“Lecco racconta l’Armenia. Un’amicizia che continua”, dal 24 una serie di eventi (Lecconotizie 17.09.21)

Riscoprire e approfondire un popolo ricco di storia, tradizioni e cultura

Sabato 25 sono alle 10.30 nel cortile di Palazzo Bovara si terrà l’inaugurazione della mostra

LECCO – E’ stato presentato nella giornata di ieri, giovedì, l’evento “Lecco racconta l’Armenia. Un’amicizia che continua”, evento organizzato da Amici Lecco-Vanadzor Italia-Armenia, Casa Armeno Hay Dun e Unione Armeni d’Italia, in collaborazione con il Comune di Lecco e la Provincia di Lecco.

Alla conferenza stampa di presentazione degli eventi sono intervenuti Simona Piazza,
assessore alla Cultura del Comune di Lecco; Sergio Fenaroli, Presidente dell’associazione
Amici Lecco-Vanadzor Italia-Armenia; Marina Ghislanzoni dell’Ufficio scolastico
territoriale Lecco; Maria Grazia Nasazzi, Presidente Fondazione Comunitaria Lecchese e Lucia Panzeri, ex insegnante.

“Un’amicizia solida e concreta, quella instaurata più di 30 anni fa con la comunità armena
– racconta Simona Piazza, assessore alla Cultura del Comune di Lecco – che con questa
iniziativa si declina in una serie di eventi organizzati sul nostro territorio per riscoprire e
approfondire un popolo ricco di storia, tradizioni e cultura. Un fine settimana in cui
conoscere in profondità non solo le usanze di questo paese, l’Armenia, ma anche la
situazione socio-politica che stanno vivendo, che con la nostra città ha stretto un legame
importante”.

Gli eventi, in programma da venerdì 24 a lunedì 27 settembre, si svilupperanno in
modalità e luoghi diversi. La prima conferenza, venerdì 24 alle 20.45 a Palazzo delle Paure, tratterà il tema del futuro dell’Armenia in un dialogo fra Gigi Riva, giornalista, e il professor Aldo Ferrari, docente e storico. Nella seconda giornata di sabato 25 sono previsti tre appuntamenti: alle 10.30 nel cortile di Palazzo Bovara si terrà l’inaugurazione della mostra “Lecco racconta l’Armenia. Un’amicizia che continua” (la mostra è visitabile a
partire da sabato 18 settembre negli orari di apertura del Comune); alle 12.30 al ristorante Giardino è organizzata una degustazione di piatti della cucina armena; alle 18.30 presso la chiesa di Santa Marta si terrà una funzione religiosa armena apostolica officiata da Padre
Tìrayr Hakobyan. Domenica 26 c’è spazio anche per i più piccoli: alle 10 a Palazzo delle Paure verranno allestiti laboratori per bambini a tema armeno con Tommaso Pusant
Pagliarini; alle 18 alla Scuola Civica di Musica di Villa Gomez è in programma un concerto di musica armena dal titolo “Suoni dall’Ararat”, con il pianista Ani Martirosyan. Lunedì 27 alle 20.45 una conferenza in sala Ticozzi, moderata dal giornalista Luigi Geninazzi, chiuderà la manifestazione raccontando ruoli, storie e impegni di solidarietà contro il
‘genocidio infinito’ degli armeni e del loro patrimonio culturale tramite gli interventi di
Pietro Kuciukian, console onorario della Repubblica di Armenia in Italia e Gaianè Casnati, Council Member di Europa Nostra.

Tutti gli eventi saranno soggetti alle norme vigenti anti Covid-19 e la prenotazione è obbligatoria: per maggiori informazioni è possibile contattare il numero 335 7421775.

IL PROGRAMMA DELL’EVENTO

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LECCO RACCONTA L’ARMENIA, UN’AMICIZIA CHE CONTINUA (Leccofm)

 

Strade d’Armenia/3. Alla scoperta di Erevan e del fascino spirituale della capitale (Barbadillo 12.09.21)

Erevan – Ci avviciniamo a Erevan, capitale dell’Armenia, dove si concluderà il nostro viaggio lungo questa terra ricca di fascino e carica di spiritualità. Venire in Armenia, infatti, significa lasciarsi lentamente conquistare dalla sua energia perché tutto ciò che ti circonda ti racconta di storia, ti comunica di fede, ti parla di una vita semplice che scorre dentro famiglie ancora unite e allargate, quasi patriarcali dove l’armonia dei ruoli più che scandita si direbbe che scorre attraverso la gratuità di un amore vivo e palpabile, da marito a moglie, da figlio a padre, da nonno a nipote, da madre a figli, da fratello a sorella.

