SCOPERTA TOMBA D’ORO IN ARMENIA (forum.comedonchisciotte.org 27.03.23)

Un team di archeologi polacco-armeni ha scoperto una “tomba d’oro” durante gli scavi a Metsamor, in Armenia.

Il team stava esplorando una tomba di due persone, probabilmente una coppia (un uomo e una donna), quando ha scoperto i resti di tre collane d’oro. La tomba risale all’epoca in cui Rames II governava l’Egitto.

Metsamor è uno dei siti archeologici più famosi dell’Armenia, situato a diverse decine di chilometri a ovest di Yerevan.

Si trattava di una tomba a cista, il che significa che i due scheletri sono stati trovati in camere scavate nel terreno e rivestite con grandi pietre. I ricercatori hanno trovato anche i resti di un letto funerario in legno.

Secondo gli archeologi, le ossa erano ben conservate. Entrambi gli scheletri avevano le gambe leggermente accovacciate. Secondo le stime preliminari, la coppia è morta all’età di 30-40 anni.

“La loro morte è per noi un mistero, non ne conosciamo la causa, ma tutto indica che sono morti nello stesso momento, perché non ci sono tracce di riapertura delle tombe”, ha detto il responsabile del progetto di ricerca, il professor Krzysztof Jakubiak della Facoltà di Archeologia dell’Università di Varsavia.

Jakubiak ritiene che si tratti di un ritrovamento unico, perché la tomba, molto riccamente addobata, non è stata depredata.

La tomba risale alla fine della tarda età del bronzo (1300-1200 a.C.). In quel periodo regnava il celbre faraone Rames II il Grande. All’interno della tomba, gli archeologi hanno trovato oltre un centinaio di perline e pendenti d’oro. Alcuni di essi assomigliano a croci celtiche. C’erano anche decine di pendenti di corniola.

“Tutti questi elementi formavano probabilmente tre collane”, ha detto il professor Jakubiak.

La tomba conteneva anche una decina di vasi di ceramica completi e una fiasca di maiolica unica nel suo genere. La fiasca non era stata prodotta localmente. Secondo i ricercatori, è stata portata dalla zona di confine tra Siria e Mesopotamia.

Finora sono state esaminate circa 100 tombe nell’enorme necropoli, la cui area copre circa 100 ettari, ma solo poche di esse non sono state saccheggiate.

Secondo i ricercatori, le tombe di questo cimitero avevano la forma di tumuli – le cisterne di pietra erano coperte da una grande quantità di terra. Quasi nessuna traccia di questi tumuli è giunta fino a noi.

Gli archeologi non sanno chi vivesse a Metsamor in quel periodo (seconda metà del II millennio a.C.). Le persone che abitavano il grande insediamento fortificato non erano alfabetizzate e non hanno lasciato testi. Questo rende difficile l’identificazione da parte degli scienziati.

Jakubiak ha detto: “Ma era un insediamento molto grande. Anche le fortificazioni fatte di enormi blocchi di pietra sono arrivate fino a noi, circondando la cosiddetta cittadella sulla collina. Alla fine del II millennio a.C., non c’era nessun altro insediamento nella regione che potesse essere paragonato in termini di importanza e dimensioni”.

Metsamor è un sito archeologico protetto con lo status di riserva archeologica. Gli scavi nella sua area sono stati condotti a partire dal 1965.

Durante il suo periodo di massimo splendore, dal IV al II millennio a.C., l’insediamento occupava oltre 10 ettari ed era circondato da mura ciclopiche. Durante la prima Età del Ferro, dall’XI al IX secolo, Metsamor crebbe fino a raggiungere quasi 100 ettari. La fortezza centrale era circondata da complessi templari con sette santuari. A quel tempo, era uno dei centri culturali e politici più importanti della valle di Araks. Il luogo fu abitato senza interruzioni fino al XVII secolo.

Dall’VIII secolo a.C., Metsamor fece parte del regno di Urartu (il regno biblico di Ararat). Fu conquistata dal re Argishti I. Durante il suo regno, i confini del regno si espansero fino alla Trans-Caucasia, l’area dell’odierna Yerevan.

L’ultima stagione di ricerca si è svolta nei mesi di settembre e ottobre 2022. Gli archeologi polacchi scavano a Metsamor dal 2013 nell’ambito di un accordo con l’Istituto di archeologia ed etnografia dell’Accademia nazionale delle scienze dell’Armenia e il Ministero della cultura della Repubblica di Armenia.

Il responsabile del progetto per la parte armena è il professor Ashot Piliposian.

Fonte: https://scienceinpoland.pl/en/news/news%2C95491%2Cpolish-armenian-team-discovers-3200- year-old-golden-tomb.html

 

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Centocinquesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Russia e Azerbajgian in Artsakh, collina dopo collina, strada dopo strada, villaggio dopo villaggio… (Korazym 26.03.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 26.03.2023 – Vik van Brantegem] – «Sono così stufo e stanco degli Occidentali ignoranti e odiosi, che hanno una conoscenza ZERO del conflitto, non si preoccupano del destino degli Armeni, si limitano a vomitare commenti idioti, [su questioni] che ignorano, sostenendo il brutale regime genocida dell’Azerbaigian» (Nara Matini).

Oggi è il giorno 105 del #ArtsakhBlockade e nonostante che il Ministero della Difesa della Russia ha accusato l’Azerbajgian di aver violato l’accordo trilaterale di cessate il fuoco del 9 novembre 2020 e a ritirare le sue unità militari dalle posizioni, che ha occupate ieri nel settore Shushi-Lisagor in Artsakh, oltre la linea di contatto stabilita dall’accordo di cessate il fuoco [QUI], come di consueto l’Azerbajgian ha ignorato il cortese invito di Mosca.

Anzi, la continua presenza delle unità militari dell’Azerbajgian ha di fatto bloccato la strada di montagna secondaria Stepanakert-Ghaibalishen-Lisagor, utilizzata periodicamente per motivi umanitarie (per raggiungere Lisagor, Mets Shen, Hin Shen e Yeghtsahogh, i 4 insediamenti nella regione di Shushi dell’Artsakh isolati a causa del blocco), aggirando il posto di blocco dell’Azerbajgian nel tratto Shushi-Lisagor dell’autostrada Goris-Berdzor (Lachin)-Stepanakert lungo il Corridoio di Berdzor (Lachin) che collega l’Artsakh con l’Armenia (la mappa fornita dal Nagorno-Karabakh Observer è un’approssimazione). A meno che il regime di Aliyev non paghi un prezzo elevato per i suoi crimini e per aver oltrepassato le linee rosse, non si fermerà mai e raggiungerà passo dopo passo il suo obiettivo finale di genocidio.

Dopo l’avanzata posizionale delle forze armate azere ad una delle alture sopra la strada Stepanakert-Ghaibalishen-Lisagor, le forze di mantenimento della pace russe si sono posizionate sull’altura e la stanno controllando. Allo stesso tempo, stanno negoziando con le forze armate azere per ottenere il loro ritiro nella posizione di partenza. L’esercito di difesa dell’Artsakh sta adottando misure adeguate per prevenire ulteriori possibili provocazioni da parte dell’Azerbajgian e per garantire l’uso sicuro della strada di montagna in oggetto.

105 giorni di blocco. Il diritto all’esistenza dell’Artsakh non è negoziabile. Porre fine al blocco dell’Artsakh.

Dichiarazione del Ministero degli Esteri della Repubblica di Artsakh sulla violazione della linea di contatto da parte dell’Azerbajgian, 25 marzo 2023

Il 25 marzo le forze armate dell’Azerbajgian, violando ancora una volta gravemente gli obblighi assunti dalla dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020, hanno varcato la linea di contatto con l’esercito di difesa della Repubblica di Artsakh e assicurato una certa avanzata posizionale nel territorio della Repubblica di Artsakh, in direzione della strada sterrata Stepanakert-Ghaibalishen-Lisagor. Con tali azioni, l’Azerbajgian cerca di rafforzare ulteriormente il blocco dell’Artsakh, tagliando l’unico collegamento tra la capitale Stepanakert e un certo numero di villaggi nella regione di Shushi della Repubblica. Allo stesso tempo, la parte azera sta cercando di giustificare le sue azioni e provocazioni illegali con dichiarazioni inventate che non hanno nulla a che fare con la realtà. Le azioni dell’Azerbajgian per stringere il cerchio attorno all’Artsakh sono una risposta cinica alla decisione della Corte Internazionale di Giustizia sullo sblocco immediato del Corridoio di Lachin che collega l’Artsakh con l’Armenia, e una sfida all’ordine legale internazionale. Ci aspettiamo che le forze di mantenimento della pace russe adottino misure pratiche per eliminare l’attacco da parte dell’Azerbaigian a seguito della reiterata violazione delle disposizioni della dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020, nonché per prevenire nuove possibili violazioni. È imperativo che la comunità internazionale adotti una posizione unita e dura per costringere l’Azerbajgian a rientrare nel quadro legale e ad adempiere ai suoi obblighi internazionali. La comunità internazionale e, in particolare, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbero intraprendere azioni collettive concrete volte all’immediata apertura del Corridoio di Lachin e frenare la politica di genocidio dell’Azerbajgian.

Domande semplici e logiche ai geniali propagandisti azerbajgiani sulle loro false affermazioni sulle importazioni di armi da parte dell’Artsakh

Il regime autocratico di Aliyev diffonde false narrazioni – come se l’Artsakh importasse armamenti dall’Armenia – per creare un ulteriore pretesto per il #ArtsakhBlockade e ulteriori aggressioni, inclusa la violazione della linea di contatto di ieri.
1. Dove sono le prove di tali “trasferimenti”? Con il sistema di blocco e buona intelligenza, l’Azerbajgian ha mostrato solo dei veicoli che attraversano la strada, ma nessuna arma.
2. Come sarebbe possibile importare armamenti, se l’Artsakh non può importare nemmeno cibo e medicine a causa del #ArtsakhBlockade?
3. Come sarebbe possibile evitare il forte controllo russo nel Corridoio di Lachin autorizzato anche dall’Azerbajgian?
4. Perché l’Azerbajgian si oppone la missione conoscitiva internazionale, che potrebbe investigare la situazione e tutte le preoccupazioni di entrambe le parti, comprese le loro false affermazioni?
5. Perché l’Azerbajgian si oppone a ulteriori meccanismi di trasparenza nel Corridoio di Lachin senza il suo impegno diretto?
6. Cosa dicono gli Azeri della Corte di Giustizia Internazionale delle Nazioni Unite che rigetta loro domanda con false affermazioni sui “trasferimenti di mine” ad Artsakh nell’assenza di prove?
7. Chi ha detto al regime dittatoriale di Aliyev che una vittima non ha diritto all’autodifesa, soprattutto quando i meccanismi internazionali di protezione del popolo dell’Artsakh non funzionano correttamente?
8. E che dire delle azioni e dei piani aggressivi e criminali dell’Azerbajgian? Chi dovrebbe fermare le forniture illegali di armi all’Azerbajgian che vengono utilizzate per commettere crimini contro l’umanità e il popolo Artsakh e dell’Armenia? (Artak Beglaryan, Consigliere del Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh).

