Giubileo 2025: pellegrinaggio degli armeni cattolici della Romania alla cattedrale di Gherla (SIR 25.08.25)

I fedeli armeni cattolici che vivono nell’ovest della Romania hanno partecipato ieri, domenica 24 agosto, ad un pellegrinaggio alla cattedrale “Santissima Trinità” di Gherla (contea di Cluj-Napoca). L’iniziativa s’iscrive nell’Anno Santo della speranza ed è stata organizzata dall’ordinariato per gli armeni cattolici della Romania. All’evento hanno preso parte anche sacerdoti armeni cattolici dall’Ungheria, insieme a docenti e studenti del dipartimento armeno dell’Università Pázmány Péter (Budapest). Il pellegrinaggio si è concluso con la messa presieduta in rito armeno cattolico da don Attila Küsmődi, parroco della cattedrale di Gherla. I canti liturgici sono stati eseguiti in lingua armena dal coro della cattedrale di Gherla e dal coro Santa Cecilia di Cluj. Nell’omelia, mons. Gergely Kovács, arcivescovo romano-cattolico di Alba Iulia e amministratore apostolico per gli armeni della Romania, ha incoraggiato i fedeli ad essere ogni giorno una degna dimora di Dio. Inoltre, li ha ringraziati per la loro fedeltà e perseveranza nella fede e per aver mantenuto la cultura armena per generazioni. Gli armeni cattolici si sono stabiliti nella Transilvania alla fine del 1600. Per loro la Santa Sede ha istituito inizialmente un vicariato apostolico nel 1687 e, dopo il concordato tra la Romania e la Santa Sede (1927), un ordinariato nel 1930, guidato dal 2020 da mons. Kovács. La cattedrale di Gherla risale al 1800. L’ordinariato conta adesso quattro parrocchie: Dumbrăveni, Gheorgheni, Frumoasa e Gherla.

Vai al sito

Siria – Un orfanotrofio che porta sostegno e gioia ai bambini, grazie alla generosità di “Salesian Missions” (Infoans

(ANS – Aleppo) – I Salesiani hanno potuto aiutare a sostenere i bambini di due orfanotrofi ad Aleppo, in Siria, grazie al finanziamento alla generosità dei donatori di “Salesian Missions”, la Procura Missionaria salesiana di New Rochelle, negli Stati Uniti. Con questo nuovo progetto in corso è stato possibile sostenere un orfanotrofio armeno, che ospita 30 bambini, e un orfanotrofio musulmano, che ospita 50 minori dai 6 ai 18 anni.

I volontari hanno coinvolto i bambini in attività quali sport e giochi, sessioni culturali ed educative, workshop psicologici, spettacoli teatrali interattivi e una giornata di festa. I bambini hanno anche avuto accesso a sessioni di consulenza individuale per iniziare o continuare il supporto terapeutico in un ambiente sicuro e confidenziale.

Gli orfanotrofi di Aleppo sono criticamente sottoutilizzati e affrontano sfide travolgenti, tra cui l’eccesso di capacità, la carenza di personale e i finanziamenti limitati per soddisfare anche le esigenze più basilari dei bambini.

Un salesiano di Aleppo ha osservato: “L’Orphan Project rappresenta una potente iniziativa umanitaria, che ha fornito cure essenziali e sostegno emotivo ai bambini orfani di Aleppo – indipendentemente dalla loro religione, provenienza o comunità. In mezzo alla crisi umanitaria in corso e all’instabilità socio-economica nella regione, questo progetto è servito come un faro di speranza, offrendo a questi bambini non solo risorse essenziali ma anche dignità, amore e appartenenza”.

Il programma è stato guidato dai Salesiani Cooperatori, che hanno trascorso del tempo impegnandosi con i bambini. Un team dedicato di circa 50 volontari si è occupato della pianificazione, preparazione, attuazione e follow-up.

