Nell’incontro inaugurale partecipano Bartolomeo I, Patriarca Ecumenico di Costantinopoli. Justin Welby, Arcivescovo di Canterbury e primate della Chiesa d’Inghilterra. Pinchas Goldschmidt, Presidente della Conferenza dei Rabbini Europea. Mohamed Al-Duwaini Sheykh, vicario del Grande Imam di al-Azhar. Sheikh Nahyan bin Mubarak Al Nahyan, Ministro della Tolleranza e della Convivenza, Emirati Arabi Uniti. Luciana Lamorgese, Ministro dell’Interno, Italia. Fra i relatori dei forum, anche Heinrich Bedford-Strohm, Vescovo evangelico-luterano, presidente del Consiglio della chiesa evangelica in Germania (EKD).

La due giorni si chiuderà al Colosseo di Roma con la Preghiera Ecumenica per la Pace presieduta da papa Francesco, alla presenza dei rappresentanti delle chiese e delle comunità cristiane. A seguire, la Cerimonia finale con Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, e Angela Merkel, Cancelliere uscente della Repubblica Federale di Germania.

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Armenia-Italia: presidente Sarkissian in partenza per Roma, domani incontro con Mattarella (Agenzia Nova 05.10.21)

Erevan, 05 ott 10:43 – (Agenzia Nova) – Il presidente dell’Armenia Armen Sarkissian partirà oggi per l’Italia in visita di Stato su invito dell’omologo Sergio Mattarella. In una nota, la presidenza di Erevan ha affermato che questa è la prima visita di Stato di un capo di Stato dell’Armenia in Italia nei 30 anni di storia indipendente del Paese. Durante la visita è previsto un incontro riservato fra Sarkissian e Mattarella che si svolgerà domani al Quirinale, seguito da un incontro in formato esteso cui parteciperanno le delegazioni di entrambi Paesi. Successivamente, i presidenti armeno e italiano rilasceranno delle dichiarazioni alla stampa. Il presidente armeno incontrerà inoltre il presidente del Consiglio Mario Draghi, la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati e il presidente della Camera dei deputati Roberto Fico, nonché la sindaca di Roma uscente, Virginia Raggi. Gli incontri si concentreranno sull’approfondimento delle relazioni bilaterali e sull’espansione del partenariato reciprocamente vantaggioso in diverse aree, gli sviluppi regionali e altre questioni di interesse bilaterale. (segue) (Rum)

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Il Presidente dell’Armenia in visita di Stato in Italia – Radio pubblica armena (Nbarevolution 05.10.21)

Su invito del Presidente della Repubblica Italiana Sergio Moderella, il Presidente della Repubblica di Armenia, Armen Sarkin, e sua moglie, Nnne Sarkin, effettueranno una visita di Stato in Italia il prossimo 5 ottobre. Si tratta della prima visita ufficiale del Presidente dell’Armenia in Italia nei 30 anni di storia della Repubblica d’Armenia.

I Presidenti Sergio e Maderella terranno colloqui privati ​​al Palazzo Grinale, residenza del Presidente della Repubblica Italiana, a seguito di una dettagliata riunione dei delegati. I presidenti di Armenia e Italia rilasceranno un comunicato alla stampa.

Nell’ambito della visita, il presidente Sarkozy incontrerà anche Mario Draghi, presidente del Consiglio dei ministri italiano. Il Presidente dell’Armenia incontra il Presidente del Senato italiano Maria Elizabetta Casalti, il Presidente del Delegato Roberto Figo e il Sindaco di Roma.

Questi incontri si concentreranno sull’approfondimento delle relazioni bilaterali, sull’espansione della cooperazione reciprocamente vantaggiosa in vari campi, sulle questioni e sugli sviluppi regionali e su altre questioni di reciproco interesse.

Durante la visita, il Presidente Sarkisian sarà intrattenuto anche presso il Collegio Levoniano di Roma, dove incontrerà i rappresentanti della comunità armena.

Le questioni che approfondiscono la cooperazione nel campo dell’istruzione e della cultura sono all’ordine del giorno della visita di Stato del presidente Sarkozy. All’Università La Sabienza di Roma, il Presidente sarà presente alla riapertura del Preside di Arminologia, e terrà una lezione all’Università di Bologna.

Il Palazzo Criminale ospiterà una mostra di opere dei migliori pittori armeni Hovannus Ivasovsky, Jர்க்vor Bashinjakyan, Martiros Sarion, Worth Surenians e Hagop Kojoyan sotto gli auspici dei leader delle repubbliche armene e italiane.