Ieri sera 25 marzo alle ore 22.00 circa e questa mattina 26 marzo alle ore 02.40, un drone da ricognizione dell’Azerbajgian ha volato sopra il villaggio di Taghavard nella regione di Martuni dell’Artsakh.

Poi, questa mattina il Ministero degli Interni dell’Artsakh ha comunicato che intorno alle ore 10.10 i cittadini del villaggio di Sos, Razmik Harutyunyan e Yervand Balayan, mentre svolgevano lavori di potatura e pulizia nel vigneto del zona denominata Khzazen Tak, sono stati presi di mira. Intorno alle ore 11.05, i cittadini del villaggio di Taghavard, Vova Khachatryan e Ruben Alaverdyan, mentre svolgevano lavori agricoli nel campo di grano della zona denominata Shekheri Fys sono stati presi di mira. Colpi irregolari sono stati sparati contro i cittadini dell’Artsakh dalle adiacenti posizioni di combattimento azere con varie armi da fucile. Fortunatamente nessuno è rimasto ferito. Tuttavia, ancora una volta i lavori agricoli furono interrotti. Le truppe di mantenimento della pace russe sono state informate degli attacchi.

Un posto di blocco della forza di mantenimento della pace russa nel Corridoio di Berdzor (Lachin) (Foto di Vahram Baghdasaryan/AP).

L’altro conflitto alle porte dell’Europa
di Anders Fogh Rasmussen [*]
Project-syndacate.org, 24 marzo 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

In chiara violazione dell’accordo di cessate il fuoco del 2020, l’Azerbajgian sta alimentando una crisi umanitaria nel Nagorno-Karabakh e minacciando ancora una volta la vicina Armenia con un’aggressione militare. Con la Russia incapace o riluttante ad aiutare, l’Unione europea deve svolgere un ruolo più importante per preservare la pace e la stabilità nel Caucaso meridionale.

Tutti gli occhi sono giustamente puntati sulla guerra della Russia in Ucraina. Ma questa non è una scusa per ignorare un’altra crisi che si sta preparando alle porte dell’Europa. Le tensioni tra Armenia e Azerbajgian sono di nuovo in aumento, aumentando la prospettiva di un’altra guerra.
La scorsa settimana ho visitato il Corridoio di Lachin [QUI e QUI] , l’unica strada che collega la popolazione etnica armena del Nagorno-Karabakh con l’Armenia e il mondo esterno. Da dicembre l’accesso al corridoio è stato bloccato dagli Azeri con il pretesto di una protesta ambientalista. Questo sta chiaramente accadendo con il sostegno del regime di Baku.

Con i “manifestanti” che bloccano tutto il traffico civile o commerciale verso il Nagorno-Karabakh, Amnesty International avverte che circa 120.000 residenti di etnia armena sono privati di beni e servizi essenziali, compresi medicinali salvavita e assistenza sanitaria.

In base all’accordo di cessate il fuoco che ha posto fine alla guerra del Nagorno-Karabakh del 2020 tra Azerbajgian e Armenia, l’Azerbajgian si è impegnato a garantire la libera circolazione lungo la strada in entrambe le direzioni. Riconoscendo che l’Azerbajgian sta violando il suo impegno rifiutandosi di revocare il blocco, il 22 febbraio la Corte Internazionale di Giustizia ha emesso un’ordinanza chiedendo che l’Azerbajgian prenda tutte le misure necessarie per farlo. Ma è passato un mese e non è cambiato nulla.

Sebbene le forze di mantenimento della pace russe di stanza lungo il corridoio dovrebbero proteggere il percorso, non hanno agito. A meno che l’Europa e la più ampia comunità internazionale non facciano pressioni sull’Azerbajgian per revocare il blocco, l’attuale crisi umanitaria potrebbe trasformarsi in una catastrofe umanitaria.

L’Azerbajgian sta usando il blocco e altre misure per strangolare il Nagorno-Karabakh. Ai residenti viene spesso impedito di tornare a casa e il gas e l’elettricità vengono regolarmente interrotti senza preavviso o spiegazione. L’intento, chiaramente, è quello di rendere la vita il più difficile possibile alla popolazione armena, e c’è un serio rischio di imminente pulizia etnica. Non dobbiamo distogliere lo sguardo da ciò che sta accadendo.

Da parte sua, il regime azero (e i suoi troll online) hanno continuato a minimizzare gli effetti del blocco, o addirittura la sua esistenza. Tuttavia si rifiutano anche di concedere l’accesso agli osservatori internazionali per valutare la situazione. La prima priorità per la comunità internazionale, quindi, è inviare una missione conoscitiva nel corridoio sotto l’egida delle Nazioni Unite o dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Dobbiamo chiarire che il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, dovrà affrontare le conseguenze se continua a farsi beffe dell’ordine vincolante del Tribunale Internazionale di Giustizia.

La guerra del Nagorno-Karabakh del 2020 ha chiarito che l’Azerbajgian ha un vantaggio militare significativo sull’Armenia, grazie alle armi che ha acquistato da Russia, Turchia e Israele. Questo fatto è stato ribadito lo scorso settembre, quando l’Azerbajgian ha conquistato il territorio all’interno della stessa Armenia – comprese le posizioni strategiche sopra la città di Jermuk – dopo appena due giorni di rinnovati combattimenti.

Sebbene l’Armenia sia ancora membro dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, l’alleanza regionale che collega la Russia con cinque stati ex sovietici vicini, non ha ricevuto alcun sostegno quando ha richiesto assistenza in seguito a questo attacco al suo territorio sovrano. È stato lasciato vulnerabile e solo.

A peggiorare le cose, l’Azerbajgian ha mantenuto le sue truppe sul territorio armeno e si è rifiutato di restituire i prigionieri di guerra armeni. Con i colloqui di pace in fase di stallo, ci sono chiari segnali di avvertimento che l’Azerbajgian crede di poter ottenere di più con mezzi militari che attraverso negoziati pacifici. Non si può escludere una nuova offensiva contro l’Armenia nei prossimi mesi.

Con il tradizionale fornitore di sicurezza dell’Armenia, la Russia, incapace o riluttante ad aiutare, l’Unione europea deve svolgere un ruolo più importante per preservare la pace e la stabilità nella regione. Sia il Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, che il Presidente francese, Emmanuel Macron, lo hanno riconosciuto e hanno dedicato un capitale politico significativo alla questione. In seguito al nuovo scoppio delle ostilità a settembre, l’Unione Europea ha inviato una missione civile in Armenia per monitorare il confine con l’Azerbajgian.

Ma molto altro ancora deve essere fatto. La missione dell’Unione Europea, attualmente dispiegata solo sul territorio armeno, dovrebbe essere rapidamente potenziata per monitorare l’intera lunghezza del confine tra Armenia e Azerbajgian. I leader europei devono fare pressioni sul governo di Aliyev affinché consenta al personale dell’Unione Europea di entrare nel territorio dell’Azerbajgian. Naturalmente, una missione Unione Europea disarmata non sarebbe in grado di fermare le ostilità; ma aumentare la sua presenza eserciterebbe ulteriori pressioni sull’Azerbajgian affinché scelga il negoziato piuttosto che il confronto militare.

Nell’ultimo anno, l’Unione Europea ha costruito legami economici sempre più stretti con l’Azerbajgian, a causa del suo rapido allontanamento dal gas e dal petrolio russi. Ma i leader dell’Unione Europea devono essere chiari con Aliyev sul fatto che non gli sarà permesso di agire impunemente e che gli interessi commerciali a breve termine dell’Europa non prevarranno sui suoi valori o sui suoi interessi a lungo termine nel mantenere la pace e la stabilità nel Caucaso meridionale. Se l’Azerbajgian continua a violare i suoi impegni internazionali e le ordinanze giudiziarie legalmente vincolanti del Tribunale Internazionale Giustizia, deve affrontare conseguenze politiche ed economiche.

L’Armenia è una democrazia emergente in un ambiente estremamente impegnativo. Con il declino dell’influenza della Russia, l’Europa deve svolgere un ruolo più importante nella regione. Questa non è una forma di beneficenza. Agire ora per prevenire un altro conflitto significativo – o addirittura la pulizia etnica – nel nostro cortile è nell’interesse di tutti.

[*] Segretario Generale della NATO dal 2009 al 2014, Primo Ministro di Danimarca dal 2001 al 2009, Presidente Fondatore dell’organizzazione di consulenza politica internazionale Rasmussen Global.