Maria Keshishian, di 10 anni, vive nel l’orfanotrofio armeno di Aleppo da quando aveva 5 anni. Ma qualcosa è cambiato quando i Salesiani Cooperatori sono arrivati. “Non sono venuti solo per divertirci – ha detto – sono venuti con il cuore aperto e sorrisi caldi. Dal momento in cui sono arrivati, ho sentito qualcosa che non provavo da molto tempo. Mi sentivo vista, ascoltata e veramente accudita”.

Mohammad Al-Ahmad, 11 anni, vive nell’orfanotrofio da sei anni. Per lui è stato bello poter ballare e fare attività tutti insieme: questo ha significato stabilire connessioni, fare parte di qualcosa di gioioso.

I centri salesiani in Siria stanno fornendo ai giovani un rifugio sicuro e un luogo dove possono continuare a coltivare i loro sogni e la loro fede attraverso l’educazione e il sostegno. I centri salesiani si trovano ad Aleppo, Damasco e Kafroun.

Vai al sito

24 agosto, santo del giorno: San Bartolomeo (Quotidiano.net 24.08.25)

San Bartolomeo è uno dei dodici apostoli di Gesù ed è celebrato il 24 agosto dalla Chiesa Cattolica. La sua figura è avvolta da un alone di mistero, ma la tradizione cristiana lo identifica con Natanaele, menzionato nel Vangelo di Giovanni. Bartolomeo è noto per la sua fede incrollabile e per le sue opere di evangelizzazione, che lo portarono a diffondere il cristianesimo in diversi paesi, tra cui l’India e l’Armenia.

Perché San Bartolomeo è diventato Santo?

Il motivo per cui San Bartolomeo è diventato santo è legato al suo martirio. Secondo la tradizione, fu ucciso in Armenia per la sua fede cristiana, subendo il martirio della pelle. Questo evento lo ha reso un simbolo di fede e resistenza, e la sua immagine è spesso rappresentata con un coltello, lo strumento del suo martirio.

Curiosità su San Bartolomeo

Le curiosità su San Bartolomeo sono molteplici. Ad esempio, è considerato il patrono dei macellai, dei conciatori e dei rilegatori, professioni legate alla lavorazione della pelle. Inoltre, è invocato contro le malattie della pelle e i disturbi nervosi. La sua festa è particolarmente sentita in Italia, dove diverse località portano il suo nome e organizzano celebrazioni in suo onore.

Come viene festeggiato San Bartolomeo nel mondo?

San Bartolomeo è festeggiato in molte parti del mondo. In Italia, la festa è particolarmente sentita nelle città di Lipari e Benevento, dove si svolgono processioni e sagre. In India, è venerato come uno dei primi evangelizzatori del subcontinente. Anche in Armenia, luogo del suo martirio, San Bartolomeo è celebrato con grande devozione. Queste celebrazioni riflettono la diffusione del suo culto e la sua importanza come figura storica e spirituale.

Subire un genocidio dà diritto a compierne un altro? (Pressenza 24.08.25)

Un anno fa sono stato in Armenia: volevo conoscere un luogo lontano carico di storia, volevo conoscere – per quanto possibile – un popolo che mi ha sempre affascinato. Sono tornato carico di emozioni, di incontri, di immagini di luoghi antichi, di una realtà mite, di un popolo che ha subito un genocidio e che resiste come può.

Negli ultimi anni abbiamo imparato questa parola: Nagorno-Karabakh. Ma è solo stando lì che ho capito tra chi fosse conteso questo territorio, come è andata e soprattutto come è finita. Gli Armeni, non dotati probabilmente di un potente esercito e soprattutto con pochi “santi in paradiso”, hanno dovuto lasciare quel territorio all’Azerbaijan (una dittatura bella e buona), e più di 100mila armeni hanno dovuto lasciare le loro case e rifugiarsi in Armenia. Qualcuno nel mondo ha battuto ciglio per quello che è successo? No.