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CHE ORIGINI HA PAOLO KESSISOGLU DEL DUO LUCA E PAOLO (Movieplayer 04.10.21)

Paolo Kessisoglu è un attore, comico, cabarettista e conduttore televisivo italiano, principalmente noto per il duo comico Luca e Paolo, formato con Luca Bizzarri, ed è nato a Genova, da una famiglia genovese di origini armene.

Il nonno paterno di Paolo, Callisto, era un profugo armeno originario di Smirne, sfuggito ancora bambino al genocidio del proprio popolo avvenuto per mano dell’Impero Ottomano durante la Grande Guerra, trovando riparo per se stesso e per la sua famiglia dapprima in Grecia, poi in Italia stabilendosi per svariati anni a Trieste ed infine a Genova.

Il cognome originario della famiglia, Keshishian, venne turchizzato durante l’esodo in Keşişoğlu al fine di destare minor attenzione, per poi italianizzarne pronuncia e grafia all’arrivo in Italia. Paolo, una volta salito alla ribalta, si è impegnato in prima persona per tramandare la memoria del massacro armeno e combattere operazioni di negazionismo.

A proposito delle su origini lo stesso Paolo Kessisoglu, durante un’intervista del 2017, ha dichiarato: “Molto in sintesi, le origini arrivano da mio nonno paterno che nel ’22 scappa con padre, madre, sorella più piccola e nonna per salvarsi dall’esercito ottomano. Le mie origini sono state chiare da subito in quanto mio nonno veniva da là, scriveva, parlava in armeno ed era orgoglioso di esserlo. Purtroppo non parlava molto della sua terra, molto pochi i racconti e le esperienze di vita. Mi avrebbe entusiasmato conoscere anche particolari della sua vita d’infanzia oltre che le barbarie dei turchi e quanto incivile fosse il loro odio.”

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Le tre cause delle tensioni ai confini fra Azerbaigian e Iran (Nova News 04.10.21)

Proseguono le tensioni fra Azerbaigian e Iran dopo che le autorità di Baku e le controparti turche hanno annunciato l’esercitazione militare Fratellanza indistruttibile 2021 nel Nakhchivan che prenderà il via domani. La manovra militare nell’exclave azerbaigiana, che confina con l’Iran, è di fatto una risposta all’esercitazione militare iraniana, battezzata “I conquistatori di Khaybar”, che si è svolta nei giorni scorsi proprio nei pressi del confine con l’Azerbaigian. Le tensioni fra Teheran e Baku sono cresciute nel corso delle ultime settimane, a causa di diversi fattori: l’esercitazione militare trilaterale condotta da Azerbaigian, Pakistan e Turchia a circa 500 chilometri dal confine iraniano; le restrizioni imposte dall’Azerbaigian all’accesso di alcuni tir iraniani – con conseguente arresto di due conducenti – diretti in Armenia; e il rafforzamento dei rapporti fra l’Azerbaigian e Israele. Questo punto non è secondario per il nuovo governo del nuovo presidente, Ebrahim Raisi, insediatosi a Teheran lo scorso 3 agosto. Il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian il 30 settembre ha affermato che Teheran ha il diritto di tenere esercitazioni e ha sottolineato “l’importanza” della cooperazione tra Iran e Azerbaigian, che condividono un confine di 700 chilometri. Amir-Abdollahian, tuttavia, ha aggiunto durante un incontro con il nuovo ambasciatore azerbaigiano a Teheran che l’Iran “non tollera la presenza e l’attività contro la nostra sicurezza nazionale del regime sionista” nei pressi dei propri confini, confermando che sarebbero state prese “tutte le misure necessarie al riguardo”. I rapporti fra Azerbaigian e Israele sono notoriamente positivi nonostante la vicinanza fra Baku e la Turchia. Questi legami, peraltro, sono stati oggetto di critiche anche da parte dell’Armenia, che spesso ha espresso disappunto per la vendita di armamenti israeliani all’Azerbaigian.