L’Artsakh è stato sempre un campo di battaglia nel corso della sua storia

«Poiché mi occupo di politica, la pace, la sicurezza e il riconoscimento dell’Artsakh sono state la mia lotta quotidiana. La strada dell’Artsakh verso l’indipendenza sarà un processo molto impegnativo. Dobbiamo essere sempre preparati alla guerra. Dobbiamo avere un esercito forte per garantire la nostra sicurezza, avere una forte volontà ed essere disposti a proteggere la nostra patria in qualsiasi momento affinché il nemico capisca che siamo forti. Se fossimo stati deboli durante la guerra dei 4 giorni nel 2016, l’Azerbajgian avrebbe potuto conquistare queste terre; tuttavia, eravamo volitivi e li abbiamo respinti. Condurre negoziati probabilmente non ci porterà da nessuna parte. Solo rafforzandoci saremo in grado di garantire la nostra sicurezza e che gli altri ci rispettino. Abbiamo rinunciato a molte terre durante la creazione della prima repubblica dell’Armenia perché eravamo deboli.
Dobbiamo rimanere forti perché la politica dell’Azerbajgian è quella di avere un Artsakh senza Armeni.
L’Artsakh è stato un campo di battaglia tra diversi regimi nel corso della sua storia. Questo perché l’Armenia è un’oasi nel deserto. Artsakh è ricco di bellezza e personalmente mi piacciono i monasteri di Gandzasar, Amaras e Dadivank. La natura che si trova all’interno dell’Artsakh è il paradiso. Puoi andare ovunque all’interno dell’Artsakh e trovare la pace nella sua natura selvaggia.
Il mio unico desiderio è che l’Artsakh venga riconosciuto come nazione indipendente dalla comunità internazionale. Il mio secondo desiderio è per noi di avere un’Armenia libera e indipendente che unisca l’Artsakh nella sua giurisdizione.
Voglio che le mie generazioni future passino attraverso la stessa vita che io e le generazioni precedenti abbiamo avuto. Una vita piena di patriottismo e amore e rispetto per la loro famiglia. Il mio desiderio è che i miei figli non solo continuino le nostre tradizioni, ma le facciano avanzare e le sviluppino.
Il nostro più grande risultato è avere la nazionalità dell’Armenia e dell’Artsakh. Spero che un giorno l’Armenia diventi un centro di speranza, dove tutti gli Armeni possano venire a vivere una vita molto buona. Perderemo la nostra diaspora se non avremo un’Armenia forte.
Speranza e fede per il futuro. Se la speranza e la fede sono perse per gli armeni, non rimarranno armeni. Vivi con speranza e fede, e questo ci condurrà alla vittoria» (Varak Ghazarian, 1° aprile 2018).

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

Commemorazione delle vittime dei pogrom di Shushi (23-26 marzo 1920) (Korazym 25.03.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 25.03.2023 – Vik van Brantegem] – Nel marzo del 1920, l’Azerbajgian perpetrò massacri contro la popolazione armena in Artsakh/Nagorno-Karabakh, uccidendo e deportando circa 40.000 Armeni nella sola città di Shushi. Sfortunatamente, 103 anni dopo, l’Azerbajgian sta adottando la stessa politica, portando avanti il suo assedio sponsorizzato dallo Stato e intensificando la retorica e l’aggressività per liberare Artsakh dai suoi Armeni autoctoni. L’obiettivo collettivo nel Caucaso meridionale dovrebbe essere la pace, non rinnovate politiche di pulizia etnica e deportazione forzata degli Armeni.

Oggi ci fermiamo un’altra volta un’istante, per commemorare questi altri pogrom nel Caucaso meridionale, in una guerra dei Turco-Azeri contro gli Armeni ad intermittenza, iniziata 103 anni fa, ignorata nei fatti dalla comunità internazionale e che presenta i conti nei giorni di oggi.

Dal 23 al 26 marzo 1920 furono uccisi dai Turco-Azeri nei massacri di Sushi circa 20.000 Armeni e circa 20.000 obbligati ad abbandonare le loro case. Il quartiere armeno della città di Sushi fu saccheggiato, bruciato, rasato al suolo e pulito etnicamente. Sullo sfondo, un conflitto su rivendicazioni concorrenti sul Nagorno-Karabakh da parte armena e azerbajgiana, che gettò le basi per l’attuale conflitto tra l’Armenia e l’Azerbajgian.

Esattamente un secolo dopo, l’8 novembre del 2020 gli Azeri hanno nuovamente occupato Shushi, che era stata ricostruita dagli Armeni dopo la riconquista l’8 maggio del 1992. Shushi, la “Gerusalemme armena”, strappata dagli Azeri con la guerra dei 44 giorni dal 27 settembre al 9 novembre 2020, è stata elevata dall’occupante Azerbajgian – “nostro partner affidabile energetico” –  a “Capitale culturale dell’Azerbajgian”, “liberata dall’occupazione dal potente esercito azerbajgiano sotto la guida del Comandante in capo Ilham Aliyev”.

Le rovine dei quartieri armeni di Shushi all’indomani della loro distruzione da parte dell’esercito azerbajgiano il 23 marzo 1920. Al centro, la cattedrale armena apostolica Ghazanchetsots del Santo Salvatore deturpata.

Quindi, in questi giorni rendiamo omaggio alla memoria di tutte le vittime innocenti dei massacri che gli Azeri hanno commesso nei 103 anni passati e ribadiamo la determinazione del popolo armeno a vivere e prosperare in una patria libera e in pace.

Il 20 marzo 2000, il governo della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh presentò all’Assemblea nazionale la proposta per istituire il 23 marzo come giorno di commemorazione delle vittime del pogrom di Shushi. Ogni anno si ricorda in questo giorno che il 23 marzo 1920 le truppe della neonata Prima Repubblica di Azerbajgian, unite agli abitanti azeri di Shushi, tentarono di risolvere la questione del Nagorno-Karabakh, che era già stato inserito nell’agenda internazionale, usando la forza e l’uccisione di massa della popolazione armena. Iniziarono un massacro sistematico degli Armeni che vivevano in quella che allora era la capitale e centro spirituale, culturale, economico e amministrativo del Nagorno-Karabakh.

Le rovine dei quartieri armeni di Shushi all’indomani della loro distruzione da parte dell’esercito azerbajgiano il 23 marzo 1920. Sullo sfondo la cattedrale armena apostolica Ghazanchetsots del Santo Salvatore e la chiesa armena apostolica di Aguletsots.

La città di Sushi, chiamata all’epoca “la Parigi del Caucaso“, fu sottoposta a indicibili violenze nel più classico stile turco-azero. Per quattro giorni, dal 23 al 26 marzo 2020, la popolazione armena fu presa di mira e la città fu trasformata in un inferno, poiché gli Azeri hanno saccheggiata, bruciato circa 2.000 edifici e raso al suolo la parte armena della città, per liberarla dai suoi abitanti Armeni. In almeno una decina di giorni, dei circa 40.000 abitanti, la metà fu trucidata, mentre il restante della popolazione armena riuscì a fuggire attraverso Karintak a Varanda e Dizak. Entro l’11 aprile 1920, circa 30 villaggi del Nagorno-Karabakh erano stati devastati dalle forze azere a seguito della rivolta, lasciando 25.000 senzatetto.

Le rovine dei quartieri armeni di Shushi all’indomani della loro distruzione da parte dell’esercito azerbajgiano il 23 marzo 1920.

Queste atrocità, commesse con una crudeltà senza precedenti, furono guidate da Khosrov bey Sultanov, che in seguito, durante la Seconda Guerra Mondiale, partecipò attivamente alla formazione della legione azera nei ranghi delle truppe naziste.; decine di chiese e monumenti armeni furono distrutti. La furia genocida si estese anche ad altri territori dell’Artsakh. Tuttavia, il piano di rendere Artsakh una parte della Prima Repubblica di Azerbajgian con la spada e il fuoco fallì. A Sushi, come in tutte le altre località nelle quali la violenza azera cercò di annientare la fierezza del popolo armeno e il diritto all’auto-determinazione. Tutta la popolazione armena valida (con l’aiuto anche di alcune milizie volontarie provenienti Syunik allestì una strenua difesa e ricacciò indietro gli invasori mantenendo integra, sia pure a carissimo prezzo, la propria sovranità nazionale.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale, il territorio del Nagorno-Karabakh fu contesa tra i due nuovi stati, la Repubblica Democratica di Armenia e la Repubblica Democratica di Azerbajgian. Shushi si è trovata al centro della disputa, allora il più grande insediamento del territorio con una popolazione mista composta principalmente da Armeni e Azeri. Secondo i dati statistici pubblicati nel Calendario del Caucaso del 1917, nel 1916, poco prima della Rivoluzione russa, la popolazione di Shushi contava 43.869 abitanti, di cui 23.396 (53%) erano Armeni e 19.121 (44%) Tartari (Azeri).

Il governo dell’Azerbajgian proclamò a Baku l’annessione del territorio conteso e il 15 gennaio 1919 nominò Khosrov Bey Sultanov Governatore generale di Karabakh. Il Regno Unito, che aveva un piccolo distaccamento di truppe di stanza a Shushi, ha aderito alla nomina di Sultanov a Governatore provvisorio, ma ha insistito sul fatto che una decisione finale sull’appartenenza del territorio doveva essere decisa solo in una futura conferenza di pace.

In risposta alla nomina di Sultanov, l’Assemblea del Consiglio nazionale armeno di Karabakh riunitasi a Shushi il 19 febbraio 1919, “ha respinto con legittima indignazione ogni pretesa dell’Azerbajgian nei confronti dell’armeno Karabakh, che ha affermato che l’Assemblea ha dichiarato un parte integrante dell’Armenia”.

Il 23 aprile 1919, il Consiglio nazionale armeno di Karabakh si riunì un’altra volta a Shushi e respinse nuovamente la pretesa di sovranità dell’Azerbajgian, insistendo sul loro diritto all’autodeterminazione. Dopo questo, un distaccamento azerbajgiano locale circondò i quartieri armeni di Shushi, chiedendo agli abitanti di cedere la fortezza. Furono sparati colpi, ma quando gli Inglesi mediarono, gli Armeni accettarono invece di arrendersi a loro.

Il 4 e 5 giugno 1919 a Shushi si verificarono scontri armati tra le due comunità e Sultanov iniziò un blocco dei quartieri armeni della Città. Infermiere americane che lavorano a Shushi per il Near East Relief hanno riferito di un massacro “da parte dei Tartari di 700 abitanti Cristiani della Città”. Un cessate il fuoco fu rapidamente organizzato dopo che la parte armena ha accettato la condizione di Sultanov, che i membri del Consiglio nazionale armeno di Karabakh lasciassero la città. Tuttavia, una nuova ondata di violenza ha poi travolto i vicini villaggi popolati da Armeni. A metà giugno gli Azeri hanno arruolato circa 2.000 “irregolari”, che hanno attaccato, saccheggiato e bruciato un grande villaggio armeno, Khaibalikend, appena fuori Shushi, lasciando circa 600 Armeni morti.