Quell’Azerbaijan dove, a Baku, da tutto il mondo sono andati per la COOP 29 per poi scoprire (ma davvero a posteriori?) che i padroni di casa sono grandi produttori di fonti inquinanti di energia e il Paese è stato governato per decenni da un uomo che poi ha lasciato l’incarico al figlio. L’opposizione è silenziata.

Così l’Armenia si trova schiacciata tra Turchia ed Azerbaijan, storiche alleate, che se la papperebbero in un boccone e chissà che prima o poi non lo facciano.

Anche gli Armeni sopravvivono solo grazie ad un’enorme diaspora sparsa nel mondo, ma legata a quel fazzoletto di terra, quello che è rimasto di un territorio che era ben più vasto.

E poi c’è la storia: il genocidio degli armeni è troppo poco conosciuto. Si parla di tre milioni di morti tra il 1915 e il1923, in seguito alla decisione del governo ottomano di far piazza pulita di questi mercanti e artigiani, accusati di essere in combutta con i russi. Vennero uccisi o deportati, a piedi, in condizioni tali da lasciare una scia di morti lungo quelle centinaia di chilometri: uomini, donne, anziani, bambini.

Il governo turco in questi 100 anni non ha mai ammesso le sue responsabilità, e nessuno in Europa le ha pretese nè le pretende. Gli Armeni vennero lasciati soli, e in fondo lo sono ancora.

Tornando all’oggi, ho visitato il museo di Erevan sul genocidio armeno: impressionante. Ma ciò che mi ha colpito solo le brevi sintesi di vari genocidi compiuti nella storia che vi sono alla fine: Americhe, Germania, Ruanda, Cambogia e Namibia compresi. Ovvero, dicono: il “nostro genocidio” non è stato l’unico. Nella storia ve ne sono stati diversi.

Ho conosciuto tra gli altri una famiglia armena, sono stato a casa loro. Ad un certo punto è uscita da una stanza la nonna, di oltre 90 anni, con in mano una preziosa scatolina: mi ha subito mostrato con orgoglio la medaglia ricevuta per essere sopravvissuta all’assedio di Leningrado durante la Seconda guerra mondiale. Lei e migliaia di altri bambini vennero messi al sicuro, andò in Armenia e lì è rimasta tutta la vita. Una volta dagli assedi c’era una via d’uscita, e i bambini venivano messi in salvo. Ci dice qualcosa oggi?

Infine, in Armenia ho conosciuto un popolo mite, nella capitale c’è una grande energia e una spinta in avanti, malgrado un paio di anni fa abbiano perso una guerra e abbiano dovuto accogliere (loro che sono 3 milioni) oltre 100mila profughi armeni. Ma in tutti questi anni, abbiamo mai detto “Con quello che hanno subito gli Armeni…” “Si stanno difendendo e dobbiamo aiutarli!”?

Non lo abbiamo mai detto, e in questi 100 anni non sono stati certo trattati bene. Eppure credo di non aver mai respirato un’aria più pacifica come a Gyumri, la seconda città armena. Nessuno nel mondo ha realizzato musei sulla loro storia, ben pochi la leggono sui libri o la ricordano nella Giornata della Memoria.

Sono il popolo che aderì, primo al mondo, al cristianesimo. Si sono mai sognati di fare uno stato “confessionale”?

Un amico armeno, gran conoscitore della lingua e della cultura italiana, sogna di venire in Italia a visitarla, un giorno, perché non c’è mai stato: ai cittadini armeni è praticamente impossibile avere il visto. Come mai non abbiamo il minimo scrupolo di coscienza verso questo popolo?

Si sono mai sognati gli Armeni di “farsi spazio” intorno (persero gran parte del loro territorio storico e più di 5 milioni di Armeni vivono fuori dal Paese) a suon di bombardamenti?

No. Punto.

Chi ha subito un genocidio, dovrebbe sapere cosa significhi e si dovrebbe solo augurare che non succeda mai più nel mondo.