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Perché Iran, Azerbaijan e Turchia litigano (Formiche.it)


Manovre militari a ridosso del confine azero-iraniano: tensione alta, ma conflitto improbabile (Sputniknews 05.10.21)

Russia-Armenia: Lavrov riceve presidente Parlamento Simonyan, focus su relazioni bilaterali (Agenzianova 04.10.21)

Mosca, 04 ott 17:05 – (Agenzia Nova) – Una delegazione armena guidata dal presidente del parlamento Alen Simonyan ha incontrato oggi a Mosca il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. Lo ha riferito l’ufficio stampa del parlamento armeno. Il ministro russo ha molto apprezzato le relazioni strategiche e di partenariato bilaterale, definendo la prima visita ufficiale del presidente del Parlamento armeno in Russia come prova di questi rapporti. Simonyan ha ringraziato per l’accoglienza e ha espresso le sue congratulazioni al popolo russo per le recenti elezioni parlamentari. I due hanno discusso nel dettaglio l’attuale situazione nella regione, parlando anche della necessità di garantire una pace duratura ed eliminare i problemi che ostacolano tale processo. In tale contesto hanno sottolineato in particolare l’importanza del ritorno dei prigionieri di guerra armeni e dei prigionieri civili dall’Azerbiagian.

I Nobel per la Medicina che hanno svelato i segreti del dolore (Ansa 04.10.21)

Permettono di percepire il caldo e il freddo, ma sono anche la base per capire il dolore, i meccanismi antichissimi la cui scoperta è stata premiata con il Nobel per la Medicina 2021. A individuarli sono stati l’americano David Julius, 66 anni, che insegna nell’università della Columbia University di New York e il libanese Ardem Patapoutian, 54 anni, che lavora negli Stati Uniti nell’istituto californiano Scripps a La Jolla.

Se la telefonata della Fondazione Nobel che poco prima dell’annuncio avverte i vincitori è sempre una sorpresa, per Patapoutian lo è stata doppiamente. “Avevo impostato la modalità ‘non disturbare’ sul mio telefono e per questo non ho ricevuto le sue telefonate”, ha detto in seguito parlando con un rappresentante della Fondazione. “Poi – ha aggiunto – in qualche modo ho trovato la chiamata di mio padre, che ha 92 anni e vive a Los Angeles. E così ho saputo del premio da lui”.

Le loro sono state scoperte apripista, destinate ad avere ricadute nei prossimi anni. Tutto è cominciato alla fine degli anni ’90, dalle ricerche su un composto presente nel peperoncino, la capsaicina responsabile della sensazione di bruciore. Con i suoi collaboratori mise quindi a punto una banca dati con milioni di geni espressi dai neuroni sensoriali che reagiscono al dolore, al calore e al tatto ed è stata questa la base della ricerca lunga e complessa che ha permesso di scoprire il gene TRPV1. Patapoutian è stato invece premiato per la scoperta dei geni Piezo1 e Piezo2, legati alla percezione della pressione e che hanno aperto la via alla ricerca sui meccanismi alla base del dolore. “Capire le basi molecolari del dolore è fondamentale perché è alla base del nostro rapporto con l’ambiente: è un meccanismo evolutivo importante perché è sulla base di questa percezione che si decide se fuggire o meno davanti a un pericolo”, ha osservato il genetista Giuseppe Novelli, dell’Università di Roma Tor Vergata.

Quasi tutti i geni scoperti da Julius e Patapoutian sono dei canali ionici, ossia proteine che si comportano come vere e proprie vie di comunicazione delle cellule che, attraversando la membrana che avvolge la cellula permette il passaggio di ioni dall’esterno all’interno e viceversa.

Le ricerche premiate con il Nobel hanno anche fornito e continuano a fornire materiale per studiare il problema del dolore cronico, del quale si stima che nel mondo colpisca un miliardo e mezzo di persone. Per esempio uno dei geni scoperti da Patapoutian, chiamato Piezo1, ha mutazioni legate a malattie importanti, come distrofia muscolare e forme di anemia, come la stomatocitosi che porta i globuli rossi a disidratarsi e dà resistenza alla malaria”.

Con Patapoutian dall’Italia ‘a caccia di future terapie’
“Il nostro prossimo obiettivo è capire meglio il meccanismo di attivazione del carico di ferro per poter individuare nuovi bersagli terapeutici”: a parlare è la genetista Immacolata Andolfo, 38 anni, che lavora nel gruppo di Achille Iolascon, docente di Genetica medica del dipartimento di Medicina Molecolare e Biotecnologie mediche dell’Università Federico II, principal investigator del Ceinge e presidente della Società italiana di genetica umana (Sigu). Il ‘noi’ è riferito alla sua collaborazione con Ardem Patapoutian, nell’istituto californiano Scripps, premiato oggi co il Nobel per la Medicina con David Julius. “Avremmo dovuto andare nel laboratorio di Patapoutian a fine 2020, speriamo di poter andare l’anno prossimo”, ha detto all’ANSA.