Il monastero di Geghard

Lungo la strada che porta a Erevan si trovano due posti di ammirevole fascino. Il primo è l’antichissimo monastero di Geghard, in parte scavato nella roccia e immerso in una natura incantevole che ha offerto ai monaci anche la possibilità di ritirarsi in grotte naturali per il raccoglimento ascetico. Anche questo monastero ha dovuto subire l’orda devastatrice delle varie dominazioni ma oggi si presenta ancora in piedi con un’architettura ricca di elementi decorativi di grande pregio, fra cui segnaliamo un bassorilievo spettacolare dove vengono rappresentati due leoni legati che sormontano un’aquila adunghiante con gli artigli un agnello. Il secondo posto è ancora più arcaico, risale ai tempi dell’Armenia pagana e ci fa sentire anche un po’ nella Roma antica, o meglio, nell’estrema periferia orientale dell’Impero romano.

Garni

Stiamo parlando del tempio di Garni, ovvero il tempio pagano più a est del mondo. Conservato benissimo, questo edificio colpisce subito l’occhio per la sua pietra in basalto nero, praticamente da brividi!

Siamo a Erevan, la “città rosa” per il colore dei suoi palazzi in tufo tipico, città antichissima anche se conserva poco della sua storia perché i sovietici praticamente la ricostruirono per intero. Città dinamica e vivace con il suo milione di abitanti, i locali sempre aperti e i tanti cantieri a lavoro. Il centro della città è un vero e proprio capolavoro di urbanistica dell’architetto Tamanyan che è riuscito a dare armonia e a unire in maniera equilibrata lo stile identitario armeno con le esigenze della cultura sovietica del tempo. Questa città, infatti, risulta piacevolmente molto originale rispetto a tanti altri centri caratterizzati da un’architettura molto rigida, squadrata e funzionale tipica dell’epoca sovietica. In centro è molto facile da visitare per la sua pianta circolare, dove sono distribuiti molti parchi verdi e tante fontane artistiche in cui giocano tanti bambini e trovano rinfresco le famiglie.

Le cascate

La “fontana” più famosa è certamente il complesso delle “Cascate”, una scalinata monumentale dove a ogni piano scorre acqua su più fontane artistiche e al cui interno ospita una vera e propria galleria d’arte moderna. Probabilmente lo spettacolo di questo monumento lo rende il posto più iconico di questa città benché i lavori non siano ancora terminati. Manca infatti l’ultimo piano che congiungerà alla sovrastante collina e al Parco della Vittoria, dove si trova l’imponente statua della Grande Madre Armenia al cui interno è ospitato un museo sulla Seconda Guerra Mondiale e sulla Prima Guerra per l’Artsakh. Questo vero e proprio “altare della Patria” è un imponente monumento mozzafiato che vuole celebrare la pace e l’indipendenza raggiunta con la forza dopo secoli di dominazioni straniere, ma rappresenta anche un tributo a tutte le donne armene che hanno sempre assunto un ruolo protagonista nella storia di questo Paese e nelle lotte per la sua libertà.

L’Armenia, benché sia una civiltà millenaria, ha da sempre dovuto subire i flussi delle dominazioni straniere che hanno percorso in maniera turbolenta questa terra di frontiera fra Oriente e Occidente. Nonostante ciò, la cultura e l’identità armena non si è mai lasciata assorbire ed è sempre sopravvissuta in maniera monolitica, un miracolo probabilmente dovuto a due fattori determinanti. Il primo è la lingua armena, con il suo particolare alfabeto, creata dal monaco Mesrop Mashtots all’inizio del V secolo. Questa straordinaria operazione linguistica consentì al popolo armeno di dotarsi di una propria letteratura e di acquisire una propria coscienza nazionale che pian piano la distingueva dalle altre popolazioni caucasiche, persiane e anatoliche, consentendone la difesa dall’assimilazione come avvenuto per altri popoli ormai scomparsi. Inutile dire che gli armeni sono innamorati della loro lingua alla quale hanno addirittura dedicato un parco monumentale con le lettere del suo alfabeto ma soprattutto il museo del Matenadaran, ovvero il tempio della lingua armena. Qui vengono conservati oltre ventimila manoscritti in armeno (e non solo), molti dei quali antichissimi e in ottimo stato di conservazione. Visitare questo posto significa immergersi in un mistico viaggio fra pergamene ricche di immagini, di arte, di letteratura, di scienze, di storie che raccontano silenziosamente la storia di un popolo che da sempre ha una grande sensibilità culturale. 

Quando si parla di Armenia automaticamente si pensa anche al Cristianesimo, ed è questo il secondo elemento che ha contributo all’Armenia di preservare la sua identità e la sua sopravvivenza, nonostante questa fedeltà sia stata pagata spesso con il martirio. Due dei simboli di questo straordinario rapporto fra il popolo armeno, il primo nella storia ad abbracciare il Cristianesimo, e la sua fede ancora viva e profonda si trovano alle porte della città di Erevan. Il primo è Echmiadzin, la città più sacra di tutta l’Armenia perché qui si trova la sede del Catholicos, ovvero il capo della Chiesa Apostolica d’Armenia. Insomma, una sorta di piccolo Vaticano armeno, cuore e propaggine in tutto il mondo della fede armena ricca di sacerdoti molto attenti alla Verità rivelata ma soprattutto persone cariche di sensibilità e simpatia. Le intense chiacchierate con questi uomini di Dio, che hanno anche una visione geopolitica e culturale lungimirante, sono uno dei ricordi più intensi di questo viaggio.