Vai al sito

Armenia e Azerbaijan, la pace firmata a Washington inquieta Mosca (IlDomani 22.08.25)

La notizia è rimasta un po’ in secondo piano, non percepita appieno dalla pubblica opinione. L’accordo chiude la contesa sul Nagorno Karabakh ma apre nuovi scenari geopolitici che coinvolgono Russia, Iran e Turchia.

Soverchiata dagli incontri di Anchorage prima e di Washington poi, la notizia dell’intesa firmata alla Casa Bianca – con grande sfoggio di piena soddisfazione esibita da Donald Trump – fra Armenia e Azerbaijan è rimasta un po’ ai margini delle cronache internazionali pur essendo di grande importanza. Perché se l’accordo raggiunto si svilupperà come previsto davvero si sarà conclusa una contesa ultradecennale costata centinaia di vite umane e l’esodo di una intera popolazione, quella di origine armena del Nagorno Karabakh. Un accordo, inoltre, che reca con sé effetti geopolitici di natura regionale affatto secondari.

 

La Trump Route” e il nuovo corridoio

Facciamo ordine. Dapprima i fatti: il presidente azero Ilham Aliyev e il premier armeno Nikol Pashinyan hanno sottoscritto un documento, denominato Roadmap for Peace, che supera i contrasti esplosi da ultimo nel 2023, quando l’Azerbaijan costrinse con la forza allo scioglimento l’autonominata Repubblica del Nagorno Karabakh, un territorio abitato da persone di etnia armena ma collocato all’interno dell’Azerbaijan. L’intesa ruota intorno alla creazione di una rotta terrestre che collegherà l’Azerbaijan alla propria enclave di Nackhchivan attraversando l’Armenia per circa 40 km.

In omaggio al mediatore i due ex avversari hanno denominato questa futura arteria commerciale nientemeno che Trump Route for International Peace and Prosperity e hanno proposto il Presidente USA per il premio Nobel per la Pace (ormai una fissa, per Trump). Un investimento infrastrutturale i cui diritti di sviluppo verranno affidati agli Stati Uniti, che mettono così un piede sulla scacchiera caucasica già dominio sovietico. Ed è questa la novità rilevante in termini geopolitici.

 

Le reazioni di Ankara e Teheran

Infatti la cosa non è affatto piaciuta a Mosca. Ma neppure a Teheran e Ankara. Per quest’ultima, alleata di Baku e rafforzata dagli eventi del 2023, l’intromissione dell’alleato americano è un possibile problema perché ne limita le ambizioni regionali, trattandosi evidentemente di una presenza ingombrante.

Per l’Iran il motivo dell’irritazione è addirittura ovvio, e nello specifico Teheran minaccia un intervento per “bloccare” il corridoio immaginato dall’accordo (“questo passaggio non diventerà un cancello per i mercenari di Trump, diverrà la loro tomba”) invitando al contempo con toni duri l’alleato moscovita a muoversi a sua volta e a non rimanere immobile di fronte a quella che viene ritenuta una grave provocazione.

 

La Russia e lombra dellUcraina

La Russia, pur non esprimendo esplicitamente il proprio fastidio, ha in effetti già reagito: nei confronti dell’Azerbaijan, con il quale i rapporti erano migliorati proprio in seguito al non intervento a supporto di Erevan nel 2023. E qui entra in ballo, manco a dirlo, l’Ucraina. Già, perché Baku ha siglato con Kyiv un accordo per fornitura di gas, condotto dal Caspio verso ovest attraverso la pipeline TransBalkan.

E questo per Mosca è chiaramente un affronto. Al punto che alcuni droni russi, nell’ambito di un attacco su Odessa, hanno colpito (volontariamente? nessuno lo ammette ma tutti lo pensano) i depositi ivi presenti della compagnia petrolifera statale azera SOCAR. E, ancora, al punto che a Mosca si sia levata più d’una voce reclamante un embargo per i prodotti azeri e, addirittura, l’avvio di una “operazione militare speciale” anche nel Caucaso.