Il 13 agosto 1919 fu convocato a Shushi il Settimo Congresso degli Armeni di Karabakh, che si concluse con l’accordo del 22 agosto 1919, secondo il quale il Nagorno-Karabakh si sarebbe considerato provvisoriamente entro i confini della Repubblica Democratica di Azerbajgian fino a quando suo status definitivo sarebbe stato deciso alla Conferenza di Pace di Parigi.

Il 19 febbraio 1920 Sultanov emise una richiesta al Consiglio nazionale armeno di Karabakh “di risolvere urgentemente la questione dell’incorporazione finale di Karabakh in Azerbajgian”. Il Consiglio, all’Ottavo Congresso tenutosi dal 23 febbraio al 4 marzo 1920, rispose che la richiesta dell’Azerbajgian violava i termini dell’accordo provvisorio del 22 agosto 1919 e ha avvertito che “la ripetizione degli eventi costringerà gli Armeni del Nagorno-Karabakh a ricorrere a mezzi adeguati di difesa”.

Scrive Hovannisian: “Infine, nell’agosto 1919, l’Assemblea nazionale di Karabakh cedette alla giurisdizione dell’Azerbajgian provvisoria e condizionale. Le ventisei condizioni limitavano strettamente la presenza amministrativa e militare azera nella regione e sottolineavano l’autonomia interna del Karabakh montuoso. Le violazioni di quelle condizioni da parte dell’Azerbajgian culminarono in una ribellione abortita nel marzo 1920. Per punizione, le forze azere bruciarono la bellissima città di Shushi (…). Era la fine dell’armeno Shushi”.

Le rovine della parte armena di Shushi dopo che l’esercito azerbajgiano distrusse la Città il 23 marzo 1920. Shushi divenne un inferno dopo che le forze armate azere bruciarono quasi 2.000 edifici. Sullo sfondo la chiesa armena apostolica Kanach Zham della Santa Madre di Dio.

Secondo Hovannisian, “le truppe azere, unite dagli abitanti azeri della città, hanno trasformato il Shushi armeno in un inferno. Dal 23 al 26 marzo circa 2.000 edifici sono state divorate dalle fiamme, comprese chiese e conventi, istituzioni culturali, scuole, biblioteche, il quartiere degli affari e le grandi case della classe mercantile. Il Vescovo Vahan Ter-Grigorian, a lungo sostenitore dell’accordo con le autorità azerbajgiane, pagò il prezzo della punizione, poiché la sua lingua fu strappata prima che gli fosse tagliata la testa e ha sfilato per le strade su una picca. Il capo della polizia, Avetis Ter-Ghukasian, è stato trasformato in una torcia umana e molti intellettuali sono stati tra vittime armene”. Nel mese di aprile 1920, il nono Congresso del popolo ancora una volta proclamò solennemente l’Artsakh come parte essenziale dell’Armenia. L’Artsakh è stato riconosciuto dalla Società delle Nazioni come parte integrante dell’Armenia nel 1920 ed è stato occupato e annesso dall’Azerbajgian con l’aiuto di Russia e Turchia nel 1921, quando hanno firmato un trattato illegale di Mosca.

La cattedrale armena apostolica del Santo Salvatore Ghazanchetsots a Shushi deturpata all’indomani della distruzione dei quartieri armeni della Città da parte dell’esercito azerbajgiano il 23 marzo 1920.

L’entità e la crudeltà del massacro di Sushi di marzo 1920 ha colpito i contemporanei che hanno visitato Shushi subito dopo il massacro e hanno notato che i pozzi erano pieni di corpi di donne e bambini. La tragedia ha lasciato un segno così profondo nella città e nella sua atmosfera che anche dopo 100 anni provocava impressioni cupe e sentimenti pesanti.

La descrizione più accurata degli orrori della città di Sushi distrutta, è stata data da uno dei principali scrittori russi del XX secolo, l’eminente poeta ebreo Osip Ėmilevič Mandelštam e sua moglie Nadežda Jakovlevna, che visitarono Sushi nel 1931. Colpito dai terrificanti eventi della città, il poeta scrisse la sua poesia L’autista del Phaeton, dedicato agli orrori di Shushi.

Su un vertiginoso passo di montagna,
In prossimità dei quartieri musulmani,
La morte e noi abbiamo fatto una Danza Macabra –
Terrorizzati eravamo come in un sogno.

Il nostro autista del Phaeton era abbronzato
E tutto essiccato come un’uva passa,
Come era l’autista del diavolo
Conciso e pieno di tristezza e sventura.

Ora il grido gutturale di un Arabo,
Ora un brontolio senza senso “eh”–
Si è preso cura di proteggersi il viso
Come se fosse una rosa o un rospo.

Nascondendo la sua orribile deturpazione
Sotto una maschera di pelle nera,
Stava guidando la carrozza
Ai limiti estremi dell’umanità.

Con un sussulto e un inizio di gare,
E sembrava impossibile che saremmo mai
Scesi da questa montagna visto che una moltitudine
Di carrozze e locande sfrecciavano.

Sono arrivato a: aspetta un secondo, amico!
Ora ricordo – sarò dannato!
È il presidente pestilenziale
Questo ha fatto perdere noi e i cavalli.

Guida la carrozza senza naso,
Facendo gioire un’anima stanca,
In modo che la terra agrodolce
Girava come una giostra.

In questo modo, nel Nagorno-Karabakh,
Nella città tagliagole di Shushi,
Ho assaporato profondamente questi terrori
Di cui l’anima umana è preda.

Quarantamila finestre senza vita
Sono visibili lì da tutti i lati
E il bozzolo senz’anima del lavoro
Giace sepolto sui suoi pendii.

E le case svestite
Diventano spudoratamente più rosa,
E sopra di loro c’è il cielo
La peste blu intenso si oscura.

Nadežda Jakovlevna, la moglie del poeta Mandelštam ha scritto del loro viaggio in Karabakh: “All’alba, abbiamo preso l’autobus da Ganja a Shushi. La città ci ha accolto con un cimitero infinito e una minuscola piazza del mercato dove scendevano le strade della città devastata. Ci era già capitato di vedere villaggi abbandonati con solo alcune case fatiscenti rimaste, ma in questa città – una città che un tempo era ovviamente ricca e dotata di ogni comodità – il quadro della catastrofe e dei massacri era orribilmente evidente. Camminavamo per le strade, e dappertutto la stessa cosa: due file di case senza tetto, senza finestre, senza porte. Dalle finestre erano visibili stanze vuote, occasionali ritagli di carta da parati, stufe fatiscenti, a volte resti di mobili rotti. Case a due piani realizzate con il famoso tufo rosa. Tutti i muri erano rotti e attraverso questi scheletri di case passava l’azzurro del cielo. Dicono che dopo le stragi tutti i pozzi della città erano pieni di cadaveri. Coloro che sono sopravvissuti sono fuggiti da questa città di morte. Non si vedeva nessuno per le strade o in montagna. Solo in centro città, sulla piazza c’era molta gente. Ma tra loro non c’era un solo Armeno, erano tutti musulmani. Osip Mandelštam ha avuto l’impressione che i musulmani sul mercato fossero i resti degli assassini che avevano devastato la città un decennio fa, ma non ne hanno beneficiato in alcun modo: abbiamo visto la stessa povertà orientale, stracci orribili e purulente piaghe sui loro volti. Stavano scambiando manciate di farina di mais, pannocchie, focacce… Non abbiamo osato comprare focacce da queste mani, anche se volevamo mangiare… Osip Mandelštam ha detto che le cose altrove erano le stesse come a Shushi, ma qui tutto era più evidente ed era impossibile mangiare anche un solo pezzo di pane… E non si poteva nemmeno bere l’acqua dei pozzi… La città non aveva solo alberghi ma anche dormitori dove uomini e donne potevano dormire insieme. L’autobus per Ganja sarebbe partito la mattina successiva. La gente al bazar ci offriva di passare la notte a casa loro, ma avevo paura delle piaghe orientali e Mandelštam non riusciva a liberarsi dell’idea che i musulmani fossero in realtà pogromisti e assassini. Abbiamo deciso di andare a Stepanakert, una città regionale. Era possibile arrivarci solo in taxi. Abbiamo incontrato un tassista senza naso, l’unica persona nel parcheggio, con una benda di pelle che gli copriva il naso e parte del viso. E poi, tutto era esattamente come nelle poesie, e non credevamo che ci avrebbe davvero portati a Stepanakert”.

Numerosi altri funzionari comunisti hanno ricordato la distruzione della città. Sergo Ordzhonikidze, il 21 gennaio 1936 nel Cremlino di Mosca, durante il ricevimento della delegazione della Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbajgian, ricorda la sua visita alla distrutta Shushi: “Ancora oggi ricordo con orrore quello che vidi a Shushi nel 1920. La più bella città armena fu completamente distrutta, e che nei pozzi abbiamo visto cadaveri di donne e bambini”. Uno dei leader del Komsomol della Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbajgian, Olga Shatunovskaya, in seguito scrisse nelle sue memorie: “L’Azerbajgian non voleva perdere il potere in quanto il Nagorno-Karabakh è una grande regione. È autonomo ma solo nominalmente, durante questi anni hanno estromesso molti Armeni, hanno chiuso scuole e college. In precedenza, la Città principale era Shushi. Quando negli anni Venti ci fu un massacro, bruciarono tutta la parte centrale della città e poi non l’hanno nemmeno restaurata”. Due eminenti attivisti comunisti armeni, Anastas Mikoyan e Marietta Shaginyan, hanno scritto sui massacri nelle loro memorie. Mikoyan, che si trovava nella regione, in seguito ha osservato: “Secondo le informazioni, a disposizione del governo azero Mousavatista c’era un esercito di 30mila unità, di cui 20mila schierati vicino al confine con l’Armenia. (…) L’esercito dell’Azerbajgian poco prima che massacrò gli Armeni a Shushi, nel Karabakh”. La scrittrice georgiana Anaida Bestavashvili ha fatto un confronto tra l’incendio di Shushi e la distruzione di Pompei nel suo La gente e i monumenti.

Il giornalista contemporaneo Thomas de Waal ha scritto nel suo libro Giardino Nero: Armenia e Azerbaigian attraverso la pace e la guerra (New York University Press 2003) su questi eventi: “Il devastante sacco del 1920 arrivò dopo che i Russi se ne erano andati e alla fine di un altro periodo di crisi economica e guerra civile. In quell’occasione un esercito azero si scatenò nella città alta armena, bruciando intere strade e uccidendo centinaia di armeni. Quando i Russi tornarono, indossando uniformi bolsceviche, Stepanakert divenne la nuova capitale del Nagorno-Karabakh. Le rovine del quartiere armeno di Shushi sono rimaste spettrali e intatte per più di quarant’anni”.