Zvartnots

Il secondo posto che rappresenta iconicamente il rapporto fra Armenia e Cristianesimo, sono i resti della cattedrale di Zvartnots, luogo capace di coinvolgere emotivamente e spiritualmente mentre si attraversano le volte delle colonne riccamente decorate. Anche questo sito è patrimonio dell’Unesco ed è così carico di storia che consigliamo una visita guidata per poterne apprezzare pienamente il valore storico e culturale. 

Altri posti in Erevan che meritano di essere menzionati sono certamente la cappella di San Katoghike, ovvero la chiesa più antica sopravvissuta alla furia sovietica; la tomba di Sant’Anania, carica di devozione popolare; la Galleria Nazionale, nella centralissima e bellissima piazza della Repubblica, un museo che racconta tutta la millenaria storia di questa civiltà; la moschea blu, testimonianza del dominio persiano; l’Opera, cuore artistico della città; il Vernissage, ovvero il mercato dove poter apprezzare l’artigianato locale; la fortezza di Erebuni, per apprezzare quanto antica sia questa città; e in ultimo il Tsitsernakaberd, ovvero il monumento ai martiri del genocidio armeno. Quest’ultima è una tappa fondamentale se si vuole davvero vivere questa straordinaria terra che in sé patisce ancora il dolore di quella tragedia vissuta fra il 1915 e il 1918, e che ha portato allo sterminio di circa un milione e mezzo di armeni in quel progetto folle di pulizia etnica portato avanti dall’Impero ottomano. Una storia e una memoria, purtroppo, ancora da riconoscere in diverse parti del mondo, soprattutto in Turchia.

Siamo arrivati alla conclusione di questa esperienza ricca di emozioni e vogliamo pensare a tre costanti che abbiamo incontrato lungo le strade interne o principali percorse e che possono essere assunte in maniera significativa sia per il viaggiatore, sia per il popolo armeno stesso. La prima è la presenza di numerose fontane, simbolo di fertilità e di vita, simbolo di speranza nonostante le tante difficoltà che ancora questa terra attraversa. Un ragazzo in questi giorni ci ha detto che l’Armenia non è come le altre nazioni perché sempre deve combattere per la sua sopravvivenza e purtroppo anche le recenti cronache di guerra in Artsakh (regione dove ogni pietra parla armeno ma che lo scorso autunno è stata occupata quasi per intero dell’esercito azero) confermano questa tragica realtà che però non soffoca le speranze di pace degli armeni. La seconda sono i Khachkar (croci di pietra) distribuiti in ogni angolo, a ricordare l’orgoglio della propria identità che non può essere mai tradita poiché rappresenta l’unica vera forza per rispondere a ogni sfida. Infine, un’immagine che ci portiamo in maniera indelebile, sono le famiglie che ci hanno accolto con grande calore e ospitalità durante questo viaggio. Finché c’è famiglia c’è patrimonio, c’è comunità, c’è futuro, c’è speranza, c’è… Armenia!

La prima puntata del reportage Sulle strade d’Armenia/1 

La seconda puntata del reportage Sulle strade d’Armenia/2

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ARMENIA: Nuovi confini, nuovi problemi (Eastjournal 16.09.21)

La sicurezza dei confini con Azerbaigian e Turchia è sempre stata una questione all’ordine del giorno per l’Armenia. La sconfitta di Erevan nella seconda guerra in Nagorno-Karabakh nell’autunno 2020, e la conseguente perdita di territori, non hanno solamente aperto nuove problematiche, ma anche nuovi scenari, impensabili prima del conflitto di un anno fa.

Azerbaigian, il nuovo confine

La vittoria nella guerra del 2020 ha permesso a Baku di riprendere il controllo del confine internazionalmente riconosciuto tra Armenia e Azerbaigian. Per trent’anni Erevan ha infatti mantenuto il controllo de facto di ampie porzioni di territorio azero e, nel corso del tempo, i centri abitati e le infrastrutture armene si sono sviluppati in base alla realtà sul campo, non quella riconosciuta a livello internazionale.

La delicatezza della nuova situazione è emersa ripetutamente dopo la fine del confine. Negli ultimi mesi di agosto, in particolare, truppe azere hanno bloccato per quarantotto ore un tratto della strada M2 tra Goris e Kapan. La M2 è un’arteria di fondamentale importanza, visto che collega Erevan al sud dell’Armenia e al confine con l’Iran; ma, proprio nel punto in questione, la strada passa in quel territorio che ora è sotto il controllo di Baku. La questione è tornata agli onori delle cronache il 10 settembre, quando Baku ha installato dei check point nello stesso tratto di strada per monitorare (e tassare) il passaggio di camion e merci iraniane verso l’area del Nagorno-Karabakh rimasta sotto il controllo armeno.