Una minaccia lasciata filtrare attraverso personaggi minori, che però offre l’idea di quanto le novità prospettate dall’intesa firmata a Washington possano generare importanti novità in quel quadrante geografico ex sovietico. Termine, quest’ultimo, che dopo l’esibizione in felpa del Ministro degli Esteri Lavrov non pare più improprio tornare a utilizzare.

Vai al sito

“Settimana della Cultura Armena” al Teatro Marrucino di Chieti, tasselli preziosi fioriscono nell’incontro di culture (DiariToscani 22.08.25)

Vai al sito

Shvydkoy, demolizione monumenti sovietici in Karabakh è atto ignobile (Agenzia Nova 21.08.25)

Mosca, 21 ago 08:45 – (Agenzia Nova) – La demolizione di 25 monumenti e busti dedicati a militari e figure illustri di origine armena nel Karabakh è un atto ignobile e privo di dignità. Lo ha dichiarato Mikhail Shvydkoy, rappresentante speciale del presidente russo per la cooperazione culturale internazionale, commentando le recenti rimozioni avvenute nella regione per volere delle autorità dell’Azerbaigian. “La guerra contro i monumenti non è la cosa migliore per nessun Paese. Essi riflettono la storia dei popoli che vivono su questa terra”, ha affermato Shvydkoy, paragonando l’attuale distruzione di monumenti armeni a quella dei memoriali dedicati a personaggi culturali azerbaigiani avvenuta negli anni Novanta. “Combattere contro i monumenti non è la cosa più nobile”, ha aggiunto. Secondo Shvydkoy, le relazioni tra la Russia e i popoli del Caucaso hanno radici profonde e storiche, e vanno ben oltre le dinamiche politiche del presente: “La politica è momentanea, mentre la cultura vive per sempre”. Ha inoltre sottolineato l’importanza di mantenere i legami culturali con tutti i popoli vicini alla Russia: “Oltre alle relazioni interstatali, ci sono relazioni tra i popoli, che sono più profonde. È importante oggi preservare tutti i contatti culturali che ci hanno unito”. Shvydkoy ha concluso ribadendo che la memoria culturale e storica deve essere protetta come parte integrante delle relazioni tra i popoli, indipendentemente dalle tensioni geopolitiche.
(Rum) © Agenzia Nova – Riproduzione riservata

Il pianista armeno Ashot Khachaturian in concerto a Pantelleria (Tgcom24 21.08.25)

Dopo il successo dello scorso anno con Absolutely Ennio, le associazioni Artsuite e Pantarei rinnovano il loro impegno a favore della Fondazione per la Ricerca sulla Fibrosi Cistica, proponendo un nuovo grande evento musicale a Pantelleria: “Absolutely… Ashot“, concerto del celebre pianista armeno Ashot Khachaturian, domenica 24 agosto ai Giardini della Luna (Contrada Kafaro, ore 21).

L’iniziativa

 L’iniziativa nasce con l’obiettivo di unire la bellezza della musica al sostegno concreto alla ricerca scientifica. La Fondazione è presieduta da Matteo Marzotto, con Paolo Faganelli come vicepresidente. Quest’ultimo, frequentatore assiduo di Pantelleria, ha recentemente scelto l’isola come luogo del cuore, acquistando qui una proprietà. Il concerto si rivolge sia ai residenti che ai turisti presenti sull’isola, offrendo un’esperienza musicale di altissimo livello, all’altezza delle più prestigiose stagioni concertistiche internazionali.