Nel Nagorno-Karabakh, la comunità armena era divisa dall’antico dilemma della cooperazione o del confronto. Da una parte c’erano principalmente i Dashnaks [in riferimento agli aderenti della Federazione Rivoluzionaria Armena, conosciuta come Dashnak, un partito politico armeno fondato nel 1890 a Tbilisi in Georgia, da Christapor Mikaelian (marxista), Stepan Zorian (populista) e Simon Zavarian (bakuninista, che di fatto guiderà il partito), d’ispirazione socialista, membro dell’Internazionale Socialista, attivo ancora oggi, oltre che in Armenia, anche in Artsakh e in Libano] e gli abitanti dei villaggi, che volevano l’unificazione con Armenia. D’altra parte c’erano principalmente i bolscevichi, i commercianti e i professionisti, che – con le parole dello storico armeno Richard G. Hovannisian (nel suo Il popolo armeno dall’antichità ai tempi moderni del 1997) – ammisero che “il distretto era economicamente con Transcaucasia” e cercarano “un accordo con il governo azero come unico modo per risparmiare la rovina del monte Karabakh”. Hovannisian osserva che “quest’ultimo gruppo era principalmente concentrato a Shushi, ma entrambi i gruppi furono uccisi o espulsi quando una ribellione armena fu repressa brutalmente nel marzo 1920”.

Secondo Tim Potier, “a seguito del Rivoluzione d’Ottobre, Karabakh divenne parte dell’indipendente Repubblica di Azerbajgian, sebbene il suo controllo fosse fortemente contestato dalle forze ottomane e britanniche, nonché, ovviamente, dagli Armeni e dagli Azeri. Shushi era ormai considerato dal popolo armeno come un centro culturale armeno e non è stato fino al 28 febbraio 1920 che la Shushi armena accettò con riluttanza di riconoscere l’autorità dell’Azerbajgian. La situazione doveva cambiare in seguito agli eventi del 4 aprile, quando l’esodo di massa degli Armeni da Shushi al vicino Khankendi [Stepanakert, oggi capitale della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh], a seguito di una rivolta armena repressa dalle forze armate azere, trasformò, quasi dall’oggi al domani, Shushi in una città azera”.

Il massacro di Shushi del 1920 divenne l’apoteosi dei tentativi durati due anni delle autorità azere di impadronirsi e soggiogare l’Artsakh. Queste pretese territoriali irrefrenabili e irragionevoli sull’Artsakh da parte dell’Azerbajgian, creato a seguito dell’invasione turca nel Caucaso meridionale, hanno gettato le basi per il conflitto Azerbajgian-Karabakh nel suo senso moderno. Le autorità azere hanno cercato di raggiungere il loro obiettivo attraverso il supporto diretto delle truppe turche. Successivamente, gli ufficiali e gli emissari turchi continuarono ad assistere le forze armate azere, anche nell’organizzazione del massacro di Shushi del 1920, tentando di continuare il genocidio degli Armeni, ora nell’Armenia orientale.

L’inclusione forzata dell’Artsakh nella struttura dell’Azerbajgian sovietico, a seguito della sovietizzazione delle Repubbliche del Caucaso meridionale, non ha risolto la questione del Nagorno-Karabakh, poiché la politica delle autorità azerbajgiane nei confronti della popolazione armena dell’Artsakh è cambiata solo nella forma, ma non nella sostanza.

L’inizio del processo di crollo dell’Unione Sovietica alla fine degli anni Ottanta e all’inizio degli anni Novanta attualizzava nuovamente la questione della sicurezza fisica della popolazione armena dell’Artsakh. In risposta alle richieste pacifiche del popolo dell’Artsakh per la riunificazione con l’Armenia, un’ondata di uccisioni di massa e pogrom di Armeni si è diffusa in tutto l’Azerbajgian. Migliaia di Armeni furono uccisi e mutilati, centinaia di migliaia furono deportati. I pogrom armeni degli anni 1988-1990 furono la continuazione del massacro di Shushi del 1920 e dimostrarono chiaramente che anche dopo 70 anni né gli obiettivi né i metodi delle autorità azerbajgiane erano cambiati.

Durante la Prima Guerra del Nagorno-Karabakh, le forze armate dell’Azerbajgian sfruttarono la posizione strategica di Sushi per colpire la vicina capitale dell’Artsakh, Stepanakert, e il Corridoio di Berdzor (Lachin) dove transitarono gli aiuti provenienti dall’Armenia. L’8 maggio 1992 una spettacolare operazione militare guidata da Arkady Ter-Tatevosyan consente all’esercito di autodifesa armeno dell’Artsakh di conquistare la città. Cade l’ultimo caposaldo azero nel territorio conteso e la guerra cambia il suo corso; pochi giorni dopo verrà liberato anche il Corridoio di Berdor (Lachin).

Solo grazie all’auto-organizzazione del popolo dell’Artsakh, che ha creato uno Stato efficace con tutte le istituzioni necessarie, incluso un esercito di difesa efficiente (già tra il 1918 e il 1920 il Nagorno-Karabakh si dotò di tutti gli organi statuali, compreso un esercito), nonché il sostegno degli Armeni in tutto il mondo, è stato possibile respingere l’aggressione armata dell’Azerbajgian negli anni 1991-94 e per impedire il ripetersi dello “scenario Shushi” in Artsakh, ma su scala più ampia.

Comunque, nel frattempo l’enorme patrimonio culturale di Shushi era stato distrutto. La maggior parte di questa un tempo bellissima città armena rimase in rovina per molti anni. Molti quartieri erano distrutti e il numero di abitanti sensibilmente diminuito. Terminata la Prima Guerra del Nagorno-Karabakh, Sushi si avvia ad una lenta ricostruzione. Con la sua fortezza, la moschea e la nuova cattedrale, Sushi viene interessata da un progetto di riqualificazione culturale ed artistica. Le autorità e il popolo dell’Artsakh faceva ogni sforzo per far rivivere Shushi e ripristinare il patrimonio culturale della Città distrutta dalle autorità azere. Qui si trasferisce nell’autunno del 2012 il Ministero della Cultura della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh. Dal 2011 si tiene un simposio internazionale di scultura (al quale partecipano anche artisti italiani), le cui opere in concorso sono lasciate al patrimonio della città. Fino al 2020 erano sorte strutture alberghiere per sostenere il settore turistico della città.

Lunedì 23 marzo 2020, in occasione del 100° anniversario di questa pagina sanguinosa della storia armena, alcuni mesi prima della più recente invasione e occupazione militare di gran parte della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh da parte delle forze armate dell’Azerbajgian, il Ministero degli Esteri dell’Artsakh ha emesso un Comunicato in cui affermava che il massacro di Sushi del 1920 ha gettato le basi per l’attuale conflitto azero-armeno, che ha visto una ripetizione moderna degli eventi del 1920 quando le forze armate e i cittadini azeri massacrarono gli Armeni a Sumgait, Kirovabad, Baku e Shahumyan, tra le altre città a partire dal 1988 [QUI e QUI].

Il 27 settembre 2020 si riaccese la guerra secolare in Artsakh/Nagorno-Karabakh tra Armenia e Azerbajgian. Si tratta di un conflitto che era stato definito “congelato” in quanto si protraeva dal 1988 con scontri alternandosi tra bassa e alta intensità, ripreso con la guerra dei 44 giorni del 2020, che in realtà è una guerra che c’è da più di un secolo. Ignorata. Dal 1994, anno in cui si arrivò al primo cessate il fuoco con la firma del protocollo di Biškek, con la mediazione della co-Presidenza (Russia, Stati Uniti e Francia) del Gruppo di Minsk dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), si sono susseguiti tentativi di risoluzione del conflitto e momenti di riattivazione degli scontri, che continuano fino ad oggi.

Nel 2020, già a luglio si erano registrati scontri nella provincia armena di Tavush, in cui insolitamente vennero impiegate armi molto sofisticate, droni e artiglieria pesante. Il 27 settembre 2020, poi, l’Azerbajgian effettuò alcuni attacchi missilistici ed aerei nel territorio dell’alto Karabakh, compresa su Stepanakert, la capitale della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, fatto che non si verificava dagli anni Novanta, periodo in cui il conflitto era nelle fasi più violente. Inizialmente, Baku dichiarò che si trattava di una controffensiva, a seguito di un iniziale attacco armeno, poi smentito come false flag: “In risposta alle provocazioni su larga scala commesse dalle forze armate armene lungo l’intera lunghezza del fronte, l’esercito azero il 27 settembre 2020 ha lanciato una controffensiva che poi è stata soprannominata Pugno di ferro. La guerra dei 44 giorni ha posto fine ai quasi 30 anni di occupazione e ha assicurato il ripristino dell’integrità territoriale dell’Azerbajgian. La brillante vittoria nella guerra patriottica ottenuta sotto la guida del Comandante in capo Ilham Aliyev è stata scritta nella storia dell’Azerbajgian a lettere d’oro” (AZERTAC-Azerbaijan State News Agency, l’agenzia stampa del regime autocratico di Baku).

Le attività militari si estesero quindi sull’intera linea di contatto, con un dispiegamento significativo di carri armati, fanteria, droni e artiglieria da parte di Baku. Quindi, era chiaro che le operazioni erano state certamente già pianificate da tempo. Il confronto decisivo avvenne tra il 2 e l’8 novembre 2020 con la Battaglia di Shushi, quando le forze armate azere occuparono la seconda città della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh. Questo obiettivo rappresentava per Baku un valore simbolico, ma pure una conquista strategica, visto che Shushi si trova in una posizione sopraelevata e a soli 15 chilometri da Stepanakert. Quindi, costituiva l’ultima roccaforte armena prima della capitale dell’Artsakh. A seguito di violenti scontri, l’8 novembre 2020, il Presidente azero Ilham Aliyev in un Discorso alla nazione pronunciato nel Vicolo dei Martiri a Baku, annunciò la conquista (per gli Azeri la “liberazione”) della Città: “Condividere questa buona notizia con il popolo dell’Azerbajgian in questo giorno storico è forse uno dei giorni più felici della mia vita. Caro Shusha, sei libera! Cara Shusha, siamo tornati! Cara Shusha, ti faremo rivivere! Shusha è nostra! Il Karabakh è nostro! Il Karabakh è Azerbajgian!”. Il giorno successivo il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan rese nota la resa delle forze armene e la firma di un accordo di cessato il fuoco trilaterale, mediato dal Presidente russo Vladimir Putin.