Per questi motivi, negli ultimi mesi il governo armeno ha investito nella sistemazione di una strada che passa più ad ovest, lontano dal confine. Si tratta di un’opera di primaria importanza per l’Armenia, paese senza sbocco sul mare per cui i collegamenti con Georgia e Iran costituiscono l’unica via di accesso al commercio internazionale.

La questione della strada potrebbe risolversi in maniera relativamente semplice. Tuttavia, solo una demarcazione del confine con l’Azerbaigian renderà forse possibile risolvere le tante problematiche emerse nei mesi dopo la fine del conflitto, in cui tanti soldati e civili sono caduti prigionieri o vittime negli scontri tra le due parti.

Il fronte turco, novità all’orizzonte?

Se la guerra dello scorso anno ha esacerbato ulteriormente le relazioni tra Erevan e Baku, parallelamente ha riaperto la possibilità di una parziale riconciliazione tra l’Armenia e il suo vicino occidentale, la Turchia. Ankara nel 1991 fu tra i primi paesi a riconoscere la nuova Armenia emersa dal crollo dell’Unione sovietica, ma le relazioni tra i due paesi non decollarono. Già nel 1993, il confine venne unilateralmente chiuso da parte turca in risposta all’occupazione armena di diversi distretti dell’Azerbaigian (alleato storico della Turchia). Le relazioni non vennero mai ristabilite e la frontiera rimane conseguentemente chiusa da allora.

Lo scorso 27 agosto il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan ha però dichiarato in una seduta di governo: “Stiamo ricevendo segnali positivi dalla Turchia. Valuteremo quei segnali, risponderemo ai segnali positivi con un segnale positivo”. In risposta, due giorni dopo, il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan si è detto anch’egli possibilista: “Possiamo lavorare per normalizzare gradualmente le nostre relazioni con un governo armeno che si è dichiarato pronto a muoversi in questa direzione”.

Non è la prima volta che Ankara e Erevan lanciano segnali distensivi. In particolare, nel 2009 le due parti erano arrivate a firmare una serie di protocolli per la normalizzazione delle relazioni che però non vennero mai ratificati. Tali documenti costituiscono ancora la base legale per velocizzare una eventuale distensione

A rendere potenzialmente realistico tale scenario è il fatto che la premessa che aveva causato la rottura delle relazioni nel 1993, l’occupazione di parte del teritorio azero da parte armena è venuta meno per effetto del conflitto dello scorso anno. Rimane però difficile prevedere una svolta tanto radicale dopo un trentennio di tensioni.

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Perché il nuovo dialogo tra Turchia e Armenia può irritare Mosca (Formiche.it 16.09.21)

Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan si è detto pronto per la riconciliazione con Ankara “senza precondizioni”, Erdoğan apre ad una graduale normalizzazione. In ballo la rete di relazioni caucasiche in continua evoluzione dopo le crisi siriane e afgane

Riconciliazione fra Turchia e Armenia in chiave geopolitica e caucasica: non c’è ancora una fase del tutto nuova tra i due paesi, zavorrati da anni di incomprensioni e negazionismo storico legato al genocidio, ma si registrano piccoli segnali che potrebbero rappresentare l’anticamera di una normalizzazione diplomatica e commerciale. Lo dimostrano le parole dei due leader, Nikol Pashinyan e Recep Tayyip Erdoğan che hanno messo da parte sciabola e fioretto per concentrarsi su un altro tipo di glossario. Uno scenario che, se confermato nei prossimi mesi da ulteriori elementi, porterebbe in pancia una scomposizione dello scacchiere caucasico, con qualche mal di pancia in seno al Cremlino.

IPSE DIXIT

Pashinyan si è detto pronto per la riconciliazione con Ankara “senza precondizioni”. Erdoğan ha replicato aprendo ad una graduale normalizzazione. “Tornando all’agenda di stabilire la pace nella regione, devo dire che abbiamo ricevuto alcuni segnali pubblici positivi dalla Turchia – ha detto il primo ministro – . Valuteremo questi segnali e risponderemo ai segnali positivi con segnali positivi”. Il presidente turco ha aggiunto che Ankara potrebbe lavorare verso una graduale normalizzazione se Yerevan “dichiarasse la propria disponibilità a muoversi in questa direzione”. Il messaggio in bottiglia, doppio, è stato lanciato, ora occorrerà attendere le reazioni russe.