La storia che ha portato alla collaborazione era cominciata molto tempo prima, racconta Iolascon: “in collaborazione con un gruppo di ricerca britannico avevo individuato una nuova malattia, una forma di anemia chiamata stomacitosi. Ci ho messo 15 anni a trovare il gene e quando l’ho identificato ho visto che era Piezo1”, lo stesso che contemporaneamente aveva scoperto Patapoutian nella sua caccia alle molecole importanti per le sensazioni di caldo, freddo e dolore.

E’ stato allora che è entrata in gioco Immacolata Andolfo. Era il 2017 e da allora la giovane ricercatrice e il vincitore del Nobel hanno hanno sempre collaborato a distanza, per email o con collegamenti in video su Skype, anche per colpa della pandemia di Covid-19. “E’ sempre stato molto cordiale, come tutti i ricercatori americani è molto alla mano, collaborativo e pratico: siamo entrati subito nel vivo e abbiamo cominciato a programmare esperimenti sul gene Piezo1”. Il primo risultato è stato, nel dicembre 2020, l’articolo scientifico firmato con Patapoutian sulle mutazioni del gene Piezo1 come fattori di rischio del sovraccarico di ferro.

Tutto era cominciato con le ricerche sulla stomatocitosi inaugurate da Iolascon: il meccanismo alla base di quella malattia aveva rivelato il ruolo del gene Piezo1 e adesso è chiaro, osserva Andolfo, che il gene Piezo1 è uno dei meccanismi coinvolti nella regolazione del ferro, non noti fino al febbraio 2021 non noti. “Adesso – ha concluso la ricercatrice – è possibile aprire la strada ad altre ricerche, a caccia dei meccanismi responsabili di altre forme di anemia, come quella falciforme, e della cirrosi epatica, e poi cercare farmaci in grado di inibirli o di promuoverli”.


Nobel per la Medicina 2021 a David Julius e Ardem Patapoutian (Euronews 04.10.21)

Annunciati i vincitori del premio Nobel 2021 per la Medicina: il prestigioso riconoscimento assegnato dall’Istituto Karolinska di Stoccolma va allo statunitense David Julius ed all’armeno Ardem Patapoutian per le loro scoperte sui recettori per la temperatura e il tatto.

Julius ha utilizzato la capsicina, sostanza irritante presente nei peperoncini, il collega ha invece approfondito gli studi su particolari tipi di cellule sensibili alla pressione.

“La capacità di percepire il caldo, il freddo e il tatto è essenziale per la sopravvivenza e sostiene la nostra interazione con il mondo che ci circonda – si legge nella motivazione – nella vita quotidiana diamo per scontate queste sensazioni, ma come vengono avviati gli impulsi nervosi in modo che la temperatura e la pressione possano essere percepite? A questa domanda rispondono i premi Nobel di quest’anno”.

Julius, 66enne newyorkese, insegna all’Università della California a San Francisco, mentre il 54enne Patapoutian (metà armeno, metà statunitense, ma libanese di nascita) lavora allo Scripps Research Institute di La Jolla, in California.

Dalla prima assegnazione, avvenuta nel lontano 1901, sono sei gli italiani insigniti del premio.

Primo connazionale ad ottenerlo fu Camillo Golgi nel 1906, a seguire Daniel Bovet, Salvatore Luria, Renato Dulbecco, Rita Levi Montalcini e Mario Renato Capecchi.

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IRAN. Esercitazioni e tensione al confine con l’Azerbaijan (Agcnews 01.10.21)

Teheran ha richiamato le relazioni amichevoli dell’Azerbaigian con Israele, e ha definito infondate le obiezioni di Baku in merito alle grandi manovre militari iraniane al suo confine, percepite come una minaccia.

La Repubblica islamica si è irritata nelle ultime settimane a causa di una serie di esercitazioni militari in Azerbaigian che hanno coinvolto le forze azere, turche e pakistane, nonché anche della presenza di forze armate turche che hanno preso parte alle esercitazioni navali sul Mar Caspio.

Per l’Iran, questo va contro lo spirito dell’accordo sul Caspio in base al quale solo i paesi che si affacciano sul mare sono autorizzati a schierarvi forze militari. Ma è stato il fatto che l’Azerbaigian mantenga buone relazioni con Israele, così come l’acquisto da parte di Baku, nel corso degli anni, di miliardi di dollari di armi israeliane, compresi i “droni kamikaze”, che si sono dimostrate devastanti ed efficaci per la vittoria azera nella seconda guerra del Nagorno-Karabakh dell’anno scorso con l’Armenia.