La battaglia di Shushi ha provocato ingenti danni anche alla cattedrale armena apostolica del Santo Salvatore Ghazanchetsots, che fu già deturpata all’indomani della distruzione dei quartieri armeni della Città da parte dell’esercito azerbajgiano il 23 marzo 1920, operazione ripetuta dopo la riconquista azera nel 2020.

Nella difesa di Shushi, molti soldati armeni sono caduti. Dopo la conquista azera la popolazione armena della città è fuggita. Con la caduta di Sushi – che ha portato Aliyev a firmare l’accordo trilaterale di cessate il fuoco del 9 novembre 2020 – Stepanakert e il Corridoio di Berdzor (Lachin) sono tornato sotto visione di tiro diretto.

Nel 2020 la tragedia si è ripetuta. Dopo aver occupato la città di Shushi l’8 novembre, segnando la fine dei 44 giorni di aggressione dell’Azerbajgian contro la Repubblica di Artsakh, l’Azerbajgian ha nuovamente espulso la popolazione armena della città. Dopo quasi 70 anni, le autorità azere hanno nuovamente fatto ricorso a uno strumento collaudato nel loro arsenale: la pulizia etnica con il massacro e la deportazione della popolazione armena innocente, l’organizzazione di uccisioni di massa e pogrom a Sumgait, Baku, Gandzak (Kirovabad) e altri insediamenti dell’ex Repubblica Socialista Sovietica di Azerbajgian. Sia nel 1920 che nel 2020, l’Azerbajgian ha cercato non solo di annientare la popolazione armena della città di Shushi e dell’Artsakh nel suo insieme, ma anche di cancellarne la storia, la cultura e lo spirito. L’Azerbajgian continua ad aderire a questa strategia fino ad oggi. Tuttavia, è impossibile distruggere lo spirito armeno di Shushi, che è indissolubilmente legato all’Artsakh. È stato rivissuto nel maggio 1992 e sarà rivissuto di nuovo.

TensioniNagorno-Karabakh: Baku ha violato il cessate il fuoco (Corriere del Ticino 25.03.23)

Oggi «una unità delle forze armate azere ha attraversato la linea di contatto nel distretto di Shusha, in violazione» dell’accordo raggiunto nel 2020: lo afferma in una nota il ministero della Difesa russo. Mosca ha mediato gli accordi tra Armenia e Azerbaigian che nell’autunno del 2020 misero fine al secondo conflitto tra Baku e Yerevan.

Secondo Mosca, le truppe azere «hanno occupato una collina» e «hanno iniziato l’installazione di una postazione». Le forze russe in loco «adottano misure volte a prevenire un’escalation ed evitare reciproche provocazioni».

«La parte azera è stata informata della necessità di rispettare le disposizioni dell’accordo, di prendere misure per fermare i lavori e ritirarsi nelle posizioni che occupavano in precedenza», ha aggiunto il ministero russo.

Sabato scorso, il ministero della Difesa azero ha annunciato di aver preso il controllo di alcune strade nell’enclave del Nagorno-Karabakh.

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Nagorno-Karabakh, la Russia accusa l’Azerbaijan di aver violato il cessate il fuoco con l’Armenia (La Repubblica 25.03.23)

MOSCA – Era solo questione di tempo prima che la crescente tensione tra Azerbaijan e Armenia sui territori contesi del Nagorno-Karabakh sfociasse in un nuovo potenziale focolaio di conflitto nel continente eurasiatico, sullo sfondo di una Russia che, distratta dall’Operazione militare in Ucraina risponde sempre meno ai propri oneri di mediatore. In serata il Ministero della Difesa della Federazione Russa in un comunicato non ha potuto far a meno di constatare la violazione da parte di Baku degli accordi tripartiti del 2020 sulla risoluzione della crisi del Nagorno-Karabakh.

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Centoquattresimo giorno del #ArtsakhBlockade. Ennesima grave violazione dell’Azerbajgian dell’accordo di cessate il fuoco nella Repubblica di Artsakh (Korazym 25.03.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 25.03.2023 – Vik van Brantegem] – Oggi, l’esercito dell’Azerbajgian ha attraversato la linea di contatto con il Nagorno-Karabakh stabilita dalla Dichiarazione trilaterale di cessate il fuoco del 9 novembre 2020 e ha effettuato un miglioramento della posizione per controllare la strada civile montuosa che aggira Shushi. Il Centro di informazione della Repubblica di Artsakh ha comunicato che le forze armate dell’Azerbajgian hanno violato nel settore Shushi-Lisagor la linea di contatto stabilita dall’accordo di cessate il fuoco e assicurato un certo avanzamento posizionale nel territorio dell’Artsakh.

Il Bollettino informativo del Ministero della Difesa della Federazione Russa sulle attività del contingente di mantenimento della pace russo nella zona del conflitto del Nagorno-Karabakh, questa sera ha comunicato: «Il 25 marzo 2023, un’unità delle forze armate azere, in violazione del paragrafo 1 della Dichiarazione del Presidente della Repubblica dell’Azerbajgian, del Primo Ministro della Repubblica di Armenia e del Presidente della Federazione Russa del 9 novembre 2020, ha attraversato la linea di contatto nella regione di Shusha, ha occupato un’altezza a 2,9 km a nord-est del Monte Sarybaba e ha avviato lavori ingegneristici su posto. Il comando delle forze di mantenimento della pace russe sta adottando misure volte a prevenire l’escalation della situazione di crisi e prevenire reciproche provocazioni da parte delle parti in guerra. La parte azera è stata informata della necessità di rispettare le disposizioni degli accordi tripartiti dei Capi di Stato, adottare misure per interrompere i lavori di ingegneria e ritirare le unità delle forze armate nazionali nelle loro posizioni precedentemente occupate».

Si tratta della dichiarazione del Ministero della Difesa russo più forte finora dal momento dell’inizio della missione di mantenimento della pace nel Nagorno-Karabakh dopo la guerra dei 44 giorni di fine 2020.

Il Ministero della Difesa dell’Azerbajgian ha comunicato: «Tenendo conto della situazione, le necessarie misure locali di controllo sono state implementate dalle unità dell’esercito dell’Azerbaigian al fine di impedire l’uso delle strade sterrate a nord della strada Lachin per attività illegali, nonché l’escalation della situazione con il trasporto di armi e munizioni da parte dell’Armenia e la commissione di potenziali provocazioni».

Da giorni, l’Azerbajgian stava cercando di prendere di mira le strade intercomunali dell’Artsakh, usando la falsa tesi del trasporto di armi e munizioni, per fuorviare la comunità internazionale e preparare una falsa base di informazioni per ulteriori provocazioni contro la popolazione civile dell’Artsakh. Inoltre, hanno affermato le autorità dell’Artsakh, l’esistenza e la normale attività dell’esercito di difesa dell’Artsakh non costituisce una minaccia per nessuno, in quanto destinata esclusivamente all’autodifesa, considerati i pericoli e le minacce reali e immediati per l’esistenza fisica e la sicurezza dei cittadini armeni della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh.

Il Ministero della Difesa dell’Azerbajgian, per giustificare l’aggressione, diffonde la disinformazione che «negli ultimi giorni si è intensificato il trasporto di manodopera, munizioni, mine e altro equipaggiamento militare dall’Armenia ai gruppi armati armeni illegali nel territorio dell’Azerbajgian, dove è temporaneamente di stanza il contingente di mantenimento della pace russe. Questi trasporti vengono effettuati soprattutto di notte e approfittando di condizioni meteorologiche nebbiose. Gruppi armati armeni illegali stanno portando avanti la costruzione di nuove strade su diversi percorsi, nonché l’ampliamento di vecchi sentieri, che attraversano alcune zone montuose e sterrate. A tale scopo vengono utilizzate attrezzature militari, ingegneristiche e speciali, nonché persone reclutate per il servizio militare su base contrattuale e residenti locali come forza lavoro. Negli ultimi giorni, l’intensificarsi dei lavori abusivi di costruzione e miglioramento da parte degli armeni sulle strade che passano a nord di questa direttrice è stato registrato dagli strumenti di sorveglianza tecnica dell’Esercito dell’Azerbajgian. Queste strade sono utilizzate anche per mettere in sicurezza e rifornire le postazioni di combattimento dei gruppi armati armeni illegali».

Le autorità dell’Artsakh hanno ripetutamente annunciato e presentato prove fattuali che la strada di montagna Stepanakert-Ghaibalishen-Lisagor, sul territorio dell’Artsakh nel Corridoio di Berdzor (Lachin) è utilizzata esclusivamente per il movimento di civili e il trasporto di beni umanitari tra Stepanakert e le 4 comunità isolate della regione di Shushi, tenendo conto del fatto che dal 12 dicembre 2022, l’Azerbajgian le agenzie governative hanno tenuto chiuso il tratto Shushi-Lisagor dell’autostrada Goris-Berdzor (Lachin)-Stepanakert lungo il Corridoio di Berdzor (Lachin).

I trasporti su questa strada vengono effettuati con veicoli grandi, tenendo conto del terreno molto difficile e pericoloso, con un rilievo montuoso e complesso. È l’unico percorso intercomunitario che aggira l’autostrada bloccata, dove sono necessarie attività di costruzione di strade per garantire un traffico relativamente sicuro e accessibile per il collegamento dei 4 insediamenti isolati a causa del blocco nella regione di Shushi (Lisagor, Mets Shen, Hin Shen e Yeghtsahogh) con la capitale dell’Artsakh e altri insediamenti

L’avanzamento dell’esercito azerbajgiano oltre la linea di contatto rappresenta l’ennesima grave violazione dell’accordo di cessate il fuoco nel Nagorno-Karabakh. Questo nuovo attacco azero di oggi contro l’Artsakh arriva dopo un anno esatto dall’attacco al villaggio di Parukh e relative alture. Anche allora, l’Azerbajgian occupò territorio dell’Artsakh in violazione dell’accordo del 9 novembre 2020.