TRE FATTORI

Oltre alla politica, ci sono stati anche altri punti di contatto. In primis la decisione armena di consentire a Turkish Airlines di volare a Baku direttamente sull’Armenia, un passaggio niente affatto scontato. In secondo luogo la partita legata al confine dei due Paesi, chiuso dall’inizio degli anni ’90 a causa del conflitto del Nagorno-Karabakh. Si tratta di circa 300 chilometri che interessano le regioni armene di Shirak, Aragatsotn, Armavir e Ararat, quindi con “vista” sulla regione del Caucaso meridionale. Una prospettiva economicamente interessante per Yerevan, dal momento che sarebbe il trampolino di lancio per un nuovo mercato anche in ottica di riduzione dalla dipendenza russa. In terzo luogo il potenziale riavvicinamento tra Armenia e Turchia potrebbe avere riverberi precisi sulla geopolitica del Caucaso meridionale. L’apertura del confine permetterebbe alla Turchia di avere un miglior collegamento con l’Azerbaigian.

QUI BAKU

Il ruolo dell’Azerbaigian sarà fondamentale in questo processo diplomatico e andranno valutati con attenzione tutti i passi che il governo di Baku programmerà. Non va sottaciuto che il sostegno turco a Baku nella guerra in Nagorno-Karabakh dello scorso anno è stato decisivo, vista la densità dello stesso (mezzi, strumenti, uomini) anche se poi Ankara è rimasta fuori dal successivo processo diplomatico a tutto vantaggio di Mosca. L’unica concessione fatta a Erdogan è stata la minima presenza di droni turchi impegnati in operazioni di controllo del territorio azero.

Se da un lato è pur vero che l’Azerbaigian potrebbe essere tentato dal bloccare nuovamente i colloqui armeno-turchi, dall’altro Baku farebbe un errore a ignorare le influenze che la Turchia ha nell’intera macro area. Anche sul riconoscimento del Nagorno-Karabakh come territorio azero, Erdogan e Pashinyan si sono scambiati segnali positivi.

QUI CAUCASO

Appare evidente come la rete di relazioni in ballo non sia di secondaria importanza. Lo dimostra l’interesse della Turchia per la cosiddetta piattaforma “3+3″, l’organismo regionale composto dagli stati del Caucaso meridionale e dai loro vicini ovvero Armenia, Azerbaigian e Georgia, più Iran, Russia, e Turchia. Per cui la leva maggiore sarà azionata verosimilmente dalla Russia. Giorni fa il ministro degli Esteri Sergey Lavrov ha dichiarato che “sarebbe logico se l’Armenia e la Turchia riprendessero gli sforzi per normalizzare relazioni.”

Ma al contempo se così fosse Yerevan assumerebbe uno status più indipendente da Mosca rispetto al recente passato. Di contro Erdogan, consapevole del ruolo avuto dalla Russia ieri in Siria e oggi in Afghanistan, sta lavorando ai fianchi del gigante ex sovietico, con l’obiettivo di dare un segnale. La Turchia infatti soffre il fatto di sentirsi isolata dalla Russia nel Caucaso del dopoguerra e quindi prova strade alternative (come il dialogo con l’Armenia) per raccoglierne i frutti domani.

@FDepalo

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Nagorno-Karabakh, l’altra guerra perdutissima che sbagliamo a ignorare (Tempi.it 15.09.21)

C’è un silenzioso Afghanistan che non interessa a nessuno. Si chiama Nagorno-Karabakh, o Artsakh (dicono gli armeni che lo abitano o soprattutto abitavano). Io, da molokano del lago di Sevan, sono di parte, essendo stato accolto e rifocillato e tenuto vivo nella libertà e nella mia fede da questo popolo di una terra di pietre (così la descrisse Vasilij Grossman). Ho la mia preferenza e mentre sono sicuro che Tempi vi offrirà in questo numero molte e sacrosante riflessioni e proposte su Kabul e talebani, oltre che strategie e tattiche presenti e future, mi scuserete se mi attardo dalle parti del mio Caucaso.
Quella di Kabul è in realtà la stessa guerra perduta, perdutissima e assai più vicina all’Europa che si è giocata e si gioca ancora da queste parti del mondo, con il sultano Erdogan che punta a sottomettere o meglio cacciar via l’antico popolo cristiano che i suoi predecessori ottomani e giovani turchi volevano annientare con un genocidio da un milione e mezzo di morti che…

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Pace e rispetto dei diritti in Nagorno-Karabakh (Riforma 14.09.21)

Al suo ritorno dall’Armenia, il vescovo Hovakim Manukyan, primate della Chiesa armena del Regno Unito e dell’Irlanda, parla del conflitto in Nagorno-Karabakh (Artsakh), delle sfide affrontate dai cittadini armeni e delle lotte delle Chiese per la ricerca di una pace duratura, giustizia e rispetto dei diritti umani nella regione. Manukyan è membro del consiglio di amministrazione della Conferenza di Chiese europee (Kek).