Sono stati questi i chiari punti di riferimento quando il portavoce del ministero degli esteri iraniano Saeed Khatibzadeh ha risposto a un commento del presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev che si era detto “molto sorpreso” dalla decisione di Teheran di tenere esercitazioni vicino al confine del suo paese.

«È chiaro che la Repubblica Islamica dell’Iran non tollererà la presenza del regime sionista vicino ai suoi confini, anche se è solo uno spettacolo, e prenderà qualsiasi azione necessaria per proteggere la sua sicurezza nazionale», ha detto Khatibzadeh il 28 settembre, ripesò da BneIntellinews. «Le esercitazioni effettuate dal nostro paese nelle zone di confine nord-occidentali… sono una questione di sovranità», ha aggiunto Khatibzadeh.

Un video apparso su YouTube ha mostrato l’Iran trasferire un gran numero di carri armati e obici semoventi in una zona di confine per le manovre militari. Khatibzadeh ha anche detto che i commenti di Aliyev vanno contro la natura favorevole delle relazioni tra Teheran e Baku, sottolineando che le esercitazioni sono state necessarie per contribuire alla «calma e stabilità dell’intera regione».

Aliyev ha anche obiettato ultimamente su come i camion iraniani hanno preso un percorso attraverso un angolo dell’Azerbaigian per trasportare rifornimenti ai territori del Karabakh ancora controllati dagli armeni. Le autorità azere hanno iniziato a far pagare agli autisti di questi camion una “tassa” stradale, mentre due autisti sono stati arrestati. L’Iran ha detto che il trasporto è condotto da aziende private, e che lo stato iraniano non ha alcuna mano nell’uso della rotta.

La Repubblica islamica dell’Iran e l’Azerbaigian, stato laico a maggioranza musulmana, condividono un confine di circa 700 chilometri e normalmente godono di relazioni tranquille. L’Iran si mantiene neutrale per quanto riguarda il conflitto tra Armenia e Azerbaigian, ma il regime ha regolarmente appoggiato la posizione dell’Azerbaigian che, per Teheran ha il diritto di reclamare i territori che sono azeri per il diritto internazionale; infine ci sono circa 15 milioni di iraniano-azeri tra gli 84 milioni di abitanti dell’Iran, che vivono principalmente nelle province nord-occidentali del paese.

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Sale la tensione tra Teheran e Baku nell’anniversario della guerra con l’Armenia (Nenanews 01.10.21)

di Marco Santopadre

Roma, 1 ottobre 2021, Nena News – Nel corso del conflitto dello scorso anno tra Azerbaigian e Armenia, Teheran aveva tenuto una posizione sostanzialmente equidistante, pur essendo teoricamente più vicina a Erevan. Nei mesi seguenti le relazioni tra Teheran e Baku sembravano essere in via di miglioramento. All’inizio di settembre i ministri degli Esteri dei due paesi, al termine di un incontro, avevano parlato di possibili prospettive di cooperazione.

Ma nelle ultime settimane tra i due paesi è velocemente salita la tensione e l’esercito iraniano ha comunicato di avere in programma delle esercitazioni vicino al confine con l’Azerbaigian. Secondo l’agenzia di stampa iraniana Fars, che ha riportato le dichiarazioni del comandante delle forze di terra della Repubblica Islamica Kioumars Heydari, l’esercitazione, battezzata “I conquistatori di Khaybar”, ha lo scopo di “migliorare la prontezza al combattimento” delle unità militari di Teheran.

Secondo i media dell’area, negli ultimi giorni gli iraniani hanno ammassato al confine un gran numero di militari, di mezzi corazzati e di missili, il che ha spinto gli azeri a mobilitare le proprie truppe. il presidente azero Ilham Aliyev ha definito la mossa della Repubblica islamica “un evento sorprendente”.

Alle rimostranze azere Saeed Khatibzadeh, portavoce del ministro degli Esteri iraniano, ha risposto che le manovre rappresentano “una questione di sovranità”, aggiungendo che Teheran “non tollererà la presenza del regime sionista” alle sue frontiere. In passato, in effetti, le strette relazioni tra Baku e Tel Aviv sono state fonte di tensione o comunque di una certa freddezza nei rapporti tra la Repubblica Islamica e lo Stato ebraico. L’Azerbaigian è il maggiore fornitore di energia di Israele, che ha fornito a Baku (insieme alla Turchia) i droni da ricognizione e da bombardamento che hanno permesso alle truppe azere di sbaragliare le difese armene durante il conflitto per il controllo del Nagorno-Karabakh.