Dopo più di 100 giorni di blocco dell’autostrada interstatale Goris-Berdzor (Lachin)-Stepanakert e dell’assedio dell’Artsakh, le autorità della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh avevano iniziata ad usare e a sistemare strade forestali di montagna per far passare aiuti umanitari (cibo e medicine) per la popolazione isolata dal 12 dicembre 2022 e bypassare così il blocco criminale all’altezza di Shushi. Il regime autocratico di Aliyev, perseguendo lo scopo della pulizia etnica degli Armeni dell’Artsakh, cerca ora di bloccare questo tentativo per garantire la sopravvivenza a 120.000 persone. L’Azerbajgian non vuole la pace ma eliminare gli armeni. Di fronte all’ennesima provocazione bellica dell’Azerbajgian contro l’Artsakh, le organizzazioni internazionali continueranno ad esprimere sempre soltanto “preoccupazione” per la tensione nella regione, senza fermare il criminale di guerra Aliyev?

Sfortunatamente, è altamente probabile che il prossimo passo degli Azeri sarà l’acquisizione del tratto sulla tangenziale sterrata e il passaggio a un vero e proprio blocco totale. Oggi hanno già avvicinato le loro posizioni. A seguito dell’avanzamento dell’Azerbajgian oltre la linea di contatto stabilita dalla Dichiarazione trilaterale, la strada di montagna è stata chiusa dalle autorità dell’Artsakh, poiché non è più sicuro attraversarla, visto che gli Azeri hanno ottenuto il controllo del fuoco diretto su di essa, con cui si aggrava la situazione umanitaria dei 4 villaggi isolati della regione di Shushi, adesso in isolamento totale.

Le autorità dell’Artsakh hanno immediatamente informato di comando delle forze di mantenimento della pace della Russia di questa ulteriore grave violazione delle disposizioni della Dichiarazione trilaterale, tenendo conto della missione e delle funzioni da esse assunte ai sensi dell’accordo di cessate il fuoco. Le autorità dell’Artsakh si aspettano che le truppe di mantenimento della pace russe adottino misure concrete per eliminare le conseguenze di questa violazione e prevenirne di nuove.

La falsa affermazione dell’Azerbajgian sull’uso della strada montuosa Stepanakert-Ghaibalishen-Lisagor “per il trasporto di munizioni e truppe dall’Armenia”, raggirando il posto di blocco dell’”eco-protesta” per evitare i controlli, è stata solo il pretesto per le loro successive azioni aggressive e distruttive. La valenza civile di quella strada è stata inconfutabilmente provata a seguito dell’agguato sabotaggio azero del 5 marzo, quando il gruppo terroristico azero, con la presunzione di impedire il trasferimento di armi, ha aggredito e ucciso 3 agenti di polizia e ne hanno ferito un altro, che viaggiavano da Stepanakert alle comunità della regione di Shushi per svolgere un servizio civile.

Due dittatori genocidi in una foto. Quello a destra chiama gli Armeni “i resti di una spada” e minaccia di finire il lavoro dei suoi antenati. Quello a sinistra chiama gli Armeni “cani”, “tumore cancerogeno dell’Europa”, ecc. e sostiene la suddetta minaccia tramite il terrore e il #ArtsakhBlockade. La pulizia etnica e il tentativo di genocidio perpetrati dall’Azerbajgian contro il popolo armeno dovrebbero essere la storia più grande dei media. Gli Armeni Cristiani vengono massacrati e cacciati dalla loro terra ancestrale armena, in un orribile assalto condonato dalla comunità internazionale e sostenuto da Stati minacciosi e dittatori come Erdoğan in Turchia. L’Armenia è uno stato sopravvissuto al genocidio turco, costantemente minacciato di annientamento da parte di dittatori brutali e oppressivi. Il mondo deve alzarsi in piedi e agire.

La questione del Nagorno-Karabakh è un esempio da manuale di pulizia etnica. E anche se in questo caso si tratta di un popolo Cristiano, non si tratta però di un conflitto religioso e i genocidi sono un crimine se vengono commessi contro Armeni cristiani, Bosniaci musulmani, Albanesi kosovari, Rohingya, ecc. Anche se il risultato della pulizia etnica nella più antica patria armena abitata ininterrottamente, costellata di chiese, monasteri e monumenti armeni che precedono di decenni la diffusione del cristianesimo in Europa, sarà l’annientamento del Cristianesimo nel Caucaso.

Gli Armeni, un popolo che ha subito un lungo genocidio sotto l’Impero ottomano prima di essere esposto al dominio autocratico sovietico nel XX secolo, sono stati sottoposti a punizione collettiva nel XXI secolo con l’intento di cacciarli dalla loro casa ancestrale.

Il Nagorno-Karabakh, un territorio storicamente armeno, che gli Armeni chiamano Artsakh, nonostante la sua storia e demografia, fu consegnato all’Azerbajgian sovietico nel 1921 da Joseph Stalin, che attuò il metodo imperiale di dividere le comunità nazionali ed etniche coese per tenere sotto controllo le diverse popolazioni. Nel 1988, il popolo dell’Artsakh votò in modo schiacciante in un referendum per sciogliere la cartografia artificiale di Mosca, stabilire la sua indipendenza separandosi dall’Unione Sovietica e affermare la propria identità armena. Questo legittimo atto di auto-determinazione ha provocato ancora più massacri di Armeni, il cui desiderio non è stato onorato. Al crollo dell’URSS, l’Artsakh finì all’interno delle frontiere sovietiche ereditate dall’Azerbajgian. Gli Armeni, tuttavia, sconfissero l’Azerbajgian nella Prima Guerra del Nagorno-Karabakh, che durò fino al 1994, quando la regione proclamò la propria autonomia. Quindi, nel 2020, al culmine della pandemia di COVID-19, l’Azerbajgian ha lanciato un’offensiva a sorpresa, la Seconda Guerra del Nagorno-Karabakh, conosciuta come la Guerra dei 44 giorni, vinta con il decisivo coinvolgimento e l’assistenza aperta della Turchia.

L’Azerbaigian vuole la terra degli Armeni, senza gli Armeni che la abitano. Le sue conquiste sul campo di battaglia furono seguiti da uno spietato sforzo per radere al suolo ogni traccia della storia armena. Mentre l’Armenia mantiene una moschea medievale nella sua capitale, ha ottimi rapporti con il mondo islamico e accoglie persone di tutte le fedi, l’Azerbajgian ha iniziato a sfigurare e distruggere le chiese armene nel territorio che ha conquistato per motivi ideologici.

La catastrofe umanitaria, a cui il mondo si rifiuta di assistere, è una messa in atto da manuale della pulizia etnica. Più di una dozzina di organizzazioni non governative hanno emesso un severo avvertimento che l’assedio dell’Artsakh da parte dell’Azerbajgian è “progettato, secondo le parole della Convenzione sul genocidio, infliggere deliberatamente condizioni di vita calcolate per determinare la fine di un regime nazionale, etnico, razziale o gruppo religioso in tutto o in parte. Tutti i 14 fattori di rischio per i crimini di atrocità identificati dall’Ufficio del Segretario generale delle Nazioni Unite per la prevenzione del genocidio sono ora presenti” (Genocide Watch).

La storia – la storia armena – ci insegna che il successo delle campagne di genocidio dipende sempre dal silenzio del mondo e della non-azione della comunità internazionale. Le parole soltanto, in assenza dell’azione, non salveranno l’Armenia. Res non verba!

Il video.

I militari del contingente di mantenimento della pace russo nel Nagorno-Karabakh, insieme ai volontari del progetto multinazionale “Siamo uniti”, hanno svolto dal 21 al 23 marzo tre azioni umanitarie congiunte, visitando 12 scuole della città di Stepanakert. Durante la visita sono stati consegnati più di 2.600 sacchetti alimentari a famiglie in situazioni sociali difficili. Inoltre, i militari e i volontari hanno donato 220 sacchetti al personale della scuola d’arte e a varie ONG locali come l’Unione dei rifugiati, la Comunità russa del Nagorno-Karabakh, l’Unione dei veterani [di guerri] afghani e l’Unione dei cosacchi armeno-russa.

L’Artsakh non è un Paese di povera gente. Basta aprire il Corridoio di Berdzor (Lachin) e ripristinare la fornitura di elettricità e gas, e nessuno in Artsakh avrebbe bisogno di sacchetti di cibo per pietà. Le persone in Artsakh sono ben capace di guadagnarsi da mangiare senza l’aiuto di nessuno, se non tenute sotto il criminale assedio di Aliyev per obbligarli di lasciare la loro terra ancestrale.

Si è concluso ieri, 24 marzo 2023 il corso Multinational Peace Support Operations (Operazioni multinazionali di sostegno alla pace) organizzato per il Ministero della Difesa dell’Azerbajgian con 4 settimane di formazione del British Military Advisory Training Team (BMATT) nella Repubblica Ceca (Squadra di addestramento di consulenza militare britannica), su argomenti come esercitazioni pratiche, codice di condotta delle Nazioni Unite e diritto dei conflitti armati. L’Ambasciatore del Regno Unito in Azerbajgian, Fergus Auld, è stato presente alla conclusione di questa sessione di addestramento del BMATT per un gruppo selezionato di militari azeri. Lo stesso BMATT ha svolto addestramento in Armenia nel settembre 2021. Il 17 settembre 2021 per qualche motivo un loro tweet, che includeva l’immagine di un soldato armeno con un batch armeno e uno della NATO sul braccio, è stato eliminato subito dopo fu ritwittato il post dal Nagorno Karabakh Observer, che ha scritto di non essere sicuro del perché. Lo scopo del BMATT è “fornire corsi di addestramento militare, assistenza, tutoraggio e consulenza ai Paesi partner al fine di sviluppare le loro forze armate professionali”.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

“Nuova guerra per Putin”, scontri a fuoco e tank in movimento: che succede (Il Tempo 25.03.23)

Si riapre un fronte di guerra che sembrava dimenticato per Vladimir Putin. Parliamo del Nagorno-Karabakh, regione contesa tra Azerbaigian e Armenia, nel Caucaso. La Russia ha il ruolo di mediatrice nel conflitto tra i due Paesi e ha accusato Baku di aver violato l’accordo di cessate il fuoco, che ha posto fine alla guerra del 2020, consentendo alle sue truppe di attraversare la linea di demarcazione. “Il 25 marzo 2023, un’unità delle forze armate azere ha attraversato la linea di contatto nel distretto di Shusha, in violazione” dell’accordo raggiunto nel 2020, ha affermato in un comunicato il ministero della Difesa russo

Recentemente i negoziati tra le due parti sembravano finalmente avviati a una soluzione per la martoriata regione, ma nuovi scontri a fuoco nel mese di marzo improvvisamente fatto rialzare la tensione. “L’incubo di un nuovo conflitto in Karabakh” è ora concreto, scrive il Giornale che ha dedicato un’analisi al caso. Gli azeri, si legge, hanno respinto le accuse di Mosca ribadendo che “le unità dell’esercito azerbaigiano hanno adottato adeguate misure di controllo al fine di impedire l’uso per attività illegali di strade non asfaltate a nord della strada Lachin, nonché un’ulteriore escalation della situazione e potenziali provocazioni dovute al trasporto di armi e munizioni nei territori dell’Azerbaigian da parte dell’Armenia”.