Poiché le ricadute del conflitto pesano sulle spalle degli abitanti dei villaggi armeni, «dobbiamo pregare e dobbiamo parlarne di più», afferma il vescovo Hovakim Manukyan.

Quando Manukyan ha visitato i piccoli villaggi lungo il confine armeno nella regione di Syunik, ha visto in prima persona come il conflitto più recente nel Nagorno-Karabakh (Artsakh) stia pesando pesantemente sulle persone che stanno semplicemente cercando di guadagnarsi da vivere nella loro terra.

La regione del Nagorno-Karabakh è oggetto di una disputa irrisolta dal 1988, con un conflitto che coinvolge l’Azerbaijan e la maggioranza etnica armena, sostenuta dalla vicina Armenia.

«Quello che ho visto è stata incertezza», ha detto, «e anche grande dolore perché le persone sono disperate. Hanno perso la terra dove stavano allevando il loro bestiame, il loro unico mezzo di sopravvivenza». La loro situazione non è causata solo dagli intensi combattimenti nel novembre 2020, ma anche dall’invasione dell’Azerbaijan nella loro terra nel maggio 2021.

Mentre parlava con gli abitanti del villaggio, questi gli hanno riferito che la sicurezza è debole nella migliore delle ipotesi, anche se si suppone che le forze di pace siano sul posto. «I soldati azeri rapiscono bestiame e pastori. È una situazione instabile e c’è una profonda povertà».

Con profondi legami con la terra, gli abitanti del villaggio dipendono anche dal flusso dei fiumi vicini, ma all’improvviso scoprono che i canali vengono modificati. «L’acqua è una materia essenziale e vivificante».

In mezzo a queste profonde preoccupazioni legate alla terra e all’acqua, gli abitanti dei villaggi armeni sono addolorati per i propri cari perduti e reclusi. «Ci sono ancora molti prigionieri di guerra che non sono stati rilasciati».

Manukyan crede che il tempo stia per scadere per migliorare la situazione. «Se non forniamo un qualche tipo di aiuto, fuggiranno dalle loro case e avremo un’altra ondata di rifugiati».

C’è una crescente campagna di propaganda in Azerbaijan contro l’Armenia, che comporta la riscrittura della storia e la distruzione su larga scala del patrimonio architettonico.

Dopo sei settimane di intensi combattimenti per il Nagorno-Karabakh (Artsakh) sospesi da un accordo annunciato nel novembre 2020 tra i leader di Azerbaijan, Armenia e Russia, Manukyan si è unito ad altri leader religiosi di tutto il mondo nel chiedere una pace duratura fondata sulla giustizia e sull’umanità  di diritti per la popolazione del Nagorno-Karabakh (Artsakh) e della regione in generale.

I leader religiosi hanno chiesto la protezione dei monumenti religiosi e culturali. Come membro del Comitato per la Protezione del Patrimonio Religioso e Culturale dell’Artsakh della Madre Sede di Holy Etchmiadzin, Armenia, Manukyan è stato costernato dalla profanazione di monumenti, specialmente nelle aree di nuovo sotto il controllo dell’Azerbaijan.

«Ci sono molti esempi di distruzione di chiese che sono stati documentati, ma molti altri no», ha commentato.

Quest’anno ricorre il 106° anniversario del genocidio armeno, perpetrato dall’Impero ottomano dal 1915 al 1923, che causò la morte di 1,5 milioni di armeni. Mentre quella tragedia viene sempre più riconosciuta ufficialmente da molte autorità mondiali, ciò non placa la paura in corso di un nuovo genocidio.

Manukyan nutre profonda preoccupazione per i numerosi armeni in tutto il mondo che devono osservare da lontano mentre la loro patria viene profanata e la gente vive nella paura. «Mentre viaggiavo, c’erano persone che venivano con me, ma a cui è stato negato il diritto di visitare le chiese storiche perché non avevano un passaporto armeno. Questo è un problema», ha aggiunto Manukyan. «Vogliono andare a sostenere gli armeni locali e pregare nelle chiese. Questa è la loro patria. È un corpo unico anche se viviamo in paesi diversi. E la Chiesa è una Chiesa».

Cosa possiamo fare? «Prima di tutto, le chiese devono pregare», ha concluso. «E, a livello internazionale, dobbiamo parlare di più di questo e aumentare la consapevolezza e l’informazione accurata. Ovunque tu sia, solleva la questione con il tuo governo».