Ad agosto, poi, Baku ha inaugurato anche il suo primo ufficio di rappresentanza economica e commerciale in Israele creando allarme a Teheran. Dopo qualche settimana la tensione è improvvisamente aumentata quando le autorità azere hanno fermato alcuni camion iraniani carichi di merci che stavano viaggiando lungo la strada tra le città armene di Kapan e Goris che attraversa in alcuni punti delle sezioni di territorio recentemente conquistate da Baku. L’autostrada, pattugliata dalle forze di pace russe, è l’unico collegamento dell’Armenia con l’Iran.

All’inizio di settembre, le forze militari azere hanno istituito un posto di blocco ed hanno iniziato a tassare e ispezionare i camion commerciali iraniani che viaggiano sull’autostrada. Alcuni camionisti iraniani sono stati anche arrestati per essere “entrati illegalmente in territorio azero”. L’Azerbaigian sostiene infatti che l’ingresso in Nagorno-Karabakh attraverso l’Armenia equivalga ad un passaggio illegale di frontiera.

In un’intervista all’agenzia turca AnadoluAliyev ha espresso indignazione per il continuo viaggio di camion iraniani attraverso il territorio azero, chiedendosi perché l’Iran sia così insistente nel continuare il commercio in una regione con solo 25.000 abitanti (ciò che rimane dell’auto proclamata Repubblica armena dell’Artsakh dopo la sconfitta nel conflitto del 2020). «Questo commercio è davvero così importante da mostrare una totale mancanza di rispetto per un paese che consideri amico e fraterno?» ha dichiarato Aliyev.

A contribuire all’aumento delle tensioni tra Teheran e Baku sono state anche le recenti esercitazioni militari congiunte condotte da Azerbaigian e Turchia prima nel distretto di Lachin e poi nel Mar Caspio; il ministero degli Esteri iraniano ha avvertito che queste ultime violano le convenzioni internazionali che vietano la presenza militare di Paesi diversi dai cinque stati che si affacciano sul mare interno.

In una dichiarazione alla stampa un deputato iraniano, Mohammad Reza Ahmadi Sangari, ha accusato Baku di essere diventata arrogante dopo la vittoria militare sull’Armenia ottenuta, ha detto, grazie al “doping turco”, riferendosi al fondamentale sostegno bellico di Ankara.

Effettivamente, le truppe azere continuano, a un anno dalla guerra con l’Armenia durata 44 giorni, a operare attacchi e sconfinamenti, per quanto circoscritti, in territorio armeno, nonostante la presenza dei peacekeepers russi sulla linea di contatto definita dal documento di cessate il fuoco proposto da Mosca e firmato dai contendenti il 9 novembre.

«Il primo punto della dichiarazione trilaterale definisce chiaramente che: “… le parti rimangono nelle loro posizioni”. Ciò nonostante, un mese dopo la firma della dichiarazione, le unità militari azere hanno lanciato un attacco ai villaggi di Hin Tagher e Khtsaberd nella regione di Hadrut in Artsakh, occupandone gli insediamenti, catturando e uccidendo militari e civili armeni. Attualmente, la parte azera sta anche cercando di occupare nuove aree in diverse parti della linea di contatto», ha denunciato in una lunga intervista all’Agenzia Nova l’ambasciatrice dell’Armenia in Italia, Tsovinar Hambardzumyan.

«A seguito dell’aggressione dell’Azerbaigian, circa 90 mila sfollati si sono rifugiati in Armenia, la maggior parte donne e bambini. (…) La maggior parte degli sfollati, in particolare dalle regioni di Shushi e di Hadrut, oggi non è in grado di tornare alle proprie case che sono rimaste sotto il controllo dell’Azerbaigian» ha spiegato l’ambasciatrice.

Di tutt’altro avviso le autorità dell’Azerbaigian, che lo scorso 27 settembre – anniversario dell’inizio del conflitto – hanno celebrato il “Giorno della Memoria” per omaggiare i loro caduti nella “guerra patriottica”, festeggiato il ristabilimento (per quanto ancora non totale) dell’integrità territoriale del paese e la “liberazione” dei territori – storicamente abitati da popolazioni armene – occupati per quasi 30 anni dalle forze di Erevan.

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Corpi spezzati e burocrazia: i soldati armeni dopo la guerra (Osservatorio Balcani e Caucaso 30.09.21)

“Nell’esercito, le domeniche erano solitamente belle giornate”, ricorda il diciannovenne Manvel Hakobyan con un sorriso. “Ci era concesso dormire un po’ di più del solito”.