L’accusa di Baku è che l’Armenia starebbe intensificando “il trasporto di personale militare, armi e munizioni, mine antiuomo, nonché altro equipaggiamento militare” nel territorio di competenza azera e in cui è temporaneamente dispiegato il contingente russo di peace keeping. Una pace che, con la Russia impegnata nella guerra in Ucraina, sembra difficile da riportaste.

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Il fronte alle porte di casa: la nuova guerra di Putin (Il Giornale)

AZERBAIJAN. RIPRENDONO GLI SCONTRI IN NAGORNO KARABAKH (Notiziegeopolitiche 25.03.23)

di Angelo Gambella –

Le forze armate dell’Azerbaijan hanno dato il via ad operazioni militari, definite “locali” dal ministero della Difesa di Baku, nel Nagorno Karabakh. Al momento sono dati combattimenti nell’area di Sushi – Lisagor, con i militari azeri che avrebbero superato la linea di contatto delle forze armene. La tregua sarebbe stata violata anche a Martuni.
Le forze di interposizione russe hanno intimato agli azeri di ritirarsi.
Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha chiamato al telefono il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev e il primo ministro armeno Nikol Pashinyan per esprimere preoccupazione per l’escalation in corso. Ribadendo l’impegno dell’Ue al raggiungimento della stabilizzazione e quindi di una pace sostenibile, ha invitato le parti a sospendere le ostilità e a individuare soluzioni di compromesso.

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«Il terremoto fa più paura della guerra. Aleppo ha ancora bisogno d’aiuto» (Tempi 24.03.23)

«Il terremoto fa più paura della guerra. Prima almeno sapevamo da dove sarebbero potuti arrivare i missili e dove nasconderci. Ora non abbiamo idea di quando la terra tremerà di nuovo: non sappiamo dove scappare». Chi pensa che l’emergenza ad Aleppo sia finita, a oltre un mese dal devastante terremoto che ha fatto più di 57 mila vittime tra Turchia e Siria, si sbaglia.

«Non basta rimuovere le macerie»

Anche se gli sfollati che a migliaia si sono rifugiati nelle scuole e nelle parrocchie, in macchina e per strada, hanno fatto ritorno a casa (chi ne ha ancora una) o ne hanno affittata un’altra, le conseguenze del sisma continuano a farsi sentire. Non solo perché manca il lavoro ad Aleppo, non solo perché acqua corrente, energia elettrica e riscaldamento sono disponibili per poche ore al giorno, ma anche perché il trauma provocato dal sisma continua a perseguitare la popolazione.

«Non basta rimuovere le macerie, dare cibo e coperte alla gente, ricostruire case e palazzi. I siriani stanno morendo e c’è bisogno di aiuto per farli tornare alla vita». Parla così a Tempi padre Leo Jenanian, vicesuperiore della congregazione armena mechitarista del Medio Oriente, che ad Aleppo gestisce una scuola per 160 studenti, l’Istituto dei padri mechitaristi.

Ad Aleppo i bambini dormono con le scarpe

I bambini, come anche i genitori, racconta, dormono con le scarpe ai piedi e tengono sempre uno zaino accanto a sé con i beni essenziali. «Non per andare a scuola o al lavoro, ma per scappare nel caso arrivi un nuovo terremoto. Basta il tintinnio di un bicchiere sbattuto sul tavolo per farli sobbalzare sulla sedia».

È per far fronte a questo nuovo bisogno, di cui pochissimi si occupano in Siria, che la congregazione armena mechitarista del Medio Oriente ha deciso di lanciare un nuovo progetto ad Aleppo per offrire supporto psico-sociale agli adulti e ai bambini che sono rimasti traumatizzati dal sisma. Il progetto che accompagnerà per mesi gli aleppini più colpiti, in parte finanziato dall’agenzia papale Catholic Near East Welfare Association (Cnewa), fornirà aiuto a oltre 500 persone.

«Aleppo deve tornare a vivere»

«Abbiamo bisogno del sostegno di tutti per ridare speranza ad Aleppo», continua padre Jenanian. «Appena gli sfollati sono tornati a casa, abbiamo subito riaperto la scuola per permettere ai bambini di riprendere a studiare. Ma solo per far funzionare i generatori e garantire acqua, luce e riscaldamento spendiamo 4 mila dollari al mese».

Il progetto di supporto psicologico e spirituale ai cristiani di Aleppo, al quale presto se ne affiancherà un altro per la costruzione di un grande centro sportivo, non è meno importante delle operazioni di primo soccorso garantite a tutta la popolazione subito dopo il terremoto del 6 febbraio.

«Quando accadono questi disastri tutti pensano subito ai bisogni materiali della gente», conclude il vicesuperiore della congregazione armena mechitarista del Medio Oriente. «Ma occuparsi della salute mentale e spirituale delle persone è altrettanto importante. Solo così Aleppo potrà tornare a vivere».

@LeoneGrotti

Per effettuare donazioni:
Intestatario del Conto Corrente: Congregazione Armena Mechitarista
Iban: IT79 H030 6909 6061 0000 0007 086
Bic: BCITITMM
Causale: Sos Aiuto Terremotati Aleppo

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Destinazione Armenia: Gruppo SAVE, Wizz Air, Armenia Tourism Committee presentano all’Isola di San Lazzaro degli Armeni (Italiavola 24.03.23)

la nuova destinazione di recente collegata grazie al volo diretto Venezia – Yerevan

Nel pomeriggio odierno, l’isola di San Lazzaro degli Armeni accoglie l’evento di presentazione della “Destinazione Armenia”, rivolto ad agenti di viaggio e rappresentanti della comunità armena.

L’occasione si collega all’attivazione lo scorso 12 gennaio del volo bisettimanale su Yerevan di Wizz Air, compagnia aerea con base all’aeroporto Marco Polo di Venezia.

Un evento duplice, che da un lato permette di ripercorrere la storia di una comunità presente a Venezia già dalla metà del 1200 e che dall’altro, attraverso le parole di Sisian Boghossian, Presidente del Comitato per il Turismo del Ministero dell’Economia della Repubblica d’Armenia, offre una panoramica sui suggestivi percorsi di viaggio nel Paese.

A fare da cornice, l’Isola degli Armeni, dal 1717 sede del Monastero dell’Ordine dei Mekhitaristi, con il suo ricchissimo patrimonio spirituale, culturale e artistico, tra cui una biblioteca che conserva migliaia di volumi antichi e oltre 4.000 manoscritti miniati.

Camillo Bozzolo, Direttore Sviluppo Aviation Gruppo SAVE: “Con questo incontro, abbiamo voluto sottolineare la stretta relazione che esiste storicamente tra la città di Venezia e l’Armenia e che, grazie al volo di Wizz Air, ora può contare su una maggiore facilità di scambi e nuove opportunità di viaggi per turismo e affari. La destinazione Armenia, dalla sua attivazione a gennaio, sta registrando un forte interesse, con ottimi riempimenti dei voli. Nei primi due mesi di attività, sono stati oltre 7000 i passeggeri trasportati”.

Robert Carey, Presidente Wizz Air: “Il nuovo volo su Yerevan e la rete di collegamenti della stagione estiva confermano il nostro impegno nella Regione Veneto per la continua espansione del nostro network all’aeroporto di Venezia. Avendo recentemente celebrato il primo anniversario della nostra base al Marco Polo, siamo ora orgogliosi di offrire 26 interessanti rotte ai passeggeri del territorio. Siamo entusiasti del fatto che la rotta sull’Armenia da poco attivata abbia già incontrato il favore dei passeggeri”.

Sisian Boghossian, Presidente del Comitato per il Turismo del Ministero dell’Economia della Repubblica d’Armenia: “Siamo entusiasti di avere una nuova rotta che collega Yerevan, Armenia, a Venezia, Italia, con Wizz Air. Questo nuovo volo diretto permette ai visitatori di raggiungere la destinazione desiderata in modo rapido, comodo e conveniente. L’Armenia è pronta ad accogliere un maggior numero di ospiti dall’Italia, in particolare da Venezia, per visitare tutte le gemme nascoste che abbiamo da offrire. Siamo fiduciosi che questo nuovo volo invoglierà i visitatori a esplorare e scoprire l’Armenia – The Hidden Track”.

Gagik Sarucanian, Honorary Consul of Armenia: Console Onorario di Armenia, Gagik Sarucanian: “Siamo qui oggi per contribuire a far conoscere tanto in Italia quanto in Armenia e alla nostra Comunità i vantaggi di questa nuova rotta. Per noi, un vettore come Wizz Air e uno scalo internazionale come l’aeroporto Marco Polo di Venezia, rappresentano una garanzia di sicurezza e affidabilità. La compagnia aerea è una delle più attive nella gestione dei flussi di passeggeri internazionali e siamo certi che l’avvio di questa nuova rotta porterà benefici reciproci per la crescita d’interessi turistici e d’affari per l’Italia e l’Armenia”.

Padre Hamazasp Kechichian, Priore di San Lazzaro: “Auguro che questa iniziativa di Wizz Air sia proficua, ma soprattutto fortifichi e renda più tangibile l’amicizia storica tra il popolo Armeno e il popolo Italiano”.

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