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L’amore di una madre: esempio e tesoro di tutti (Avvenire 11.09.21)

Nel 1988, una ventina di giorni dopo il devastante terremoto in Armenia che avrebbe contato quasi trentamila vittime, fu estratto dalle macerie il corpo di una giovane donna abbracciata al suo bambino, un neonato ancora miracolosamente vivo. La madre, finito il latte, l’aveva aveva nutrito per giorni e giorni con il suo sangue, che faceva uscire dal suo corpo autoinfliggendosi morsi feroci alle mani e alle braccia. Fino a sfinirsi. Fino alla fine. Madre Teresa di Calcutta, le cui suore erano accorse in Armenia per dare una mano, raccontava spesso questo straziante episodio, per lei simbolico dell’eroismo e del senso della maternità.
Se c’è un’immagine capace di condensare l’essenza dell’amore è proprio quella di una donna con in braccio il suo bambino. Perché è l’icona insuperabile dell’amore assoluto, incondizionato, insuperabile e indivisibile di cui soltanto una madre, e nessun altro, è capace. Un amore istintivo, primitivo, che è viscerale prima che di cuore o di cervello, impossibile da sopprimere. E sì, certo, anche i padri amano i figli, e anche i nonni i nipoti, ma l’amore di una madre è diverso. Mi diceva una volta una dottoressa, impegnata in un reparto di malati destinati inevitabilmente a morire, ma ancora bisognosi di molta cura, che nella sua già lunga carriera aveva visto “scappare” da quella cruda, inesorabile realtà «mogli, mariti, figli, padri, ma mai una madre».
Così è l’amore di Dio, invincibile e assoluto, come Papa Francesco ci ha voluto ancora una volta ricordare qualche giorno fa nel breve discorso rivolto alla “Arché”. Un nome, ha detto, «che richiama l’origine, il principio, e noi sappiamo che in principio c’è l’Amore, l’amore di Dio. Tutto ciò che è vita, tutto ciò che è bello, buono e vero viene da lì, da Dio che è amore, come dal cuore e dal grembo di una madre viene la vita umana, e come dal cuore e dal grembo di una Madre è venuto Gesù, che è l’Amore fattosi carne, fattosi uomo».
E allora, ha proseguito, «in questa logica, in principio ci sono i volti: per voi sono i volti di quelle mamme e di quei bambini che avete accolto e aiutato a liberarsi dai lacci della violenza, del maltrattamento. Anche donne migranti che portano nella loro carne esperienze drammatiche. Le vostre comunità accoglienti sono un segno di speranza prima di tutto per loro, per queste donne e per i loro figli. Ma lo sono anche per voi stessi che condividete la vita con loro; e per i volontari, i giovani, le giovani, le giovani coppie che in queste comunità fanno esperienza di servizio non solo per i poveri – cosa molto buona – ma più buono è con i poveri».
Del resto, ha detto ancora Bergoglio, «la Mamma col Bambino è un’icona tanto familiare per noi cristiani. Per voi non è rimasta solo un bel quadretto: l’avete tradotta in un’esperienza concreta, fatta di storie e di volti concreti. Questo significa certamente problemi, difficoltà, fatiche… Ma significa nello stesso tempo gioia, gioia di vedere che la condivisione apre strade di libertà, di rinascita, di dignità. Per questo vi ringrazio, cari fratelli e sorelle, e vi benedico perché possiate andare avanti finché il Signore vorrà». In questa epoca che viviamo, così tragicamente piena di violenza sulle donne e sui bambini, facciamo tutti tesoro di queste parole di Francesco. Farsi carico, ciascuno nel proprio piccolo mondo, di proteggere una madre col suo piccolo in braccio, è dovere di tutti. Non si può voltare la testa dall’altra parte.

Armenia, luoghi sacri e identità (Nav.it 10.06.21)

Roma (NEV), 10 settembre 2021 – Un vertice ecumenico in Armenia per la salvaguardia delle chiese e dei santuari, del patrimonio religioso, storico e culturale come luogo identitario per la popolazione e i credenti.

All’incontro in corso in questi giorni presso la Cattedrale e Santa Sede di Etchmiadzin partecipano vari esponenti protestanti, tra i quali Jim Winkler, presidente del Consiglio nazionale delle chiese di Cristo negli USA (NCCCUSA) e il segretario generale ad interim del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC), padre Ioan Sauca. “Siamo nella terra che fu proclamata il primo stato cristiano nella storia dell’umanità. Tuttavia, siamo riuniti nel contesto dell’ennesima tragedia nella vita della gente di questa terra, il popolo armeno”, ha dichiarato Sauca, come si legge in una nota pubblicata sul sito del CEC. Un popolo che “nel corso della storia, ha pagato un prezzo molto alto per la conservazione della propria fede cristiana. Quella storia è scritta oggi in migliaia di chiese e santuari”. Di qui la necessità di tutelare questo patrimonio artistico e culturale che è anche una preziosa testimonianza del passato, della memoria.

“L’impegno per la libertà di religione o credo come diritto umano fondamentale e il suo stretto legame con la promozione e l’assicurazione della pace tra nazioni e comunità fanno parte del DNA del movimento ecumenico”, ha aggiunto Sauca.