Il grande pianista armeno

 Quest’anno l’invito è rivolto a uno dei pianisti più acclamati della scena contemporanea: Ashot Khachaturian, nato a Yerevan nel 1984, nipote del leggendario compositore Aram Khachaturian. Cresciuto in una famiglia di musicisti, ha iniziato a suonare il pianoforte a soli cinque anni sotto la guida del padre. Tra i numerosi riconoscimenti internazionali si ricordano: 1° Premio Assoluto al Concorso Pianistico Internazionale Rachmaninov (2006); 1° Premio Assoluto al Concorso Pianistico Martha Argerich (2007); Vincitore del “Top of the World Piano Competition” (2011); Vincitore del “Concours d’Épinal” (2013). Da allora, la sua carriera è decollata portandolo nelle sale da concerto più prestigiose del mondo, da Salisburgo a Parigi, da Londra a Berlino, da Tokyo a New York, con le più rinomate orchestre e direttori.

L’ingresso è gratuito, ma è gradita una libera donazione a favore della Fondazione per la Ricerca sulla Fibrosi Cistica. Giardini della Luna, Contrada Kafaro Ore 21. Per prenotazioni (WhatsApp): 329 8369471.

Vai al sito

Strette di mano a Washington, manette a Baku (Osservatorio Balcani e Caucaso 20.08.25)

Il recente incontro di Trump coi leader di Azerbaijan e Armenia, Aliyev e Pashinyan, a Washington, lascia sperare in un accordo di pace. Tuttavia c’è un paradosso: mentre i leader si stringono la mano all’estero, in patria quelli che praticano la riconciliazione vengono criminalizzati

20/08/2025 –  Arzu Geybullayeva

Lo scorso 8 agosto, il presidente Donald Trump, affiancato  da Ilham Aliyev e Nikol Pashinyan, leader di Azerbaijan e Armenia, si è seduto ad un tavolo alla Casa Bianca, firmando una dichiarazione in sette punti  e una serie di accordi di cooperazione tra Armenia, Azerbaijan e Stati Uniti.

Poi lunedì 11 agosto, Baku e Yerevan hanno diffuso  il testo di un accordo di pace concordato nel marzo 2025, ma reso noto solo dopo l’incontro negli Stati Uniti. Tornando alla Casa Bianca, Trump, con un’aria plateale, ha dichiarato: “È passato molto tempo – 35 anni – hanno combattuto e ora sono amici, e lo saranno per molto tempo”.

Tutte queste grandi parole e strette di mano sono molto lontane dalla caotica realtà della riconciliazione tra i due paesi, realtà che non solo viene ignorata  , ma anche respinta dalle autorità.

Appena due mesi fa, a giugno, un giovane studioso è stato condannato  ad una lunga pena detentiva per aver promosso la pace. L’etichetta di traditore  viene utilizzata da persone legate alla leadership al potere, mentre ai membri della società civile, che si battono per la riconciliazione e il superamento dei conflitti, viene preclusa ogni possibilità  di impegnarsi in iniziative significative a causa delle leggi restrittive  adottate negli ultimi anni.

Questo è il paradosso della pace mediata dalla Casa Bianca: i leader si stringono la mano all’estero, mentre in patria quelli che praticano la riconciliazione vengono criminalizzati.

Il caso di Bahruz Samadov

Samadov, 30 anni, è uno dei pochi cittadini azerbaijani impegnati per la pace tra Armenia e Azerbaijan. Ha scritto molti testi sulla riconciliazione, ma anche sullo stato della democrazia e dei diritti umani in Azerbaijan.

Il giovane studioso stava frequentando un dottorato di ricerca presso l’Università Carolina a Praga. È stato fermato  il 21 agosto 2024, mentre era in visita a sua nonna a Baku. La polizia ha arrestato Samadov fuori dalla casa della nonna, consegnandolo ai servizi segreti.

Due giorni dopo, accusato di cospirazione contro lo stato per aver comunicato con alcuni cittadini armeni su WhatsApp, è stato condannato a quattro mesi di custodia cautelare per tradimento.

Sin dal suo arresto, il giovane studioso ha definito false le accuse, affermando che erano direttamente collegate al suo attivismo pacifista e alle critiche rivolte al governo, sia durante la seconda guerra del Karabakh  che nel periodo successivo  .