Ma domenica 27 settembre 2020 è stata diversa da tutte quelle che Manvel aveva sperimentato. Sebbene lui e i suoi compagni si aspettavano qualche tipo di escalation, nessuno di loro avrebbe potuto prevedere la portata della guerra che sarebbe seguita.

Meno di una settimana dopo, Manvel veniva portato a Yerevan, con la schiena spezzata, con i medici che non sapevano se si sarebbe mai ripreso. Lui è uno tra le centinaia, se non migliaia, che hanno dovuto affrontare una riabilitazione lunga e difficile – riabilitazione che ora alcuni temono dover affrontare da soli.

Durante i quarantaquattro giorni della Seconda guerra del Nagorno Karabakh, 4000 soldati armeni sono stati uccisi e 11000 sono rimasti feriti. Zaruhi Manucharyan, portavoce del ministero del Lavoro e degli Affari Sociali, ha dichiarato a OC Media che dei feriti, 1267 hanno ottenuto lo stato di disabilità a partire dal giugno scorso. Di questi, 112 sono classificati come portatori delle disabilità più gravi e ricevono un risarcimento pari a quello dei familiari delle vittime della guerra.

Ci sono però anche numerosi casi di veterani feriti in guerra che sono stati esclusi dalle liste ufficiali del governo e, senza sostegno dello stato, non potranno permettersi alcuna cura.

Servizio militare

In Armenia i soldati appena arruolati, incluso Manvel, che aveva appena iniziato il secondo mese di servizio militare obbligatorio, non venivano normalmente mandati al fronte. A meno che non stesse accadendo qualcosa di imprevisto.

“Ci è stato detto che qualcosa stava per accadere. I soldati più esperti sono stati dispiegati ai confini per primi. A noi è stato ordinato di aspettare”, racconta Manvel a OC Media.

Manvel ha poi riferito che dopo è stato il caos: la sua unità militare a Madaghis è stata una delle prime ad essere colpita. “Io sono rimasto ferito il quinto giorno di guerra e il quarantaduesimo del mio servizio militare. È stato breve, ma mi è sembrato davvero lungo. Soprattutto negli ultimi cinque giorni”.

Manvel ne è uscito con una grave lesione al midollo spinale ed ha perso la capacità di camminare. “La strada per Yerevan è stata un incubo”, ricorda. “Il dolore non cessava mai”. Solo dopo sei mesi Manvel ha ricominciato a imparare a camminare. È tra i veterani in fase di riabilitazione nel Centro di riabilitazione del Protettorato della Patria dell’Armenia. Prima di arrivarvi è stato curato in vari altri ospedali.

“Ho passato mesi senza essere in grado di prendermi cura di me stesso. Riuscivo a malapena a muovere le mani e non riuscivo a compiere azioni basilari”, spiega Manvel.

Ora non solo si sta prendendo cura di se stesso ma sta anche imparando a suonare la chitarra e pianifica di tornare ad inseguire i sogni che aveva prima della guerra. Sta anche considerando di tornare in Russia, dove ha vissuto prima di compiere i 18 anni ed essere obbligato a trasferirsi in Armenia per svolgere il servizio militare.

Hasan Feroyan è un altro giovane arruolato tornato in Armenia per svolgere il servizio militare poco prima della guerra. Ha 23 anni e appartiene alla comunità yazida. Viveva in Germania da oltre nove anni.

“Mi sentivo come se avessi un obbligo nei confronti del paese delle mie origini” ha detto Hasan a OC Media. “Non ho mai pensato di evitare il servizio militare”.

Hasan ha affrontato la prospettiva del servizio con una certa preoccupazione poiché un suo parente, Kyaram Sloyan, era stato ucciso durante gli scontri nell’aprile 2016. Sloyan è stato una delle vittime più note dei combattimenti, con le immagini del suo corpo mutilato ampiamente diffuse online.

Hasan è stato ferito ad una gamba dall’esplosione di un razzo nella sera del 9 novembre 2020, poche ore prima dell’annuncio dell’accordo di pace tripartito che ha posto fine ai combattimenti. È stato l’unico tra i suoi commilitoni a sopravvivere all’esplosione.

Ci ha messo un mese a ricominciare a camminare con l’aiuto delle stampelle; ci vorranno anni prima che si riprenda completamente.

“Pensavo ai miei amici ogni giorno”, racconta Hasan dei suoi primi giorni in ospedale, mentre i medici gli dicevano che per salvargli la vita dovevano considerare la possibilità di amputargli la gamba.