“Proteggendo gli spazi fisici utilizzati per il culto, proteggiamo i fedeli. Il significato dei siti del patrimonio religioso per le persone e le comunità, per la realizzazione pratica della libertà di religione e di credo e per la promozione e la protezione della pace è sempre più riconosciuto. Come persone di fede, le nostre identità umane sono davvero strettamente legate ai nostri luoghi santi e luoghi di culto. Questo è qualcosa che abbiamo in comune, nelle diverse fedi. Dobbiamo sforzarci di diventare vicini in pace, rispettando e proteggendo le case degli altri. Il popolo armeno ha mostrato nella storia il suo impegno per la giustizia, la pace, il dialogo e il rispetto reciproco nonostante le circostanze e le sfide. Credo che sia attraverso questi valori che le persone di questa terra continueranno a testimoniare la loro fede”, ha concluso il leader della CEC.

Winkler e Sauca, dopo il summit in Armenia, saranno tra l’altro nei prossimi giorni in Italia, a Bologna, per partecipare al Forum interreligioso del G20.

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Due anni di Mkhitaryan: domenica il Sassuolo, contro cui esordì con gol (Ilromanista 10.09.21)

Era il 15 settembre 2019: Henrikh Mkhitaryan debuttava in maglia giallorossa nella partita casalinga contro il Sassuolo. Arrivato nella Capitale da poco più di dieci giorni, gli bastavano ventidue minuti per bagnare l’esordio con un gol: verticalizzazione di Pellegrini per lo scatto dell’armeno, che batteva Consigli con una rasoiata di sinistro sotto la Curva Nord per il 3-0 della Roma. A distanza di due anni più o meno esatti, di nuovo alla terza giornata (come allora), l‘armeno ritrova la squadra neroverde, quella che certamente gli evoca i ricordi più dolci, se non altro per quanto riguarda la sua avventura romanista. C’erano i tifosi quel giorno e ci saranno anche domenica, a spingere Micki e compagni verso quella che sarebbe la quinta vittoria di fila sotto la gestione Mourinho.

A proposito dello “Special One”: dopo l’annuncio del suo ingaggio da parte della Roma, in tanti avevano ipotizzato l’addio di Micki, in virtù di un rapporto non idilliaco ai tempi del Manchester United. Nulla però di così serio da impedire un bis: anche perché il portoghese, come ogni tecnico, necessita di calciatori esperti, abituati a palcoscenici internazionali e – soprattutto – dotati di talento. Proprio il profilo di Henrikh, che ha deciso di rinnovare per un’altra stagione, diventando così uno dei veterani di una squadra giovane, con pochissimi elementi al di sopra dei trent’anni. Il numero 77 è uno di questi, anche se a vederlo correre in campo non si direbbe. Sempre titolare nelle prime quattro partite stagionali, l’armeno nei 308 minuti disputati ha segnato un gol (il primo della Roma nella Serie A 2021-22) e servito due assist. Un buon ruolino di marcia per colui che a giugno più di qualcuno considerava già un ex. L’anno scorso è stato tra i migliori per quanto riguarda il rendimento individuale (15 reti e 13 assist), ma purtroppo la stagione a livello globale è stata molto al di sotto delle aspettative. Complice la ventata di ritrovato entusiasmo portata da José Mourinho, la Roma vuole riscattarsi e tornare nelle posizioni di classifica che più le si addicono: per farlo, c’è bisogno dell’apporto di Henrikh. A maggior ragione con Pellegrini tornato acciaccato dal rito della Nazionale e Zaniolo alle prese con una contusione.

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Mkhitaryan riceve il premio di miglior calciatore armeno della stagione 2019/20 (SiamolaRoma)

Riaperta al culto in Turchia la chiesa armena chiusa col genocidio del 1915 (IlDomani 10.09.21)

In una chiesa armena di Malatya, nella Turchia orientale, domenica 29 agosto 2021 è stata celebrata una messa. Un momento storico, visto che ledificio era stato chiuso al culto dal genocidio del 1915.

Dopo 106 anni di interruzione, domenica 29 agosto 2021 è stata nuovamente celebrata la messa nella chiesa apostolica armena della Santa Trinità, a Malatya (Turchia orientale). Nessun ufficio religioso vi era stato celebrato a partire dal genocidio armeno del 1915.

Presieduta da Sahak Maşalyan, attuale patriarca armeno di Costantinopoli, la celebrazione è stata seguita da un gran numero di cristiani armeni della regione, a quanto riporta lagenzia Fides. 

I fedeli possono rallegrarsi della notizia, ma la chiesa non è più “solamente una chiesa: alla vigilia, sabato 28 agosto, ledificio era stato riaperto col nome di centro culturale di arte e di cultura Tashhoran. Ledificio, la cui costruzione era stata completata ne 1893, versava in condizioni fatiscenti dopo decenni di totale abbandono. 

Le autorità politiche totali, presenti allinaugurazione, hanno così spiegato che il complesso architettonico è stato riaperto al pubblico in qualità di centro culturale.

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