Anche in detenzione è rimasto irremovibile nei suoi principi. Durante una delle udienze, Samadov avrebbe gridato  : “Viva la pace! Viva la fratellanza tra le nazioni!”.

Il 23 giugno 2025, dopo quasi un anno di custodia cautelare, in un processo a porte chiuse  , lo studioso è stato condannato  a quindici anni di carcere per tradimento.

Le organizzazioni per i diritti umani  , gli organismi che si occupano della libertà di stampa  altri soggetti  hanno criticato il processo contro Samadov, vedendovi un’azione motivata politicamente.

Il 30 giugno, Abzas Media – una testata indipendente che si occupa di giornalismo investigativo, il cui intero team di Baku è stato recentemente condannato  a lunghe pene detentive – ha pubblicato un’intervista  con Samadov.

L’intervistatrice, Ulviyya Ali, è una delle tante giornaliste  arrestate in Azerbaijan. Al momento dell’intervista, entrambi erano ricoverati nella struttura ospedaliera del Centro di detenzione preventiva a Baku.

Bahruz Samadov ha tentato il suicidio  il 21 giugno, dopo aver appreso la notizia della richiesta di condanna a sedici anni di carcere avanzata dalla procura. Ulviyya Ali ha ricevuto forti colpi alla testa  durante un interrogatorio. Nel 2017 ad Ulviyya era stato diagnosticato  un adenoma pituitario. I ripetuti colpi alla testa le hanno causato vomito e sanguinamento dal naso. Tuttavia, alla giornalista, che ha bisogno  di farmaci e visite regolari, non è mai stata fornita un’assistenza medica adeguata.

Durante l’intervista, Samadov ha affermato che “non dimenticherà mai il trauma” di essere stato trattato “come un terrorista” e messo a tacere per la sua “posizione pacifica”.

“Sostengo, sin dall’inizio, che questa accusa sia in contrasto con gli interessi dello stato. Accusare un accademico di tradimento e sottoporlo a tortura danneggia la reputazione del paese e mette a repentaglio la cosiddetta agenda di pace. La vera motivazione alla base delle accuse resta poco chiara. Non sono né un politico né una persona che scrive per un pubblico ampio. Sono semplicemente un critico radicale. I servizi segreti mi hanno detto che il problema erano gli armeni che citavano i miei articoli”, ha spiegato  Samadov durante l’intervista.

Poco dopo l’arresto di Samadov, alcuni dei suoi amici sono stati interrogati come testimoni. A Samad Shikhi, un giovane scrittore, è stato impedito di imbarcarsi su un volo a Baku. Shikhi è stato interrogato sotto pressione in condizioni difficili. Alla fine è stato rilasciato, però con un divieto di viaggiare e l’obbligo di rimanere in silenzio e di non pubblicare nulla sui suoi account social. Shikhi è riuscito a lasciare l’Azerbaijan solo dopo nove mesi trascorsi in un costante stato di ansia, temendo per la propria sicurezza.

La repressione non si ferma

Cavid Agha, un ricercatore indipendente dell’Azerbaijan, era diretto in Lituania per proseguire i suoi studi quando è stato fermato all’aeroporto  .

“Mi hanno fermato per interrogarmi [e] una delle prime cose che mi hanno detto è stata: ‘Sei qui perché intrattieni stretti legami con Bahruz’”, ha raccontato Agha in una recente intervista  a Global Voices.

Dopo la seconda guerra del Karabakh, molti attivisti sono stati criticati per le loro idee pacifiste e per gli appelli a porre fine ai conflitti armati. Tra questi spiccano i nomi di Ahmed Mammadli  , Emin Ibrahimov, Emrah Tahmazov, e tanti altri  .

Lo stesso Samadov, prima di essere arrestato, ha scritto  per Eurasianet di atti intimidatori e campagne contro gli attivisti per la pace. Queste campagne e accuse non sono un fenomeno nuovo  : si tratta di strumenti utilizzati ormai da tempo  per colpire i critici del governo e i membri della società civile  in Azerbaijan.