La burocrazia di guerra

Alcuni di coloro che sono stati feriti in guerra denunciano di dover passare attraverso una burocrazia asfissiante per accedere ai fondi statali per le cure.

“Mi è stato detto di tornare all’unità militare di Martakert e portare un documento per dimostrare che avevo davvero combattuto lì” racconta Simon Hovhannisyan, soldato volontario durante la guerra, a OC Media. “Ma è difficile immaginare che un soldato ferito possa guidare per diverse centinaia di chilometri per richiedere un documento di un’unità militare che dopo la guerra potrebbe anche essere stata smantellata”.

Il governo ha promesso di fornire cure gratuite a chi è rimasto ferito durante i combattimenti e a coloro che sono diventati invalidi sono state promesse pensioni per il resto della loro vita.

Simon racconta però che il suo nome ora manca nella lista del ministero della Difesa e quindi non viene identificato come partecipante della guerra.

“Sono stato ferito a metà ottobre, ho avuto una commozione cerebrale e ho trascorso diversi giorni alla mia posizione militare aspettando un’ambulanza”.

Non è chiaro al momento quanti altri abbiano affrontato ostacoli simili a Simon e non abbiano potuto accedere a cure gratuite.

Quando la guerra è finita e i volontari e le riserve sono stati smobilitati, il fondo statale per le sue cure è stato sospeso, e Simon non è stato in grado di dimostrare di essere un veterano di guerra.

Ha raccontato che quando è entrato in contatto con le autorità statali, gli è stato risposto che si trattava di problemi tecnici, ma non gli è stata offerta alcuna soluzione.

Il trentaseienne Khachik Vardanyan è comparso sulla lista dei feriti del ministero della Difesa a causa della perdita di un occhio, della perdita dell’udito e un grave trauma agli organi interni.

Khachik è un prete e partì per il Nagorno Karabakh poco dopo lo scoppio della guerra senza arruolarsi ufficialmente come volontario.

“È stata colpa nostra non registrarci come volontari”, racconta ora a OC Media. “Insieme ad alcuni preti siamo saliti in macchina diretti a Artsakh (Nagorno Karabakh) senza avere un piano”.

Dopo essere stato ferito, Khachik è stato portato in un ospedale in Armenia, dove ha trascorso mesi ricevendo cure. Alla fine è stato trasferito al Centro di riabilitazione della Croce Rossa armena.

Dopo essere stato smobilitato, Khachik non ha più ottenuto alcun sostegno statale per le cure mediche, e ha continuato a pagare attraverso la sua assicurazione sanitaria privata. Ora non sa se in futuro potrà permettersi ulteriori interventi chirurgici.

“Casa tua non è più tua”

Al di là delle lesioni fisiche, chi ha attraversato la guerra ha spesso sperimentano problemi psicologici continui e gravi; molti sono quelli che soffrono di disturbo da stress post-traumatico (PTSD).

Gli psicologi hanno tentato di intervenire sui danni psicologici causati dalla guerra fin dal primo giorno, ma la vastità del conflitto e il numero di vittime hanno reso il loro compito quasi impossibile.

“Una volta ho avuto un flashback, e ho perso la capacità di riconoscere dove mi trovavo, sentivo il rumore di bombardamenti e esplosioni”, ricorda Manvel. Ha aggiunto che, per lungo tempo, ogni voce rumorosa che sentiva la associava immediatamente alla guerra.

Sargis Harutyunyan, 20 anni, originario del Martakert (Aghdara), regione del Nagorno Karabakh, stava per finire il servizio militare quando la guerra è scoppiata e in poco tempo è stato gravemente ferito.

“L’ambulanza si è rotta tre volte prima di arrivare all’ospedale Stepanakert”, dice, ricordando i continui bombardamenti lungo il percorso. “Per tutto il tempo, i medici stavano provando a tenermi sveglio perché se avessi perso conoscenza avrei potuto non svegliarmi più”.

Sargis ha affermato che, nonostante il legame emotivo con la sua città natale, difficilmente riesce ad immaginare di tornare in Nagorno Karabakh a fine riabilitazione.

Ma anche se non riesce a immaginare di tornare a Martakert, i suoi pensieri sulla sua permanenza in Armenia gli causano ancora più dolore. “Se decido di vivere in Armenia, allora sicuramente tornerò in Artsakh”, dice Sargis a OC Media. “È difficile, però. Puoi pensare di essere tornato a casa, ma in realtà sembrerà sempre che non sia più tua”.

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