Senza un impegno per liberare Samadov e difendere i diritti degli attivisti, il recente accordo di pace rischia di rimanere meramente simbolico. Un’autentica riconciliazione  richiede iniziative per sostenere un dialogo tra diverse comunità.

Per passare dagli accordi siglati ai tentativi di guarire una società ferita, il rilascio di sostenitori della pace, come Samadov, rappresenterebbe un gesto di buona volontà, fondamentale per rendere credibile la pace concordata agli occhi dei cittadini.

Abbandonando la propaganda e la retorica di stato – utilizzata per colpire chi promuove la pace – e garantendo la protezione legale a tutte le persone coinvolte in iniziative transfrontaliere, l’Azerbaijan farebbe un ulteriore passo nel suo percorso verso la pace.

Andrebbero poi abolite le leggi restrittive – che hanno reso impossibile  il lavoro della società civile in Azerbaijan – e sostenute le iniziative per rafforzare la fiducia tra le due nazioni.

Coinvolgere tutte le parti nella fase successiva, comprese le comunità sfollate e la società civile, garantendo che gli accordi scritti riflettano effettivamente le esperienze vissute, può contribuire a spostare la narrazione da un’idea di pace come spettacolo ad una visione di pace come processo, portando la riconciliazione là dove conta di più: tra le persone.

In un messaggio  pubblicato alla vigilia dell’incontro alla Casa Bianca, Human Rights Watch ha invitato l’amministrazione Trump ad approfittare dell’incontro con il presidente Ilham Aliyev vedendovi un’opportunità “per gli Stati Uniti di sollevare pressanti preoccupazioni per la sconcertante repressione del dissenso in Azerbaijan”.

Dalla guerra del Karabakh del 2020, le autorità azerbaijane hanno intensificato la campagna di arresti e repressione contro la già fragile società civile, colpendo giornalisti  difensori dei diritti umani  attivisti politici  tanti altri  con accuse false e pretestuose.

A rafforzare questa repressione è un sistema di propaganda di stato  che dipinge l’Armenia come un nemico esistenziale permanente. In quest’ottica, parlare con gli armeni e sostenere la riconciliazione significa schierarsi con il nemico, e quindi tradire la nazione.

Sarebbe ingenuo aspettarsi un impegno significativo da parte delle autorità di Baku in assenza di una società civile vivace e di media indipendenti, portando gli osservatori a chiedersi se l’impegno della leadership azerbaijana per una pace duratura sia solo di facciata.

Vai al sito

Ue: ambasciatore armeno Maragos, liberalizzazione visti per Armenia è obiettivo realistico (Agenzia Nova 20.08.25)

L’avvio del dialogo per la liberalizzazione dei visti tra l’Unione europea e l’Armenia è un passo politico eccezionale e un obiettivo realistico. Lo ha dichiarato l’ambasciatore dell’Ue a Erevan, Vassilis Maragos, in un’intervista al portale “CivilNet”, sottolineando che dal 2019 Bruxelles non ha avviato alcun dialogo simile con altri partner. “Lo abbiamo fatto perché ci crediamo, perché crediamo che sia realistico”, ha affermato Maragos, ricordando che il dialogo con l’Armenia è stato avviato il 9 settembre 2024. Secondo l’ambasciatore, Erevan ha già compiuto progressi rilevanti: “Durante la visita dell’Alta rappresentante Kaja Kallas a giugno, sono state effettuate missioni di valutazione. È stato annunciato il completamento dei lavori del comitato interno per la preparazione del piano d’azione per la liberalizzazione dei visti”, ha spiegato. Il piano d’azione, ha aggiunto Maragos, è attualmente oggetto di discussione tra la Commissione europea e gli Stati membri. Una volta conclusa questa fase, il documento sarà presentato al pubblico e alle autorità armene. La sua attuazione stabilirà il calendario entro il quale i cittadini armeni potranno beneficiare dell’ingresso senza visto nello spazio Schengen.